Quaderno della ricerca #60

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CULTURA E SCUOLA

2.3. Studenti con disabilità e tecnologie per la didattica Michelle Pieri Questo contributo si basa sul convincimento che, da una parte, le tecnologie informatiche siano strumenti che, se usati correttamente (Moss e Jewitt, 2010), possono essere una risorsa preziosa per favorire l’inclusione scolastica e l’accesso universale all’istruzione. Dall’altra, si ritiene che l’introduzione delle tecnologie in ambito educativo non debba avvenire in modo acritico ma debba essere realizzata nel rispetto dei diritti delle persone con disabilità di partecipare all’educazione altrimenti si correrebbe il concreto rischio che l’introduzione delle tecnologie in ambito educativo vada ad accrescere il divario tra discenti con e senza disabilità, facendo diventare le tecnologie – richiamando la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute – ulteriori barriere per i discenti con disabilità.

2.3.1. La normativa italiana

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L’Italia, dagli anni Settanta del secolo scorso, ha fatto una scelta ben precisa: tutti devono andare a scuola. L’economia del presente contributo non consente di ripercorrere passo dopo passo la storia delle normative relative alle persone con disabilità nella scuola italiana ma a prescindere da questo si ritiene che ripercorrere questa storia sia molto importante in quanto significa anche fare la storia delle persone con disabilità e capire meglio come, quando e quanto sono cambiate nel nostro Paese la concezione della disabilità e soprattutto le condizioni di quanti ne sono portatori. La Legge 118/1971 stabiliva che “l’istruzione dell’obbligo doveva avvenire nelle classi normali della scuola pubblica” (art. 27) anche se rimanevano escluse le persone con menomazioni intellettive e fisiche “di tale gravità da impedire o rendere difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle classi normali” (art. 28). Con la Legge 517/1977 viene regolamentato l’accesso alle scuole elementari (art. 2) e alle medie inferiori (art. 7) degli allievi con disabilità, di ogni tipo e gravità. Nel 1977 la scuola iniziava quindi ad essere considerata effettivamente di tutti e non solo di coloro che potevano essere ritenuti “idonei alla frequenza”. Dall’“inserimento selvaggio” degli anni Settanta del secolo scorso, con un susseguirsi di normative, che come già accennato l’economia del presente contributo non permette di trattare in modo dettagliato, si è passati all’integrazione per arrivare infine all’attuale inclusione. Da questa scelta di fondo di fare dell’inclusione il modus operandi proprio della scuola italiana discendono il compito e la missione dei docenti di attivare percorsi educativi e didattici idonei e mirati ai bisogni speciali specifici di ogni studente. Come evidenzia D’Alonzo (2016), dagli anni Settanta del secolo scorso a oggi si è compresa la necessità di progettare una vita di classe veramente inclusiva dove ogni studente, al di là delle sue problematiche, possa trovare un contesto che si caratterizza per ricchezza di intenzionalità educativa, proposte efficaci, esperienze formative e dove i singoli studenti possano crescere e imparare, con l’aiuto dei compagni. Sull’inclusione scolastica tutti guardano all’Italia come un faro, la normativa italiana relativa alla disabilità viene considerata tra le più complete e avanzate a livello internazionale in fatto di diritti (Meijer, 2003). Nella realtà la situazione in Italia è molto varia e variegata, è possibile addirittura trovare realtà opposte nella medesima scuola, classi in cui si opera bene e classi in cui l’alunno con disabilità viene mortificato da un clima educativo-didattico inadeguato a offrirgli sia opportunità che risorse (D’Alonzo, 2016). Per quanto riguarda in particolare le tecnologie, è l’articolo 13 della Legge “quadro” 104/1992, e nello specifico il comma 1, lett. b), a prevedere la dotazione alle scuole di attrezza-


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