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Il vaccino dei dati
Pandemia e Numeri
Il vaccino dei dati
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Antonio DINETTI
Corre l’anniversario del primo contagio mondiale di Covid19 e rispetto allo scorsoinverno la sensazione che viviamo è paradossale: i numeri ci dicono che stiamo
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messi peggio, perlomeno a diffusione del virus e a sovraccarico delle strutture o- spedaliere al netto dei potenziamenti effettuati in precedenza; la percezione che abbiamo della nostra vita è invece mutata. Siamo in overdose informativa, a prescindere dalla qualità e affidabilità dei messaggi che ci arrivano, ci sembra di saperne di più o almeno di poter gestire meglio di prima ogni singolo atto quotidiano e al tempo stesso ci rendiamo conto di non avere contezza della situazione generale per come la comunicazione istituzionale viene gestita. Calziamo meglio la mascherina per andare al supermercato, magari quel modello lì, più protettivo, e di sera ci propinano algoritmi e mappature territoriali che durano lo spazio di qualche giorno e mutano senza problemi dalla più blanda alla più grave delle situazioni e delle restrizioni. La ferita istituzionale aperta dal Covid nel rapporto tra Stato e Regioni si allarga sempre più, al punto che la conflittualità sfocia spesso in ricorsi agli Organi di Garanzia dello Stato.
Rispetto ai mesi iniziali dello sviluppo della pandemia di sicuro abbiamo incamerato l’esperienza dura della quarantena, del conforto stressante, (sembra un ossimoro ma non lo è), di sapersi chiudere tra le mura domestiche in attesa di notizie meno catastrofiche, ma qualcosa di nuovo si è insinuato nella nostra consapevolezza. Il senso di sfiducia in chi ci dovrebbe proteggere e nelle cose che ci ripete ossessivamente, la paura per i dissesti economici e le prime avvisaglie di una situazione sociale esplosiva. Buone notizie sembrano arrivare dal fronte vaccini, ma sappiamo perfettamente che dobbiamo passare eduardianamente la nottata, almeno il prossimo inverno.
In questa dura contingenza si insinua ormai ben chiara, emergenza nell’emergenza, la questione dei dati. Non c’è supporto alla decisione che valga senza dati affidabili, raccolti omogeneamente, puntuali e facilmente interrogabili. Non può esserci
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comunicazione efficace dell’Amministrazione Pubblica verso i cittadini senza disporre di una solida infrastruttura della conoscenza e dei migliori mezzi per renderla trasparente e condivisibile.
Siamo da un po' di anni nell’era degli Open data ma ci è stato impossibile comprendere il funzionamento dell’algoritmo predisposto per la zonizzazione territoriale, con buona pace dei famosi ventuno indicatori di cui graziosamente il Governo ci ha messo a conoscenza. Chi ci fa capire se e quanto debba prevalere nell’analisi generale un parametro su di un altro? Ogni brava analisi multicriteria prevede dei pesi ponderati, delle matrici di applicazione degli indicatori. E siamo sicuri che al Sud si possa assegnare lo stesso peso a criteri e indicatori validi per il resto del Paese? È sufficiente sapere che i criteri sono divisi in tre gruppi, “capacità di monitoraggio, capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione e trasmissibilità dei contagi e la tenuta dei servizi sanitari”? Se il più importante, l’Rt (il numero medio di persone contagiate per ogni persona contagiata), resta sotto 1,25 la regione può veramente rimanere gialla a prescindere dagli altri indicatori, o tale scelta rinuncia ad altri aspetti predittivi che raccomanderebbero una soluzione più cautelativa? I territori partono tutti dalla stessa linea di partenza?
Questi pesi e la loro applicazione andrebbero comunicati e condivisi, anche se è di tutta evidenza il risvolto politico che ne potrebbe scaturire, a maggior ragione in una stagione in cui le tornate elettorali sono state frequenti e tormentate. Tuttavia, se comprensibile è la cautela politica nell’attutire determinate condizioni di criticità ai blocchi di partenza, si può inserire poi nel processo valutativo la medesima criticità? Come fa una regione ad essere gialla se ha dimostrato in partenza di aver affanno, ad esempio, nei criteri di monitoraggio? La sensazione che il cittadino, anche il più indifeso dal punto di vista scientifico, ne ricava è di grande insicurezza,
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specie se l’algoritmo, alla luce dell’impostazione, disvela un ruolo più di supporto ex post che non di analisi di scenari. Già, qui risiede il problema.
Il Governo ha bisogno di andar per gradi e tappare i buchi per quanto possibile in una pragmatica e affannata mediazione tra danno alla salute e danno economico o ha il compito di valutare in anticipo e prevenire gli stessi dissesti? E il ruolo del tracciamento è saltato definitivamente con la app Immuni? Perché i dati massivi di colossi del web non vengono usati?
Sono tutte domande senza retorica, interrogativi concreti che si pongono da tempo epidemiologi, statistici, virologi, giornalisti esperti di media e certo sono materia di assillo per i nostri governanti, ai quali va riconosciuto d’ufficio di star affrontando un’emergenza epocale e globale.
Nelle more della stesura di queste note le Regioni hanno richiesto in sede di Conferenza istituzionale di ridurre a cinque gli indicatori oltre all’adozione di criteri di maggiore trasparenza:
- percentuale di tamponi positivi, (escludendo attività di screening e il «re-testing» degli stessi soggetti, per mese, compresi i test antigenici rapidi attualmente non conteggiati, abbassando in automatico la percentuale di positività);
- Rt calcolato sulla base della sorveglianza integrata dell’ Istituto Superiore della Sanità;
- tasso di occupazione dei posti letto totali di Terapia Intensiva; - tasso di occupazione dei posti letto totali per pazienti Covid;
- possibilità di garantire adeguate risorse per contact-tracing, isolamento e quarantena.
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Sembrerebbe, oltre che una ricetta politicamente meno indigesta, un’aspirazione all’univocità di scelte che possano aiutare un’opinione pubblica esasperata dai tira e molla normativi, comportamentali e socioeconomici dovuti a un profluvio mai visto prima di DPCM, a cadenza pressoché settimanale.
Il Governo e il Comitato tecnico scientifico non sembrano voler mollare e in fondo non va nascosto che un’analisi più raffinata in assoluto valga di più a gestire la complessità dei fenomeni; si parla di non ripetere gli errori di un’estate troppo disimpegnata e irresponsabile mentre sulla stampa si rincorrono i titoli dedicati al DPCM di Natale, tra tutti quello che dovrebbe scongiurare una terza drammatica fase emergenziale a inizio anno nuovo.
Un anno atteso con più desiderio del solito per l’avvento prossimo della profilassi di massa che potrà contare su diversi vaccini.
Resta però ancora senza progressi degni di nota il lavoro sul Vaccino dei Dati che dovrebbe essere, a differenza di quelli che immunizzano dal contagio, svolto in condivisione tra decisori e la comunità; servirebbe ad allargare conoscenza e responsabilizzazione, accogliendo i contributi di una platea più vasta di esperti e contribuendo ad aumentare la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni.
La crisi globale indotta dalla pandemia non sta aumentando dalle nostre parti la smartness politica e civica e i processi di E-democracy e questa forse è un’occasione che stiamo perdendo.
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