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Buon lavoro!
Lavoro
Buon lavoro!
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Raffaele FLAMINIO
È notizia di questi giorni che una nota azienda dolciaria italiana, specializzata nel confezionamento di gelati, cerca personale per assolvere ai picchi produttivi inevitabili per la stagionalità e per l’agognata, ripresa sociale e produttiva tanto invocata dal mondo intero e, in particolare, da quello imprenditoriale.
L’azienda in questione propone 350 assunzioni stagionali, le domande pervenute all’ufficio Risorse Umane ammontano a 2.500 e, con molta probabilità sono destinate ad aumentare, i curricula pervenuti sono stati redatti da giovani compresi nelle fasce di età, tra i 17 e i 30 anni. Mi sono chiesto il perché ci sia stata un tale risposta? Sono andato a consultare il CCNL di Categoria, gli accordi aziendali, a dare uno sguardo alla struttura produttiva che è innovativa, dinamica,
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tecnologicamente avanzata. Leggendo, apprendo che la nota azienda, volontariamente, ha siglato nel 2016 un Accordo di programma sulla sostenibilità ambientale con il Ministero dell’ambiente. Senza perdermi in chiacchiere affermo che si tratta di un’azienda nazionale, sana, responsabile socialmente, radicata ad “Opera d’Arte” nel territorio. Insomma, un posto buono come si sarebbe detto una volta. Il posto buono è un impiego che garantisce salario adeguato, diritti, rispetto per le persone che vi lavorano e per le famiglie che sono quelle che consumano i gelati.
Perché allora tanti imprenditori non trovano lavoratori? O perché tanti potenziali lavoratori non cercano o non accettano il lavoro?
Potrei iniziare una conferenza sull’argomento, ma vi rispondo con una domanda: Chiedete ai vostri figli? E chiedete pure se, notano differenza ante Covid e post Covid?
Ho intervistato alcuni giovani compresi tra i 17 e i 30 anni per capire. Giorgio 21 anni diplomato, meridionale, la sua aspirazione è fare l’artista (che, come sappiamo, in Italia non è considerato un lavoro) ha diverse esperienze nel campo della ristorazione. È stato lavapiatti, facchino, aiuto in cucina, addetto di sala. I suoi “datori di lavoro”? piccoli “imprenditori”. Io dico spietati padroncini che sguazzano nella disperazione giovanile e nella feroce concorrenza per ottenere qualche spicciolo.
Giorgio a che cosa aspiri? È difficile dirlo, per ora all’autonomia. Ma i tuoi genitori ti sostengono? Certo come possono ma la paghetta non risolve nulla anche se quella che ti offrono per un lavoro è meno di una paghetta. Non hai chiesto il reddito di cittadinanza? Vivo con i miei, dove potrei andare senza un
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lavoro che sia degno di questo nome? Hai detto che in passato hai lavorato nella ristorazione, prima del covid la paga com’era? Prima di tutto sempre a nero e poi 20 euro per 15 ore e le mance dal binocolo, per una questione di gerarchie, sei l’ultimo arrivato. Sei il mozzo e non hai neanche il diritto di esistere. È terribile. Come individuo non esisti, sei alla mercé di tutto e di tutti. Arrivi a casa che sei morto, io per esempio non ho mezzi miei, i servizi di trasporto sono scadenti e torno a piedi a casa, abito nella parte collinare della città immagina la fatica e il giorno dopo ricominci. Secondo te, quanto duri per quanto giovane?
Ho tanti amici che sono laureati a pieni voti, master e sono senza lavoro, gli dicono che sono troppo specializzati. Giorgio e ora che si riapre, le cose come vanno? Non è cambiato nulla è tutto uguale. Prova a fare qualche intervista a qualcun altro nei pressi del lavoro, vedi se ti rispondono. Non vogliono parlare hanno paura. La situazione è drammatica. Mi abbandona perché è già tardi e rischia di perdere il “lavoro”.
In Italia abbiamo tanti ammortizzatori sociali, pochi controlli e tante truffe ai danni dei soliti noti. Abbiamo assistito al pianto continuo di migliaia di piccoli “donatori di lavoro” che lamentavano la mancanza di assistenza dello Stato. Poi l’assistenza è arrivata ed è cominciato il nuovo pianto: sono pochi. Allora ho incrociato i dati delle dichiarazioni Iva, dei fatturati, delle dichiarazioni dei redditi. Tutte miserrime, i sussidi equiparati hai fatturati, quindi bassi. E allora? Si ricomincia da dove si è interrotto. Lo sfruttamento e la concorrenza al ribasso sul lavoro e la incessante richiesta di flessibilità lavorativa. Alcuni dati statistici che ho consultato (Istat) ci dicono che il 21 %, dei lavoratori occupati, dichiara di essere preoccupato di rimanere in buona salute. Il 20% ha ritenuto difficile e faticoso, gestire lo stress ed equilibrare il tempo di vita e di lavoro, il 13% gestire il
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quotidiano, il 12% è preoccupato circa la capacità di essere produttivo. L’altro dato interessante e che in pandemia si è lavorato oltre 20 ore in più a settimana, senza adeguato riconoscimento economico. I dati riportati riguardano chi ora lavora. La domanda è: fino a quando?
Secondo invece le stime dei manager, il ritorno alla normalità (mi sono già espresso sull’argomento) ha dato uno slancio di ottimismo, in particolare per i più giovani – la risorsa più preziosa e plasmabile di cui si dispone – dichiara “La sfida ora, per i datori di lavoro e dei team Risorse Umane è quella di trovare i modi possibili di SFRUTTARE le positività. E dove possibile alleviare gli svantaggi per assicurarsi che il personale rimanga ottimista, motivato e incoraggiato a progredire lavorando al meglio” Queste sono le nuove idee, che convergono su un concetto ‘SFRUTTARE’. Naturalmente dipende dai punti di vista e dalla comodità della poltrona da cui si enunciano i nuovi e rivoluzionari principi. Di contratti, di salari, di orari di lavoro, di diritti manco a parlarne.
Continuando a spulciare dati, attività davvero avvilente comprendendone il senso, ho scoperto che c’è anche il lavoro a scacchi. Incredibile ma vero. Assumo un cameriere gli faccio un contratto part- time da venti ore settimanali tutto regolare, giusto da esibire nell’eventualità che uno dei mille ispettori INPS piombino in massa nel mio ristorante, e poi gli impongo di lavorare 60 ore settimanali, l’eccedenza in nero e al compenso che stabilisco io. Vado avanti nella ricerca di dati, e scopro che alcune associazioni di categoria non trovano, camerieri, cuochi, barman, bagnini e altri stagionali. Ne mancano all’appello circa 150.000. La domanda è da interrogativo retorico. Anche i profili lavorativi di alto livello sono vacanti, in informatica per esempio, i tecnici e i programmatori sono introvabili. Perché? Non c’è bisogno di aspettare l’ardua sentenza dei posteri. Chiedete ai
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vostri figli o a chi quel lavoro l’ha fatto e l’ha perduto e non per colpa della Cina o dell’India, perché Eurostat ci dice che il monte salari in Italia è calato di 39 miliardi circa, in questo anno ed era già in decrescita prima dell’avvento del Covid. Infatti, si è passati da 598 miliardi a 486 miliardi. La Germania è a quota 13 miliardi, la Francia a quota 33, il monte salari calcolato, però, è di circa 898 miliardi. Negli altri Paesi la crisi morde, da noi sbrana. I nostri stipendi lordi si fermano a 2.102 euro mensili ad eccezione dei Paesi dell’est , eden, in Francia siamo a 2.369 euro lordi mensili, in Germania a 2.891 euro lordi mensili sopra di noi ci sono altri 11 Paesi. Parliamo solo di gap salariale, di gender gap salariale (retribuzioni al femminile) di diritti e formazione è meglio non parlarne.
Il cuneo fiscale nel nostro Paese è al 46%, la base lavorativa si restringe sempre più, e le politiche sul lavoro riguardano misure sulla decontribuzione e altre diavolerie.
Il Principe de Curtis, in arte Totò direbbe: “Ma mi faccia il piacere”.
Il quadro è pressappoco questo: abbiamo 5,2 milioni di lavoratori che guadagnano meno di 10.000 euro lordi l’anno, 3 milioni che guadagnano meno di 9 euro all’ora.
500.000 stagionali guadagnano meno di 3 euro all’ora per sette giorni su sette, da questa soglia in poi sono invisibili anche all’INPS oltre che per noi.
La logistica ha incamerato molti di questi lavoratori poveri, che sono poi diventati invisibili controllati dall’algoritmo e dove la concorrenza e la precarietà sono belve feroci.
Siamo tutti flessibili: come Canne al vento.
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