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Gli scioperi operai in Italia dal
Storia e Politica
Gli scioperi operai in Italia dal
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marzo 1943 all’aprile 1945
Giovan Giuseppe MENNELLA
Nella notte tra il 17 e il 18 aprile del 1945 iniziò lo sciopero operaio insurrezionale di Torino. In realtà, in tutte le città del triangolo industriale molti operai si tenevano pronti da tempo. Alcuni salirono sui tetti delle fabbriche, alla Pirelli a Sesto San Giovanni, alla FIAT Mirafiori a Torino, per sventolare bandiere rosse. Alcuni si predisposero a impugnare le armi. L’ordine d’insurrezione generale nelle fabbriche fu dato a Torino il 24 aprile e il giorno successivo iniziarono gli scontri in città, cui parteciparono in larga misura le maestranze di molti stabilimenti. Ancora il 27 gli operai della FIAT Mirafiori respinsero un attacco in forze dei tedeschi, con autoblindo e mitragliatrici, contro la loro fabbrica. Quella dell’insurrezione generale dell’aprile 1945 fu un’epopea che vide la partecipazione massiccia degli operai non solo a Torino, ma anche nelle al-21
tre grandi città del triangolo industriale, Milano e Genova. Tutto il complesso della partecipazione operaia nelle città industriali alla liberazione dell’Italia dal nazifascismo può essere esemplificata e simboleggiata da una poesia di un poeta operaio ternano, Dante Bartolini, che narrò in versi l’irruzione dei lavoratori nella fabbrica di armi di Terni, per impossessarsi delle armi e andare in montagna a fare la resistenza, episodio peraltro mai accaduto ma frutto della fantasia del poeta. Poche ore prima di quella notte tra 17 e 18 aprile, il 16 del mese, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia aveva redatto un documento in cui si incitavano gli operai a organizzare nelle fabbriche centri per la mobilitazione e l’insurrezione contro i nazifascisti. L’ordine era di difendere innanzitutto gli impianti e, quindi, non rimanere solo chiusi nelle fabbriche, ma rendersi attivi per andare a combattere e scacciare i nemici. Il movimento vero e proprio degli scioperi era iniziato a Torino fin dal mese di marzo 1945 e culminato il 28 in un primo sciopero insurrezionale. Il giorno dopo fu costituito un apposito Comitato di coordinamento ristretto del CLNAI, a capo del quale furono posti Pertini, Sereni e Valiani. Anche nei dintorni di Milano cominciò la mobilitazione delle fabbriche e le zone più attive furono quelle di Sesto San Giovanni, di Gallarate, di Busto Arsizio, dove era concentrata la maggior parte degli stabilimenti ed era di conseguenza molto forte la presenza e la pressione degli operai. Ma fu Genova la prima città che si mobilitò e insorse. L’8 aprile si tenne una riunione degli antifascisti in cui si decise la ribellione. Gli scioperi iniziarono il 16 e l’insurrezione fu lanciata il 23, con i tedeschi che già il 24 si accordarono per lasciare la città in mano ai partigiani. Così Genova fu la prima città del Nord a insorgere e a liberarsi da sola, senza la sostanziale partecipazione delle truppe alleate.
A Milano l’ordine di insorgere fu dato il giorno 24 per cominciare a combattere alle ore 13 del 25, ma i primi scontri cominciarono il 24 mattina a Niguarda. Il giorno 25 tutte le fabbriche milanesi a Sesto San Giovanni furono occupate. Gli operai della Pirelli presero parte agli scontri, mentre alla Motomeccanica, alla OM, alla Innocenti di Lambrate gli operai si asserragliarono a difesa. Il quadro d’insieme fece emergere un’organizzazione del movimento a guida a maggioranza comunista che però non era corrispondente alla situazione generale presente in Italia, dove anche il Partito d’Azione e il Partito socialista erano presenti e fortemente rappresentati. Comunque, nell’ultimo periodo della guerra i comunisti ottennero un rilevante successo facendo fallire alla FIAT Mirafiori, il più grande impianto industriale del Nord, la consultazione elettorale promossa dalla Repubblica di Salò per la socializzazione delle industrie: il 90% degli operai non votò e il rimanente 10% respinse la proposta. Nelle ultime settimane di guerra, gli ordini agli operai date dalle rappresentanze dei partiti politici furono di andare in fabbrica senza lavorare, ma per essere presenti e protestare non per aumenti salariali, come si era verificato nei mesi e negli anni precedenti, ma per la pace e per il pane. Quelle lotte operaie che si accesero negli ultimissimi giorni della guerra venivano da lontano, erano iniziate fin dal 1942. Le ragioni per cui combatterono tutti quegli operai, per lo più organizzati dai partiti e dai movimenti, ma anche con sollevazioni spontanee, non erano omogenee. Un coacervo di ragioni mosse quelle lotte, alcune di fondo, altre contingenti: dalla gioia per l’armistizio e la presunta fine della guerra all’esigenza di riappropriarsi dei quartieri a maggioranza operaia, dal desiderio di vendetta contro i fascisti al fascino del caos, perfino alla voglia di far dimenticare certe compromissioni con il Regime. Durante tutto il corso della seconda guerra mondiale in Italia avvennero cinque ondate di scioperi operai. Una prima nel marzo 1943, con il fascismo ancora al potere, una seconda nel luglio-agosto dello stesso anno, all’atto della caduta del Regime e dell’insediamento del Governo Badoglio, una terza nel novembre sempre del 1943, ad armistizio avvenuto e a Repubblica Sociale instaurata, una quarta nel novembre 1944, durante l’autunno e inverno più duro per gli antifascisti e i partigiani e, infine, l’ultima nell’aprile 1945, di cui abbiamo già tracciato le grandi linee. In tutto quel periodo, gli interlocutori degli operai nelle fabbriche furono gli imprenditori, le avanguardie dei partiti politici negli stabilimenti e, dopo l’8 settembre, oltre alla Repubblica Sociale, anche i funzionari militari e civili tedeschi dell’occupazione militare. Per quanto riguarda il primo dei cinque periodi tracciati, quello del marzo 1943, non va dimenticato che a quell’epoca in Italia vigeva lo stato di guerra, scioperare era vietato e c’era il coprifuoco. Non si poteva uscire da casa e circolare dalle nove di sera alle sei del mattino. Però, proprio di notte i giovani del fronte rivoluzionario della gioventù uscivano a fare propaganda, a consegnare manifestini, soprattutto a tenere i contatti tra i potenziali ribelli tra zona e zona. Nel 1943 lo sciopero e la serrata erano vietati da un articolo del codice penale Rocco del 1930 ed era prevista una pena pecuniaria superiore al salario mensile di un operaio e la detenzione fino a due anni di carcere. Nel diritto penale si faceva inoltre una distinzione tra sciopero economico e sciopero politico, con il secondo sanzionato più gravemente. Addirittura, nel giugno 1944 fu prevista la sanzione della pena di morte per gli organizzatori di scioperi politici. Queste repressioni tendevano a tutelare la pace sociale, perché lo sciopero era considerato lesivo del principio di ordine e gerarchia. Lo sciopero minava il fronte interno, cioè quello degli operai e dei lavoratori in genere, considerato una sorta di esercito del lavoro, mentre il fronte esterno era quello dei soldati che combattevano in armi.
Nel 1943 i salari erano fermi al 1940 ma i prezzi erano saliti vertiginosamente per l’inflazione. Si era verificato tra gli operai un aumento rilevante delle malattie professionali, delle malattie dovute alla denutrizione, che causò in molti anche una visibile perdita di peso corporeo. Era inoltre sensibile il problema della mancanza di alloggi, a causa delle perdite del patrimonio edilizio dovute ai bombardamenti aerei. Gli operai non poterono sfollare fuori delle città sede di lavoro e comunque anche quando lo fecero dovettero arrangiarsi a fare i pendolari. Fin dal 1942 alcune fabbriche avevano dovuto sospendere il lavoro. Le minacce di gravi sanzioni non riuscirono a fermare le proteste perché la situazione degli operai nel 1943 era talmente grave, dalla fame alla perdita delle case, al lavoro durissimo e mal retribuito che fece superare loro ogni paura di punizioni. Gli scioperi operai iniziarono a Torino il 18 marzo del 1943 e si protrassero fino a luglio. Il 18 marzo cominciò un grande sciopero agli stabilimenti di Mirafiori, che divenne un modello di mobilitazione anche per altre città come Genova e Milano. Gli operai protestavano contro il carovita, per il miglioramento del trattamento e- conomico e per l’estensione dell’indennità di 192 ore di salario a tutti e non solo agli operai sfollati per la distruzione della casa. Dal luglio, caduto il fascismo e nominato Badoglio a capo del governo, gli scioperi operai ebbero una chiara connotazione politica, per ottenere l’allontanamento dei dirigenti fascisti dalle fabbriche, per la liberazione dei prigionieri politici, per costringere il governo Badoglio a fare la pace con gli Alleati. Anche il fatto che gli scioperi, pur quando fossero solo economici, si diffondessero a macchia d’olio diede loro una caratterizzazione politica, gli operai si sentirono nuovamente forza di classe, spirito che durante gli anni del fascismo era fatalmente andato perduto. In particolare, l’interruzione del lavoro nel grande stabilimento FIAT di Mirafiori a Torino conferì nuova forza politica al Partito comunista, tanto che, come si è visto, riuscì a far fallire il referendum sulla socializzazione. Altri scioperi operai si verificarono nell’autunno-inverno di quell’anno 1943, quando era stata già costituita la Repubblica Sociale a Salò. Se gli scioperi dell’estate avevano come obiettivo l’allontanamento dei dirigenti fascisti dalle fabbriche e la liberazione dei prigionieri politici, viceversa gli scioperi dell’inverno del 1943 si svolsero a Torino per rivendicazioni economiche. I tedeschi, che ormai con le varie organizzazioni del lavoro del nazismo controllavano la produzione nelle fabbriche del nord, accettarono alcune rivendicazioni ed estesero la concessione di alcuni benefici anche agli stabilimenti di Milano e di Genova, soprattutto per non fermare la produzione di materiale strategico necessario alla Germania per continuare la guerra. Gli operai tentarono di garantirsi livelli economici di sopravvivenza, mentre gli industriali, barcamenandosi, tentarono di salvaguardare la produzione e tenere a bada i tedeschi. Questa situazione diede nuova linfa e agibilità politica alle agitazioni e agli scioperi operai e fu sfruttata sia dal Partito Comunista ,sia dal Partito d’Azione, sia dal Partito Socialista. A Genova nel dicembre del 1943 gli scioperi, di carattere economico, si intensificarono all’Ansaldo artiglieria e diventarono sciopero generale a metà mese, con circa 50 mila scioperanti complessivi che lanciarono parole d’ordine per miglioramenti economici e alimentari. All’inizio di Gennaio del 1944 ci furono altri scioperi, sempre di carattere economico, che però stavolta trovarono una risposta molto dura; i fascisti e i tedeschi fucilarono per rappresaglia otto prigionieri politici. Da marzo a giugno 1944 ci furono altri scioperi e altre repressioni e furono deportati a Mauthausen 1500 lavoratori, alcuni dei quali non tornarono più. L’inverno del 1944-45 fu il più duro per i partigiani sulle montagne e per gli operai nelle fabbriche. I tedeschi misero da parte ogni remora e cominciarono a reprimere duramente ogni ribellione, ma anche a depredare le fabbriche di ogni macchinario e materia prima utile. Cominciò così da parte degli operai e dei partiti organizzati quella che fu definita “la battaglia delle macchine” per combattere lo spostamento degli impianti produttivi in Germania. La battaglia fu combattuta nascondendo i macchinari, facendo lo sciopero bianco, il sabotaggio e la resistenza passiva che causarono rallentamenti nella produzione. In seguito a tale situazione, Vittorio Valletta, amministratore delegato della FIAT, per cercare di incrementare la produzione, nel novembre del 1944, pronunciò un discorso agli operai e alle maestranze in cui invitò tutti a lavorare e a ricostruire perché Torino e il Piemonte dovevano far fronte all’esigenza alimentare, dovevano evitare la fame, visto che la durata della guerra avrebbe potuto essere ancora molto lunga. Molti operai del Comitato di agitazione della FIAT chiesero al CLNAI di condannare Valletta come traditore degli operai. Ma non se ne fece nulla e Valletta continuò a dirigere la FIAT fino agli anni ’60. La presenza delle avanguardie dei Partiti, con in testa il Partito Comunista, in quelle lotte nelle fabbriche, nell’imminenza dell’insurrezione generale dell’aprile 1945, fu particolarmente importante perché la fame e il freddo rischiarono di frenare la lotta. Tutte quegli scioperi e quelle azioni degli anni e dei mesi precedenti il 25 aprile furono dunque prodromici e decisivi rispetto alla Liberazione vera e propria e possono essere definiti pre-insurrezionali, fino a quelli che scoppiarono a Torino nella notte tra il 17 e il 18 aprile 1945.