CULTURA E SCUOLA
1.2. Educazione civica e cittadinanza globale Alessandra Pelloni
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La pandemia da Covid-19 ha sottolineato drammaticamente l’essenzialità della coesione sociale, senza cui non si è disposti ad accettare sacrifici individuali a favore dell’incolumità altrui. Permettetemi di raccontarvi una mia esperienza personale. Purtroppo alla Facoltà di Economia dell’Università Roma 2 lo scorso ottobre abbiamo dovuto interrompere le lezioni in presenza, dopo poche settimane dall’inizio, a causa degli assembramenti all’uscita che non siamo stati in grado di evitare e che avevano portato nei giorni precedenti la chiusura a un caso di positività al giorno. Come scienziata sociale so che non ci si deve basare sugli aneddoti, e che generalizzare tout-court la propria esperienza significa commettere quello che gli economisti comportamentali scherzosamente definiscono la fallacia della legge dei piccoli numeri: pensare che quello che vale per il piccolo campione rappresentato dalle proprie osservazioni valga per la popolazione. Purtroppo le scene di shopping natalizio diffuse in questi giorni confermano che non si tratta di un fenomeno isolato... Insegnare le virtù civiche è (o dovrebbe essere) al centro del mandato sociale di ogni sistema di istruzione. Siamo sicuri di aver fatto abbastanza come educatori e come sistemapaese per alimentare negli studenti il senso di appartenenza a una comunità? Se no, che fare? Il primo passo è fornire a tutti un’istruzione di alto livello. L’istruzione è un diritto fondamentale nonché una delle tre dimensioni, insieme a PIL pro capite e ad aspettativa di vita media, dell’indice di Sviluppo Umano che dall’inizio degli anni novanta l’ONU ha adottato come principale misura del benessere sociale invece del PIL pro-capite. L’educazione è anche al centro dei Millennium Development Goals del 2000 e dei Sustainable Development Goals che sono succeduti ai primi nel 2015, elaborati sempre dall’ONU, e che definiscono obiettivi sociali su cui il consenso è planetario. Bisogna però evitare che il sistema scolastico funzioni come un moltiplicatore di disuguaglianza. Oggi almeno un quarto della popolazione italiana (0-18 anni) abbandona la scuola prima di aver concluso gli studi, condannandosi all’emarginazione sociale. Ciò ha conseguenze drammatiche per il reddito ma anche per la vita culturale e democratica del nostro paese. Particolarmente preoccupante è il divario Nord/Sud, evidente già nei servizi per l’infanzia, cioè nel periodo in cui l’evidenza scientifica mostra che le disparità di accesso alla formazione sono particolarmente condizionanti per il futuro individuale (e sociale). Dal rapporto Svimez 2020: i posti autorizzati per asili nido e servizi analoghi rispetto alla popolazione di riferimento sono il 13,5% nel Mezzogiorno e il 32% nel resto del paese. La spesa pro capite dei comuni per i servizi socio-educativi per bambini da 0 a 2 anni è pari a 1468 euro nelle regioni del Centro, a 1255 euro nel Nord-Est per poi crollare ad appena 277 euro nel Sud. Nel Centro-Nord nell’anno scolastico 2017-18 è stato garantito il tempo pieno al 46% dei bambini; nel Mezzogiorno in media solo al 16%, in Sicilia ad appena il 7%. Il divario è come prevedibile anche nei risultati. Nel 2018 il 13,8% dei giovani italiani non raggiungeva la soglia di apprendimento internazionalmente ritenuta accettabile (il livello 2 di PISA) né in lettura, né in scienze né in matematica (media OCSE 13,4). Nel 2015 il 34% degli studenti delle regioni meridionali non raggiungeva il livello minimo di competenze matematiche, circa il doppio del valore nel Centro-Nord. Gli studenti con basso livello di competenze nella lettura erano il 29,9% al Sud, circa il doppio che nel Centro-Nord. Il processo di convergenza tra le due aree si è interrotto a partire dal 2009, dopo la riduzione di