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Un trend costantemente a ribasso di Lorenzo Cirino
from N. 30 MARZO 2020
by Scomodo
Un trend costantemente a ribasso
Siamo nel mezzo di una pandemia e di un’epidemia nazionale, che sta colpendo violentemente il territorio italiano e i suoi cittadini, conducendo il nostro sistema sanitario sull’orlo del collasso, in una situazione emergenziale che provoca continuo stress e che peggiora sempre più. Senza dubbio negli ultimi anni non ci siamo preparati ad uno stato di emergenza di questo tipo, mentre altri paesi sono stati colti più preparati. È il caso ad esempio della Corea del Sud, che ha infatti visto in pochissimo tempo ridursi il numero di nuovi contagi tra la sua popolazione. Considerando del resto i numerosi problemi che affliggono il nostro sistema sanitario nella gestione ordinaria, a prescindere dall’emergenza, tutto può risultare più chiaro.
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Qualsiasi libro di finanza pubblica sostiene che le spese pubbliche in campo sanitario generano, oltre a benefici per gli assistiti, anche benefici esterni: aumento della produttività del lavoro (e quindi crescita del reddito nazionale) nonché riduzione del rischio delle epidemie.
Un dato d’altra parte è certo, in questi ultimi dieci anni, e quindi successivamente alla crisi del 2008, in cui c’è stata una riduzione parzialmente giustificata ai finanziamenti al sistema sanitario, non ci sono stati politici e amministratori che abbiano posto la sanità come fulcro dei loro programmi di governo. Le poche iniziative politiche di valorizzazione della sanità sono state prese soprattutto su base regionale, e quindi dai vari amministratori di regione, e non su base nazionale, prescindendo quindi da una visione omogenea e unitaria.
A ciò vanno poi aggiunti altri fattori importanti quali le mutate condizioni cui le epidemie si diffondono, le varianti economiche e quelle sociali che contribuiscono a minare la sostenibilità di tutti i sistemi sanitari. Si intende cioè l’invecchiamento della popolazione, il costo sempre crescente delle innovazioni tecnologiche mediche e farmaceutiche, l’aumento costante della domanda di servizi e prestazioni da parte dei cittadini.In questo contesto particolarmente critico risulta decisamente fuori luogo ogni richiamo alle classifiche e alle statistiche sulla qualità del servizio sanitario, alcune di queste desuete, come quella della Oms del 1997 che vede l’Italia al secondo posto come qualità del servizio sanitario nazionale, o quella Bloomberg che si basa su dei fattori che non possono essere considerati proporzionali ai livelli di finanziamento. L'Italia, in quest'ultima classifica , si colloca al quarto posto,ma la valutazione si basa sul rapporto tra tasso di mortalità e finanziamento, che secondo alcuni esperti, tra cui i relatori del rapporto Gimbe, dipende soltanto per il 10% dalla qualità del sistema sanitario. Essi sostengono infatti che “L’aspettativa di vita alla nascita dipende da fattori genetici, ambientali sociali e dagli stili di vita. Se Bloomberg correlasse il finanziamento con l’aspettativa di vita a 65 anni in condizioni di buona salute e in assenza di malattie, l’Italia precipiterebbe in fondo alla classifica”. Questi posizionamenti eccellenti rischiano dunque di celare, se non addirittura di giustificare, la tendenza al disinvestimento degli ultimi decenni, protratta da politici di qualsivoglia colore politico e appartenenza, che hanno gradualmente tolto valore al sistema sanitario pubblico, lasciando sempre più ampi margini al privato, rafforzando il secondo pilastro (quello delle convenzioni, che approfondiremo più avanti) e ledendo l’accessibilità dei cittadini al diritto alla salute.
Nel 2018, la spesa pubblica per la sanità, in rapporto al Pil era del 6,6%, portando l’Italia ad essere fanalino di coda dei paesi dell’Europa occidentale, insieme alla Spagna e alla Grecia e avvicinandosi pericolosamente alla soglia minima indicata dall’Oms, consistente nella percentuale in rapporto al Pil del 6,5%.
Facciamo un passo indietro Le discussioni sulle storture del sistema sanitario nazionale avvengono dal momento della sua nascita, nel 1978, quando il parlamento approvava a larghissima maggioranza la legge 833 che ha istituito il Ssn in attuazione dell’art. 32 della costituzione. Già la costituzione del 1946 dell’Organizzazione mondiale della sanità afferma che “il possesso del miglior stato di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano”. La costituzione italiana fu influenzata proprio da questa idea, e la salute fu posta tra i diritti fondamentali e costituzionalmente protetti. Tuttavia, prima dell’attuazione della costituzione ci volle tempo, infatti, secondo un’inchiesta del Tempo e riportata da il Post, nel 1965 negli ospedali italiani mancavano 250mila posti letto, e come raccontava Silvia Bencivelli, giornalista e divulgatrice scientifica, gli ospedali erano ancora delle strutture fatiscenti e poco attrezzate, “luoghi dove si andava a morire, a farsi accogliere se poveri, o dove si abbandonavano i neonati”. La legge del 78’ fu un radicale cambio di rotta. Il sistema sanitario nazionale, ispirato a principi di equità e universalismo, finanziato dalla fiscalità generale, si proponeva di “ superare gli squilibri territoriali nelle condizioni socio sanitarie del paese, la prevenzione delle malattie degli infortuni in ogni ambito di vita e di lavoro, l’uguaglianza dei cittadini dinanzi al servizio”. Il sistema sanitario nasce dunque per coniugare la prevenzione, il controllo e il trattamento delle malattie, la protezione e la promozione della salute, all’interno di un quadro di benessere fisico mentale e sociale e dunque non solo come risposta alla malattia. Purtroppo, e soprattutto in questi ultimi decenni, la spesa sanitaria è stata concepita esclusivamente come un costo, e non come un investimento fondamentale per la crescita produttiva economica e sociale di un paese. Dunque non si può sostenere, come afferma il rapporto Gimbe, che la sostenibilità di un sistema sanitario nazionale sia frutto esclusivamente di corrette valutazioni finanziarie, in quanto queste si devono necessariamente considerare all’interno di un quadro ben più ampio, che riguarda il cittadino nella sua più profonda individualità . Il rapporto Gimbe del 2019 descrive quattro principali criticità : il definanziamento pubblico, l'ampliamento del “paniere” dei nuovi LEA, i grandi sprechi e inefficienze,l’espansione incontrollata del secondo pilastro. "I LEA sono prestazioni e servizi che il SSN è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di compartecipazione (ticket), con le risorse pubbliche raccolte attraverso la fiscalità generale". A queste criticità è necessario aggiungere gli squilibri territoriali in ambito regionale, frutto del rapporto spesso inefficiente tra stato e regioni, che ha determinato una lesione del diritto alla salute nella sua accezione filosofica e universalistica. Secondo l’articolazione delle competenze dettata dalla Costituzione italiana (art. 117), la funzione sanitaria pubblica è infatti esercitata da due livelli di governo. Il primo è lo Stato, che definisce i Livelli essenziali di assistenza (LEA), l’ammontare complessivo delle risorse finanziarie necessarie al loro finanziamento e che presiede il monitoraggio della relativa erogazione. Il secondo è costituito dalle regioni, che hanno il compito di organizzare i rispettivi Servizi sanitari regionali (SSR) e garantire l’erogazione delle prestazioni ricomprese nei LEA. Dunque le regioni hanno il fondamentale compito di organizzare in termini attuativi l’erogazione dei servizi, e le rispettive modalità, riducendo al massimo il disavanzo e tagliando gli sprechi.
La spesa sanitaria pubblica Nel 2018 la spesa complessiva per la salute, nell’accezione più ampia possibile, consiste in circa 204 miliardi di cui il 75,9% riguarda la spesa sanitaria, mentre il restante è di spesa sociale di interesse sanitario (20,5%) e fiscale (3,5%). Nel 2018 la spesa sanitaria include circa 115 miliardi di spesa pubblica e poco più di 41 miliardi di spesa privata, di cui 36 miliardi a carico delle famiglie (out-of-pocket) e circa 6 miliardi di spesa intermediata. In termini percentuali, nel 2017 il 27% della spesa sanitaria è privata e di questa l’86,1% è sostenuta dalle famiglie. Il dato che preoccupa è proprio quest’ultimo, la spesa out of pocket, in costante crescita negli ultimi decenni, emblema del fallimento delle politiche assicurative e intermediate e che mostra un aumento esponenziale della spesa da parte delle singole famiglie italiane.
Questa spesa ha registrato un aumento non indifferente negli ultimi venti anni : dal 19,3% del periodo 2000-2008 al 30,3% del periodo 2009-2017.
La spesa sanitaria pro capite rappresenta l’ammontare di risorse monetarie, in media disponibili per ogni individuo di una data regione, per far fronte alle spese sanitarie di un determinato anno. In tal senso dovrebbe indicare le risorse disponibili mediamente sia per fornire i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), sia gli altri servizi che la regione ritiene di essere in grado di garantire alla popolazione locale. Il dato della spesa pro capite in Italia diminuisce drammaticamente, scendendo addirittura al di sotto della media Ocse (2.622 in Italia contro i 2868 della media Ocse), portando l’Italia a standard inferiori di ben quattordici paesi europei che investono più di noi con una differenza che va dai 456 euro della
Finlandia ad un massimo di 2.777 euro della Norvegia.
Dalla lettura della relazione annuale del MEF emerge che le voci di spesa pubblica si articolano in: redditi da lavoro dipendente; consumi intermedi; prestazioni sociali in natura beni e servizi da produttori market, in cui rientrano la farmaceutica convenzionata, l’assistenza medico-generica da convenzione, altre prestazioni sociali in natura da privato; e l’ultima voce che riporta altre spese, tra cui gli interessi passivi. Se vediamo nel dettaglio l’andamento delle singole voci di spesa, notiamo una graduale crescita in termini di finanziamento assoluto, con eccezione della farmaceutica convenzionata che, tra il 2002 e il 2018, ha perso pericolosamente terreno. Ciò inevitabilmente si ripercuote sulla spesa out of pocket. Inoltre, è vertiginosamente salita la spesa per altre prestazioni in natura da privato, che può essere lo spunto per una riflessione, che poi riprenderemo più avanti, sulla tendenza al rafforzamento del secondo pilastro per compensare il definanziamento alla spesa pubblica e quindi quella al SSN.
La verità sul definanziamento Innanzitutto è doveroso fare una precisazione: i finanziamenti al sistema sanitario, in termini assoluti, sono gradualmente cresciuti fin dalla nascita del sistema sanitario. Tra il 2001 e il 2019 vi è stata una riduzione di qualche centinaio di milioni solo tra il 2012 e il 2013 e tra il 2014 e il 2015. Se analizziamo nel dettaglio il trend di crescita vediamo che esso si è appiattito dal 2008: l’incremento percentuale del 58,2% nel periodo 2000- 2008 è precipitato all’8,1% nel periodo 2009-2017.
Tuttavia ci sono due fattori da tener ben presenti: la differenza tra valore nominativo (assoluto) e valore reale, e la disattesa di previsioni di finanza pubblica in un quadro di crescita europea. Infatti, il tasso di crescita annuale del finanziamento al Ssn, tra il 2010 e il 2019, è di 0,90%, mentre quello di inflazione, ossia l’aumento del livello medio dei prezzi, è dell’1,07%. Dunque è ridotto drasticamente il potere di acquisto della moneta. Ciò si riflette soprattutto sull’ammodernamento delle strutture sanitarie e sull’acquisto di prodotti farmaceutici ( pensiamo alla voce sopra citata di farmaceutica convenzionata ). Il finanziamento dunque non si può considerare in linea con l’andamento dell'inflazione, in un quadro di crescita non proporzionale rispetto agli altri paesi dell'Europa occidentale.
Soprattutto in queste settimane di imponente emergenza, si è dibattuto molto su un taglio complessivo di 37 miliardi citato più volte da politici, giornalisti ed esperti. I dati considerati nel periodo 2010-2018, e riportati dal rapporto Gimbe, mostrano infatti un definanziamento di circa 37 miliardi, manifestatosi principalmente in “mancati aumenti”. Quindi, se è vero che c’è stato un costante aumento delle risorse stanziate, come sono sempre pronti ad affermare gli esponenti dei vari governi degli ultimi anni, è vero anche che sono stati effettuati dei tagli rispetto alle previsioni e agli obiettivi espressi di finanza pubblica. In pratica sono stati disattesi i livelli programmati per l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica, comportamento ingiustificato soprattutto considerando i dati in rapporto all’aumento costante della spesa out of pocket e dunque della sanità privata. Soltanto nel periodo tra il 2015 e il 2019 sono andati al Ssn 12,1 miliardi in meno rispetto a quelli previsti dalle precedenti manovre.
L’annuale relazione della corte dei conti mostra una delle frenate più importanti : quella arrivata dagli investimenti degli Enti locali e dalla spesa per le risorse, una combinazione che si ripercuote su quantità e ammodernamento delle strutture nonché sulla disponibilità di personale, calato drasticamente di circa 46mila unità. La spesa per la retribuzione del lavoro dipendente, guardando alla relazione del MEF, risulta infatti significativamente più bassa: nel 2018 rappresenta il 30,8% della spesa complessiva, con una percentuale sensibilmente ridotta rispetto a quella del 2002 (36,9%). In particolare, secondo i dati Gimbe, il tasso di variazione medio annuo della spesa per i redditi da lavoro dipendente si attesta mediamente al 5,7% nel periodo 2003-2006, si azzera nel periodo 2007-2011 e passa a -0,5% nel periodo 2012-2018. "Nonostante si osservi una parziale inversione di rotta in questo ultimo anno si può calcolare un definanziamento di circa 2 miliardi di euro tra il 2010 e il 2018" . La differenza tra le diverse situazioni regionali, poi, si percepisce chiaramente: nelle regioni che si trovano soggette ad un piano di rientro la stima è del -4,8% mentre per le altre si attesta al 2,2%. E’ dunque facile configurare una differenza qualitativa tra le varie regioni italiane nell'erogazione e nell'accesso ai servizi, nonché una riduzione di medici su tutto il territorio italiano. La problematica derivata dal mancato aumento di risorse per la sanità pubblica, di storia decisamente più antica rispetto ai periodi fino ad ora considerati, è rappresentata anche dal calo dei posti letto negli ospedali : secondo l’organizzazione mondiale della sanità l’Italia dispone di 164 mila posti letto per pazienti acuti, dato ridotto di circa un terzo dal 1980, alla nascita del sistema sanitario nazionale. È riportato esclusivamente il dato per i posti letto di terapia intensiva, in quanto il taglio dei posti letto negli ospedali può essere considerato espressione di una tendenza di de-ospedalizzazione e rafforzamento dei sistemi di assistenza domiciliare ed extradomiciliare.
Guardando al futuro Nei prossimi anni, e quindi successivamente al superamento di questa fase così complessa per il nostro sistema sanitario, che vedrà un dispiegarsi di risorse inaudito, sarà centrale il tema della riallocazione delle risorse e della cooperazione tra operatori. Se si guarda alle agende politiche degli ultimi decenni, si vede, tristemente, come la discussione sulla sanità sia sempre relegata ai margini e mai affrontata strutturalmente. Se in una fase di crisi economica l’investimento in ambito sanitario è risultato stagnante, nel periodo subito successivo di crescita economica si mostra non adeguatamente proporzionale. “Se inizialmente il definanziamento della sanità pubblica era imputabile alla crisi economica, oggi si è trasformato in una costante irreversibile”, commenta il rapporto Gimbe del 2019.
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Guardando al futuro, la legge di Bilancio del 2019 aveva aggiunto 2 miliardi per il 2020, e ulteriori 1,5 miliardi per il 2021, per un incremento complessivo di 8,5 miliardi nel triennio 2019-2021 : il rapporto spesa sanitaria\Pil era previsto però in riduzione fino ad arrivare al 6,4% nel 2022. Questi dati ci mostrano scenari in cui la spesa sanitaria in Italia si avvicina sempre di più a quella dei paesi dell’Europa orientale, vedendo l’Italia fanalino di coda insieme alla Spagna tra i paesi dell’Europa occidentale. Inoltre, data la natura provvisoria dei governi che si sono succeduti negli ultimi decenni e dati i mancati incentivi avvenuti in passato, la paura è che la spesa sanitaria possa nuovamente disattendere gli obiettivi prefissati. Ovviamente, l’attuale situazione, fa sì che ci sia in atto un incremento notevole di risorse, che ci condurrà dinanzi ad un bivio fondamentale : investire il più possibile per affrontare l’emergenza e poi scordarsi nuovamente dell’importanza del servizio sanitario nazionale, o ricomprendere sotto nuove prospettive l’immenso valore del SSN, accettando la sua centralità in un'ottica di crescita sociale ed economica.
di Lorenzo Cirino • (fonte dati e analisi Rapporto Gimbe 2018 e 2019 Elaborazione dati MEF e ISTAT)