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Il Covid al lavoro

6Pandemia e Lavoro

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Il Covid al lavoro

Raffaele FLAMINIO

La pandemia ci strattona strascinandoci in mondo nuovo e sconosciuto. Un mondo del quale non capiamo la complessità, abituati, come siano stati per decenni, a soluzioni semplicistiche immediate e irriflessive.

In particolare il tunnel che ci troviamo a percorrere, nostro malgrado, ci imporrebbe riflessioni complesse e scelte ineludibili alle quali non possiamo abdicare sia come individui che, come componenti di un sistema complesso fatto di relazioni e interazione dove i comportamenti e le semplificazioni innescano reazioni a catena non sempre riscontrabili nel breve periodo. Il Covid 19 nella sua manifestazione pandemica, agisce come un parassita virale che colpisce, non solo la biologia umana, ma principalmente le fibre vive della società, i suoi contesti, i suoi riti quotidiani che sono fatti di due materie primarie: la Salute e il Lavoro. Salute e Lavoro sono dirette conseguenze l’una dell’altra. Se sto bene, posso compiere un numero di azioni tali da rendermi sereno perché c’è Salute; di conseguenza posso compiere senza eccessiva complicazione l’azione primaria del vivere sociale, ciò che mi fa sentire parte integrante di un organismo sociale complesso: Lavorare. Questi due elementi sono quelli minacciati da vicino dalla pandemia. Il dilemma dell’esistenza umana e la costruzione sociale, si sono sempre posti il problema di coniugare efficacemente i due elementi primari costituiti dalla Salute ed il Lavoro dimostrando in più epoche la stretta relazione vigente.

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Gli ordinamenti giuridici internazionali si sono dotati progressivamente di un corredo di regole e obblighi al fine di tutelare la salute dei cittadini e dei lavoratori. La Direttiva Europea n. 89/391 ("direttiva quadro" sulla SSL) obbliga tutti gli stati membri dell’ Unione Europea a recepire negli ordinamenti Nazionali le norme e gli obblighi che sanciscono la sacralità della salute dei cittadini Lavoratori saldando così, perfettamente, i due architravi dell’esistenza individuale e collettiva. Con questa Direttiva l’Unione Europea già nel 1989 individuava nella tutela della salute dei lavoratori l’elemento decisivo per la salute pubblica ed il possibile ristoro sul gravame nei bilanci degli stati membri. Le indagini condotte dagli studiosi scoprivano che, sempre più lavoratori si ammalavano di Lavoro e sul Lavoro, producendo per le casse sanitarie statali un peso enormemente lesivo, sia in termini finanziari che di dignità dei lavoratori stessi. D’altro canto le rivendicazioni salariali, la riduzione degli orari di lavoro, il riconoscimento dei diritti del lavoro, la rappresentanza, per gran parte del ventesimo secolo, detto “Il secolo breve” hanno rappresentato un orizzonte politico sociale da perseguire confermando, se possibile, ancora più marcatamente la stretta relazione tra salute e sicurezza. La coniugazione di questi due elementi, fornisce un reagente per le società complesse, come la nostra, che dovrebbero produrre investimenti: da cui trarre produttività, ricchezza e giusta redistribuzione di essa. Nel 1995 nasce il WTO (World Trade Organization) in Italiano “Organizzazione Mondiale del Commercio” che si prefigge il compito di stabilire regole uguali e condivise nell’ambito degli scambi commerciali internazionali, aderiscono all’iniziativa 164 paesi. Nello stesso decennio gli indici di borsa crescono vertiginosamente, in particolare quelli dell’e commerce, delle aziende tecnologiche e quelle delle infrastrutture telefoniche e reti trasmissione dati. I capitali circolano8

velocemente ed indisturbati cosi come le merci. Una sbornia colossale. Il lavoro, gli uomini e donne che ne fanno parte diventano un peso e costituiscono un effetto collaterale penoso ma, necessario per affrontare il cambiamento globale. Cambiamento all’insegna della distruzione sistematica delle risorse naturali,dello sfruttamento dei territori che innesca, visibilmente i cambiamenti climatici, le crisi demografiche dei Paesi così detti avanzati e le migrazioni di massa dai continenti più poveri e vulnerabili che intanto subiscono guerre regionali sempre più crudeli e cruente. Ciò produce la sconfitta dell’uomo e della politica, asservita agli oggetti che producono danaro per pochi, i quali costituiscono gruppi di pressione fortissimi che condizionano gli Stati negli indirizzi politici. I G7 e i G8 di quegli anni, sono costellati da imponenti manifestazione di dissenso che provocheranno molti morti e forti repressioni. Il contagio di quegli anni ha un virus: la PAURA . Quel sentimento innesca il ritiro e l’ineluttabilità del corso delle cose di cui bisogna solo prendere atto e accettare. Le ricette economiche proposte dagli Organismi Internazionali sono solo di carattere recessivo e punitivo, eliminare lo Stato sociale e privatizzare, il Mercato aggiusterà ogni cosa. Le prime pandemie moderne in quegli anni si palesano, compaiono: l’AIDS, Ebola, la febbre Suina, la Mucca Pazza, la Sars Cov1. Comincia la guerra dei brevetti tra le multinazionali del farmaco, sostenute da fondazioni“benefiche” e Paesi che sono assoggettati da Imprese che producono fatturati decine di volte superiori al Pil di molti Stati. Riprende sotto mentite spoglie il colonialismo dei ricchi che corrompe tutto. Il lavoro langue o è moribondo, fiorisce la panacea di tutti i mali: la Flessibilità. Ma solo per chi lavora. I Contratti Collettivi Nazionali non vengono rinnovati, si scambia lavoro con salute

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e sicurezza si precarizza decisamente il Lavoro sull’altare della Flessibilità. La cartina di tornasole di questa nuova idea di società è, come si è detto il “Mercato” in nome del quale si taglia la Sanità, il posto fisso, i mezzi di trasporto, la scuola, i salari, le pensioni. Spariscono le botteghe di prossimità, gli artigiani. I centri delle città diventano dimora delle grandi compagnie mercantili e sagre di a- peritivi e dopo cena. E’ una sfida senza precedenti trovare un ciabattino per risuolare un paio di tacchi. Ma tutto resta sotto traccia. Continuiamo a vivere e credere che questo sia il miglior mondo possibile, costruiamo inconsapevolmente muri e barriere difensive. Un click sullo smartphone o sul computer, crediamo, risolvano e assolvano la nostra coscienza, appaghino la nostra voglia di possesso compulsivo e bramoso per le merci. Il 2020 è l’Anno Maledetto. Tutto si inceppa, vengono meno le nostre “granitiche” certezze. Irrompe “L’Aguzzino Invisibile” dal nome in codice, Sars CoV2, per i più, Covid-19. Non guarda in faccia a nessuno. Divora, metabolizza e ricomincia. Gli ultimi numeri ci parlano di circa 50.000.000 di infetti e 1.239.000 morti nel mondo. Numeri da capogiro.

IL LAVORO.

Il lavoro già ferito a morte, è in terapia intensiva. Si chiude tutto. Ciò che è possibile lasciare aperto si lascia. Fioriscono le ipotesi, svaniscono molte certezze. Tranne quelle del lavoro a tutti i costi e, costi quel che costi. Da evitare sono: la prevenzione per la salute e la sicurezza di chi lavora, i limiti agli orari di lavoro, le tutele contrattuali, l’innovazione, il rinnovo dei contratti collettivi nazionali, le assunzioni. Insomma l’ossigeno per il

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Lavoro, serio, sicuro, tutelato e tutelante per tutti subordinati, parasubordinati, autonomi. La legislazione sociale in materia di lavoro è a maglie larghe, lascia una enorme discrezionalità a chi dà lavoro. I cambiamenti registrati in questi anni stravolgono l’idea stessa di lavoro. Le assunzioni per la maggior parte sono a chiamata, spessissimo richiedono la partita iva, camuffando in questo modo il lavoro dipendente senza tutele in lavoro autonomo. Anche nel lavoro pubblico e nelle grandi aziende private è preferito il contratto a tempo determinato rinnovabile e prorogabile, le decontribuzioni (oneri a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro per il conseguimento al diritto alla pensione) diventano uno strumento d’incentivazione per l’assunzione. Nelle grandi aziende i piani industriali stanno falcidiando l’occupazione impegnando severamente lo Stato con il pagamento di milioni di ore di cassa integrazione, con il risultato di produrre insicurezza e instabilità sociale. La vera novità è costituita dal fatto chi lavora non riesce a campare a far studiare i figli a curarsi. La formazione nelle aziende, pubbliche e private, non supporta adeguatamente le conoscenze e l’auspicabile conversione industriale promessa e proposta. Il paradigma di questa idea di lavoro emerge in questo nefasto periodo pandemico. Gli ospedali e gli operatori sanitari sono allo stremo delle forze e principalmente sono pochi. I salassi dei decenni precedenti a carico della Sanità, fondata sul mercantilismo e non sul diritto alla salute e al lavoro giustamente retribuito e tutelato, ci stanno dimostrando praticamente l’importanza del fattore umano e l’umanizzazione del lavoro. Purtroppo solo in questo momento ci rendiamo conto di cosa significhi la morte sui posti di lavoro. Le statistiche dei decessi sul Lavoro, stilate da Inail, Istat, dall’inizio dell’anno ne contano circa un migliaio e l’anno è ancora in corso; ma il nostro immaginario collettivo si focalizza sui cantieri edili e

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nella metallurgia. Il risveglio, traumatico, dal torpore civile e sociale ci ha catapultati in una realtà a cui non prestavamo attenzione. Questa pandemia sta colpendo tutti direttamente o indirettamente e ci induce ad aprire gli occhi su ciò che oggi significa lavorare e a quali rischi. Ora cominciamo a capire l’importanza di un’ orario di lavoro presidiato e congruo, di come sia importante il riposo per recuperare efficienza fisica e mentale. Di come la formazione sia un elemento determinante per affrontare la complessità delle nuove tecnologie, esse sono elementi neutri e i- nerti che hanno necessariamente bisogno del fattore umano che va dalla progettazione, all’assemblaggio, all’utilizzazione. La cronaca ci ha raccontato che centinaia di autorespiratori acquistati per fronteggiare l’assistenza ai nostri malati, siano rimasti inutilizzati e inerti perché le istruzioni riportate, erano in lingua tedesca. Ciò fa rabbrividire; evidenziando che il fattore umano non è relativo ed insignificante ma, la programmazione che scaturisce dalla conoscenza dei contesti e la manualità sono fattori che determinano la vita o la morte dell’individuo e del sociale. Il lavoro senza conoscenza diventa un fattore di arretratezza e il cardine della conoscenza è la buona istruzione. Le chiusure necessarie e dolorose, di tanta parte del mondo del Lavoro, come per gli operatori della sanità, ha coinvolto gli insegnanti e i docenti che per tanti anni sono stati mortificati e maltrattati dal falso concetto mercantilistico che produrrebbe efficienza e prosperità. L’istituzione scolastica decadente e fatiscente, oggi si regge sulla tenace e disperata resistenza di un corpo docenti che nel volgere di pochi mesi si è convertito ad una modalità completamente nuova e sconosciuta di didattica. Con grosso sforzo gli insegnati e particolarmente le insegnanti, hanno saputo coniugare didattica e cura degli studenti non mancando di assolvere ai doveri che i pesanti fardelli domestici le assegnano come la stragrande maggioranza delle nostre concittadine, che nonostante la loro strategica importanza sono state le prime a pagare, anche in questa spaventosa guerra di

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trincea che palesa un nemico tutt’altro che invisibile, implacabile e comunque onesto. Già onesto, perché in grado di farci capire, capitolo dopo capitolo quali siano le priorità di cui dobbiamo tenere conto. L’istruzione costituisce un investimento a lungo termine che necessità di programmazione e di una visione dinamica del futuro dei Paesi e delle generazioni future. La crisi dell’istruzione mostra molti nervi scoperti, in particolare nel nostro Paese. La crisi e la chiusura di questo comparto produttivo ma, non finanziario, ha mandato in crisi l’intero mondo del lavoro. La presenza dei figli, specialmente per i minori, nelle case, ha posto il grande interrogativo del lavoro in presenza in tutti i settori produttivi legati al terziario avanzato sia esso pubblico che privato. Milioni di genitori Lavoratori si stanno trovando di fronte a poche alternative. Dal cassetto polveroso della politica e del mondo imprenditoriale è stato tirato fuori il lavoro da casa, così detto “AGILE” o con l’onnipresente anglismo “Smart Working”. Sono anni che un emerito professore di sociologia del lavoro, il cui nome è Domenico De Masi, insiste e scrive sull’argomento. Per anni De Masi è stato considerato un velleitario visionario, nell’accezione negativa del termine. La tesi è estremamente semplice: la tecnologia accompagnata da regole certe ed efficaci consente il lavoro a distanza. La contrattazione collettiva nell’ambito del lavoro subordinato e parasubordinato deve regolamentare la prestazione di Lavoro, poggiando le sue fondamenta sulla dignità, la salute e la sicurezza di chi lavora. Purtroppo siamo solo all’inizio e colpevolmente in ritardo. I rischi che si registrano sono molteplici. Esistono seri indizi che molti “illuminati” predichino bene per poi razzolare male, ovvero trasformando questa nuova e utile modalità, “flessibile”, in cottimo e controllo a distanza violando i principi cardine della legislazione. L’utilizzo delle tecnologie, comporta la nuova alienazione, che nel secolo scorso Chaplin, nel film “Tempi moderni” bene rappresentò nella catena

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di montaggio. La nuova catena di montaggio è costituita dai nostri supporti informatici. Uno dei nuovi diritti che si manifestano è quello della disconnessione; per fare un esempio pratico, nel settore bancario questo nuovo emergente diritto ha trovato la sua dignità, prima negli accordi aziendali di secondo livello e poi nel rinnovato CCNL del 31 marzo 2015.A quanti dei nostri figli o addirittura a noi stessi dobbiamo imporre la disconnessione per evitare patologie complesse è subdole? E il lavoro perché dovrebbe esserne esente? L’assioma Salute è Lavoro è sempre presente e su questo occorre vigilare e fare attenzione. Il semplice click su una piattaforma informatica di delivery o di consegna di una qualsivoglia merce al nostro domicilio, che rischio comporta per chi compie questo lavoro? L’ individuo “Lavoratore” quali tutele possiede? Il Covid 19 ci pone di fronte a questa grande contraddizione. Mio figlio/a che cerca lavoro, o il mio vicino di casa che lo ha perso, se intraprendono questa nuova modalità di lavoro, apparentemente dipendente, salvo comprarsi una bicicletta, un ciclo motore, un cellulare idoneo a supportare gli applicativi che gestiscono gli ordini e la geolocalizzazione, quanto guadagneranno? Quale sarà la loro tutela rispetto agli infortuni sul lavoro? Quale salario avranno la possibilità di contrattare? Chi li rappresenta? Quali e di quante ferie godranno e se si ammalano chi pagherà la loro malattia? Avranno diritto al trattamento di fine rapporto, potranno richiedere un prestito in banca? Questi sono gli interrogativi, retorici, a cui bisogna dare una risposta urgente. Il modo giusto è farsi domande quando si clicca per ricevere un hamburger con patate fritte o un libro o un televisore. La tecnologia aiuta ma se lasciata libera genera nuove forme di schiavitù e d’invisibilità. Quando compriamo della frutta e della verdura, quanti di noi pensano ai campi e alle persone che vi lavorano? Per combattere questa “schiavitù” è stata promulgata

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la legge contro il Capolarato. Il Capolarato ripercorre la strada delle piantagioni di cotone degli Stati del Sud degli Usa ai tempi della secessione. Quanta pena quelle immagini descritte o viste hanno suscitato nei nostri cuori. Dietro ad ogni oggetto che acquistiamo e consumiamo c’è umanità che ha bisogno di tutele e protezione. Il Covid 19 sta evidenziando come il Lavoro è stato usato, valutato e sfruttato. Questo tempo ci impone riflessione e accortezza, ci impone regole, legalità, sorveglianza. Non è più tempo di semplificazioni e mal di pancia. Il Lavoro vuole dignità. Non c’è Lavoro utile e lavoro inutile. La pandemia ci dice che finanche le bistrattate pulizie sono importanti e utilissime. Quelle donne e quegli uomini che sempre sono stati al lavoro per assicurarci sui luoghi di lavoro igiene e sicurezza, meritano rispetto e dignità e non vi è nessuno che possa mortificarli o considerarli figli di un Dio minore. Cosi come per coloro che assistono a domicilio i nostri anziani e che, per la stragrande maggioranza, sono stranieri divenuti, loro malgrado, apolidi. Senza patria perché i modelli di “sviluppo forzoso” li hanno privati, anche, delle loro disgraziate terre. Un individuo che non appartiene a nulla ed è soggiogato da un suo simile è un essere inutile, spesso facile alle lusinghe dei furbi, dei lupi vestiti da agnelli. Il Covid 19, con la sua veemenza, sta fornendo utili consigli a tutto il genere umano. Il Lavoro, dunque, è l’antidoto giusto. Nel Lavoro i singoli si accomunano, traggono forza nell’unità. Le esperienze circolano e fanno fiorire le idee, le quali fanno bene alla pancia producendo “Pane e Companatico” e allo spirito perché superano le barriere generando volontà, rivendicando la dignità di essere una/o che conta e che consapevolmente accetta senza ricatti o falsi infingimenti.

LA RAPPRESENTANZA E LA TUTELA DEL LAVORO.

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Le Organizzazioni Sindacali più rappresentative degli interessi dei Cittadini Lavoratori nel marzo scorso, a pandemia dichiarata, sottoscrivono in data 14 marzo 2020 “Il protocollo condiviso delle misure per il contrasto della diffusione del virus Covid 19 negli ambienti di Lavoro” . Questo documento sottoscritto tra Governo, Sindacati e Associazioni dei datori di Lavoro, fornisce le linee guida e gli obblighi, a carico di tutti gli attori, “per la prosecuzione delle attività produttive solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano a- deguati livelli di protezione. La domanda nasce spontanea, direbbe il compianto scrittore Riccardo Pazzaglia. Era necessario sottoscrivere un protocollo? Non c’erano tutti i DPCM e le norme di sicurezza dettate dall’ OMS a garantire la sicurezza sanitaria e anticontagio sui luoghi di Lavoro? E’ evidente che ciò non risultava sufficiente. All’inizio della Pandemia nell’area geografica del Paese ritenuta, più avanzata è produttiva le persone che lavoravano si ammalavano, i contagi si moltiplicavano nei siti produttivi ad una velocità impressionante, i piazzali di stoccaggio delle merci e le piattaforme logistiche di arrivo e partenza degli approvvigionamenti erano ingombri di merci e di gente che le conduceva e chi le lavorava. Il lavoro a tutti i costi. Neanche troppo sottintesi i ricatti sull’occupazione. Le associazioni datoriali tuonavano contro le denuncie dei lavoratori che chiedevano tutele lavorative e sanitarie. La parola d’ordine lavorare, lavorare a qualsiasi costo e senza costi di prevenzione e sicurezza. Molte di quelle attività produttive erano e sono senza rappresentanze sindacali, infarcite di lavoratori a termine che pur di lavorare sopportavano ogni ribalderia e imposizione. Una realtà che interessa la gran parte del mondo del lavoro nel nostro Paese. I rapporti di forza che si innescano nell’ambito lavorativo, nonostante le leggi e gli accordi, sono tutti pendenti verso l’impresa. Pochi sono i soggetti virtuosi che affrontano la sfida globale con le idee, l’innovazione e gli investimenti

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ma, soprattutto considerando il fattore umano. Dunque quel protocollo in questa fase ha rappresentato un elemento che ha assunto forza di legge, imponendo a tutti le regole di una produzione sicura che tenesse conto di tutti gli interessi sul campo. Quello che è importate ricordare che il lavoro in sicurezza è regolamentato dal Testo Unico 81/08 e nonostante ciò, è stata necessaria una mobilitazione delle Organizzazioni Sindacali per richiamare il Governo e i Datori di Lavoro, pubblici e privati, al rispetto delle regole. In questo momento drammatico molti Contratti Collettivi Nazionali aspettano di essere rinnovati. La sottoscrizione di tali strumenti, consente di porre un argine a fughe in avanti. Impone un ripensamento generale di che cosa sia oggi il lavoro che si misura in un mercato globale. Gli orari di lavoro sono un elemento di cui il mondo produttivo si deve fare carico. Una loro razionale articolazione che, tenga presente complessivamente delle esigenze del trasporto pubblico, dei tempi di vita e di lavoro, delle esigenze di cura che donne e uomini sono chiamati ad assolvere in una società che è incrinata e rotta, che non lascia spazio ad altro se non al vivere per lavorare. La contrattazione dei salari e gli stipendi è un’importate cornice in cui è racchiusa l’essenza stessa del lavoro che contribuisce ad un ordinato e solidale sviluppo delle nazioni. Stiamo vedendo come tutte le filiere produttive merceologiche ma, principalmente quelle di produzione immateriale, sanità, terziario, istruzione, ricerca, reti trasmissione dati, finanziarie, siano importanti e debbano essere strutturate e costruite sull’efficienza e su un alto contenuto di etica e solidarietà. L’universalità del diritto alla Salute, al Lavoro, alla partecipazione sono contenuti nei suddetti concetti dai quali deriva la sicurezza della società e degli individui che la compongono. Il mercato libero, come fin’ora ci hanno voluto far credere, mostra crepe estremamente pericolose. Quasi tutti gli Stati del pianeta si sono impegnati a investire enormi quantità di denaro al fine di costituire una efficace rete di protezione per gli individui e non è pensabile che chi

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“presume” di comandare imponga poi un volere particolare e di casta. Il compito del sindacato è gravoso, va aguzzato l’ingegno. E’ necessaria una riflessione e un serio ascolto delle esigenze di chi lavora. Lo sforzo da compiere è quello di immaginare e programmare una visione medio lunga che contempli l’impatto delle nuove tecnologie, che seppur potrebbero corrispondere ad una versione più ecologica del mondo, se non governate efficacemente, comprometterebbero il rapporto con l’umanità. Il rapporto con i cittadini lavoratori è necessario. La vicinanza fisica che sin’ora è stata la chiave partecipativa e coinvolgente deve essere ripensata, la contingenza storica che l’emergenza sanitaria ci sta imponendo, mette a rischio la rappresentanza. Essa se coniugata con le nuove tecnologie invece salvaguarda e rinforza il diritto di partecipazione democratica dei lavoratori nell’interesse generale. Il lavoro a distanza deve prevedere un nuovo modello di comunicazione, impone nuove relazioni sindacali. Il diritto di assemblea, luogo ideale, nel quale scaturisce il confronto deve essere ridisegnato sulle piattaforme digitali che stanno inaugurando e sperimentando in questa epoca inedite modalità lavoro. Così come attraverso la disconnessione deve essere garantito il diritto di sciopero sancito dalla Costituzione. Tutto quello che si è previsto e garantito con anni di lotte e perseveranza, deve essere difeso innestato da nuovi paradigmi. L’auto referenzialità ha proposto troppo spesso riti inutili, la classe dirigente del Sindacato deve essere preparata e pronta a proporre, improntata su una strategia di lungo periodo, agile, come il lavoro a cogliere e incanalare il cambiamento. Alcuni passi in questa direzione si stanno compiendo, il Forum dal nome “Futura” organizzato dalla Cgil di Maurizio Landini a cui hanno partecipato i Segretari Generali di Cisl e Uil Furlan e Bombardieri con Bonomi della Confindustria ha palesato la distanza che esiste tra una visione conservativa e padronale del lavoro espressa dal presidente degli imprenditori e il sindacato che, promuove un modello avanzato di

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relazioni industriali, fondato sulla partecipazione dei lavoratori che conferiscono idee del lavoro mai asfittiche e minoritarie. La sperimentazione del lavoro a distanza, li dove sia possibile, costituisce una frontiera che va compresa e declinata correttamente. Il luogo di lavoro si trasferisce nelle mura domestiche, in postazioni mobili, o in altri luoghi che non sono ” tradizionali” ma, sono comunque Lavoro è pertanto, deve essere svolto con criteri che assicurino sicurezza e certezza di regole. I dati statistici raccolti indicano che la produttività aumenta, quindi maturano, qualora non fosse chiara a qualcuno, il senso di responsabilità e disciplina di chi lo esegue, senza che ci sia un capò a dettare i tempi o brandire una “frusta”. I pericoli che incombono su questa nuova modalità risiedono nell’orario di lavoro, nelle retribuzioni che facilmente possono trasformarsi in cottimo che è vietato, al controllo a distanza, alla sicurezza delle informazioni, alle pause, all’ergonometria delle postazioni di lavoro, al pagamento dei buoni pasto, agli incidenti in itinere e alle nuove malattie professionali. Questa nuova realtà se governata con prudenza e lungimiranza può offrire opportunità nuove che contemperino anche il resto della esigenze di un individuo.

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