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Una fondazione non ci salverà! (come comitati e think tank sono ormai diventati i veri laboratori politici al posto dei partiti)

Politica

Una fondazione non ci salverà!(come comitati e think tank sonoormai diventati i veri laboratori politicial posto dei partiti)

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Giovanni AIELLO

Nell’ottimo film del regista Andrea Molaioli “Il gioiellino”, che ricalca le vicendedel crac Parmalat avvenuto nel 2003, c’è un momento in cui un senatore(interpretato dall’attore Renato Carpentieri), rivolgendosi al capitano d’industria

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che si trova in perenne crisi di liquidità (Remo Girone), spiega che “per stare nella serie A del capitalismo bisogna giocare a tre punte: un giornale, una squadra di calcio e una banca". Ma qQQQQuesta citazione, che sembra appartenere ad una lontana era Berlusconiana, si rivela invece d’attualità non appena sostituiamo un elemento di quel tridente, ovvero la “squadra di calcio”, e ne inseriamo uno nuovo, “la fondazione”, così ritrovandoci catapultati d’un tratto nella politica di oggi.

La legge “spazzacorrotti”

Abbiamo dunque il trio formato da giornale, fondazione e banca. Anche i partiti infatti, proprio come le grandi imprese, hanno normalmente un editore e un istituto di credito cui fare riferimento (ricordiamo tutti ad esempio la gaffe storica di Piero Fassino ‘abbiamo una banca’ a proposito del piano Unipol-Bnl, mentre è di questi giorni l’intreccio riguardo la possibile fusione fra Unicredit e Monte dei Paschi). Ma non basta. E visto che la proprietà delle squadre di calcio è oramai cosa da lasciare ai capitali stranieri o ai nuovi furbetti del pallone (quanto ci mancano i “Gaucci” di una volta), ecco spiegata l’esigenza di una terza struttura di appoggio, la fondazione appunto, che travestita normalmente (ed opportunamente) da ente culturale, permetta agli “influencer” della politica di presenziare sempre e comunque agli appuntamenti che contano, scovare giovani rampolli di adeguato pedigree, allargare lo spettro delle nuove relazioni e, principalmente, raccogliere le numerose donazioni che arrivano dagli operatori del territorio.

Ma per impedire che le fondazioni, sempre più numerose, si trasformassero in breve tempo nello strumento ideale per fiancheggiare e soprattutto per finanziare illecitamente i partiti politici, è arrivata la legge anticorruzione del 9 gennaio 2019, la cosiddetta “spazzacorrotti”, promossa dal grillino Bonafede in qualità di ministro di Grazia e Giustizia. Questa legge, che ha toccato tanti temi (e che in alcuni suoi

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profili è stata poi ritenuta incostituzionale) è comunque nata con l’obiettivo di prevenire i reati contro la pubblica amministrazione e mantiene ovviamente ampi spazi di efficacia. Riguardo fondazioni, associazioni e comitati, la legge dice infatti che se nei loro organi di direzione e gestione è presente almeno 1/3 dei soggetti che contemporaneamente riveste incarichi politici, scatta l’obbligo di pubblicare sia il rendiconto che la lista dei donatori, di fatto equiparando la disciplina di queste realtà a quella prevista per i partiti.

Le fondazioni in Italia

Il livello di trasparenza raggiunto in concreto è però estremamente variabile. Le fondazioni e le associazioni infatti, anche quando dovrebbero, non sempre pubblicano sui loro siti le informazioni richieste, e non mancano le scappatoie per via di alcune lacune del testo normativo. Emblematico in questo senso è il caso dell’associazione Rousseau (la terza più ricca in Italia), che, nel rendere noti importi e donatori, omette poi di indicare qualsiasi dettaglio sulle modalità di impiego dei fondi raccolti, tanto che gli stessi militanti non ne conoscono la destinazione. La legge in realtà non richiede queste specificazioni, anche se nel caso dei grillini i soldi non vengono solo da privati, ma in buona parte anche dalle casse dello stato, attraverso l’autotassazione degli stipendi pubblici di parlamentari e consiglieri regionali del Movimento 5 stelle, che “da contratto” non possono sottrarsi a meno di essere espulsi.

Parlando invece di numeri, e rifacendosi a quanto emerso dal report 2020 “Cogito ergo sum” pubblicato da Openpolis, la galassia composta da think tank, fondazioni e associazioni politiche, è davvero frastagliata e difficile da inquadrare in modo coerente. Emergono però alcune tendenze inequivocabili. Prima di tutto, fra le circa 150 organizzazioni analizzate, quasi la metà di queste si è costituita negli ultimi

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dieci anni, a riprova di quanto sia forte la transizione degli interessi dai luoghi tradizionali del potere verso queste nuove formazioni (per dare un’idea, prima degli anni 80 se ne erano costituite soltanto otto).

In secondo luogo, risulta chiaro che, a dispetto del numero di associazioni, anche oggi non elevato in assoluto, la loro influenza è estremamente diffusa e pervasiva. È evidente infatti il legame con la politica (sono un centinaio i parlamentari che hanno incarichi in queste organizzazioni), ma anche la trasversalità di questo “universo fondazioni” italiano, che dialoga costantemente con gli altri settori strategici, come le grandi realtà dell’impresa e dell’amministrazione, e naturalmente con gli altri network europei ed internazionali, coinvolgendo nelle sue attività complessivamente più di 3mila persone.

Infine, colpisce l’ampia differenziazione, visto che oltre alle tante associazioni politiche espressioni di ciascuna area, non mancano quelle che si occupano di formazione e ricerca (come ad esempio Gimbe o la stessa Openpolis), o anche di policy making, ossia di supporto e di pressione riguardo temi specifici non riconducibili necessariamente a posizioni ideologicamente consolidate.

Le aree

Circa il 30% di queste realtà sono riconducibili al centrosinistra, un 20% al centrodestra e una fetta più o meno equivalente può considerarsi bipartsan. Rimangono poi le altre aree di riferimento con percentuali minori, e naturalmente il Movimento 5 stelle, che come abbiamo visto fa affidamento su una struttura completamente diversa, basata su una sua piattaforma e sulle associazioni affiliate, e che lo pone sostanzialmente al di fuori dello spettro tradizionale. Giusto per fari dei nomi, tra i think tank più noti nell’area di centrosinistra c’è sicuramente Italianieuropei di Massimo D’Alema, del quale fanno parte, ad esempio, Zingaretti e il ministro della37

salute Speranza, al quale si aggiunge una realtà per certi versi emergente come Merita Meridione - Italia, fondata dall’economista e ministro nel governo Gentiloni, Claudio De Vincenti. Senza dimenticare Fondazione Gramsci e Nuova Economia e nuova società di Bersani e Visco. Nel centrodestra tra le realtà attualmente più ramificate ci sono ad esempio Magna Carta di Quagliariello e Iustus di Tremonti, mentre uno dei nomi più presenti in questo network in crescita è quello di Giovanni Tria, ex ministro dell’economia nel primo governo Conte. E ciò soltanto per dare un’idea di quanto possano essere fitte, inattese ed importanti le interrelazioni di cui stiamo parlando.

Prova ulteriore ne siano le associazioni cosiddette panpartisan, come l’Aspen Institute (uno degli istituti dal bilancio più alto in Italia, circa sei milioni, secondo solo a quello della Fondazione Mattei), la Fondazione Italia-Usa o la Fondazione Eni, che sono complessivamente le più ricche e soprattutto quelle nelle quali il centro di interesse si sposta dalla politica verso le università, le grandi imprese pubbliche e l’economia. Molti naturalmente anche qui i nomi più conosciuti, come quello di Gianni Letta, o di Luigi Abete, che non a caso sono anche tra i personaggi più ricorrenti nelle varie associazioni, insieme ad esempio a Giovanni Maria Flick e allo stesso Tremonti.

Da Matteo a Mario

E arriviamo così alla strettissima attualità. In pochi giorni, mentre eravamo nel pieno di un già complicato Conte II, siamo stati dirottati da quello che Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, ha definito efficacemente come il “teppismo politico” di Renzi, ritrovandoci all’interno di uno strano impasse che in molti si o- stinano a chiamare crisi. Anche Matteo, peraltro, non è privo di problemi, legati proprio alla sua fondazione Open, al centro oramai da tempo di un’inchiesta molto

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delicata in cui l’ex primo ministro è indagato per finanziamento illecito continuato, insieme ai membri del consiglio direttivo Maria Elena Boschi, Alberto Bianchi, Marco Carrai e Luca Lotti. Circostanza questa che probabilmente ha pesato non poco nei recenti ricatti strategici di Italia Viva.

E che dire infine di Mario Draghi. Parlare di fondazioni, di comitati e consigli direttivi di provincia, potrebbe risultare quasi offensivo per un profilo di cui si pesa il tonnellaggio su tutte le piazze del mondo, sommando anche solo l’importanza dei due principali incarichi ricevuti in carriera, in qualità di Governatore della Banca d’Italia e di Presidente della Banca Centrale Europea. Una personalità così nota ed accreditata da costituire una sorta di fondazione vivente a sé, in stretto collegamento, com’è inevitabile, anche con tutti i più influenti gruppi di pressione internazionale, dei quali infatti è componente di prestigio, come la Commissione Trilaterale, il già citato Aspen Institute, il gruppo Bilderberg e soprattutto il G30 (Gruppo dei Trenta), costituito alla fine degli anni settanta su iniziativa di un’altra fondazione, in questo caso la Rockefeller, per riunire i più noti finanzieri ed economisti.

Ma lasciando da parte le note di sarcasmo, prendiamo invece a prestito le parole dello stesso Draghi, attraverso il recente rapporto pubblicato non a caso dal Gruppo dei Trenta, attualmente diretto proprio dal probabile premier italiano. In questo documento, infatti, analizzato da tutti i giornali del mondo, Draghi rilancia la teoria della cosiddetta “burrasca” di Schumpeter (importante economista del secolo scorso), parla di “distruzione creatrice” e teorizza la sacrificabilità di tutte le “aziende zombie” (come lui le definisce) destinate ad estinguersi (presumibilmente insieme ai loro lavoratori). Basa inoltre il suo ragionamento su un’idea di crescita che fagocita tutto ciò che è ritenuto vecchio (distruzione) per fare spazio inevitabilmente al nuovo (creazione), e ritiene che i governi dovrebbero soltanto limitarsi ad interve-

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nire assecondando la naturale tendenza selettiva dei mercati.

Questo insomma è il vero volto della “salvezza” promessa dalle tecno-fondazioni internazionali. Un volto che appare tanto brutto da farci rimpiangere all’improvviso la vecchia e collusa partitocrazia di casa nostra.

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