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Internauti naufraghi di Marina Roio

Gli internauti naufraghi

Una questione centrale in merito al “digital divide” riguarda l’interiorizzazione a livello sociale delle competenze digitali. Come viene esplicitato dagli ultimi dati Istat sul livello della digitalizzazione citati negli articoli precedenti, emerge un effettivo aumento degli internauti. Tuttavia la problematica è che, tra chi usa internet, quasi la metà ha competenze digitali basse. Analizzando il tipo di connessione a disposizione in relazione ai vari nuclei familiari, diventa evidente uno dei principali aspetti di questo divario. Infatti, se nelle famiglie con almeno un minorenne la quasi totalità è dotata di un collegamento a banda larga (95,1%), tra le famiglie in cui i membri sono esclusivamente persone ultrasessantacinquenni la quota decresce drasticamente (34%). Anche solo con questi semplici numeri diventa lampante che una delle problematiche più rilevanti in Italia è adducibile ad una questione generazionale, fattore non secondario considerando che gli anziani over sessantacinque sono quasi 14 milioni e di questi la metà sono over settantacinque.

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Discriminanti

Ulteriore causa di questo divario è il titolo di studio. Analizzando le persone che dispongono di una connessione a banda larga, questo fattore diventa palpabile, in quanto quasi la totalità delle famiglie con almeno un componente laureato ne dispone (94,1%), mentre, in quelle in cui il titolo più elevato raggiunto è la licenza media, questa percentuale è dimezzata (46,1%). Altre ragioni che alimentano questo divario sono di ordine economico, legate all’alto costo dei collegamenti o degli strumenti necessari, soprattutto per quanto riguarda la banda larga veloce. Dall’analisi combinata per generazione e titolo di studio, si può riscontrare che i laureati della generazione del “baby boom”, ossia le persone che nel 2019 hanno 54-73 anni, sono in gran parte internauti. Se questa generazione di laureati riesce ad avvicinarsi sempre più ai livelli di utilizzo dei giovani di 25-34 anni, i “baby boomers” con titoli di studio inferiori continuano ad essere notevolmente di meno. Spesso le persone che non hanno conseguito un titolo di studio elevato, non sentono il bisogno di una connessione adeguata a causa di una incapacità di utilizzare un mezzo come internet. Questo fatto può diventare un circolo vizioso che si riversa anche sul versante occupazionale. Negli anni, tra gli occupati, si è gradualmente attenuato il divario tra dirigenti, imprenditori, liberi professionisti e operai per quanto riguarda le competenze digitali. Tali competenze sono ormai un aspetto fondamentale del proprio “curriculum”, infatti le “digital hard skills” o le “digital soft skills” stanno diventando tra le competenze più richieste nel mercato del lavoro. È quindi visibile come anche il lavoro si stia sempre più evolvendo verso il digitale, sollevando questioni di disuguaglianza rilevanti. Ad esempio, un fenomeno ormai acclamato è il divario digitale di genere, ossia l’esistenza di differenti “digital opportunities” tra uomini e donne, in particolare riguardo le diverse possibilità di accesso al mondo digitale. Anche in questo caso le motivazioni vanno ricercate nel titolo di studio raggiunto. Dai dati del MIUR emerge che difficilmente le donne frequentano scuole secondarie di secondo grado, rimanendo su un livello di competenze digitali abbastanza basso. Questo problema si rileva anche nell’infimo numero di ragazze che intraprende dei percorsi di studio informatici, dalle superiori all’università. Solo l’1,79% delle immatricolazioni a Facoltà come Ingegneria Informatica sono femminili, mentre per gli istituti tecnici la percentuale è del 16,3%. Le laureate nei corsi STEM sono il 31% per la triennale e 27 % per la magistrale in ingegneria, raggiungendo cifre simili anche nelle lauree per le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Solo una minima parte delle donne si laurea in settori legati alla tecnologia, secondo il rapporto “Women Digital Age” della Commissione europea, il divario digitale di genere è su tutti i livelli, nell’educazione, nella carriera e nell’imprenditoria.

Piani per il futuro

Per tutte quelle persone che sono rimaste fuori dalla digitalizzazione, in particolare per una questione anagrafica, il cambiamento è stato brusco.

Nel giro di pochi anni tante pratiche e processi prima tramite persona sono virati verso la versione online, rendendo sempre più disagevole il “diritto a non connettersi”. Anche dopo la fine del “lockdown”, per circa un milione di dipendenti pubblici, lo “smart working” continuerà ad essere il sistema di riferimento. Ciò avverrà non tanto per la necessità del distanziamento quanto proprio per lo spostamento di molte pratiche online, ad esempio durante la quarantena la PA ha potuto continuare a operare parzialmente anche grazie al digitale. Come afferma il giornalista esperto in materia Riccardo Luna, serve che la digitalizzazione faccia un passo avanti. Infatti deve poter essere garantito un servizio online, affinché possa essere efficace e accessibile a tutti, non rispettando ossequiosamente le procedure burocratiche, ma grazie all'indipendenza e all’autonomia dei dipendenti.Un passo avanti per la digitalizzazione dei servizi riguarda l’app “Io”, che dovrebbe mettere a disposizione diverse tipologie di servizi pubblici, permettendo ad esempio di pagare multe e tasse o ottenere certificati. Anche se attualmente esiste solo l’infrastruttura a cui agganciare i servizi, lo sviluppo ulteriore dell’app permetterebbe alle persone digitalmente abili di interfacciarsi con la PA tramite cellulare, risparmiando tempo e file. Fin quando però gran parte della popolazione non avrà delle adeguate competenze digitali, non si potranno sostituire i servizi tramite persona. Per cercare di arginare il problema dell’inclusione digitale, una proposta possibile può essere un investimento in corsi gratuiti in cui si insegni l’utilizzo di internet: prima della quarantena, alcune agenzie stavano intraprendendo un progetto del genere, aprendo delle scuole di internet in alcuni piccoli Comuni, che ora potranno continuare le loro attività con le dovute misure di sicurezza. Per far diventare cittadini digitali, anche coloro che non per propria colpevolezza si sono ritrovati al di fuori di un nuovo mondo, un mezzo valido potrebbe essere la televisione. Ad esempio la Rai, in quanto emissione e servizio pubblico, potrebbe e dovrebbe provare a raggiungere questo obiettivo. In particolare la televisione è un oggetto che riesce ad essere un minimo comune multiplo, anche con quelle fasce più problematiche, essendo il “medium” più efficace riguardo a comunicazione ed informazione, come quando negli anni 60 la Rai mandava in onda un programma che ha insegnato per anni a molti italiani a leggere e a scrivere. In questo modo la Rai potrebbe implementare una serie di mancanze, mettendo a disposizione un servizio pubblico, soprattutto in un momento come questo in cui la scuola è chiusa e non è possibile organizzare corsi.

Auto alimentazione delle diseguaglianze

Essendo l’aspetto culturale e l’aspetto socio-economico i principali fattori scatenanti del “digital divide”, tra le fasce di popolazione colpite da questo fenomeno ci sono inevitabilmente le minoranze etniche e gli immigrati. Le difficoltà riscontrate in queste persone sono causate spesso dal fattore linguistico o dal basso grado di scolarizzazione. Per loro potrebbe non essere così semplice colmare questo visibile “gap”. Nei campi nomadi, già colpiti da problemi di tipo sanitario e di mancanza di servizi come l’acqua corrente, i bambini e ragazzi che frequentano la scuola (spesso non oltre quella primaria e secondaria di primo grado), non avendo strumenti tecnici necessari e una connessione adeguata, hanno avuto grande difficoltà a seguire l’attività didattica in un momento di emergenza. Il fatto che nei campi non ci siano le risorse necessarie per stare al passo con la digitalizzazione, non farà che lasciarli ancora di più ai margini della società, così come accade per qualunque altra fascia sociale in queste condizioni. Il futuro del divario digitale è abbastanza incerto, attualmente l’unica certezza è che bisogna percorrere ancora molta strada per abbattere almeno le disuguaglianze 2.0.

di Marina Roio •

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