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La digitalizzazione del comparto statale di Giulio Rizzuti
from N. 32 MAGGIO 2020
by Scomodo
La digitalizzazione del comparto statale
A seguito della liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni avvenuta all’inizio degli anni 90’, è stato introdotta in Europa, e in seguito anche in Italia il cosiddetto “servizio universale” il primo istituto giuridico che imponeva obblighi regolamentari a qualsiasi gestore di servizi telecomunicativi e conseguentemente multimediali di utilità pubblica, fosse esso pubblico o privato. Introdotto in Italia nel 2003 con il Decreto n. 259, conosciuto anche come Codice delle Comunicazioni elettroniche”, questo codice identifica il servizio universale come “l’insieme minimo di servizi di una qualità determinata, accessibile a tutti gli utenti, a prescindere dalla loro ubicazione geografica e offerti a un prezzo accessibile”. Il servizio universale è dunque, secondo alcuni autori, quella parte di presenza pubblica che permane una volta terminato il gioco della domanda e dell’offerta. La fornitura del collegamento alla rete fissa è stato il principale, se non unico obiettivo di questo servizio per gli ultimi 15 anni,concepito dalla legislazione italiana per garantire a tutti l’usufrutto dei servizi telefonici. Questo servizio è stato garantito grazie alla presenza di una infrastruttura preesistente già molto vasta (la rete cosiddetta incumbent di Telecom) cosa che ha permesso di ridurre i costi di gestione e conseguentemente, quelli del servizio medesimo. Tuttavia, il nodo fondamentale del fallimento del servizio universale è sicuramente la mancanza di qualsiasi forma legislativa che garantisca l’accesso alla banda larga, ritenuto un privilegio non essenziale. Per una riduzione del fenomeno del digital divide, l’inserimento di tale obbligo diventa un nodo fondamentale, considerando che l’evoluzione della digital society ha ormai reso l’inclusione dell'accesso alla rete digitale un diritto necessario, aspetto fondamentale per garantire la parità di diritti e accesso ai servizi pubblici nell’era della rivoluzione digitale.
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Lo stato digitale
La digitalizzazione della pubblica amministrazione, chiamata anche con il termine “e-government”, è definito molto vagamente, da una comunicazione dell’Unione Europea del 26 settembre 2003, come «l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle pubbliche amministrazioni (..) al fine di migliorare i servizi pubblici ed i processi democratici e di rafforzare il sostegno alle politiche pubbliche>>. Il processo della digitalizzazione della pubblica amministrazione, definita in Italia come informatizzazione dell'organizzazione e dell'azione amministrativa, comporta l’utilizzo di varie soluzioni informatiche, al fine di consentire una circolazione di informazioni più rapida e diretta tra i vari apparati pubblici, accelerando i processi burocratici interni, e cercando così di garantire un servizio migliore per i cittadini. L’e-government dunque, mira essenzialmente a due scopi principali: l’offerta di servizi più efficaci e diretti per i cittadini e l’incremento dell’efficienza dei processi interni delle singole agenzie della PA. Grazie all'applicazione dell'ICT (Information e communication tecnologies, acronimo che definisce tutte le tecnologie riguardanti i sistemi di telecomunicazione digitale) congiuntamente ad una rielaborazione delle procedure interne: eliminando le operazioni superflue o quantomeno non fondamentali, che non apportano un valore aggiunto, si ottengono processi più rapidi e quindi efficienti; ciò comporta la possibilità di fornire risposte più celeri agli utenti finali.
Inoltre, per la realizzazione dell’e-government è auspicabile che vengano introdotti i principi dell’Open government; una filosofia, ormai diventata prassi nel settore e considerata criterio guida in questo settore, in base alla quale gli enti e le istituzioni pubbliche debbono plasmare il loro operato intorno a tre pilastri di massima importanza: la partecipazione, la trasparenza e la collaborazione. Questi principi devono costituire i pilastri fondamentali di un governo aperto al dialogo e al confronto partecipato con i cittadini, in modo da favorire un controllo diffuso da parte del singolo cittadino sull'operato delle istituzioni e sull'utilizzo delle risorse pubbliche, semplificando il processo di accesso e consultazioni di documenti governativi.
Dove siamo ad oggi?
In Italia la normativa più significativa in termini di digitalizzazione ed e-government è figlia della legge 124/2015, la riforma strutturale della Pubblica Amministrazione più recente. Ai sensi dell’art. 1 della l. 124/2015 – rubricato «Carta della cittadinanza digitale» – il Governo è stato delegato ad emanare norme di modifica al CAD (Codice dell'Amministrazione digitale) volte a «garantire ai cittadini ed alle imprese il diritto di accedere a tutti i dati, i documenti ed i servizi di loro interesse in modalità digitale” e «la semplificazione nell’accesso ai servizi alla persona, riducendo la necessità dell’accesso fisico agli uffici pubblici». Rispetto a riforme precedenti, la riforma del 2015 (Riforma Madia) spicca per valore innovativo, specialmente per la volontà di una ridefinizione e semplificazione dei procedimenti amministrativi, mediante una “disciplina basata sulla loro digitalizzazione e per la piena realizzazione del principio innanzitutto digitale” Con una delega del 2016 sono state attuate le prime modifiche CAD; fra quelle di maggiore impatto possiamo trovare le seguenti: - l’istituzione di un’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) che prenderà il posto delle anagrafi dei comuni costituendo un’unica banca dati nazionale - la realizzazione del Sistema Pubblico di gestione dell’Identità Digitale (SPID) che permetterà agli utenti di accedere con un unico profilo e password identificativa ai servizi online della pubblica amministrazione (art. 64 del CAD); - l’introduzione dell’obbligo per tutte le amministrazioni di accettare i pagamenti spettanti a qualsiasi titolo attraverso strumenti di pagamento elettronico; - la promozione della diffusione del domicilio digitale per le persone fisiche al fine di facilitare le comunicazioni con le pubbliche amministrazioni (art. 3 quinquies del CAD); - la diffusione della connettività internet negli uffici e nei luoghi pubblici con free access per gli utenti dei servizi (art. 8 bis del CAD). Tutte le misure introdotte dalla riforma Madia sono accomunate dal desiderio di uno snellimento e della semplificazione che rappresenta un traguardo ancora ben lontano dall’essere raggiunto soprattutto nella realtà della pubblica amministrazione italiana connotata da un forte tasso di burocrazia e complessità che ostacola il conseguimento di risultati significativi in termini di sviluppo sostenibile e competitività del sistema Paese.
Il rischio nascosto
Tuttavia la difficoltà principale della digitalizzazione della Pubblica amministrazione è sicuramente il problema legato al digital divide, ovvero del divario digitale che si registra fra coloro che conoscono ed utilizzano efficacemente gli strumenti informatici e coloro che ne restano tagliati fuori per le ragioni più diverse. Oltre a questo,sono fattori di rilievo che oltre il 50% della popolazione italiana ha più di 35 annied è stata formata in un epoca dove l’accesso alla tecnologia era sicuramente più limitato, e che meno del 60% della popolazione ha conseguito un titolo di studio superiore alla licenza media. Inoltre, i programmi ministeriali delle scuole dell’obbligo prevedono una formazione sulle materie informatiche assolutamente inadeguata rispetto al progresso delle tecnologie digitali.
Per comprendere quanto il digital divide possa impattare le politiche di e-government appaiono eloquenti i dati riguardanti il Digital Economy and Society Index (DESI) reperibili sul sito web della Commissione Europea, aggiornati al 2017: l’Italia occupa la quart’ultima posizione (seguita da Grecia, Bulgaria e Romania) della graduatoria dei paesi europei basata sul tasso di crescita digitale; dall’analisi degli studi effettuati si evince che solo il 56% della popolazione residente in Italia dichiara di utilizzare internet (a fronte di una media europea del 72%) e che il 34% degli italiani dichiara di non avere mai utilizzato internet (a fronte di un dato medio europeo del 21%). Infatti, sebbene il CAD ponga fra gli obblighi delle amministrazioni la promozione di iniziative « volte a favorire la diffusione della cultura digitale fra i cittadini con particolare riguardo ai minori ed alle categorie a rischio di esclusione» (art. 8 del CAD) ad oggi non sono derivate azioni concrete rivolte a questo fine. Il problema del digital divide e il suo rapporto con la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione è particolarmente rilevante perché le Pa sono chiamate a ricercare un ottimale equilibrio tra la digitalizzazione possibile e la tutela degli interessi di tutti, anche di chi a causa del gap sopra indicato non è in grado di interagire telematicamente con le autorità pubbliche. È necessario dunque che la promozione delle politiche di e-government (dichiaratamente ispirate alla massima partecipazione del cittadino alla vita pubblica) non finiscano per paradossalmente per escludere sezioni più o meno ampi della popolazione a causa del digital divide. È inoltre importante tenere a mente che le frange di popolazione maggiormente esposte a questa marginalizzazione sono le categorie fragili della popolazione per eccellenza: anziani, indigenti, immigrati e chi non possiede un livello di alfabetizzazione abbasta elevato.
In un paese dove quasi un quarto della popolazione ha dichiarato di aver mai fatto utilizzo di internet per funzioni di attività, diventa inevitabile guardare con una certa perplessità alle riforme di e-government “tanto al chilo” che non tengono in adeguato conto delle peculiarità del contesto territoriale, culturale e socio-economico nel quale vanno ad incidere.
di Di Giulio Rizzuti •