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USA L’elezione presidenziale USA più contrastata e contestata di sempre

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L’elezione presidenziale USA piùcontrastata e contestata di sempre

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Giovan Giuseppe MENNELLA

Martedì 7 novembre 1876 si svolse la 23esima elezione quadriennale per la nomina del Presidente degli Stati Uniti. Si sarebbe rivelata la più contrastata di sempre, fonte di contenziosi civili e politici come mai prima e dopo, e uno degli snodi più importanti della storia dell’ancora giovane nazione nordamericana. Molto più contestata dell’ultima del 2020 tra Biden e Trump e di quella del 2000 tra Bush junior e Al Gore. Sarebbe passata alla storia come l’evento decisivo che pose fine alla cosiddetta Era della Ricostruzione, cioè al lungo dopoguerra della Guerra Civile, iniziato nel 1865, che aveva visto l’occupazione militare degli sconfitti Stati sudisti e il tentativo del Partito Repubblicano, abolizionista della schiavitù, di assicurare agli ex schiavi afroamericani liberati un’effettiva parità di diritti civili e politici con i bianchi del Sud. Durante gli anni della Ricostruzione il Partito Repubblicano, nettamente prevalente nel Nord ma minoritario nel Sud tradizionalmente democratico, utilizzò la presen-

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za delle truppe di occupazione per promuovere a candidati nelle Assemblee legislative degli Stati sudisti gli esponenti repubblicani venuti dal Nord e gli ex schiavi, liberati dal XIII emendamento della Costituzione. A questi ultimi andava assicurato l’effettivo esercizio dei diritti civili e politico-elettorali assicurati dal XIV e XV e- mendamento. L’obiettivo era quello di promuovere un autentico e repentino cambiamento della struttura sociale, politica ed economica del vecchio Sud, fino ad allora ancorato alla tradizionale egemonia politico-economica della classe dominante bianca, fedele al Partito Democratico. L’elezione presidenziale del novembre 1876 si svolse durante un periodo di crisi sia economica che politica, causata dagli scandali finanziari e dalla recessione economica, prodottisi in seguito alla fallimentare esperienza dei due mandati consecutivi, dal 1868 al 1876, del Presidente repubblicano Ulysses S. Grant, il generale u- nionista vincitore della Guerra Civile. Il Partito Repubblicano aveva chiesto a Grant di ripresentarsi per un terzo mandato, ma il Congresso espresse a netta maggioranza l’auspicio che non venisse infranta la prassi materiale, ancorché non costituzionalizzata, che un Presidente non potesse svolgere tre mandati consecutivi, in accordo alla condotta tenuta dal Padre della Patria, George Washington, che si era rifiutato di concorrere a un terzo mandato per evitare nel presente e nel futuro ogni tentazione dittatoriale. La Convention del Partito Repubblicano non espresse un candidato maggioritario e la nomination fu effettuata in seguito a un compromesso politico che designò il Governatore dell’Ohio Rutherford B. Hayes. La Convention del Partito Democratico nominò a grande maggioranza il Governatore dello Stato di New York Samuel Tilden. Nelle elezioni del 7 novembre 1876 Tilden superò quasi certamente Hayes nel numero dei voti popolari, ma ciò non fu sufficiente per essere eletto, in quanto, come è noto, l’elezione presidenziale americana è indiretta, cioè avviene per Stati, essendo lo Stato americano uno Stato federale. Il candidato che ha la maggioranza del voto popolare in uno Stato, anche per un solo voto, si assicura la totalità dei Rappresentanti di quello Stato, detti anche Grandi Elettori, che dovranno comporre il Collegio elettorale. Sarà quest’ultimo che dovrà procedere, in modo indiretto, all’elezione formale del Presidente. Questo meccanismo, se ha assicurato la tutela della natura federale della compagine statale statunitense, non sempre ha consentito al candidato che avesse ottenuto più voti popolari di essere eletto Presidente. Vi-

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ceversa, ha dato adito alcune volte a contestazioni sulla validità del risultato negli Stati dove il margine tra i candidati fosse strettissimo e per pochissimi voti un candidato si assicurava la totalità dei Rappresentanti, alias Grandi Elettori, di quello Stato nel Collegio elettorale del Presidente Questo fu il caso dell’elezione del 1876. I Rappresentanti degli Stati in cui non ci furono contestazioni sul voto popolare ammontarono a 184 per Tilden e 165 per Hayes. La maggioranza richiesta dei rappresentanti nel Collegio elettorale era però di 185. La ragione per cui nessuno dei candidati raggiunse subito la maggioranza di 185 Grandi Elettori fu che il Partito Democratico contestò l’assegnazione a Hayes dei rimanenti 20 voti elettorali, provenienti da 3 Stati, Florida, Lousiana e Carolina del Nord, in cui il margine tra i due candidati era strettissimo ed erano anche gli ultimi del Sud in cui vigeva l’occupazione militare delle truppe federali unioniste, nonché da un quarto Stato, l’Oregon, in cui era stato sostituito un Grande Elettore, rivelatosi illegale. In caso di assegnazione a Hayes dei Grandi Elettori dei 4 Stati in contestazione, il risultato sarebbe stato di 185 per Hayes e 184 per Tilden e quindi sarebbe stato e- letto Presidente il repubblicano Hayes, con il margine di voti elettorali più stretto di sempre. Tra contestazioni reciproche e ricorsi del Partito Democratico sull’assegnazione dei Grandi Elettori nei 4 Stati in bilico, si giunse all’anno 1877. Solo allora, dopo mesi dalla tornata elettorale, i due Partiti decisero di giungere a un compromesso politico, per evitare che, alla scadenza del mandato di Grant, il Paese si ritrovasse senza un Presidente eletto. Il Compromesso del 1877, un accordo politico informale, stabilì l’assegnazione a Hayes di tutti i 20 voti elettorali contestati, sancendone l’elezione a Presidente. In cambio, fu accolto l’invito del Partito Democratico, più radicato nel Sud, a ritirare definitivamente dagli Stati meridionali le truppe federali di occupazione. I Democratici del Sud ottennero il risultato di porre fine all’Era della Ricostruzione, nella quale i Repubblicani radicali e abolizionisti avevano effettuato nel Sud il più serio tentativo di conferire effettività all’esercizio dei diritti costituzionali degli ex schiavi afroamericani liberati dal XIII emendamento. I Repubblicani radicali identificavano nei Democratici il nerbo delle forze che avevano portato alla Secessione. Infatti, secondo loro, non tutti i Democratici erano ribelli, ma tutti i ribelli erano De-

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mocratici Il Compromesso successivo allo stallo delle elezioni del 1876 si rivelò uno snodo decisivo della storia degli Stati Uniti per un lungo periodo a venire. I bianchi del Sud già negli anni dell’occupazione militare erano ricorsi a ogni forma di intimidazione, anche violenta, per impedire ai neri e ai repubblicani giunti dal Nord di avere posizioni di governo e di potere. Non solo la possibilità di votare e di essere e- letti nelle assemblee politiche locali, ma anche la semplice fruizione dei diritti più elementari assicurati dal XIV e XV emendamento della Costituzione, come acquistare e detenere beni e svolgere mestieri e professioni in concorrenza con i bianchi. Dopo il compromesso del 1877 e il ritiro delle truppe federali e dei rappresentanti politici del Partito Repubblicano non ci fu più nel Sud alcuna autorità politicomilitare che impedisse ai bianchi revanscisti di perpetuare il dominio de facto, anche se non più di diritto, sugli ex schiavi. Il problema puramente razziale non era la principale causa della violenza e delle vessazioni, ne costituiva piuttosto il principale pretesto, falsamente basato sulle antiche e onorevoli tradizioni di quella società. Ovviamente, i bianchi, sia le classi e- levate che il popolo minuto del Sud, mal tolleravano di spartire ricchezze, professioni, proprietà, potere e prestigio con masse di afroamericani che fino a pochi anni prima erano stati i loro schiavi, né tolleravano che fossero eletti a loro rappresentanti politici nelle assemblee legislative i repubblicani calati dal Nord, che definivano spregiativamente “Carpetbaggers”, da una borsa da viaggio di tela con disegni variopinti che si portavano dietro. I Carpetbaggers erano accomunati nel disprezzo dei sudisti ai Freedmen, gli schiavi liberati, e agli Scalawags, i bianchi del Sud che appoggiavano il Partito Repubblicano e la Ricostruzione. Fu diffusa ad arte nel popolo dei bianchi la convinzione che in casa loro erano i neri a cancellare i loro diritti, a umiliare le loro vite, a violentare le loro donne, che erano i Carpetbaggers a occupare con l’inganno e la forza i più importanti incarichi politici e a usurpare le più lucrose attività e proprietà dei bianchi autoctoni. Il principale braccio armato dei bianchi del Sud per ottenere questa sorta di vendetta contro i cattivi nordisti vincitori della guerra e gli ex schiavi ignoranti e violenti, fu il Ku Klux Klan, un’organizzazione segreta, formata per lo più da reduci confederati, piena di riti misteriosi, di componenti che giravano incappucciati per terrorizzare i negri superstiziosi in modo da farli fuggire dal paese o linciarli se non

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sgombravano spontaneamente. Capo del Ku Klux Klan fu nominato Nathan Bedford Forrest, uno tra i più leggendari generali della Confederazione, ex mercante di schiavi, temutissimo dagli Unionisti per le sue velocissime e micidiali incursioni di cavalleria dietro le linee nemiche. Forrest non era propriamente un sanguinario, ma, orgoglioso come tutti i meridionali, credette anche lui nella necessità di tenere al loro posto, cioè nella povertà e nella marginalità, gli ex schiavi, se necessario anche con i linciaggi. Il fatto è che le violenze contro gli afroamericani erano iniziate quasi subito dopo la fine della guerra, e le stesse truppe di occupazione duravano sempre fatica a contenerle. Figurarsi quale divenne nel Sud il quadro della situazione dopo il Compromesso del 1877, la concessione della Presidenza a Rutherford Hayes, il ritiro delle ultime truppe federali e la rinuncia definitiva del Nord a modificare la struttura sociale ed economica del vecchio Sud. Dal 1877 in poi, come indiretta conseguenza anche del compromesso sulla contrastata elezione di Rutherford, la situazione nel Sud degli afroamericani fu destinata a rimanere invariata, anzi a peggiorare, con l’impossibilità di esercitare i più elementari diritti, con il rischio di essere linciati per un nonnulla, tenuti con la forza e l’intimidazione nella povertà e nella marginalità. Questo stato di cose si sarebbe protratto per quasi un secolo, almeno fino alle lotte per l’emancipazione degli anni ’50 e 60 del ‘900 e alla legge federale sui diritti civili del 1964 che dichiarò illegali su tutto il territorio nazionale le disparità di registrazione nelle elezioni e la segregazione razziale nelle scuole, nonché nei concorsi per scuole, alloggi e assunzioni. Per lunghi decenni il voto dei neri nel Sud è stato impedito con i più strani pretesti; infatti per poter votare dovevano superare esami di ammissione davanti alle autorità bianche della Contea, nei quali le domande erano le più pretestuose, come indovinare quanti granelli di sabbia fossero contenuti in un barattolo o quante penne a- vesse una gallina. Anche oggi non è che le condizioni del popolo afroamericano siano splendide, soprattutto al tempo del revival dei bianchi suprematisti che vorrebbero riappropriarsi dell’America di una volta, cioè quella che reprimeva e talvolta sterminava le minoranze e i gruppi che non si adeguavano ai metodi e allo stile di vita delle classi dominanti Tutto il periodo storico successivo a quella elezione del 1876 e al compromesso del 1877 vide un rafforzamento del mito del vecchio e cavalleresco Sud, dei suoi gen-

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tiluomini, della vita illuminata e splendida che vi si conduceva al tempo della schiavitù. Mito appunto, cioè una non verità che si può creare ad arte quando una compagine sociale e politica non esiste più e quindi non può essere più giudicata per atti e comportamenti concreti adottati qui ed ora, ma solo per quello che aveva prodotto nel passato, che non esisteva più e poteva essere abbellito a piacimento. Perché, se la Storia la fanno i vincitori, è invece molto probabile che la letteratura, e nel XX secolo anche il cinema, sono più appannaggio degli sconfitti e dei nostalgici. Infatti, è stato osservato che, nel periodo che va dallo scorcio del XIX Secolo a quasi tutta la prima metà del XX, negli USA su 100 romanzi di carattere storicosociale, più di 80 fossero scritti da autori di tradizione sudista bianca. Tra molti altri, Thomas Nelson Page, appartenente a una famiglia di piantatori della Virginia, ambasciatore degli USA in Italia durante la Grande Guerra, amico personale di Nitti, con il suo romanzo Red Rock del 1898 ambientato proprio nell’Era della Ricostruzione. Tra molti altri scrissero testi in questo senso Wodroow Wilson futuro Presidente e Margaret Mitchell, con il suo Via col vento, famosissimo anche per la versione cinematografica. I numerosi scrittori e romanzieri accreditarono la visione di un Sud da leggenda, mai esistito nella realtà, in cui gli schiavi vivevano benissimo e amavano i loro padroni, fiorivano le arti e le belle lettere, le donne erano tutte belle e romantiche, gli uomini tutti gentiluomini e cavalieri antichi. La bella favola doveva continuare anche nel XX secolo nel Cinema. Il grande regista David Wark Griffith nel suo Nascita di una Nazione, una pietra miliare della settima arte, considerò, in buona fede, positivo e inevitabile il ruolo del Ku Klux Klan, salvo poi ricredersi in anni successivi. Anche in moltissimi western, su tutti quelli di John Ford, i protagonisti più eroici, coraggiosi e romantici erano i reduci confederati. E si continuò anche con l’erezione, negli anni tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, di moltissime statue dedicate ai generali eroi della Confederazione. Le stesse statue che oggi i dimostranti progressisti hanno preso l’abitudine di tentare di distruggere. Non a caso, anche le statue, come la letteratura e il cinema, furono prodotte non subito dopo la fine della Guerra, ma decenni dopo, con il preciso scopo di accreditare il mito della superiorità e dell’eroismo del Sud. In periodi di rivendicazioni sociali, circondare le classi dominanti di un’aura di positività, di splendore, di amore di pa-

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tria può essere utile per tenere sotto il tallone di ferro i gruppi che non si rassegnano alla marginalità, soprattutto gli afroamericani che, per ovvie ragioni storiche, risiedono in maggioranza nel Sud. Ma anche tutti i poveri, i migranti, gli esclusi dal benessere e dal sogno americano di tutte le tendenze ed estrazioni, schiacciati dalla ruota di una società molto ingiusta, come aveva capito Martin Luther King negli ultimi anni della sua vita, nei quali stava spostando la lotta dai diritti civili degli afroamericani ai diritti sociali ed economici di tutte le categorie di diseredati e di poveri, del Sud come del Nord: aveva compreso che la Guerra del Vietnam e gli interessi dell’apparato militare-industriale stavano per aggravare ulteriormente le disuguaglianze insite nella società statunitense. Questa onda lunga della storia, che doveva durare quasi 100 anni, e non è ancora esaurita, ebbe inizio in parte dalla contestata elezione presidenziale del 1876 e dal conseguente compromesso del 1877.

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