Numero 31 del 25 gennaio 2020
La battaglia di Stalingrado
Sommario
Parliamo di amministrative (seconda puntata) pag. 3 di Aldo AVALLONE La lotta di classe dopo la lotta di classe - pag. 7
di
Aldo AVALLONE
Mario Savio e il Free Speech Movement - pag. 11 di Giovan Giuseppe MENNELLA
Libia, la guerra del petrolio e la farsa di Berlino pag. 18 di Umberto DE GIOVANNANGELI
Gran Bar Vares - Reloaded - pag. 24 di Antonella BUCCINI
2
Politica
Parliamo di amministrative? (seconda puntata) Antonella GOLINELLI
Qualche giorno fa è girata sui social una foto del segretario della Lega abbracciato alla statua di Peppone con una didascalia derisoria. Nel giro capillare dell'Emilia Romagna il Matteo verde è passato pure da Brescello. Ho ascoltato con un certo interesse i commenti politici relativi al fatto compreso 3
quello di Bersani, che condivido ma che vorrei approfondire. Cominciamo da qui: perché la foto con la statua di Peppone raffigurato con le fattezze di Cervi e non anche con la statua di don Camillo nelle fattezze di Fernandel? Cosa vuol dire il Matteo verde? Che i cattolici progressisti non lo voteranno in Emilia Romagna e i comunisti si? È forse semplice derisione di un elettorato che la volta scorsa ha schifato il pdr? #adesso io non lo so in quanto sia valutata l'astensione stavolta ma qualcosa mi dice che andrà a votare più del 37% della volta scorsa. Nonostante i numerosi candidati renziani nelle liste. È talmente drammatizzata sta vicenda che comincia ad infastidire i più. Torniamo a Peppone, don Camillo e il matteo verde. Dunque, caro Matteo, devi sapere che Peppone era alto un metro e settanta dalla testa ai piedi e un metro e novanta dai piedi alla testa (cit). Ciò significa che il pensiero contenuto nell'uomo lo faceva più grande del fisico che portava a spasso. Aveva mani grandi e grosse ma abili nella meccanica e persino delicate nel ridipingere le statuette del presepe (cit), perché l'abilità la fornisce il cuore degli uomini non l'arroganza. Ti fossi presentato caro Matteo verde a un uomo di tal fatta ti garantisco ti avrebbe preso a pavannoni, fossi stato fortunato, o cazzotti. Nel peggiore dei casi di avrebbe appioppato un fracco di legnate lungo il filone della schiena. Molto probabilmente in combutta con don Camillo, uomo dai piedi grandi e di una riserva pressoché infinita di randelli di pioppo, legno dolce flessibile (cit) non fa nemmeno male, non rompe le ossa (cit). Molto probabilmente don Camillo due salve di mortaio da 81 te le avrebbe tirate dal campanile di Brescello. Giusto per farti capire caro Matteo verde che certi fe4
nomeni non sono graditi alla gente per bene, dedita al lavoro e alla famiglia. Si può essere rossi e si può essere bianchi, si può essere persino liberali (devo aver sbagliato comizio, disse il dirigente liberale andato in comizio a Brescello, vedendo una piazza di bandiere rosse. No rispose Peppone. È che qui i liberali sono 4 un po' si perdono nella piazza. Ma parli pure, l'ascolteremo. Libera chiesa in libero stato ottenne applausi scroscianti) ma non si può essere cattivi, carogne e pataca. Lo sapevo che prima o poi la conoscenza di Guareschi mi sarebbe tornata utile. Ma andiamo avanti. Poco tempo dopo, direi in paio di giorni, esce un tweet derisorio nei confronti di un ragazzo dislessico che si è impapinato durante il suo discorso dal palco delle sardine nella bassa bolognese. Un esempio di bullismo da manuale. Questo oltre ad avere un problema evidente con le donne ce l'ha anche con chi è portatore di una qualche disabilità anche lieve. Cos'è? Ha in programma una selezione della razza? Non ho capito bene se sogna un mondo di maschiacci barbuti e virili o cosa. Va a capire. Siccome però è per la famiglia tradizionale con mamma papà e una forma di parmigiano (questa l'ho letta non mi ricordo da chi e mi è piaciuta moltissimo) mi chiedo come metta insieme il tutto. Se poi si aderisce in maniera cosi netta al pensiero antiabortista come si fa a selezionare maschi sani da far nascere? Se si pensa che i punti nascita in montagna li ha fatti chiudere anche lui in un governo di cui faceva parte... non capisco. Chiusura a Fiorano, il paese della Ferrari. Altra perla. “il 26 vedremo se gli emiliano romagnoli sceglieranno il futuro e resteranno legati al passato”. Le stesse parole del Matteo bianco. Son rimasta interdetta. I due mattei che usano lo stesso linguaggio, gli stessi argomenti, gli stessi metodi. Sono perfettamente in5
tercambiabili. Non ci si crede. In tutto questo bailamme si è inserito un altro bell'argomentino. Un Amadeus in forma splendida che ha presentato le 10 donne che si susseguiranno al suo fianco sul palco di Sanremo. 10. A parte che il pensiero va a Battisti ed è scontato, l'apice della presentazione si è raggiunto con la fidanzata di Rossi. Una donna bellissima che sa stare un passo indietro al suo uomo. Avrei voluto avere il mortaio da 81 di don Camillo. Fine seconda puntata
6
Politica
La lotta di classe dopo la lotta di classe Aldo AVALLONE
Mentre a Davos, nel cuore delle Alpi svizzere, al “World Economic Forum”, i grandi del mondo discutono di “capitalismo etico”, un evidente ossimoro, e varano un nuovo Manifesto per guidare le aziende nell’era della quarta rivoluzione industriale, l’Oxfam apre una finestra drammatica sulle diseguaglianze. Oxfam International, un’organizzazione non governativa attiva nella lotta alla povertà, proprio in questi giorni ha diffuso un rapporto dal titolo “Bene pubblico o ricchezza privata?” con il quale fotografa drammaticamente la ripartizione della ricchezza sia a livello 7
globale sia a livello nazionale. Ebbene, i dati che vi si leggono sono impressionanti: nel 2019, 26 individui possedevano la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale. Una concentrazione della ricchezza in continua crescita, visto che nel 2017 questa ricchezza era concentrata nelle mani di 46 individui e nel 2016 nelle tasche di 61 miliardari. Sempre secondo il rapporto Oxfam, negli ultimi dieci anni in cui l’economia mondiale ha vissuto una crisi diffusa, a fronte di un impoverimento generalizzato, il numero dei miliardari è quasi raddoppiato. E anche nel nostro Paese la situazione non è diversa: a giugno 2018, il 20% degli italiani deteneva il 72% della ricchezza netta nazionale, il successivo 20% ne controllava il 15,6%, lasciando al restante 60% appena il 12,4%. Leggendo questi dati mi torna alla mente un saggio di Luciano Gallino e Paolo Borgna letto qualche anno fa, “La lotta di classe dopo la lotta di classe”. La tesi degli autori è che, nella nostra epoca, la classe dei più ricchi sta conducendo, e vincendo, una tenace lotta di classe contro i più poveri. Dagli anni Ottanta del secolo scorso in poi la lotta che era stata portata dal basso per migliorare le proprie condizioni di vita ha ceduto il posto a una lotta condotta dall’alto per recuperare i privilegi che erano stati erosi in una certa misura nel trentennio precedente. Stiamo parlando dell’ideologia neoliberista che ha avuto i massimi rappresentanti in Ronald Reagan e Margaret Thatcher e, in Italia, in Craxi con la “Milano da bere” cui ha fatto seguito Berlusconi. Questa lotta di classe “al contrario” ha fatto leva, soprattutto, sul potere della televisione e dei mezzi di comunicazione, che hanno diffuso un modello di società nella quale il denaro e il possesso dei beni di consumo fossero gli unici parametri per misurare il successo personale, in cui l’individuo sia in una perenne competizione con gli altri, costretto a mettere da parte ogni forma di solidarietà sociale, pur di portare avanti la sua affermazione personale. Il modello, banalmente, è quello di Silvio Berlusconi, l’imprenditore che dal nulla riesce a di8
venire dapprima una potenza economica e poi, addirittura, Presidente del Consiglio. Nessuno si domanda come sia arrivato al potere, da dove gli sia pervenuto l’iniziale patrimonio per la sua scalata e gli appoggi politici che lo hanno favorito. L’unico metro di giudizio è che lui sia un vincitore. Questo concetto di società, di cui il neoliberismo si è fatto interprete, ha depauperato a poco a poco tutte le conquiste sociali acquisite in anni di dure lotte da parte dei lavoratori. La competitività che tale teoria invoca e i costi che la competitività impone ai lavoratori costituiscono una delle forme assunte dalla lotta di classe ai giorni nostri. Le conseguenze sono quelle evidenziate in maniera drammatica dal rapporto Oxfam: aumento delle disuguaglianze, marcata redistribuzione del reddito dal basso verso l'alto, politiche di austerità che minano alla base il modello sociale europeo. Di fronte a questo scenario non propriamente positivo è lecito porsi la domanda se oggi sia possibile fare qualcosa per invertire la rotta. E, nonostante tutto, la risposta è affermativa. Occorre lavorare per cambiare il contesto. Nella società esistono realtà quali associazioni, ong, chiesa cattolica e di altre confessioni, che giorno per giorno s’impegnano in un lavoro oscuro che mette al centro del loro interesse i ceti sociali più disagiati. Si tratta di un’attività preziosa, ancor più perché svolta in larga parte senza aiuti economici, senza riconoscimento e senza che l’opinione pubblica ne venga a conoscenza.
A livello diverso agiscono i movimenti per
l’ambiente, di cui Greta Thumberg è la testimonial più importante, e le Sardine che costituiscono la vera novità che in appena due mesi sta cambiando il modo di approccio di milioni di italiani nei confronti della politica. Ecco, sotto queste spinte ormai non più sotterranee, la politica deve tornare pienamente a fare la sua parte. Per troppi lunghi anni, la sinistra nel nostro Paese si è illusa di poter governare inseguendo politiche neoliberiste. Il fallimento di questa scelta scellerata è sotto gli occhi di tutti. Se la sinistra offre soluzioni ai problemi dei più deboli simili a quelle 9
offerte dalla destra, perché mai gli elettori dovrebbero scegliere la brutta copia piuttosto che l’originale? Da qui, la disaffezione alla politica da parte di sempre più cittadini che si sono rifugiati nell’astensione. Da qui, la nascita di movimenti populisti e sovranisti. La sinistra torni a fare la sinistra, a occuparsi realmente di quell’80 per cento degli italiani che detiene appena il 28 per cento di tutta la ricchezza nazionale. Deve farlo perché la sinistra è nata per questo, per difendere gli interessi dei più deboli, dei lavoratori salariati a 1.200 euro al mese, dei pensionati che sopravvivono con la pensione minima e non riescono nemmeno a pagarsi le cure mediche, dei ragazzi che accettano lavori al nero per paghe di due euro all’ora, per tutti i cinquantenni che hanno perso occupazione e, terminata la cassa integrazione, non riescono a reinserirsi nel mercato del lavoro, per i tanti giovani, laureati e no, costretti a emigrare all’estero per provare a costruirsi un’esistenza decente. E perché è eticamente inaccettabile questa mostruosa diseguaglianza. Se sarà capace di farlo, senza dubbi né tatticismi, tornerà alla vittoria. Non sarà facile ma è importante iniziare: riappropriamoci dell’antico strumento della lotta di classe, e ricominciamo a utilizzarlo come storicamente è stato sempre inteso. Una giusta ridistribuzione della ricchezza nazionale, da attuare attraverso una fiscalità più equa, consentirà una crescita complessiva del Paese maggiormente equilibrata e un sostanziale miglioramento delle condizioni di vita dei più disagiati. Se la sinistra non sarà capace di percorre questa via, nessuno potrà impedire alla destra peggiore di sempre di guidare la nazione per i prossimi vent’anni.
10
Politica e Storia
Mario Savio e il Free speech movement Giovan Giuseppe MENNELLA
Il 2 dicembre 1964, nel campus dell’Università di Berkeley in California, lo studente Mario Savio lanciò il movimento per il libero discorso, il Free speech movement. Quel giorno uno sceriffo lo raggiunse alle spalle e lo afferrò per il collo. La folla cominciò a urlare. Il punto fondamentale del discorso che Savio stava pronunciando davanti agli studenti californiani era che arriva un momento in cui l’operato della macchina, anche di una macchina di cui si fa parte, diventa così odioso che biso11
gna letteralmente lanciare i propri corpi contro di essa e impedirle di continuare a funzionare. La protesta degli studenti di cui si fece interprete Savio era indirizzata contro il Rettore Claude Kerr che aveva vietato ogni attività politica e di volantinaggio all’interno del campus. Quegli studenti bianchi e privilegiati di Berkeley iniziarono a protestare perché, pur essendo cresciuti nel benessere materiale degli anni ’50, avevano avuto tutto il tempo di crescere con la paura della bomba atomica e della guerra nucleare e, al momento del discorso di Mario Savio, avevano ormai simpatizzato con il movimento per i diritti civili degli afroamericani. Dalla metà degli anni ’50 in poi la battaglia per i diritti civili era ormai al primo posto dell’agenda della politica interna americana e la stessa Corte Suprema iniziò a emettere sentenze favorevoli all’acquisizione di una vera uguaglianza di diritti per tutte le componenti dell’ampio mosaico etnico degli Stati Uniti. I ragazzi di Berkeley, pur essendo felici di essere americani e timorosi come tutti di un eventuale attacco sovietico, realizzarono ben presto che la vita non poteva essere solo consumo ma doveva essere corroborata da un impegno civile e sociale per diminuire le disuguaglianze economiche e giuridiche della società americana. Avendo ormai acquisito l’età per votare e interessarsi ai temi sociali, percepirono il divieto di fare attività politica all’interno dell’Università, imposto dall’autorità rettorale, come ingiusto e anacronistico. Stavano studiando per diventare classe dirigente, ma non volevano per questo smettere di pensare e parlare ed ecco l’idea di ribellarsi, scolpita icasticamente nella frase di Mario Savio, pronunciata quel 2 dicembre, di dover lanciare i propri corpi contro quella macchina di studio, di produzione, di consumo rivolta solo all’efficienza senza il diritto di pensare e di contare. Già i Presidenti Jefferson e Madison avevano affermato che una cittadinanza infor12
mata, messa in grado di avere opinioni, e una stampa libera sono la garanzia di un governo libero e democratico. Il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, ratificata nel 1791, riconobbe ai cittadini la libertà di parola e di stampa e il diritto di inviare petizioni al Governo. Partendo da questi presupposti storici di una partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e istituzionale, Mario Savio e i suoi compagni di lotta di Berkeley chiesero niente di più di quello che era stato uno dei diritti riconosciuti fin dal XVII Secolo nella nuova Nazione sorta in America, cioè esprimere liberamente le opinioni politiche e ideologiche anche all’interno di una istituzione tecnocratica come l’Università. Parlando con i giornalisti in quei giorni di dicembre del 1964, Savio affermò con convinzione e forza che l’Università poteva e doveva essere un luogo di espressione e di scambio di libere opinioni e di partecipazione alla vita pubblica e non solo una fabbrica e un tempio del sapere come affermato dal Rettore in un suo saggio. Se l’Università fosse stata solo la fabbrica del sapere, allora il Senato accademico sarebbe stato il Consiglio di amministrazione, il Rettore il Direttore generale, il corpo dei docenti solo un mucchio di impiegati e gli studenti niente più che materia prima grezza da lavorare e plasmare, semplici rotelle dell’ingranaggio di una macchina utile alla produzione di beni e servizi. Mario Savio era balbuziente, ma nella foga dei discorsi e delle interviste di quei giorni, trovò la forza di superare anche quel difetto. Era un idealista ma non un ingenuo. Si era reso conto che l’operato di una macchina diventa a un certo momento così triste e odioso che ci si deve buttare sopra col proprio corpo per fermarne gli ingranaggi disumanizzanti. Il concetto della società americana come simile agli ingranaggi di una macchina disumanizzante non era nuovo, anche se Savio lo pose all’attenzione di tutta l’opinione pubblica in un’epoca che cominciava a essere influenzata dai grandi 13
mezzi di comunicazione di massa. L’aveva già utilizzata il sociologo Leo Marx nel suo libro “La macchina nel giardino. Tecnologia e ideale pastorale nella società americana”, uscito in libreria poche settimane prima di quel 2 dicembre 1964. Il sociologo affermava che negli Stati Uniti si erano collegate le macchine all’ideale di una società pastorale e tutte due avrebbero dovuto camminare perfettamente all’unisono. Ma ovviamente non era così semplice, e Leo Marx aveva sottolineato che artisti come Melville, Twain, Thoreau, Hawthorne avevano espresso le notevoli contraddizioni della cultura americana, mostrando come le aspirazioni rappresentate un tempo dal simbolo di un paesaggio ideale non erano state e probabilmente non sarebbero mai state realizzate e che gli ancestrali simboli americani di ordine e bellezza erano stati privati di ogni significato; era il battello a vapore che rovesciava la zattera di Huckleberry Finn, era il treno che entrava di prepotenza nell’idillio del Walden di Henry David Thoreau. Quegli artisti non offrirono soluzioni ai problemi da loro evidenziati, avevano solo mostrato le contraddizioni ma non proposto le nuove possibilità di soluzione, che secondo Leo Marx sarebbero dovuto essere chieste con spirito critico dai cittadini alla politica. La disobbedienza civile, il frapporsi tra gli ingranaggi e fermare le macchine, era un concetto che aveva radici lontane negli Stati Uniti. L’aveva inaugurata già lo stesso Thoreau in un discorso del 1849 in cui aveva invitato i cittadini a non pagare più le tasse a un Governo che tollerava la schiavitù e in quegli anni aveva appena invaso il Messico, uno Stato vicino e sovrano. Aveva invitato tutti a resistere quando la tirannia e l’incompetenza dello Stato arrivano al massimo. A Thoreau non interessava che i coloni americani avevano disobbedito e fatto la rivoluzione contro gli inglesi per impedire la tassazione di alcune merci, ma interessava, e come, che in quegli anni ’40 del XIX Secolo, quello stesso Stato nato dalla Rivoluzione aveva strutturato una macchina giunta al colmo dell’oppressione, che teneva in schiavitù 14
un sesto della popolazione e che aveva appena invaso un Paese sovrano. Thoreau fu il primo che inventò la metafora del Governo come una macchina da fermare. Era necessario infrangere la legge, trasformarsi in un attrito che fermi la macchina, non diventare parte delle ingiustizie che gli stessi americani condannavano. Mario Savio era di New York, nato in una famiglia di immigrati italiani di prima generazione, dalle condizioni economiche niente affatto brillanti. Aveva potuto studiare grazie a borse di studio e si iscrisse alla facoltà di filosofia all’Università californiana. Era appena arrivato a San Francisco nel 1963 quando vide il sit in davanti allo Sheraton Hotel di studenti che protestavano contro le politiche di discriminazione razziale contro gli afroamericani che non potevano essere assunti come impiegati di concetto. Fu allora che iniziò a prendere coscienza della necessità di lottare per i diritti delle persone. Cominciò a far parlare di sé quando, nell’estate del 1964, prese parte nel Sud al Freedom Summer project, organizzazione umanitaria del Mississippi che aiutava gli afroamericani a ottenere la possibilità di votare. Nel mese di luglio, mentre camminava lungo una strada di Jacksonville con un altro attivista e un amico afroamericano, fu aggredito da due bianchi. A differenza di altri attivisti per i diritti civili che erano anche stati uccisi, a Savio andò bene, perché se la cavò con qualche lividura e gli aggressori furono identificati e denunciati. Invece, non era andata affatto bene ad altri due attivisti che erano scomparsi il 21 giugno di quell’anno nel Mississippi e poi ritrovati morti. Il caso fece scalpore e ne nacque una famosa inchiesta, definita Mississippi burning, che scoprì che i due erano stati assassinati dal Ku Klux Klan. In effetti, in quel periodo gli elementi reazionari del Sud reagivano alle lotte per i diritti civili con una violenza brutale e la sorte tremenda dei due sarebbe potuta toccare anche a Savio e ai suoi amici. 15
Quando nell’autunno tornò a Berkeley con l’intenzione di raccogliere fondi per la lotta, fu il momento in cui scoprì che l’Università aveva vietato ogni forma di attività politica. Allora organizzò la rivolta studentesca nel campus per protestare contro la guerra in Vietnam e le autorità accademiche. La rivolta iniziò il primo ottobre 1964 quando un ex studente e amico di Savio, Jack Weinberg, fu arrestato dalla polizia perché lavorava per il Congresso per l’uguaglianza razziale. Quando lo fecero salire sull’auto della polizia, Savio si tolse le scarpe e salì sul tetto dell’auto pronunciando un appassionato discorso concluso con la frase “io vi chiedo di andarvene in silenzio e con dignità a casa”. Diventò così il leader del movimento Free Speech. E arrivò così quel momento del 2 dicembre in cui nella sede della Sproul Hall del campus pronunciò il suo più famoso discorso, quello della “Operation of the machine”, da cui siamo partiti. Fu pronunciato in piedi su una scalinata davanti a 4.000 persone. Il brano saliente fu quello in cui affermò che “C’è un tempo in cui il lavorio della macchina diventa così odioso , vi rende così scoraggiati, che non potete più parteciparvi. Non potete più partecipare passivamente. E dovete lanciare i vostri corpi sugli ingranaggi, sulle ruote, sulle leve, su tutto l’apparato, e lo dovete fermare. E dovete dire alla gente che la fa funzionare e a quella che ne è proprietaria che, fino a quando non sarete liberi, quella macchina non dovrà mai più funzionare”. Subito dopo il discorso di Savio, Joan Baez intonò il canto “we shall overcome” che sarebbe diventato il simbolo delle lotte degli anni ’60. Il discorso del 2 dicembre e il sit in davanti allo Sheraton di San Francisco dell’ottobre precedente da parte degli studenti convertiti alla politica dalle marce e dall’esempio degli afroamericani nel profondo Sud, furono il prodromo delle lotte studentesche che di lì a poco avrebbero infiammato le Università di tutti gli USA 16
contro la guerra in Vietnam, contro la violenza del Governo e le ineguaglianze della società americana. Mario Savio continuò la lotta ma ben presto se ne allontanò, vedendo il sempre maggiore scollamento tra la base studentesca e la politica. Nel 1967 fu condannato a 120 giorni di carcere in un penitenziario statale. Uscito dalla prigione, disse ai giornalisti che avrebbe continuato la sua attività di disobbedienza civile. Dopo aver scontato la condanna, lavorò come commesso in un supermercato di Berkeley e poi fu assunto come docente alla Sonoma State University. Intraprese un viaggio di studio in Gran Bretagna e prese una laurea in fisica nel 1984 e un master nel 1989. Dal 1990 fu docente di filosofia e preside della Sonoma State. Morì giovane nel 1996 per problemi cardiaci. Oggi, le scale dell’Università di Berkeley, dove pronunciò il suo discorso del 2 dicembre 1964, sono a lui intitolate.
17
Esteri
Libia, la guerra del petrolio e la farsa di Berlino Umberto DE GIOVANNANGELI
L’oro nero sommerge la Conferenza di Berlino. E ne svela il suo repentino fallimento. Perché, come più volte documentato da l’Unità laburista, quella in atto in Libia non è “solo” una guerra per procura, ma è, soprattutto la “guerra del petrolio”. Condotta dall’uomo forte della Cirenaica, il generale Khalifa Haftar che ha iniziato a strangolare l'industria petrolifera e quindi il governo di Tripoli. E la Francia che blocca una condanna dell'Europa e degli Usa del blocco dei terminal deciso da Haftar. Secondo fonti del Governo di accordo nazionale, guidato da Fayez la18
Sarraj, la Francia sta bloccando una dichiarazione di condanna di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania e Italia contro il blocco delle installazioni del petrolio deciso da Haftar alla vigilia del vertice di Berlino. "Questo è un atto di guerra gravissimo, di cui i governi europei capiscono perfettamente le conseguenze per il nostro paese", dice una fonte importante del Governo di Tripoli. "Ma ancora una volta la Francia blocca ogni condanna per sostenere il suo alleato Khalifa Haftar. Mentre è partito un assedio economico per strangolare la nostra popolazione". La Francia "sta bloccando l'emissione di una dichiarazione congiunta dei Paesi occidentali" per condannare la "chiusura di porti e campi petroliferi" imposta dal generale Kahlifa Haftar e per chiedere "di riaprirli immediatamente". La segnalazione arriva da Ashraf Shah, un esponente di spicco vicino all'esecutivo del premier Fayez alSarraj. "I Paesi emetteranno quindi dichiarazioni individuali sulla loro posizione", ha aggiunto su Twitter. La prima delle quali è made in Usa. “Le operazioni petrolifere in Libia "devono riprendere immediatamente". Lo afferma l'ambasciata americana. Prima, durante, e dopo la Conferenza di Berlino, Haftar non ha allentato la morsa sulla produzione e l'esportazione del petrolio libico, una forte arma negoziale nelle sue mani per far sentire il proprio peso. Dopo avere bloccato alla vigilia della conferenza i terminal petroliferi della Sirte, nel giorno del summit le sue forze hanno fatto interrompere la produzione del più grande campo petrolifero libico, quello di Sharara, e di quello di El Feel, gestito da Eni. Una milizia vicina ad Haftar ha bloccato l'oleodotto che trasporta il greggio dal giacimento alla raffineria di Zawiya, sulla costa del Mediterraneo. Sia i pozzi che la raffineria sono gestiti dalla "MOG", Mellitah Oil & Gas, la società in joint venture fra Noc e l'italiana Eni. Quindi di fatto sono stati bloccati i pozzi dell'Eni. “È probabile – rimarca Sissi Bellomo sul 19
Sole24Ore- he molti dei clienti lasciati a secco siano italiani. L’anno scorso il 12,1% delle nostre importazioni di greggio sono arrivate proprio dalla Libia, secondo l’Unione petrolifera (dati riferiti a gennaio-novembre 2019), volumi ancora importanti, benché ridotti rispetto a un tempo: durante il regime di Gheddafi, caduto nel 2011, Tripoli era responsabile di quasi un terzo delle nostre forniture”. Già l’altro sabato, la Noc era stata costretta a bloccare la produzione di petrolio in cinque terminal petroliferi dell'Est, anche in questo caso per ordini arrivati da milizie legate ad Haftar. “Non c’è dubbio che la chiusura dei pozzi nel Golfo di Sirte mostri che i sostenitori di Haftar nell’Est stiano alzando la voce e mostrando la forza per ricordare ai partecipanti a Berlino e alla comunità internazionale che le rimostranze che sono alla base del conflitto resistono e sono ancora irrisolte. Uno dei temi è che le rendite del petrolio che finiscono nella Banca Centrale di Tripoli vengano consegnate all’Est, in relazione al fatto che le forze militari che fanno capo al Libyan National Army di Haftar garantiscono il flusso del greggio, producendo dunque quelle entrate. La seconda richiesta, implicita in questo blocco, è quella di cambiare il capo della Banca Centrale» sdice a Francesca Mannocchi de L’Espresso, Claudia Gazzini, senior analyst per l’International Crisis Group. “Come sempre in Libia, si scrive guerra e si legge gas – rimarca Mannocchi, profonda conoscitrice della realtà libica , ed autrice d’importanti inchieste sulle rotte della morte nel Mediterraneo -. E’ stato così storicamente. Lo è con maggiore nettezza oggi. Parte della guerra di Libia si gioca sui pozzi e le raffinerie nel Paese, ma ormai una parte consistente si gioca nel Mediterraneo orientale. Zona di perforazione, e sede di progetti di gasdotti, zona in cui confluiscono ambizioni contrapposte. Il petrolio è un ricatto rivolto all’interno e un ricatto agli alleati esterni”. Il documento richiesto dal governo Sarraj agli Stati Uniti esprime la condanna per 20
il fatto che "la Noc sia stata obbligata a sospendere le operazioni in installazioni critiche in tutta la Libia, e chiede l'immediata riapertura degli impianti della Noc (...) Noi sosteniamo anche l'immediata interruzione di afflusso di forze straniere in Libia, ma non c'è nessuna giustificazione per questo attacco pericoloso contro l'economia libica. Noi chiediamo a tutte le parti di assicurare che la Noc possa adempiere al suo mandato a favore di tutti i cittadini e ricordiamo che la Noc è la sola compagnia petrolifera indipendente e legittima in Libia". Ma così non la pensa Haftar e neanche l’inquilino dell’Eliseo: "La Francia oltre a fare il lavoro per Haftar nella Ue, sta lavorando per attaccare la Banca Centrale e la Noc, vogliono inserirsi nei 30 miliari di dollari di lavori che l'industria petrolifera si sta preparando ad appaltare perché dopo 9 anni di guerra civile in un modo o nell'altro questi lavori, questi investimenti andranno avviati", rimarca una fonte governativa di TRipolo Sul blocco dell'export del greggio libico "dobbiamo evitare iniziative di questo genere, quindi dobbiamo fermare non solo azioni militari ma anche azioni come queste che possano mettere a repentaglio il recupero di risorse energetiche. Sono azioni che possono alterare il clima non meno delle opzioni militari, e io confido che anche su questo si possa ritrovare una piena convergenza tra tutti i Paesi", dice il premier Conte a Firenze, parlando con i giornalisti della decisione del generale Haftar di chiudere i pozzi di petrolio in Libia bloccando le esportazioni. Sul dossier Libia "il passaggio a Berlino di domenica è stato importante per ribadire l'unità della comunità internazionale pur nella divergenza di opinioni, perché è inutile nasconderlo. Ci sono diverse posture, diverse opinioni e diversi concreti atteggiamenti, ma ci siamo ritrovati tutti su alcuni punti essenziali. Innanzitutto dobbiamo perseguire il cessate il fuoco, dobbiamo far rispettare l'embargo per le armi" dice il premier. 21
A Berlino, i partecipanti alla Conferenza sulla Libia hanno partorito una Dichiarazione di 55 punti, tra i quali l’impegno a rispettare l’embargo di armi; embargo decretato dall’Onu nel 2011 e mai rispettato. E la storia si ripete. I due contendenti, rimarca in un documento report AnalisiDifesa, “continuano a ricevere armi e mezzi dai loro sponsor internazionali. Nell’ultima settimana l’LNA ha messo in servizio i veicolo da trasporto protetti Terrier LT-79 (nella foto sotto) realizzati dalla statunitense The Armoured Group (TAG) e consegnati nel dicembre 2019.La 106a brigata dell’LNA ne mostrò almeno otto in un video pubblicato il 9 dicembre di una parata della Special Operations Force. I veicoli erano armati di mitragliatrici leggere.TAG ha una grande attività nel settore dell’armatura di veicoli come Toyota Land Cruisers, Toyota Hilux e altri veicoli commerciali e dispone di stabilimenti produttivi a Detroit, negli Emirati Arabi Uniti, in Giordania e in Germania. Numerosi paesi stranieri hanno fornito veicoli blindati e altre attrezzature alla Libia, tra cui Egitto, Turchia e Emirati Arabi Uniti (Emirati Arabi Uniti). Dal 2014, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto hanno fornito all’LNA veicoli corazzati Panthera T6, Typhoon e Caiman, aerei da combattimento MiG-21 ed elicotteri da attacco Mi24/35P, aiutando l’LNA. Quanto a Sarraj, Le forze a lui fedeli hanno ottenuto dalla Turchia veicoli, armi e munizioni, compresi i veicoli protetti BMC Kirpi II e Vuran. Il 17 gennaio sono sbarcati a Tripoli sistemi antiaerei per rinforzare le difese dell’aeroporto Mitiga. Si tratterebbe, sempre secondo quanto si apprende, dei semoventi antiaerei Korkut armati di cannoni a tiro rapido da 35 millimetri, missili antiaerei Hawk XXI e veicoli dotati di contromisure elettroniche (Koral o Milkar3A3 secondo la Rivista Italiana Difesa). Le forze turche in Libia potrebbero contare a oggi circa 2mila unità incluso 350 membri delle forze speciali e oltre un migliaio di mercenari siriani che hanno già sofferto alcune perdite in battaglia”. E questo sarebbe il rispetto dell’embargo... "Nel Mediterraneo c'è la Nato che dà so22
stegno alla missione Sophia ma se l'Ue chiede un maggiore aiuto possiamo applicare l'embargo sulle armi in Libia", dice il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, alla commissione Affari esteri del Parlamento europeo. "Credo sia molto importante sottolineare la cooperazione fra l'Ue e la Nato, anche se siamo due organizzazioni diverse", ha precisato. Quanto all’Italia, vale quanto scritto da Eugenio Dacrema, Ispi associate research fellow: : “Dal Processo di Berlino esce in modo inoppugnabile la triste fotografia del ridimensionato ruolo italiano nella vicenda libica. Se con i negoziati Onu che avevano portato alla formazione del GNA l’Italia era riuscita e ritagliarsi un ruolo dominante nel processo politico, i tentennamenti mostrati dopo l’escalation militare voluta da Haftar e i suoi sponsor ne hanno deteriorato la posizione, in modo apparentemente irrimediabile. Da una parte, Al-Sarraj ha ormai trovato in Erdogan il suo alleato più importante, l’unico disposto a concedergli il supporto militare di cui ha bisogno. Dall’altra, se l’Italia dovesse decidere di spostare il proprio peso su Haftar si troverebbe a essere l’ultima di una lunga fila di sponsor – Emirati, Egitto, Francia e Russia – con cui il generale ha debiti ben più ingenti da ripagare”. Da pagare con l’oro nero. Con buona pace dell’Italia e del duo Conte&Di Maio, dilettanti allo sbaraglio sullo scenario internazionale. Mentre scriviamo, violenti scontri sono in corso tra le forze fedeli al governo del premier libico Fayez al Serraj e l'autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) nelle zone di Hadaba e Salah al-Din, a sud della capitale Tripoli. Lo riferiscono media locali vicini al generale Khalifa Haftar, capo dell'Lna. Confermando così che l’unica “diplomazia” che detta legge in Libia è quella delle armi. 23
Satira
Gran Bar Vares - Reloaded Antonella BUCCINI
“Sei un pirla” sbottò il Palestra. “Per…ché?” incespicò il Gino addentando un cannolo siciliano importato dal Gran Bar Vares. “Perché lo sei, punto. Possibile che in una missione così delicata tu….tu….” si arrese il Palestra senza concludere cacciando l’aria con la mano. “Io cosa? Continua, continua pure. Come se fosse facile cercare tra tanti...” E leccò un lembo di ricotta appiccicato al dito. “Ma dico io, dovevi citofonare e citofonare a quelli giusti no? E tu che fai?” argomentò il Palestra massaggiandosi il bicipite che tracimava dalla maglietta giro ma24
nica. “Ho citofonato ecco cosa ho fatto”. “Certo, come no!” ironizzò l’altro “Le mamme e i papà ci avevano segnalato quelli sospetti o no? Ci avevano detto che da quel portone passava sempre un tipo strano che tirava su col naso o no? Ci avevano detto che non era italiano, sicuramente, o no? E tu…?” “Io ho citofonato ad Allà, correttamente”. Rispose pronto il Gino. “E no testina! Tu hai citofonato ad Allà e Accà! Ecco cosa hai fatto” concluse compiaciuto il Palestra cogliendo sul fatto l’amico. “Certo, Allà ti sembra un cognome italiano? Arabo, no? E su Accà che hai da dire? È evidente” . Il Palestra stava perdendo la pazienza. Si levò con gesto rapido gli occhiali da sole a specchio, si sporse sul tavolino che lo separava dall’altro e bofonchiò “è un’associazione, ciaparat! C’era scritto perbene sul cartoncino: “Allà e Accà Associazione Napul’ a per’, cammina, rilassati e nun fa o’ prepotente”, capisci?! Allà e Accà! tra di loro terun significa di là e di qua! Napule a per’, Napoli a piedi. Ti è chiaro adesso?” sentenziò netto. “Si si, certo… ecco perché quando quel tizio mi ha risposto...” “Bè?”. “Io gli ho chiesto: “scusa tu spacci?” E lui dall’altra parte “cosa? cosa?”, fingeva di non capire. Io quindi mi sono incazzato e ho detto “poche chiacchiere tu spacci” e non era più una domanda. E lui sai come mi ha risposto? ha urlato “strunzzz!”. Ero perplesso”. “Perplesso un cazzo!...” “Quante storie!” si indispettì il Gino “si trattava di napoletani e quindi comunque ci avevo visto giusto”. Ma il Palestra non lo ascoltava più. Si era seduta, due tavo25
lini più avanti una biondina: minigonna, tacco 12, magliettina strizzata. Il Palestra inforcò gli occhiali, distese le gambe e trattenne il fiato per dare agio ai muscoli tartarugati di esprimersi. Il Gino che non si era accorto di nulla girò lo sguardo. “Be?” “La vedi la tusa, lì? Guardala bene perché fra un po’ la distruggo!!!” sibilò con un sorriso traverso rivolto alla ragazza. “Si magari!” lo punzecchiò il Gino “Ma secondo te se non voleva essere abbordata, si vestiva così? Adesso mi avvicino e la invito a casa mia a bere un mojito” decise il Palestra. “Hai ragione ci sta” concluse entusiasta il Gino “ e poi ormai si sa a casa tua fai quello che vuoi basta che non lo canti al festival di Sanremo”.
26
27
Testata online aperiodica Proprietà: Comitato per l’Unità Laburista, Strada Sesia 39 14100 Asti (AT) Direttore Responsabile: Aldo Avallone - Stampatore: www.issuu.com web: www.issuu.com/lunitalaburista - mail: lunitalaburista@gmail.com - Tel. +39.347.3612172 Palo Alto, CA (USA), 25 gennaio 2020 28