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Soffia un cattivo vento sul Paese
l’Editoriale del Direttore
Soffia un cattivo vento sul Paese
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Aldo AVALLONE
Appena pochi giorni fa l’ISTAT ha rilasciato i dati relativi al 2020 sulla povertà nel nostro Paese. Ebbene il quadro che ne viene fuori è allarmante: più di due milioni di famiglie e oltre 5milioni e 600mila individui vivono in povertà assoluta. In termini percentuali, rispetto alla popolazione, si tratta del 7,7% del totale dei nuclei familiari (6,4% nel 2019) e del 9,4% delle persone (7,7% nel 2019).
Per quanto riguarda la povertà relativa, le famiglie sotto la soglia sono poco più di 2,6 milioni (10,1%, da 11,4% del 2019).
L’Istituto nazionale di statistica propone ulteriori analisi riguardo alle differenze territoriali, all’età, alla concentrazione o meno della povertà nelle grandi città o nelle zone rurali. Dati interessanti per chi vorrà approfondire il tema ma la considerazione che salta agli occhi è che nel Belpaese c’è sempre più gente che fatica a sopravvivere. E appare evidente che tutto ciò accade nonostante le misure di soste-
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gno al reddito previste dalle misure governative. Mi domando dove saremmo oggi senza il tanto criticato reddito di cittadinanza e dove potremmo ritrovarci nel prossimo futuro visto che l’esecutivo guidato da Draghi con il Decreto sostegni bis ha prorogato fino al 28 agosto il blocco dei licenziamenti, in scadenza il 30 giugno, solo per le aziende che chiederanno la cassa integrazione per emergenza Covid. Tutte le altre avranno libertà di licenziamento. Nel prossimo autunno si rischia l’apertura di una stagione di forte conflittualità sociale che ci riporta alla mente il famoso autunno caldo del 1969.
Questo provvedimento ha confermato, semmai ce ne fosse stato ancora bisogno, che le scelte economiche di Draghi sono improntate alla difesa degli interessi confindustriali a scapito di quelli dei lavoratori. Il primo ministro sarà certo competente ma la sua competenza non è assolutamente neutra. Infatti, Confindustria esulta in quanto potrà operare in piena libertà le sue riconversioni che, in pratica, consistono nel licenziare i lavoratori cinquantenni per assumerne altri più giovani con contratti con minori garanzie. Di fatto una semplice sostituzione mentre appare e- vidente che la priorità dovrebbe essere quella di allargare la platea degli occupati.
Un ulteriore segnale delle scelte governative viene dalla nomina dei componenti del Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica, una struttura in forza al Dipartimento della programmazione economica presso la Presidenza del Consiglio. I consiglieri scelti da Draghi, Carlo Cambini, Francesco Filippucci, Marco Percoco, Riccardo Percoco, Riccardo Puglisi e Carlo Stagnaro sono tutti di idee liberiste, contrari all’intervento dello Stato in economia. Tra questi, in particolare, spiccano i nomi di Carlo Stagnaro e Riccardo Puglisi. Il primo è direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni retto da Alberto Mingardi, tra i fondatori del movimento ultraliberista “Fare per fermare il declino” (con Oscar Giannino e Michele Boldrin) e durante il governo Renzi capo della segreteria tecnica della ministra dello Sviluppo Federica Guidi. Il secondo, professore associato presso l’Università di Pavia, anch’egli è noto per le posizioni liberiste tanto che nel maggio 2020 criticò la scelta del governo di calmierare il prezzo delle mascherine che, secondo lui, doveva essere lasciato al libero mercato.
Soffia un cattivo vento nel Paese. Si muore sul posto di lavoro dove i padroni riducono le misure di sicurezza per aumentare la produttività e durante le manifestazio-
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ni, dove a Novara è stato ucciso un rappresentante sindacale investito da un camion che ha forzato il presidio dei lavoratori. E, ancora, a Lodi pochi giorni fa squadracce di picchiatori hanno aggredito i lavoratori in sciopero. Con il cambio del governo i padroni hanno compreso che il vento fosse cambiato e ne hanno subito tratto le conseguenze.
E la sinistra? Le difficoltà del Partito Democratico e di Leu che siedono al governo con i ministri leghisti e di Forza Italia sono evidenti. Lo affermiamo con dispiacere osservando la realtà con sguardo che viene da sinistra. Certo, il ministro Orlano ha indicato una ragionevole mediazione sul blocco dei licenziamenti, proposta immediatamente bocciata dal premier. Il segretario Letta ha proposto un lieve incremento della tassa di successione sui grandi patrimoni il cui ricavato sarebbe stato destinato ai giovani del nostro Paese. Ma anche questa ha subito la stessa sorte di quella di Orlando.
Leu, al di là dell’operato estremamente equilibrato del ministro Speranza (che pure sconta la grande confusione comunicativa del governo sul piano vaccinale), dovrebbe far pesare maggiormente la propria presenza nella maggioranza, ma oltre qualche proposta di emendamenti non riesce ad incidere.
La terza gamba della futura alleanza elettorale del polo progressista, il Neo Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte è impegnato in un decisivo restyling che, però, ad oggi non sappiamo ancora dove lo condurrà.
A fronte di un quadro politico dove le forze riformiste appaiono in difficoltà, viene legittimo domandarsi quale sia il vantaggio di essere ancora dentro a questo governo.
È certamente comprensibile la necessità di garantire la coesione nazionale in un momento in cui la pandemia, seppure in remissione, non è stata ancora sconfitta, mentre sarà necessario spendere bene i fondi europei legati al Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza.
Ma a che prezzo?
Fino a che punto si potranno accettare le scelte di Draghi che va avanti sulla sua strada come un carro armato, per compiere la missione per la quale è stato designa-
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to: riportare alla ragione quei “pazzerelloni incontrollabili” del governo giallorosso?
Se non si riesce a incidere sulle politiche governative, anche in funzione di consenso elettorale non sarebbe meglio uscire dall’esecutivo, pur rimanendo in maggioranza, valutando volta per volta i provvedimenti da appoggiare?
Domande alle quali è oggettivamente difficile fornire una risposta.Ma credo che ora occorra avere occhi lungimiranti.Agire oggi guardando al futuro.La sinistra nel nostro Paese sconta ancora gli errori grandi commessi in passato.
La sinistra, nel cui DNA dovrebbe esserci la difesa dei lavoratori, in questi anni ha “tradito” le proprie origini e la propria ragion d’essere.
La condivisione, tranne poche e rare eccezioni, di una visione liberista ha portato a confondere gli interessi del capitale e del lavoro.
Non è forse anche per questo che si è perso consenso dal proprio elettorato di riferimento?
Per lunghi anni criticare l’impresa e il profitto è stato considerato quasi una bestemmia.
E ora, forse troppo tardi, ci accorgiamo che c’è differenza tra gli interessi del capitale e gli interessi del lavoro.
La tragedia del Mottarone, dove i gestori dell’impianto hanno deliberatamente messo fuori uso i sistemi dei freni di emergenza per non perdere il profitto, ne è l’esempio lampante.
Ma situazioni simili accadono ogni giorno in ogni parte d’Italia.Soffia un cattivo vento sul Paese.Non è più tempo di tatticismi, serve darsi una mossa.Ora.Altrimenti sarà troppo tardi.
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