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C’è del rosso in Gran Bretagna Aldo AVALLONE
C’è del rosso in Gran Bretagna
Aldo AVALLONE
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Esteri
Dopo appena due anni dalle ultime elezioni, il prossimo 12 dicembre i cittadini britannici torneranno alle urne per eleggere i rappresentanti della Camera dei Comuni. Il sistema elettorale è quello del maggioritario puro, per cui sarà eletto il candidato che prenderà anche un solo voto in più in ognuno dei 650 collegi uninominali. A sfidarsi saranno i Conservatori di Boris Johnson, attuale premier, Jeremy Corbyn, leader dei laburisti e nel ruolo di terzo incomodo Vincent Cable, a capo dei liberaldemocratici. Una grossa incognita è rappresentata dal Brexit Party di Nigel Farage, capace alle ultime elezioni europee di finire davanti a tutti con il 30,5% dei voti. E’ ovvio che uno dei temi principali nella campagna elettorale sia quello della Brexit. Johnson spera di ottenere finalmente quella maggioranza, finora mancatagli, che gli permetterebbe di portare a termine il suo progetto di uscita dall’Unione europea. I laburisti, al contrario, in caso di vittoria punterebbero allo svolgimento di un nuovo referendum. I sondaggi, al momento, danno in vantaggio i Conservatori, il cui programma è sostanzialmente riassunto dallo slogan “Get Brexit done” (facciamo la Brexit) ma i Laburisti, che già nella scorsa tornata elettorale furono protagonisti di una esaltante rimonta che li portò ad appena due punti percentuali dalla vittoria, sperano di ribaltare i pronostici. E, per quanto difficile, la rimonta appare possibile. Soprattutto grazie a un programma ambizioso e coraggioso presentato da Corbyn, l’unico capace di dare una scossa a una campagna e- lettorale finora sottotono. La società inglese è caratterizzata da una disparità sociale accresciuta negli ultimi anni. Il Regno Unito è la quinta potenza economica del mondo ma secondo l’Institute of Fiscal studies almeno un bambino inglese su tre vive in uno stato di povertà relativa. Oltre 3,5 milioni di persone hanno a disposizione poco più di due sterline al giorno per mangiare. A fronte di oasi di grande benessere si contrappongono fasce di povertà sempre più ampia. Il messaggio che Jeremy Corbyn lancia all’elettorato è semplice ed efficace: ridistribuiamo la ricchezza, togliendo a chi nell’era della globalizzazione si è arricchito per dare agli altri e così facendo riduciamo le differenze. Per farlo propone un vasto piano di nazionalizzazioni, dall’energia al gas, dai servizi postali all’acqua. Il programma del Labour Party prevede, inoltre, l’aumento del salario minimo orario a dieci sterline (oggi il limite massimo è fissato a otto), aumenti salariali per il settore pubblico, abolizione delle tasse universitarie, potenziamento dell’assistenza sanitaria gratuita per gli anziani, blocco dell’età pensionabile a sessantasei anni. In politica estera Corbyn rilancia un nuovo internazionalismo che, in sostanza, prevede una presa di distanza dalle politiche americane. Come si vede, si tratta del primo vero programma di una sinistra anti liberista. Un’occasione, forse irripetibile, per portare avanti un progetto di trasformazione di una società capitalista in una socialista e laburista. Un esperimento che se giungesse a buon fine rappresenterebbe il seme di un cambiamento che potrebbe germogliare anche in altri Paesi occidentali. La stampa britannica, per la gran parte asservita al potere, non fa mancare critiche rispetto alla copertura economica necessaria alle riforme programmatiche del Labour Party. E anche su questo punto la risposta di Corbyn è netta: a pagare il conto dovranno essere i super ricchi, gli evasori fiscali, gli speculatori e i grandi inquinatori. Coloro che nell’epoca della globalizzazione hanno tratto enormi profitti ottenendo per lungo tempo sconti fiscali dal governo conservatore. Corbyn intende tassare per undici miliardi di sterline le compagnie petrolifere e del gas, aumentare l’aliquota sulle imprese, rimettere la tassa di successione, eliminata dal governo Cameron, e aumentare, altresì, le imposte per chi guadagna più di ottantamila sterline l’anno. Inoltre alcune misure potrebbero essere finanziate in deficit. Secondo l’economista Ann Pettifor, una delle prime ad aver previsto la crisi economica con il libro “Coming First World Debt Crisis” del 2006, le misure a debito previste dal governo saranno ripagate dall’aumento del gettito fiscale nel lungo periodo. Utopia? Forse. Ma Johnson si sta dimostrando e- lettoralmente debole, incapace di smuovere entusiasmo, mentre Corbyn ha dalla sua parte i giovani, tra i quali la sua popolarità è in netta crescita. Se riuscirà a conquistare parte dell’elettorato di età più matura, tradizionalmente conservatore, potrà sperare di ribaltare un esito che molti danno per scontato. Noi ci crediamo.