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USA La vittoria di una democrazia trattenuta

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Dear June

Dear June

USA

La vittoria di una democraziatrattenuta

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Rosanna Marina RUSSO

Non basta dire: siamo in democrazia per esserci. Non è la democrazia una incubatrice che ci accoglie e ci protegge affinché noi tutti si diventi forti, né si tratta di u- na entità astratta che vive nonostante noi. L’America, che molte volte abbiamo preso ad esempio per la sua forza democratica, ci ha dimostrato che gli smottamenti ci possono essere, che la guardia deve essere sempre alta, che gli uomini posseggono le idee e non il contrario.

Due date: 6 gennaio 2021 e 21 gennaio 2021. Come dire La fossa delle Marianne e

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L’Everest.

21 gennaio. Il passaggio della limousine di Joe Biden e della sua famiglia, in una Washington irreale chiusa da filo spinato e sbarramenti, tra circa 27.000 soldati e migliaia di bandierine scosse da un vento compassionevole, è silenzioso come silenziosa è stata l’uscita finale di scena di Trump che si è praticamente smaterializzato, scomparso nel suo Buen retiro in Florida, a West Palm Beach, dopo avere per settimane tambureggiato, chiamando a raccolta i suoi più sfrenati e violenti supporter, col piglio e la postura di chi un tempo, ahinoi, ha gridato”Italiani!” da un balcone romano, con un impeachment sulle spalle e l’accusa di aver istigato i fatti di Capitol Hill ed essere, quindi, colpevole di quelle morti.

Trump è andato via senza presenziare all’insediamento del suo successore, senza aver scritto la rituale lettera di consigli che attesta il passaggio del testimone da un presidente all’altro. Ma il “suo” posto non è più suo. Le telecamere inquadrano lo stesso colonnato, gli stessi corridoi di qualche settimana fa, quando un gruppo di trumpisti ha stuprato il Congresso. Il contenitore è lo stesso, eppure, cambiando il contenuto, tutto è diverso.

Un insediamento simbolicamente antitetico. Biden, infatti, sceglie la ritualità rassicurante per opporsi alla irritualità di Trump, si avvale della “buona retorica” per ripristinare quella fiducia che sembra compromessa tra il presidente e il suo popolo.

E così l’America volta pagina, anzi ritorna lì dove il discorso si era interrotto. E i passi e i momenti significativi della cerimonia spiegano più delle parole. Gli USA sono questi, sembra dichiarare il colore viola del vestito di Kamala Harris che fonde il rosso dei conservatori con il blu dei democratici, a indicare la riconciliazione, il dialogo tra le diverse anime di una nazione variegata e complessa e che, tuttavia, è forte proprio grazie alla sua complessità.

Kamala Harris, 49° vicepresidente, racchiude in sé “moltitudini”, come cantava Walt Whitman: donna, di colore, di madre indo-americana immigrata da Chennai e di padre giamaicano. Ma non è l’unica donna che rappresenta l’Idea che ha il nuovo presidente della società americana. Durante questo inusuale, ma sostanziale I- nauguration day sono protagoniste donne vincenti, speciali, ricche di talento a mostrare che vanno abbandonati tutti gli archetipi femminili che brillano di luce rifles-

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sa. Donne che rompono il silenzio inaspettato e impensabile con voci potenti, con ritmi incalzanti, con parole decise. Tra le altre Lady Gaga e il suo inno da brividi, Jennifer Lopez e il medley tra la canzone di protesta “This is your land” e il tradizionale “America the beautiful” e Amanda Gorman col suo canto poetico sincopato che lei accompagna col gesto come in una danza. Ed è Amanda con la sua poesia civile, come è nella tradizione anglosassone, che a un certo punto dice: “…Ma anche se la democrazia/può essere periodicamente trattenuta,/non potrà mai essere permanentemente sconfitta…”

Perché il punto è questo, il nervo scoperto è questo: la democrazia, ferita da una massa aggressiva e inferocita, indica che può essere violata, ricorda che non è qualcosa di scontato e che è estremamente fragile.

Chi avrebbe potuto immaginare l’assalto al Congresso degli Stati Uniti d’America, chi avrebbe potuto solo pensare che un Presidente americano, per quanto anomalo e sopra le righe, avesse potuto istigare alla lotta fratricida, alla guerra civile, all’attacco al tempio della democrazia. Quel 6 gennaio.

I segnali di una involuzione in Trump c’erano, ovviamente, ma forse non era stato soppesato fino in fondo il valore di quei gesti, di quelle parole e non era stato compreso appieno il senso delle sue scelte e di quanto potessero incidere su quella parte di popolazione bianca, razzista e conservatrice.

Biden giura, dunque, di garantire le libertà di tutti e il rispetto per tutti e parla sorprendentemente di amore. Promette di discernere tra il bene e il male e ricorda le parole di Papa Francesco sulla possibilità di partire dai sogni. E così evoca l’immutata narrazione americana.

Il 46° presidente volta pagina e cerca di ricucire gli strappi tra la gente e le istituzioni, tra lo Stato e il mondo. E da subito prova ad essere convincente con gesti significativi. Firma, a poche ore dal giuramento, alcuni provvedimenti immediati, tesi ad affrontare in maniera decisa l’emergenza causata dal coronavirus e a cancellare determinazioni oggettivamente scellerate e politicamente isolazioniste e inizia a smantellare le decisioni prese dall’amministrazione Trump. Sono 17 ordini esecutivi con i quali crea un Coordinatore per l’organizzazione e la distribuzione dei vaccini e indica il dottor Fauci come capo della delegazione nazionale, ritira l’uscita dall’OMS, reintegra gli Stati Uniti negli accordi sul clima di Parigi, ferma la co-

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struzione del muro con il Messico, rafforza il programma a favore degli immigrati, revoca l’ordine di limitazione dei corsi miranti alla inclusione delle diversità, rafforza una legge del 1964 contro la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere, estende la sospensione degli sfratti, sospende il pagamento del debito universitario fino al prossimo settembre e stabilisce delle vere e proprie regole etiche riguardanti il suo staff per “riguadagnare e conservare la fiducia nel governo”.

In definitiva mostra la sua visione, perché talvolta c’è chi ha una visione, sull’ambiente, sull’economia, sulle politiche sociali e sanitarie. Per questo detta le linee guida all’interno delle quali la sua amministrazione dovrà e potrà muoversi e attorno alle quali gli Stati Uniti continueranno a nutrire i valori fondanti la società americana: inclusione, libertà individuali, giustizia giusta, rispetto della persona. Ma ciò che Biden ha cominciato a fare immediatamente con quel passaggio, con quel giuramento, con quel discorso è un’azione pedagogica per rieducare gli americani ad una democrazia non illimitata o debordante verso quella anomalia che fa leva sull’insicurezza degli individui. Una degenerazione che trascina verso forme diverse di rappresentanza e di mobilitazione e verso un decisionismo popolare e- spresso anche con la forza e che se si fonde con il sovranismo, riesce a spingere gli individui alla comunanza irrazionale del branco.

È delicata la democrazia, accetta gli urti che riconosce, contro cui è preparata a lottare e, a volte, non si accorge che la faglia si sta allargando, che le scosse possono far crollare anche gli edifici più solidi e che la malattia può essere prodotta dalle sue cellule impazzite.

Biden ha iniziato a estirpare le erbacce dal campo, le idee fasulle, le convinzioni abominevoli ammantate di buonsenso, ricoperte come confetti avvelenati; sta cancellando il populismo come stile politico e affrancando le esigenze e le richieste del popolo.

È Biden, quindi, colui che curerà tutte le ferite inferte da Trump? Parrebbe di sì, ma anche lui deve essere guardingo se vuole davvero che il 21 gennaio sia ricordato, come lui stesso ha detto, “il giorno della democrazia”, perché è difficilissimo, soprattutto in questo momento di crisi sanitaria mondiale, non cedere alla tentazione di difendere solo “i propri” e quindi alzare il ponte levatoio e riempire il fossa-

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to . Qui si parrà la sua nobilitade, qui si capirà se le sue azioni non camminano sul viottolo della legittimità, ma corrono scevre da egoismi nazionalistici e se la democrazia americana è finalmente convalescente.

Amanda Gorman percuote l’aria e le coscienze e rammenta a tutti che” …norme e nozioni di cosa è giusto non sono sempre giustizia”.

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