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Lorenzo CirinodiUn'introduzione al tema

Il digital divide

Un’introduzione al tema

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Il digital divide segnala, nel suo significato più generale, la difficoltà di una parte della popolazione di dialogare con gli strumenti tecnologici. Ciò è dovuto d’altra parte a due ordini di problemi : da un lato le differenti dotazioni riguardanti l’accesso alla rete internet, dall’altro la disparità nel grado di "alfabetizzazione digitale", fondamentale per la comprensione degli strumenti digitali e per il loro utilizzo consapevole ed efficiente. L’inclusione e l’esclusione digitale sono determinate quindi da una molteplicità e complessità di fattori saldamente interconnessi fra loro di carattere culturale, economico, sociale, geografico. Le dinamiche territoriali a livello di infrastrutture fanno i conti con una presa di coscienza ancora troppo lenta e superficiale dell’importanza di dirigere i processi di cambiamento e di crescita culturale digitale. Con la pandemia, l’impreparazione delle società contemporanee è emersa palesemente, è venuta sotto gli occhi di tutti, scatenando accesi dibattiti e interrogativi sulla natura complessa e articolata di alcuni fenomeni, forse, con una evidenza inedita. Al vertice delle questioni critiche c’è sicuramente il tema del digital divide.

Un primo sguardo ai dati

L’Italia è arrivata tardi al digitale, abbiamo aspettato anni prima di investire qualche milione per portare la banda larga fissa su tutto il territorio nazionale, e questo ha causato un ritardo inevitabile nell’adeguamento del pensiero analogico collettivo a quello digitale, soprattutto se si guarda a chi è stato “coperto” più tardi, a chi è stato lasciato indietro nell’educazione digitale, o a quelle imprese che si sono trovate in un contesto ampiamente globalizzato e digitale, ma con una cultura territoriale ancora impreparata agli enormi mutamenti in atto. Se 10 anni fa eravamo indietro sulla banda larga fissa, oggi, che questa raggiunge finalmente quasi la totalità del territorio, siamo indietro su quella veloce, fondamentale per le videochiamate, le conference call, i servizi di cloud, la scuola digitale ; siamo indietro sulle competenze, con una popolazione che per oltre il 40% ha competenze digitali basse, o addirittura minime. Secondo l’Indice Desi, strumento utilizzato dalla commissione europea per monitorare lo sviluppo tecnologico e la sua competitività, l’Italia si colloca al 24esimo tra i 28 paesi membri dell’Unione Europea. Per quanto riguarda la copertura dell'infrastruttura della rete, la posizione dell’italia ha conosciuto un netto miglioramento negli ultimi anni, con una copertura vicina al 100% delle famiglie per quanto riguarda la banda larga fissa, e una prospettiva di sviluppo basata su strategie nazionali di investimento per quanto riguarda la banda larga veloce. Tuttavia tre persone su dieci non utilizzano ancora Internet abitualmente e più della metà della popolazione non possiede competenze digitali di base. Ciò si riflette inevitabilmente sui servizi digitali, che versano in una situazione di stallo e di incompiutezza, con un seguente danno alla produttività delle imprese e alla crescita socio economica del paese.

Cultura del digitale e tutela dei diritti

Gli interventi legislativi, in particolare quelli che incidono sui diritti, accompagnano i processi culturali. Una nuova cultura del digitale inevitabilmente viene affiancata da un impianto normativo in grado di tutelare i diritti fondamentali dell’individuo, di proteggere la loro realizzazione. Garantire libertà di connessione significa ormai permettere di esercitare e godere dei propri diritti fondamentali : il diritto alla connettività è divenuto dunque un postulato irrinunciabile per l’esplicazione e la realizzazione materiale di una molteplicità di altri diritti fondamentali, consequenzialmente legati alla rete e che in essa si realizzano.

Il dibattito normativo in merito è particolarmente articolato, sia a livello nazionale sia a livello internazionale. Alle carte internazionali, redatte a tutela dei diritti connessi ad internet, è da riconoscere il merito dell'immissione negli ordinamenti di quei princìpi che possono essere una base per lo sviluppo di un impianto culturale che diriga i processi di digitalizzazione. In Italia la discussione legislativa risale a circa dieci anni fa, quando si è avvertita l’esigenza di portare internet ovunque. Nel 2010 arrivò una proposta in parlamento, presentata da Stefano Rodotà in occasione dell’Internet Governance Forum, per mettere il diritto di accesso ad internet in costituzione, all’interno dell’art. 21 bis. Nonostante le importanti reazioni a questa proposta, alla fine essa non venne approvata. Successivamente si tenne un dibattito in commissione parlamentare, quando la camera era presieduta dalla Boldrini, per il diritto all’accesso ad internet, che portò alla redazione di una carta di diritti di internet, tuttavia con carattere non vincolante. Nonostante vi sia la possibilità di tutelare il diritto ad internet secondo vie interpretative e giurisprudenziali, basandosi sulla sua congruità con il quadro costituzionale, riteniamo sia rilevante ai fini del risultato sostanziale l’introduzione del comma o di un articolo in costituzione, che possa coniugare la libertà di connessione alla concezione del diritto di internet come un diritto sociale, al pari di altri diritti come l’istruzione e la sanità. Ciò potrebbe concorrere all’obbligo concreto dello Stato di intervenire per far fronte alle concrete esigenze dei cittadini, garantendo uno standard minimo nel servizio di connessione - che oramai è rappresentato sempre più dalla banda ultra larga - e di rimediare gradualmente alle disomogeneità nello sviluppo e nell’utilizzo dell’infrastruttura della rete su tutto il territorio nazionale.

In tempi più recenti, alcuni senatori (tra cui di Liuzzi e D’Ippolito) hanno presentato una proposta, per larga parte ispirata e basata su quella del 2010 di Rodotà e sui lavori successivi della commissione parlamentare, per aggiungere un articolo in costituzione,il 34bis. Leggendo la disposizione presentata nella proposta emerge un chiaro riferimento alla concezione di internet come diritto sociale e non come semplice libertà di accesso. Tuttavia ad oggi il disegno di legge si trova in una fase di stallo, depositato in commissione affari costituzionali, incorporato in un’ultima proposta presentata nel 2019 proprio dalla suddetta commissione. L’iter di approvazione ha tempi lunghi e una natura complessa : si rischia che diventi una maschera a tutela dell'inconcludenza politica, rallentando così i processi di digitalizzazione in atto e soprattutto trascurando la necessità di strumenti di tutela e di cambiamento sociale che richiedono tali trasformazioni.

Una disparità nel controllo della rete si traduce inevitabilmente in una diseguaglianza sociale ed economica, nonché in una lesione dei diritti fondamentali per chi è estromesso, direttamente o indirettamente, dai benefici del digitale : le disuguaglianze nelle condizioni di accesso ad internet e nello sviluppo delle competenze digitali alimentano le disparità economiche e sociali, che a loro volta alimentano il digital divide, all’interno di un circolo vizioso di esclusione sociale. La attuale pandemia ha mostrato solo una parte delle tantissime opportunità che il digitale ha ancora da offrire: si parla di uguaglianza, di partecipazione, di competenza; sta a tutti noi manifestare con chiarezza una volontà collettiva di cambiamento e una forte presa di coscienza, far sviluppare una volontà politica di rinnovamento e, allo stesso tempo, arginare e mettere a fuoco problematiche legate alla crescita digitale, adeguando l’impianto delle riforme strutturali e sociali alla cultura del digitale, nell’ottica di una crescita e di uno sviluppo armoniosi della nostra società.

di Lorenzo Cirino •

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