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Bianca Pintodi Una realtà composita
from N. 32 MAGGIO 2020
by Scomodo
La realtà composita del digital divide
Questione di banda
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Il processo italiano di digitalizzazione, non solo per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione ma anche per la diffusione nella popolazione, è stato poco unitario fin dagli esordi. Questa mancanza di omogeneità non è sicuramente un fenomeno unicamente italiano, ma assume delle caratteristiche peculiari di paese in paese, andandosi a scontrare con particolari dinamiche sociali e territoriali. Oggi in Italia l’accesso alla Rete è garantito pressoché ovunque. La maggior parte del territorio italiano è coperto dalla banda larga, ad eccezione di pochissime aree remote che sono totalmente escluse da Internet. Tuttavia, la banda larga non basta per svolgere molte attività online di uso corrente, divenute fondamentali durante il lockdown; per esempio, le video chiamate, la didattica a distanza, lo streaming video. Il termine banda larga ha quindi assunto un valore relativo, per cui la tradizionale banda larga è adesso considerata ‘stretta’. Per poter utilizzare Internet in maniera agevole oggi c’è bisogno della ben più potente banda ultra larga, presente in maniera disomogenea sul territorio. Sotto questo aspetto, l’Italia è molto indietro rispetto agli altri paesi europei: secondo il DESI, l’indice della Commissione Europea che valuta il grado di digitalizzazione su diversi parametri, nel 2019 l’Italia si è classificata ventiquattresima su ventotto. Per rendere più chiara la distribuzione della Rete e lo stato degli investimenti privati, l’Unione Europea ha deciso di dividere il territorio in aree bianche, grigie e nere. Nelle aree nere è presente, o lo sarà nei prossimi anni, più di una rete a banda ultra larga, nelle aree grigie una sola rete a banda ultra larga, mentre le aree bianche sono a fallimento di mercato. Sono principalmente queste zone, dunque, a far scendere l’Italia nella classifica del DESI, e ad essere svantaggiate nell’accesso ai servizi rispetto alle aree nere, in un mondo nel quale il digitale acquista sempre più importanza. Per colmare questo gap è necessario l’intervento statale, e a tal proposito nel 2015 è stato elaborato il piano BUL, per garantire la connessione in tutte le aree bianche, in atto seppur con qualche ritardo, grazie a fondi europei, nazionali e regionali. Tuttavia, fornire una buona connessione non significa automaticamente che la popolazione sia connessa. Il problema del digital divide è infatti ben più complesso, di carattere non solo infrastrutturale ma anche e soprattutto culturale.
Le diseguaglianze nella domanda e nell’offerta
È evidente che la divisione in aree sopra citata non sia così netta, ma si tratti invece di una realtà composita. Il grado di digitalizzazione a livello territoriale può quindi variare tantissimo, da regione a regione, ma anche da Comune a Comune. I fattori che acuiscono o mitigano il digital divide a livello geografico-territoriale sono quindi molteplici. Tra questi, il tradizionale divario Nord-Sud, che, seppur meno evidente rispetto ad altri settori produttivi, è riscontrabile anche nell’ambito della digitalizzazione. Secondo i dati ISTAT, se al Nord il 70,6% della popolazione possiede un abbonamento fisso a banda larga, al Sud si scende al 62,5%. Un’altra forte disparità mai colmata è quella tra grandi città e le aree interne. Va da sé che nelle aree urbane l’utilizzo di Internet aumenta, non solo per la Pubblica Amministrazione ma anche tra gli individui e le famiglie. Nelle aree metropolitane il 78,1% delle famiglie ha una connessione a banda larga, valore che scende a 68,0% nei Comuni con popolazione inferiore ai 2.000 abitanti. Inoltre, le regioni più digitalizzate sono Lombardia e Lazio, in quanto hanno le aree urbane di maggiore densità di tutta Italia.
Su questo tema abbiamo intervistato Riccardo Luna, giornalista che da anni tratta il tema del digitale e si batte per un accesso universale e un maggior sviluppo della Rete, nominato Digital Champion nel 2014. Commentando i dati afferma che: ‘’Questi dati, facili da intuire, confermano che a uno sviluppo economico e sociale forte corrisponde anche a un forte sviluppo digitale e viceversa. Non avere il digitale è un fattore di povertà, ma la povertà spinge le persone a non avere il digitale. È difficile distinguere quale sia la causa e quale l’effetto in questa correlazione, però sicuramente chi ha di meno è anche escluso dalla rivoluzione digitale, e questo lo penalizza ulteriormente. Il compito dell’istituzione pubblica è essere inclusiva, quindi consentire a queste fasce della popolazione che sono rimaste indietro di avere gli strumenti per mettersi in gioco, per trovare lavoro, cultura e occasione di svago attraverso la Rete come tutti gli altri. Nelle province meno digitalizzate il digital divide è forte soprattutto dal punto di vista culturale’’. La digitalizzazione svolge dunque un ruolo molto importante in queste dinamiche territoriali. Tuttavia, se a livello teorico il digitale potrebbe essere visto come un buon mezzo per contribuire a scardinare le disparità economico-sociali, la rivoluzione digitale si è mostrata molto poco democratica. Le stesse dinamiche sono state replicate nel processo di digitalizzazione. Complice anche la forte presenza dei privati nel settore digitale, le aree interne sono state volutamente trascurate, venendo reputate meno interessanti dal punto di vista del profitto economico. Queste zone sono state dunque lasciate indietro di proposito, a causa della loro marginalità, che però in questo modo è andata solo ad acuirsi. Nel momento in cui anche la connessione a Internet determina la possibilità di accedere ai servizi, una digitalizzazione più deludente rispetto a quella delle aree urbane non è più soltanto il risultato della posizione di marginalità di queste zone ma ne è anche una delle cause scatenanti. Le aree interne comprendono circa il 53% della superficie italiana e il 23% della popolazione. Si tratta dunque di una fascia della popolazione non indifferente, che non può essere ignorata dallo sviluppo digitale. Tuttavia, uno scarso sviluppo della Rete in determinate aree del nostro paese non è imputabile soltanto alla classe politica o alle aziende telefoniche, ma anche a uno scarso interesse verso questo mondo da parte della popolazione, che ha reso queste aree ancora meno appetibili al mercato digitale. Secondo Riccardo Luna ‘’ Quando parliamo di accesso a Internet non parliamo soltanto di digital divide infrastrutturale, ma anche di un digital divide culturale. Ci sono persone che in questi anni avrebbero potuto cambiare abbonamento a Internet per prendere la banda ultra larga, e non l’hanno fatto, e non per motivi prettamente economici, quindi c’è un problema di domanda. La disponibilità di banda ultra larga è maggiore degli abbonamenti effettivi, che si somma a un problema di offerta, quello delle aree bianche, non coperte da banda ultra larga perché per le aziende telefoniche c’è meno business, dove serve un incentivo statale per mettere la fibra. Nelle zone in cui la banda ultra larga è arrivata non c’è stata una domanda sufficiente perché le persone non hanno ritenuto che Internet fosse qualcosa in cui investire. Molte famiglie in questi anni, dovendo scegliere tra una TV più grande e un abbonamento a banda ultra larga, hanno scelto la TV. Ovviamente generalizzando, perché molte famiglie non avevano neanche la facoltà economica per permettersi questo tipo di scelte. Con il lockdown probabilmente le cose sono cambiate, perché tutti ci siamo dovuti adeguare all’uso di Internet per varie esigenze, e tutti abbiamo capito quanto è importante Internet. Per questo motivo con la pandemia non cambierà soltanto l’offerta ma anche la domanda’’. I dati DESI confermano questa tendenza: a fronte di una copertura di banda larga pari a più del 99,5% del territorio, soltanto il 60% delle famiglie ha adottato questo tipo di Rete, valori ancora più significativi per la banda ultra larga: 24% delle famiglie aventi un abbonamento di questo tipo a fronte di una copertura pari al 90% del territorio. È quindi fondamentale un cambio di mentalità non solo da parte della classe politica, ma anche e soprattutto dalla popolazione. Il lockdown potrebbe essere il moto propulsore per il cambio di rotta che avrebbe già dovuto verificarsi qualche tempo fa. Su questo aspetto Luna afferma che ‘’ Il digital divide non è soltanto un tema politico. Se si ha l’opportunità di fare un abbonamento a Internet e non la si accetta è perché non se ne sono compresi i vantaggi. Oggi credo che in tanti abbiano capito quanto Internet sia una tecnologia fondamentale. Basta pensare a cosa è successo in pandemia col commercio elettronico, quando era tutto chiuso. I negozietti di quartiere hanno capito che l’unico modo per sopravvivere era l’e-commerce e il delivery a casa. Prima eravamo tra i paesi più indietro sotto questo aspetto, adesso i piccoli commercianti sanno che senza e-commerce sarebbero morti.
Lo stesso per la scuola, che per tanti anni si è riempita la bocca della parola digitale senza mai fare nulla di concreto, o lo smart working. Negli anni non c’è stata una sola manifestazione, un solo corteo studentesco, in cui la gente ha detto ‘’vogliamo Internet’’ ‘’vogliamo la scuola digitale. Oggi invece questo gap, che è culturale prima ancora che tecnologico e politico, probabilmente si è colmato. Essendoci quindi una domanda, mi auguro che ci sarà anche un’offerta, e che la politica sia in grado di accompagnare il processo per cui si farà un’unica società della rete e la fibra venga portata ovunque. Tenete conto però che su questo tema l’Italia parte indietro, per cui non possiamo sperare di diventare delle eccellenze. Se fino ad ora siamo stati tra gli ultimi nelle classifiche europee, non è che possiamo aspettarci che in futuro andrà tutto bene’’. Non c’era domanda, non era visto come qualcosa di sufficientemente importante’’.
Le competenze digitali
Le infrastrutture non sono l’unico ambito del processo di digitalizzazione a essere penalizzato da uno scarso interesse da parte degli italiani. Un altro grande parametro del digital divide è infatti quello delle competenze digitali, anch’esso fonte di disuguaglianze territoriali. Il capitale umano in materia digitale non è un punto forte dell’Italia in senso lato, se si considera che in Europa siamo ventiseiesimi in questo campo. La media europea di persone tra i 16 e i 74 anni con competenze digitali di base equivale a 57%, mentre in Italia sono solo il 44%. La mancanza di competenze digitali risulta attualmente il maggior fattore discriminante nell’accesso a Internet (56,4% tra le famiglie che non hanno una rete a casa), seguita da un 25,5% di famiglie che non considerano Internet utile e/o interessante. Sebbene le competenze digitali siano insufficienti in tutta la penisola, ciò non vuol dire che non ci sia anche qui una differenza sia tra Nord e Sud sia tra aree urbane e aree interne. A detta di Luna ‘’come si può facilmente intuire la provincia con le maggiori competenze digitali tra la popolazione è Milano, mentre le ultime sono fondamentalmente province del Sud. Nella classifica che avevamo stilato, che ora sarà un po' da rivedere, la più alta regione con competenze digitali è l'Emilia Romagna. In difficoltà erano la Calabria e la Sicilia. Proprio perché sono prevedibili serve un intervento importante. È più grande il digital divide culturale in quelle regioni. Per esempio in Calabria e Sicilia, due delle regioni meno digitalizzate d’Italia, si è riscontrato che non solo il numero degli abbonati a Internet è più basso, ma anche che c’è meno domanda’’.
Da questo quadro risulta chiara la necessità di agire su più fronti per ridurre il digital divide territoriale: sarebbe sbagliato puntare il dito sulla parte della domanda o su quella dell’offerta, non cogliendo la complessità di questo divario, di matrice fondamentalmente culturale. Se, infatti, da una parte non si è dato a tutti gli italiani i mezzi e le capacità di partecipare alla Rivoluzione digitale, dall’altra anche la popolazione non ha saputo comprendere la potenzialità dei mezzi, seppur non sufficienti, che le sono stati forniti. Adesso che grazie alla pandemia la domanda da parte dei cittadini è verosimilmente aumentata, c’è bisogno di una risposta adatta da parte dell’offerta. Tuttavia, la sfida più grande rimane la ricezione di Internet da parte della popolazione. Come ci fa presente Riccardo Luna, prima della pandemia si erano fatti dei passi in questa direzione: ‘’prima del lockdown stavamo portando avanti un progetto del genere con TIM e altre aziende, andando nei piccoli Comuni ad aprire scuole di Internet. Il progetto riprenderà, ma con modalità differenti per motivi di sicurezza. Bisogna compiere un’operazione per far diventare cittadini digitali anche quelli che per il momento sono esclusi non per loro colpa, ma perché il mondo si è messo a correre e nessuno ha spiegato loro come stare al passo". Per il futuro la priorità non dev’essere esclusivamente fornire l’infrastruttura, ma anche e soprattutto creare le condizioni per far sì che essa possa essere sfruttata al meglio, su tutto il territorio nazionale. È un processo che si sarebbe dovuto verificare già da qualche anno, senza il bisogno di una pandemia.
di Bianca Pinto •