Lungarno n. 96 - giugno 2021

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Il mistero delle meraviglie scomparse di Carlo Cuppini di Martina Vincenzoni

copertina di Laura Fanelli

S

enso di appartenenza, nuova normalità, fiducia nelle nuove generazioni: temi molto attuali sono tra gli ingredienti principali de Il mistero delle meraviglie scomparse. Il racconto per bambini, scritto da Carlo Cuppini e uscito per Marcos y Marcos, immagina una Firenze incredula quando al risveglio scopre che tutti i suoi monumenti più rappresentativi le sono stati portati via. Gli adulti avviano indagini scoordinate e aggressive, mentre un bambino, Filippo, accompagnato dalla sua scettica sorella, intuisce che deve averci messo lo zampino il fiume Arno. Come in tutte le fiabe che si rispettino, varie peripezie attendono i piccoli eroi, compresa quella di farsi ascoltare dai grandi. Ma alcuni misteriosi aiutanti, insieme al coraggio e all’intuito dei due, saranno alla base dell’intreccio narrativo e della soluzione del caso. Cuppini riesce a trattare temi complessi del passato e del presente: i ricordi della guerra e dell’alluvione risuonano con l’attualità della pandemia; l’idea della restituzione delle opere al paese di appartenenza fa riflettere su tutela e identità nazionale; lo stupore dei cittadini – soprattutto i più giovani – verso la propria città mutata rende ancora più surreali le esperienze a distanza e l’abuso delle tecnologie che fanno tenere la testa bassa sugli schermi piuttosto che curiosa verso l’esterno. Il testo scorre tra sorprese e piccole tensioni intervallate da interessanti spunti di riflessione. La forma tradizionale di fiaba lo rende molto accessibile (è consigliato dagli 8 anni in su) e si presta per l’uso in contesti educativi e scolastici. Offre infatti spunti per condurre attività su temi come la potenza dell’immaginazione, la scoperta della natura, il senso degli eventi difficili, il valore della generosità e del coraggio. Lancia un messaggio universale di fratellanza e condivisione, di rispetto tra le persone e i popoli nella convinzione che le meraviglie del mondo non appartengano a nessuno e debbano perciò essere custodite da tutti.

L’Idiota a Firenze

200 anni di Dostoevskij, russo e fiorentino di Daniele Pasquini

I

l gioco delle ricorrenze quest’anno ci permette di rispolverare, oltre a Dante, una storia molto meno nota. La vita di uno scrittore – tra i più grandi di sempre, senza timore di smentite – che alla nostra città è sorprendentemente legato: Fëdor Michajlovič Dostoevskij, nato a Mosca nel 1821. Esattamente 200 anni fa. L’autore di Delitto e Castigo e dei Fratelli Karamanzov giunge a Firenze la prima volta in compagnia di un amico, il critico letterario Strachov. È l’agosto 1862, arrivano da un lungo tour tra la Svizzera e il nord Italia. Scesi a Santa Maria Novella, si stabiliscono in una pensione di via Tornabuoni. Di quella breve permanenza sappiamo che bevvero vino (giudicato troppo leggero), mollarono a metà la visita agli Uffizi, lessero giornali russi al Vieusseux. Dalle lettere scopriamo anche che i due ebbero una lite in piazza Signoria per questioni filosofiche. Bei tempi. Ma senz’altro più importante fu il secondo passaggio fiorentino di Dostoevskij. Nel novembre del 1868 è in fuga dai creditori, ha paura di finire in carcere. Prima ripara in Svizzera, dove muore la sua piccola figlia, poi

a Milano, che però trova tetra e senza stimoli. Eccolo quindi di nuovo a Firenze, in quel momento Capitale d’Italia. Rispetto alla prima visita la trova affollata e cara. Assieme alla moglie Anna prendono alloggio in via Guicciardini 8, a pochi passi da Ponte Vecchio. Saranno mesi difficili, ma anche fertili: è qua che l’autore concluderà uno dei suoi romanzi più celebri, L’Idiota. A ricordare l’evento c’è una targa, in piazza Pitti. Intanto Anna è di nuovo incinta, vengono raggiunti dalla suocera e si trasferiscono in piazza del Mercato Nuovo. Scrive l’autore: “Sta arrivando un caldo terribile, la città è soffocante e arroventata, abbiamo tutti i nervi sottosopra, il che è nocivo specialmente a mia moglie (…) Questa Firenze mi ha stancato”. La moglie ormai è al settimo mese, il medico le raccomanda di muoversi. La coppia passeggia per Boboli, cerca di trovare un po’ di quiete. Ma lo scrittore non ha più soldi, è nervoso, distrutto dalla noia e incapace di scrivere. Comunica all’editore di avere un’idea per un nuovo romanzo e si fa versare un anticipo. Non appena riceve i soldi Fëdor fa i bagagli: stremato, nell’agosto del 1869, si lascia Firenze alle spalle.

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