RIABITARE I PAESI

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Comitato scientifico

Edoardo Dotto (ICAR 17, Siracusa)

Nicola Flora (ICAR 16, Napoli)

Antonella Greco (ICAR 18, Roma)

Bruno Messina (ICAR 14, Siracusa)

Stefano Munarin (ICAR 21, Venezia)

Giorgio Peghin (ICAR 14, Cagliari)

I volumi pubblicati in questa collana vengono sottoposti a procedura di peer-review

ISBN 978-88-6242-827-9

Prima edizione Aprile 2023

© LetteraVentidue Edizioni

È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

Progetto grafico: Stefano Perrotta

LetteraVentidue Edizioni Srl

Via Luigi Spagna 50 P

96100 Siracusa, Italia

www.letteraventidue.com

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RIABITARE I PAESI

Strategie operative per la valorizzazione e la resilienza delle aree interne

a cura di Adriana Galderisi

PREFAZIONE

Luigi Maffei

INTRODUZIONE

Adriana Galderisi

I — PRINCIPI GUIDA

La lente dei cicli adattivi per il rilancio delle aree interne

Adriana Galderisi

Il potenziale delle aree interne

Pierfrancesco Fiore

Re-scaling istituzionale e progetto di territorio

Piergiuseppe Pontrandolfi

BOX

Definire le aree interne: uno sguardo europeo

Valentina Vittiglio

II — STRATEGIE E PROGETTI

Visioni, strategie e progetti per il Matese casertano

Giovanni Bello, Fabio Ciervo, Constanza De Gaetano, Settimio Ferlisi, Adriana Galderisi, Giuseppe Guida, Antonietta Izzo, Giada Limongi, Roberto Musumeci, Anna Napolitano, Gianfranco Nicodemo, Luigi Petti, Francesco Plaitano, Giacomo Viccione, Valentina

Vittiglio, Angela Volpe

Una Strategia Integrata per l’Ufita

Pierfrancesco Fiore, Emanuela D’Andria

Strategie e Progetti per il Medio Agri

Francesca Alemanno, Antonello Azzato, Domenico Copertino, Priscilla Dastoli, Elena Mamone, Piergiuseppe Pontrandolfi

BOX Best Practices in Italia Giada Limongi SOMMARIO 006 008 015 023 031 038 045 093 121 158

Principi guida per l’innesco di processi di sviluppo orientati alla sostenibilità nei territori interni

Adriana Galderisi

MHC_Matese Heritage Community

Francesca Castanò

Proprietà collettive per lo sviluppo sostenibile delle aree interne

Fabiana Forte

Paesaggi produttivi e identità del territorio

Maria Antonietta Sbordone

Indirizzi per la rigenerazione del patrimonio costruito e il miglioramento della qualità abitativa

Pierfrancesco Fiore, Emanuela D’Andria

Aree interne e città pubblica: il nodo degli standard urbanistici

Claudia de Biase

Co-progettare con le comunità locali: il ruolo dei Living Labs

Giuseppe Guida

La ricerca antropologica nei processi di attivazione delle comunità locali

Vita Santoro, Marina Berardi

Migranti nelle aree interne.

Esperienze e prospettive di “accoglienza generativa”

Francesca Alemanno, Elena Mamone

Per una efficace ed efficiente governace pluricomunale

Piergiuseppe Pontrandolfi

Conoscere e ridurre il rischio sismico nei territori interni

Luigi Petti, Francesco Plaitano, Constanza Maria De Gaetano, Filomena Nuccio

Conoscere e ridurre il rischio idraulico nelle aree interne

Giacomo Viccione, Fabio Ciervo

Analisi e mitigazione del rischio da frana nelle aree interne

Settimio Ferlisi, Gianfranco Nicodemo, Angela Volpe

Giuseppe Guida

III PROSPETTIVE MULTIDISCIPLINARI
BOX
La ricerca accademica per le aree interne
RIFLESSIONI CONCLUSIVE Adriana Galderisi, Pierfrancesco Fiore, Piergiuseppe Pontrandolfi BIOGRAFIE 165 171 181 187 193 199 205 211 217 223 229 241 251 256 260 266

Ci sono questioni nazionali che riescono a tenere la ribalta. Illuminate dalle luci dei mass media, sono utilizzate dalle forze politiche spesso solo per consolidare il loro consenso ma hanno l’effetto immediato di dividere le masse in grandi schieramenti e a contrapporli. Su queste questioni si sprecano giochi legislativi con proposte di legge dalle forme più fantasiose. Queste leggi sono di facile e immediata applicazione con poche apparenti responsabilità e questo è l’altro aspetto che attira le forze politiche. La negatività sta nell’impossibilità di valutare gli effetti devastanti nel medio e nel lungo termine delle scelte effettuate.

Ci sono, poi, questioni nazionali che seppur basate su dati tangibili che ne dimostrano l’urgenza, riescono ad emergere dalla cenere dell’indifferenza solo ciclicamente. La mancanza di conoscenze approfondite delle condizioni al contorno ma soprattutto di una visione globale, rende queste questioni nazionali poco attraenti per il legislatore di turno che si limita ad interventi occasionali e slegati, con la convinzione che la questione non abbia soluzione. Eppure, le strategie da attuare, complesse ma necessarie per non raggiungere punti di non ritorno, potrebbero riscuotere ampio consenso nella comunità nazionale, innescare virtuosismi su scala nazionale e consolidare l’unità sociale e economica della nazione.

Nel primo gruppo di questioni riporto l’“Autonomia Differenziata delle Regioni a Statuto Ordinario”, nel secondo invece le “Aree Interne e Centri Minori” e di questa ultima questione nazionale il presente volume si occupa con una visione assolutamente innovativa.

Oltre la metà del territorio nazionale è coperta giuridicamente da 5.497 piccoli comuni con meno di 5.000 abitanti. Oltre la metà di loro soffrono da lustri di un forte disagio economico e demografico. In questi territori, la popolazione è in continua diminuzione, con tassi di gran lunga superiori alla media nazionale, ma soprattutto è in continua diminuzione la popolazione attiva, con emigrazione di giovani con formazione scolastica verso altri luoghi e nessuna immigrazione

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PREFAZIONE

compensativa, rendendo così questi luoghi socialmente ed economicamente fragili e marginali. Per il fenomeno del continuo spopolamento, una casa su tre è disabitata, con effetti sul mercato immobiliare privo di valore reale ma soprattutto privo di manutenzione programmata e pertanto ancor più vulnerabile. Lo stesso accade per le infrastrutture, impossibili da gestire economicamente, e per i territori agricoli, il cui abbandono lascia il passo all’inselvatichimento.

Ma è tutta la dorsale meno pianeggiante del nostro territorio nazionale da Sud a Nord a risentire di questo fenomeno. Perché è oggi importante agire sui territori interni?

Innanzitutto, perché in questi territori, caratterizzati da una marginalità fisica, demografica ed economica, si concentra gran parte del patrimonio culturale, materiale e immateriale, e del residuo capitale naturale del nostro Paese: essi costituiscono, di fatto, una importante riserva non solo di biodiversità ma anche di diversità di culture e tradizioni locali fondamentali per un più equilibrato sviluppo del Paese. I territori interni offrono inoltre, pur nella loro marginalità, servizi vitali alla sopravvivenza di territori ben più vasti, e in particolare delle grandi aree urbane quali, ad esempio, l’approvvigionamento idrico e la produzione alimentare.

Sulla base di tali considerazioni, è dunque indispensabile ricondurre il tema delle aree interne in una prospettiva che riconosca il ruolo cruciale che esse possono svolgere nel processo di transizione verso modelli di sviluppo sostenibili ma soprattutto di miglioramento della qualità della vita e di riequilibrio sociale e territoriale.

Di cosa abbiamo bisogno?

Per liberare la questione nazionale dalla cenere che lo avvolge, abbiamo bisogno di affrontare in modo unitario le interdipendenze che connettono aree interne e sistemi urbani all’interno di più ampi ambiti regionali. Abbiamo bisogno di maggiore conoscenza dei luoghi, dalle loro fragilità alle loro potenzialità. Abbiamo bisogno di uscire dai nostri mondi protetti e calarci nelle realtà locali per comprenderne le necessità e insieme a coloro che abitano questi territori elaborare idee e progetti, convincere gli scettici e i pessimisti. Abbiamo bisogno soprattutto di comprendere che rinunciare ad un pezzo di noi stessi è di fatto rinunciare al nostro passato e al nostro futuro.

I ricercatori delle tre Università e le comunità locali delle tre aree pilota del progetto RI.P.R.O.VA.RE., con il loro lavoro sinergico, hanno risposto appieno a queste domande, hanno assolto un compito importante lasciando un bagaglio che sarà certamente utile a chi dovrà guidare una strategia nazionale di riequilibrio, rilancio e consapevole crescita.

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PREFAZIONE

LA LENTE DEI CICLI ADATTIVI PER IL RILANCIO DELLE AREE INTERNE

Il territorio italiano è da tempo caratterizzato da una complessa “geografia di divari territoriali”: alla frattura Nord-Sud si accompagnano, infatti, divari crescenti «tra centri e periferie, tra città e campagne deindustrializzate, tra aree urbane e aree interne» (Ministro per il Sud e la Coesione Territoriale, 2020). L’accrescersi di tali divari ha di fatto dato vita ad un’“Italia minore” (Ambrosino, 2018), costituita da un articolato e disomogeneo sistema di aree, che per lungo tempo sono state relegate ai margini delle politiche di sviluppo territoriale.

Di questa Italia minore, le aree interne rappresentano un peculiare sottoinsieme: si tratta infatti di aree, come quelle alpine o appenniniche, caratterizzate da differenti, seppur in parte interconnesse, forme di marginalità , da quella geografica a quelle economica e sociale. La localizzazione geografica, molto spesso collinare e montana, e la ridotta accessibilità di tali territori dai grandi assi della mobilità interregionale e nazionale, hanno infatti contribuito ad acuirne la marginalità economica che, a partire dalla fine dell’Ottocento e ancor più dopo la Seconda guerra mondiale, ha interessato l’insieme delle aree rurali italiane in conseguenza del radicale cambio del tradizionale modello di sviluppo prevalentemente basato sull’agricoltura. L’affermarsi di un modello di sviluppo prevalentemente basato, di contro, su servizi e industria ha determinato un progressivo scivolamento a valle del Paese (Pazzagli, 2017) e una crescente «disgregazione del paesaggio agrario» (Sereni, 1961). Il boom economico e demografico nell’Italia del secondo dopoguerra e i fenomeni di urbanizzazione e industrializzazione che l’hanno caratterizzato hanno «agito in maniera convergente nella marginalizzazione (…) delle aree interne» (Pazzagli, 2017).

Lo sviluppo diseguale che ha caratterizzato il Paese nel corso del Novecento ha dunque sempre più acuito la contrapposizione tra aree costiere e aree interne, tra centri urbani e territori rurali, determinando un crescente spopolamento delle aree interne, accompagnato da un invecchiamento della popolazione residente, da un progressivo abbandono sia del patrimonio costruito che del capitale di risorse naturali che contraddistinguono tali aree e da una conseguente crescita della vulnerabilità di tale patrimonio ai diversi e sempre più frequenti eventi calamitosi che interessano tali aree (Galderisi e Limongi, 2019).

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richiamare due termini che sono stati alla base dell’approccio al tema delle aree interne proposto nell’ambito del Progetto RI.P.R.O.VA.RE.: resilienza e potenziale.

Il concetto di resilienza in particolare ha costituito un importante riferimento anche per la SNAI che lo ha posto come una delle quattro parole chiave fondamentali per l’innesco di processi di sviluppo locale: “manutenzione” del territorio e delle sue risorse naturali; “prevenzione” dei danni indotti da fattori di pericolosità naturale; “resilienza”, funzione della ricchezza di risorse naturali, culturali ma anche di manufatti e potenzialità d’uso di cui questi territori dispongono; “adattamento”, con particolare ma non esclusivo riferimento ai mutevoli e difficilmente prevedibili scenari di cambiamento climatico. Nell’accezione del termine proposta dalla SNAI, dunque, la resilienza

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Letino, 2021

è esplicitamente definita come funzione del capitale territoriale di cui dispongono le aree interne: si sottolinea, infatti, come «le aree interne – ricche di risorse ambientali, di saperi, di manufatti, di potenzialità di uso – siano serbatoi di resilienza che potranno essere utilizzati in futuro nell’evoluzione dei rapporti con le aree meno resilienti» (Dipartimento Politiche di Coesione, 2014).

Tuttavia, con riferimento agli studi di Gunderson e Holling (2002) sulla natura adattiva e sulla resilienza dei sistemi socio-ecologici, di cui i sistemi territoriali sono chiaramente espressione, è possibile distinguere con chiarezza il potenziale di un sistema dalla sua resilienza. Gli Autori evidenziano infatti che i sistemi socio-ecologici sono caratterizzati da cicli adattivi, strutturati in diverse fasi − crescita (α), caratterizzata da rapidi processi di espansione; accumulo (r), quando il sistema tende a stabilizzarsi attraverso processi di lento accumulo di energia e materiali; declino (Ω), generalmente connesso al mutare delle condizioni del contesto; riorganizzazione (K) corrispondente all’innesco di un nuovo ciclo evolutivo, portando a nuove configurazioni del sistema − che si sviluppano all’interno di un campo di esistenza a tre dimensioni: la capacità di autoregolazione, propria dei sistemi complessi; il potenziale, inteso come capitale naturale e sociale a disposizione per supportare le future opzioni di sviluppo; la resilienza, intesa come capacità di un sistema di reagire a disturbi che superano la capacità di autoregolazione del sistema. È dunque evidente che potenziale e resilienza costituiscono due dimensioni determinanti nella transizione di un sistema socio-ecologico dall’una all’altra fase: in particolare, esse assumono valori bassi nelle fasi declino del sistema e si accrescono nelle fasi di riorganizzazione. Ancora, Gunderson e Holling (2001) introducono il termine “Panarchia” per indicare la complessa struttura gerarchica in cui diversi cicli adattivi si sviluppano e interagiscono nel tempo e nello spazio, influenzandosi vicendevolmente.

In riferimento a tali studi, le aree interne vengono dunque interpretate come sistemi socio-ecologici in fase di declino la cui transizione verso una fase di riorganizzazione può essere favorita da strategie volte a valorizzarne il potenziale e ad accrescerne la resilienza. Ancora, utilizzando, e certamente semplificando, la visione “panarchica”, l’attuale fase di declino dei territori interni potrebbe essere intesa quale esito di complesse relazioni transcalari tra diversi cicli adattivi che si sviluppano su scale spaziali differenti. Più specificamente, la fase di declino che tali territori attraversano potrebbe essere esito della prolungata concentrazione di risorse e investimenti sui territori urbani, che ne ha determinato la polarizzazione demografica e la concentrazione di attività e risorse, e della perdurante assenza di politiche integrate, in grado di rafforzare le relazioni e favorire meccanismi cooperativi tra aree urbane e aree interne.

In conclusione, la lente della panarchia e dei cicli adattivi, qui sommariamente descritta, è stata utilizzata in questo lavoro per “riconcettualizzare” il tema delle aree interne, delineando un approccio innovativo che fonda su tre elementi di fondamentale importanza: la transcalarità, fondamentale per orientare sia la conoscenza che la

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DELLE AREE INTERNE
LA LENTE DEI CICLI ADATTIVI PER IL RILANCIO

DEFINIRE LE AREE INTERNE: UNO SGUARDO EUROPEO

Il territorio nazionale italiano appare caratterizzato per il 60% della sua superficie da un vasto sistema di ambiti territoriali noti come “aree interne” che racchiudono il 52% dei comuni della penisola e solo una porzione marginale della sua popolazione, pari circa al 22%.

In Italia, la tematica delle aree interne e relativa perimetrazione è stata affrontata nel 2012, in occasione della fase di avvio della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI) che, con tale termine, individuava «quelle aree significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), ricche di importanti risorse naturali e ambientali e di un patrimonio culturale di pregio. […] fortemente diversificate per natura e a seguito di secolari processi di antropizzazione» (DPS, 2014:5).

Da un punto di vista semantico, la locuzione aree interne ha subito nel tempo un processo evolutivo tale da assumere denominazioni eterogenee per identificare luoghi dissimili tra loro, soprattutto per conformazione geomorfologica. Nel panorama europeo infatti tale dimensione territoriale ha assunto differenti designazioni: marginal area (Pileček&Jančák, 2011); peripheral area (Pezzi&Urso, 2016); rural areas (Ciommi et al., 2020); low dynamic area (EU, 2013); inner peripheries – IP (EU, 2017); internal areas – IA (Prezioso, 2017); inland area (Scrofani, 2015). Tra le possibili denominazioni, quelle di IA e di IP richiamano maggiormente il concetto italiano di aree interne. Nello specifico, per IA, si intendono aree «relativamente lontane dai centri di prestazione dei servizi (istruzione, sanità, trasporti), ma ancora ricche di beni ambientali e culturali, pur essendo molto eterogenee e diversificate dopo secolari processi di antropizzazione» (Ietri&Pagetti, 2019: 38). Sono dunque contesti che manifestano criticità in termini di sviluppo e benessere in quanto contraddistinte da scarsa accessibilità e da carenza nei servizi di interesse generale. Il termine viene dunque utilizzato con un’accezione identica a quella proposta dalla SNAI.

L’aggettivo inner è stato invece essenzialmente utilizzato in associazione al

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RIABITARE I PAESI 38

concetto di periferie ed è stato oggetto di una ricerca applicata finanziata dal progetto GEOSPECTS – Geographic Specificities and Development Potentials in Europe – all’interno del Programma di cooperazione ESPON (EU, 2013). Le IP rappresentano un concetto territoriale sicuramente di difficile definizione, sono porzioni territoriali contraddistinte da caratteristiche miste in quanto l’economia rurale non è così impattante da poterle definire in questi termini e dove la densità abitativa non è quantitativamente rilevante da poterle classificare come urbane. In tal senso, le IP si caratterizzano dunque come aree in between che pur non essendo geograficamente distanti dalle aree urbane, presentano caratteri di marginalità (peripheries) in termini economici rispetto alla regione di appartenenza.

Il termine IP apparve per la prima di volta in un documento1 di policy europeo nel 2011 ed in cui furono definite come aree «la cui perificità deriva principalmente dalla scarsa accessibilità e da una povertà di veri e propri centri urbani, ove si concentrano le funzioni centrali. […] I problemi principali di queste aree sono un’economia regionale debole e vulnerabile e la mancanza di appropriate opportunità di lavoro. In tali circostanze, processi demografici negativi, in particolare emigrazione ed invecchiamento della popolazione, si stanno rafforzando sempre più. Questi trend creano le condizioni per l’esclusione sociale, ma anche per la loro esclusione territoriale dai principali processi socio-economici» (Ministry of National Development, 2011: 57)2 .

Le IP non sono quindi individuabili in relazione a caratteri permanenti come la collocazione geografica ma, piuttosto, in relazione a fattori variabili e transitori come il dato socioeconomico. Nonostante le difformità in termini di definizione, il concetto di IP viene utilizzato in alcuni articoli scientifici e documenti europei come trasposizione del concetto di aree interne, così come attualmente definito in Italia. Come già evidenziato, la definizione di area interna (IA) fa riferimento a distanze euclidee dai poli di erogazione di servizi, unitamente a considerazioni di tipo demografico, che ne sottolineano la scarsa densità abitativa. Si tratta dunque di aree che sono anzitutto geograficamente marginali, come le aree montane, alpine o appenniniche, nel contesto italiano. Di contro, per le IP la condizione di marginalità è connessa a profili e processi economici che si incardinano sull’offerta del mercato occupazionale, mentre il contesto territoriale su cui esse insistono è, nella maggior parte dei casi, strettamente connesso ad ambiti metropolitani e in stretta dipendenza con essi in termini di fornitura di servizi e dinamiche occupazionali. Malgrado la volontà di unificare nell’espressione di IP i temi e le caratteristiche delle aree interne così come concepite nel contesto italiano, ancora oggi non sussiste un’univoca identificazione terminologica di queste aree oltre i confini nazionali.

BOX : DEFINIRE LE AREE INTERNE: UNO SGUARDO EUROPEO 39

VISIONI, STRATEGIE E PROGETTI PER IL MATESE CASERTANO

Giovanni Bello, Fabio Ciervo, Constanza De Gaetano, Settimio Ferlisi, Adriana Galderisi, Giuseppe Guida, Antonietta Izzo, Giada Limongi, Roberto Musumeci, Gianfranco Nicodemo, Luigi Petti, Francesco Plaitano, Giacomo Viccione, Valentina Vittiglio, Angela Volpe

Il Matese: criticità e punti di forza

Adriana Galderisi

Il territorio del Matese rappresenta uno dei tre ambiti di sperimentazione individuati nelle due regioni pilota del Progetto RI.P.RO.VA.RE: Campania e Basilicata. In particolare, la rilettura delle “geografie delle aree interne”, che ha riguardato l’insieme dei comuni delle due regioni (ad esclusione della città metropolitana di Napoli e dei comuni capoluogo di provincia), è stata condotta mediante un set di indicatori articolati in due gruppi:

un primo gruppo relativo ai fattori che determinano il “declino” di questi territori, riconducili alle dinamiche di contrazione, non solo demografica ma anche quella del tessuto produttivo, delle aree destinate alla produzione agricola, dei valori del patrimonio immobiliare, di marginalità , riferita non soltanto alla distanza dai poli di erogazione dei servizi, ma anche all’accessibilità digitale, alla marginalità rispetto ai flussi turistici prevalentemente orientati verso le aree costiere e le città d’arte, e infine alle diverse fragilità che caratterizzano i territori interni, da quella socioeconomica, connessa ai livelli di reddito pro-capite o di occupazione, a quelle connesse ai molteplici fattori di rischio, sempre più rilevanti in un contesto climatico in trasformazione; un secondo gruppo riferito invece al “potenziale” di cui questi territori dispongono e che costituisce la base per l’innesco di processi di sviluppo; tra questi, la maggiore efficienza dei territori interni nell’utilizzo delle risorse, in particolare nell’uso della risorsa acqua o nella raccolta differenziata dei rifiuti; la “qualità” del territorio, con riferimento al valore ecologico, la presenza di beni culturali, di produzioni tipiche, la longevità che caratterizza la popolazione di molte aree interne italiane, l’innovazione, riferibile all’incidenza sul totale (spesso cmq non elevato) di imprese legate al terziario avanzato (elettronica, telecomunicazioni, pubblicità) o di imprese creative e culturali (ad esempio attività operanti nel settore della moda, del design, dell’arte, dell’artigianato, comunicazione,

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88 RIABITARE I PAESI
[18]. Indirizzi e assi strategici per il Comune di Raviscanina
89 VISIONI, STRATEGIE E PROGETTI PER IL MATESE CASERTANO

BEST PRACTICES IN ITALIA

Giada Limongi

L’appellativo di buona pratica può essere attribuito a quelle esperienze che hanno permesso di ottenere i migliori risultati in relazione ad obiettivi prefissati. Di conseguenza, il riconoscimento delle buone pratiche è qui considerato con riferimento ad alcuni macro-obiettivi generalmente riconosciuti prioritari per le aree interne e, in particolare, per i contesti oggetto del Progetto RI.P.RO. VA.RE. Sebbene il termine aree interne sia essenzialmente riferito a quei territori caratterizzati da una duplice condizione di spopolamento cronico e di ridotta accessibilità ai servizi essenziali (salute, istruzione, mobilità), tali criticità e carenze sono l’effetto di fenomeni di lungo termine che vanno dalla progressiva industrializzazione delle città iniziata nel secondo dopoguerra, all’accentramento di servizi, infrastrutture, risorse e capitale umano nelle aree urbane divenute polarizzanti per l’occupazione e l’innovazione. Dunque, invertire la tendenza all’abbandono delle aree interne implica delineare e implementare strategie volte, da un lato, ad accrescere le dotazioni di servizi essenziali, dall’altro, ad incentivare nuove forme di sviluppo fondate su modelli sostenibili e innovativi. Rispetto a quest’ultimo punto, le buone pratiche riconosciute possono essere suddivise in relazione ai seguenti macro-temi: recupero del patrimonio edilizio e nuove forme dell’abitare; valorizzazione del capitale naturale e dell’agricoltura; innovazione digitale e transizione energetica.

Lo spopolamento delle aree interne ha come conseguenza diretta l’abbandono del patrimonio edilizio residenziale dei piccoli centri storici. Una delle principali iniziative volte ad incentivare l’acquisto e la ristrutturazione di immobili ad uso residenziale è il progetto “case a 1 euro” che, pur agevolando notevolmente l’acquisto dell’immobile, non è accompagnato da una visione di sviluppo e rivitalizzazione dei paesi. Altre esperienze consolidate riguardano invece la creazione di alberghi diffusi. La sola strategia di riqualificazione edilizia ai fini turistici porta con sé alcuni vantaggi quali la messa in sicurezza di parti del

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BOX
RIABITARE I PAESI

patrimonio edilizio, l’efficientamento energetico, la riqualificazione urbanistica e la creazione di servizi per l’accoglienza e di economie connesse, ma presenta anche alcuni rischi quali la perdita dell’identità locali e del mix sociale. Inoltre, laddove la domanda turistica è bassa e concentrata in brevi stagioni, le strutture ricettive diffuse generano complessità connesse ai costi di gestione (consumi energetici, personale impiegato, etc.). In alcuni casi la tradizionale offerta turistica stagionale e di breve periodo viene affiancata dall’offerta di alloggi temporanei per il mediolungo periodo rivolta a nomadi digitali, free-lancers o, più in generale, a nuovi abitanti delle zone rurali. Un esempio è quello del Borgo telematico di Colletta di Castelbianco1, in Liguria, dove la riqualificazione urbanistica e edilizia del borgo medievale totalmente abbandonato dagli anni Novanta è stata affiancata dalla realizzazione della rete in fibra ottica che garantisce una veloce connessione telematica e incentiva la compresenza di turisti di breve periodo con residenti (temporanei e non) e, di conseguenza, l’economia locale.

Un altro esempio interessante è quello del Paese-Cooperativa di Succiso, in Emilia-Romagna, dove la cooperativa Valle dei Cavalieri2 ha scelto di rispondere allo spopolamento attraverso la ripresa di attività agro-silvo-pastorali e agrituristiche che hanno permesso di ricreare occupazione sia stabile per i residenti che temporanea per i lavoratori stagionali, ma anche di continuare a svolgere attività di presidio del territorio per la tutela e valorizzazione del patrimonio naturale.

Rispetto a temi più recenti, come quello dell’urgenza di avviare una transizione energetica, appare importante riportare l’esempio di Magliano Alpi, in Piemonte, come prima esperienza di Comunità Energetica Rinnovabile (CER)3. Nel contesto delle aree interne, il tema dell’approvvigionamento energetico può essere sia generatore di risparmi energetici singoli e collettivi in grado di generare investimenti sul territorio, che attivatore di pratiche di ricerca per l’innovazione energetica e la transizione verso il rinnovabile e la gestione energetica collettiva.

Le poche esperienze qui menzionate, piuttosto che fornire un quadro delle numerose buone pratiche in Italia, intendono fornire spunti di riflessione per la definizione di strategie integrate di rivitalizzazione delle aree interne. Infatti, se la singola strategia può risultare vincente per specificità del contesto o peculiarità dell’iniziativa, un insieme strutturato di strategie e azioni orientate al raggiungimento di molteplici obiettivi può innescare un complessivo processo di sviluppo del territorio, ispirandosi a singoli esempi virtuosi non replicabili toutcourt, ma da ripensare e adattare alle specificità dei contesti.

Se dunque i singoli esempi virtuosi possono rappresentare utili spunti per lo sviluppo di differenti contesti, appare utile segnalare alcune raccolte di buone pratiche delle aree interne italiane. In particolare, la pagina web “riabitare

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PRINCIPI GUIDA PER L’INNESCO DI PROCESSI DI SVILUPPO ORIENTATI ALLA SOSTENIBILITÀ NEI TERRITORI INTERNI

L’obiettivo 11 dell’Agenda 2030 sottolinea l’urgenza di rendere gli insediamenti umani maggiormente inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili. Tale obiettivo assume particolare rilevanza se riferito agli innumerevoli borghi di cui le aree interne, in Italia e non solo, sono disseminate. Proprio questi ultimi sono spesso caratterizzati, infatti, da condizioni di elevata insostenibilità : limitato accesso ai servizi essenziali, ridotta accessibilità e carenza di servizi di trasporto pubblico, carenza di opportunità di lavoro, elevata vulnerabilità ad eventi calamitosi, ad inclusione di quelli ad elevata frequenza e a crescente intensità connessi al cambiamento climatico. Di contro, essi sono custodi di un rilevante patrimonio naturale e culturale, che ne costituisce il principale punto di forza, pur se anch’esso minacciato dal progressivo spopolamento di tali contesti e dalla conseguente assenza di pratiche manutentive. L’elevato potenziale dei territori interni, che costituiscono oggi la principale riserva di biodiversità del Paese, i principali fornitori di servizi ecosistemici, i depositari di una diversità di culture e produzioni locali, rappresenta una delle principali ragioni per cui l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile assegna ad essi un ruolo cruciale nel perseguimento di obiettivi di sostenibilità a scala nazionale (ASVIS, 2022).

Ma come promuovere uno sviluppo dei territori interni tale da contrastarne la marginalizzazione e il declino demografico e concorrere al perseguimento di obiettivi di sostenibilità ? È evidente che non è possibile fornire una risposta univoca a tale questione: le cosiddette aree interne, pur presentando alcune problematiche comuni, sono infatti caratterizzate da un’elevata eterogeneità di situazioni morfologiche, economiche e sociali, funzione anche delle aree geografiche in cui sono localizzate, che determinano condizioni specifiche e richiedono risposte mirate (Carrosio, 2019).

Nell’ambito del Progetto RI.P.RO.VA.RE. sono stati individuati, tuttavia, alcuni principi-guida per la costruzione di un percorso di lavoro mirato all’innesco di processi di sviluppo orientati al perseguimento di obiettivi di sostenibilità nei territori interni: multi-scalarità e interdisciplinarità nella costruzione dei quadri conoscitivi; coinvolgimento attivo delle comunità locali e, in particolare dei giovani; definizione di visioni di sviluppo integrate.

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termine di un processo plurisecolare. In questa chiave il bene culturale ha assunto un valore marcatamente economico, causando anche evidenti squilibri tra i territori e alimentando un processo di marginalizzazione a cui stiamo assistendo quando parliamo appunto di aree interne (Castellano, 2018).

Il Matese diventa solo uno dei molti casi in tal senso.

La soft law del patrimonio culturale: il caso delle Convenzioni internazionali

A tal proposito, appaiono quanto mai indicativi gli strumenti di soft law adottati ormai da diversi anni dalla comunità internazionale, che cristallizzano con precisione questo rovesciamento della tradizionale prospettiva di identificazione di ciò che riveste interesse culturale. In dettaglio, la Convenzione europea del Paesaggio (CEP) del 2000 afferma che il termine «paesaggio» designa una parte di territorio, «così come

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I monti del Matese, 2021

è percepita dalle popolazioni» e che la «qualità paesaggistica» è quella che soddisfa le aspirazioni delle stesse; la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale dell’UNESCO del 2003 indica nel patrimonio culturale la complessità costituita da tutte le testimonianze immateriali e materiali riconosciute dalle comunità .

Con la Convenzione di Faro del Consiglio d’Europa del 2005 l’orizzonte è ampliato mediante l’introduzione del termine molto più coinvolgente e innovativo di «eredità culturale», un «insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà , come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione» (art. 2). Tali valenze identitarie sono, dunque, rafforzate nella Carta di Burra o Burra Charter (1999), aggiornata nel 2013, fondata sulla stretta connessione tra Patrimonio e Comunità e il Nara+20 Document del 2014 sancisce definitivamente l’impossibilità di elaborare una gerarchia di valori culturali e quindi di stilare una classifica dei Paesi a più o meno elevata densità di beni culturali.

175 MHC_MATESE HERITAGE COMMUNITY
I monti del Matese, 2021

[1]. Diagramma a spirale che illustra il metodo FormIT (rielaborazione da Ståhlbröst e Holst, 2012)

di prodotti industriali, come elemento di verifica e controllo dall’ideazione alla commercializzazione.

A livello internazionale esistono diverse tipologie di Living Lab, tra queste: Research Living Lab, incentrati sulla redazione di ricerche scientifica riguardanti aspetti dei processi di innovazione.

Corporate Living Lab, connessi con un luogo fisico in cui si invitano le parti interessate (ad esempio i cittadini) al fine di co-creare innovazioni.

Organizational Living Lab, nel quale i membri di un’organizzazione sviluppano innovazioni in modo co-creativo.

Intermediary Living Lab, in cui diversi partner sono invitati a innovare in modo collaborativo in un’arena neutrale.

Living Lab a tempo limitato come supporto al processo di innovazione connesso con un progetto.

In generale, l’iter metodologico di un Living Lab si struttura principalmente in tre fasi (Design concepts, Design prototype(s) and Innovation Design) così come definite dal metodo FormIT (Bergvall-Kåreborn, Holst e Ståhlbröst, 2009), il cui modello a spirale, rappresentato in figura [1], sintetizza l’iteratività del processo2.

206 RIABITARE I PAESI

La prima delle fasi individuate, prevede la delineazione di una soluzione attraverso la raccolta di informazioni da classificare e prioritizzare successivamente per lo sviluppo di una prima idea, in forma concettuale. La seconda fase utilizza strumenti quali focus-group, azioni di co-design, interviste per la valutazione di concetti sviluppati nella prima fase e la realizzazione di modelli o più propriamente prototipi di innovazione. La terza ed ultima fase prevede la valutazione del prototipo sviluppato (Holst, Ståhlbröst e Bergvall-Kåreborn, 2010).

Oltre a queste tre fasi, se ne possono prevedere altre due, riferite rispettivamente alla pianificazione complessiva del progetto e alla commercializzazione del risultato finale ottenuto, inteso come un’attività , beneficio o oggetto e che nel caso dei progetti urbani si identifica con un’attrezzatura pubblica o uno spazio fruibile e con i modi della sua fruizione, manutenzione, modifica nel tempo.

La struttura di un Living Lab ruota attorno al modello della cosiddetta “quadrupla elica” che armonizza il processo di innovazione tra quattro principali stakeholders: aziende, utenti, organizzazioni pubbliche e ricercatori [2]. Queste parti interessate possono trarre vantaggio dall’approccio Living Lab in molti modi diversi, ad esempio le aziende possono ottenere idee nuove e innovative, gli utenti possono ottenere l’innovazione che desiderano in termini di beni e spazi pubblici, i ricercatori approfondisco ed implementano studi di caso e le organizzazioni pubbliche possono ottimizzare gli investimenti in innovazione (Ståhlbröst e Holst, 2012).

L’approccio Living Lab, secondo un processo di condivisione, facilita, in definitiva, l’identificazione di soluzioni complesse che, successivamente, verranno testate e trasformate in prototipi, nel caso di questioni urbane e territoriali in progetti e vision strategiche di tipo multiscalare. Un Living Lab inteso in questo modo, si configura come un «ecosistema di innovazione aperta all’utente» (EC, 2009) che prevede l’interazione tra imprese, cittadini e attori istituzionali nel processo di ricerca per nuovi modelli di attivismo urbano che consentano di affrontare le sfide socio-economiche

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CO-PROGETTARE CON LE COMUNITÀ LOCALI: IL RUOLO DEI LIVING LABS
[2]. Diagramma della “quadrupla elica” (Steen e van Bueren, 2017)

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