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Valori e interessi, gemelli diversi
Politica
Valori e interessi, gemelli diversi
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Giovanni AIELLO
Si tratta sempre di una bella grana: contemperare valori ed interessi! Ma se è vero che i “valori” sono definiti nel loro insieme come “il complesso delle qualità positive e ideali che costituiscono punti di riferimento fondamentali” (repubblica.it), verrebbe facile da immaginare che essi già coincidano ipso facto anche con i nostri principali interessi. E quindi, il contemperare gli uni con gli altri, non dovrebbe essere poi tanto difficile come dicono. Gli “interessi”, d’altra parte, sono a loro volta l’insieme di “ciò che appare atto a soddisfare i nostri bisogni, la considerazione di ciò che può contribuire al nostro benessere o esserci utile, vantaggioso” (treccani.it). E cosa c’è di più utile e vantaggioso per il nostro benessere se non proprio i valori, visto che essi ispirano i comportamenti più adeguati e positivi per tutti noi. Eppure, a ben vedere, questi due fratelli, ovvero “valore ed interesse”, che ad un primo sguardo (e nelle rispettive accezioni più ampie) sembrerebbero finanche gemelli, tanto da apparire quasi come una cosa sola, in realtà nel corso del
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tempo si sono sempre più allontanati. Da qui il motivo per cui contemperarne la presenza è diventata oramai un’impresa al limite dell’impossibile. Anche perché, la profonda somiglianza reciproca, spesso ci spinge a sovrapporli, o peggio a confonderli. Attenti a (non confondere) quei due! - E proprio quando li confondiamo, allora cominciano i guai. Ne arriva una conferma recente e macroscopica dalle dichiarazioni parossistiche di Mario Draghi, il quale, a margine del recente G7 tenutosi in Cornovaglia, ha ricordato come "il presidente Biden abbia voluto ricostruire le alleanze tradizionali", e ancora che "il tema politico dominante è stato quale atteggiamento debba avere il G7 nei confronti della Cina e in generale di tutte le autocrazie, che usano la disinformazione, i social media, fermano gli aerei in volo, rapiscono, uccidono, non rispettano i diritti umani, usano il lavoro forzato.”. Queste, ad un primo ascolto, sembrerebbero parole sui valori. Ma come è evidente esprimono invece l’esigenza di ridare priorità agli interessi dell’Occidente e alla loro salvaguardia nel contesto atlantico della Nato (ribadita pochi giorni dopo anche nel vertice di Bruxelles), rispetto a paesi, Russia e Cina su tutti, che competono in modo sleale. Sono autocrazie, si diceva. Ma quanto a vocazione autocratica, anche organizzare un summit con soli sette invitati, sembra una scelta mica da scherzare. Il G7 infatti, dal punto di vista del diritto internazionale, è una sorta di privé a carattere del tutto informale (non esiste alcun atto istitutivo di quest’organo), una specie di “Clubhouse” degli affari in cui si discute fra amici di come gestire il 60% circa della ricchezza mondiale, per di più quasi sempre senza alcun risultato apprezzabile. E non fa eccezione in negativo nemmeno questa edizione 2021, nel corso della quale infatti, sebbene liberi dai protezionismi di Trump, ci si è giusto limitati a rispolverare il vecchio sodalizio fra i paesi in orbita Usa e a stabilire la dona-
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zione di 1 miliardo di vaccini in favore dei paesi “poveri” (come ancora si ostinano offensivamente a definirli anche i principali servizi dei tg nazionali). La misura della libertà - Insomma, per dirla con i versi del cantautore Rino Gaetano (del quale il 2 giugno è ricorso il quarantennale della scomparsa, avvenuta in un controverso incidente stradale), “Capofortuna… regala sorrisi distesi ai suoi e- lettori, ai bambini bon bon”, che nel nostro caso diventano strette di mano per i media e medicine per i bisognosi. Ci troveremmo dunque, almeno secondo il racconto dei paesi liberi, dentro lo spazio della condivisione dei valori democratici e soprattutto della solidarietà, che infatti “deve essere la base nella ricerca di soluzioni globali”, come affermò nel 2011 Ban Ki-Moon, l’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite. Ma rimane ancora un dubbio molto pesante su quale sia in concreto l’unità di misura di questa libertà democratica che l’Occidente vorrebbe tanto condividere con il resto del mondo. Forse la libertà si misura in vaccini, direbbe il sarcastico polemista, durante un ipotetico talk della sera. Ma no, si misura in diritti, lo incalzerebbe l’idealista filosofo della politica. Vi prego, non prendiamoci in giro, la libertà si misura in denaro, chioserebbe infine il cinico burocrate materialista. E a ben guardare nessuno dei tre avrebbe completamente torto, visto che i vaccini (al netto delle tante incertezze di questi mesi) rappresentano uno strumento per assicurare il diritto alla salute, ma non sono certo arrivati ovunque nello stesso momento, e ciò proprio perché costano decisamente cari ed era a vario titolo conveniente centellinarli dose a dose. Ciò detto sembrerebbe di essere sempre al punto di partenza, anche se in realtà l’esperienza quotidiana ci suggerisce una via d’uscita. L’area dei diritti, infatti, è certamente una indispensabile base di partenza. Ma la libertà di pensiero, o ad esempio quella di circolazione e soggiorno sul territorio della Repubblica, ci serviranno davvero a poco se nel frattempo siamo senza reddito e non possiamo permetterci neanche un paio di corse in metro per uscire dal no-
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stro quartiere. Dunque, attenzione! Perché “libertà è partecipazione”, ma nel nostro sistema la partecipazione è “a gettone”, per cui anche accumulare soldi significa accumulare libertà. E se nel corso della nostra pur breve vita avremo abbastanza denaro da comprarci una porzione di eternità, allora saremo tranquillamente portati a fregarcene di tutti gli altri, della sfera pubblica, dei diritti e di quello che accadrà dopo di noi. Dunque, i due fratelli si sono infine ritrovati, ma all’altro capo del filo. Forse quello sbagliato. L’interesse personale è assurto a valore universale (nelle comunità più civili accade esattamente il contrario: il valore universale assurge il più possibile anche ad interesse personale). Al punto che lo spazio di espressione democratica sembra attualmente coincidere con lo spazio di accesso ai consumi. Quegli stessi consumi e quegli stessi sprechi che, com’è oramai dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio, ci stanno costando davvero carissimi in termini di economia reale, in termini climatici, sanitari e umanitari. Uno non vale uno - E allora, delle due l’una. Interessi o valori. Contemperare proprio non si può. Se accettiamo l’idea che nascano continuamente conflitti, a ogni livello sociale (anche il nostro), per l’accumulo di mezzi, non potremo essere allo stesso tempo impegnati insieme per risolverli. E fino a quando misureremo prevalentemente in denaro il valore della nostra libertà, allora ci sarà sempre qualcuno disposto a lesinare sulla manutenzione del viadotto Polcevera, a inserire forchettoni sui cavi d’acciaio della funivia del Mottarone, rimuovere la griglia di protezione del macchinario tessile che ha ingoiato Luana D’Orazio, a organizzare un raid punitivo per disperdere il presidio dei lavoratori cassaintegrati o a costruire con la sabbia le residenze per gli studenti. Ci sarà anche qualcuno disposto a testare illegalmente i farmaci su persone inermi nelle zone di guerra, a sversare liquami radioattivi in mare, a trafficare in armi, in droga e in esseri umani. E ancora ad abusare dei lavoratori, delle donne e dei bambini, ad uccidere giornalisti e investigatori
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per impedire loro di andare in fondo alle inchieste, ad accettare tangenti e poi nascondere fondi nei paradisi(?!) fiscali, a diffondere notizie fasulle, a depistare e a mentire spudoratamente durante una seduta in parlamento o davanti alle telecamere al termine di un vertice internazionale. E proprio in quell’esatto momento, per via di quelle stesse bugie, qualcun altro ancora, da qualche parte in Italia e nel mondo, sarà costretto dalla necessità più stringente a fare un lavoro sporco che danneggia altre persone, a vendere merce scadente o a vendere se stesso, a lasciare la sua casa, il suo paese e a rischiare la vita pur di provare a sottrarsi alla fame, alla guerra e ad una condanna senza appello alla disperazione. In definitiva, l’indicazione che ci arriva è probabilmente quella per cui non si possono applicare criteri di mercato quando si parla di risorse e di strutture che sono necessarie ed importanti per tutti, come acqua pubblica, energia, territori, case, strade, treni, ospedali, scuole, università. Non si può più sopportare (anche in senso macroeconomico) che una società composta dai “pochissimi” sia messa nelle condizioni morali e materiali di prosperare, spesso a qualsiasi costo, sacrificando il benessere dei restanti “moltissimi”. Anche perché, una fortuna che sia solo di alcuni, ha necessariamente molto a che fare con il dominio, e non certo col progresso. E se i cattivi fino ad oggi hanno ragionato sempre in grande, traendo il massimo dalle speculazioni su scala mondiale principalmente basate sul social dumping, allora è venuto davvero il momento che anche i buoni comincino a fare altrettanto, ma a modo loro (favorendo per esempio “una regolazione della concorrenza sociale guidata da principi internazionalmente riconosciuti di rispetto dei diritti fondamentali” - Perulli, 2011). E questo perché una libertà che sia figlia dell’avidità o, al contrario, che sia ricattata dalla paura di non sopravvivere, non potrà mai essere veramente “libera”, e non potrà mai esprimere il suo reale valore. Il nostro.
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