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Libera stampa in libero Stato

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Politica

Libera stampa in libero Stato

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Aldo AVALLONE

La Costituzione italiana tutela la libertà di stampa. In particolare, l’articolo 21 recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure (etc. etc.)”.

Dopo gli anni bui del ventennio fascista, i padri costituenti ritennero opportuno che il principio fondamentale della libertà di stampa fosse rimarcato in un articolo spe-37

cifico della nostra Carta costituzionale a tutela della democrazia appena riconquistata. Naturalmente un principio scritto sulla carta resta tale se non viene trasposto nella realtà, in un’applicazione quotidiana. Anche nella democratica Italia postfascista una stampa davvero libera può dare fastidio al potere costituito, soprattutto dove, come accade nel nostro Paese, non esistono, se non con rarissime eccezioni, editori puri, ma le grandi testate radiotelevisive e giornalistiche sono di proprietà di gruppi imprenditoriali privati che ne indirizzano le linee editoriali. L’esempio più clamoroso (ma ve ne sono altri ben rilevanti) è il gruppo Mediaset in mano a Berlusconi che ne ha fatto l’arma principale in tutte le sue campagne elettorali. Un discorso a parte meriterebbe il servizio pubblico della RAI, da sempre lottizzato politicamente. Ogni governo, al suo insediamento, ha promesso la riforma della RAI per sottrarla dalla dipendenza dei partiti ma le tante riforme che si sono susseguite finora non hanno raggiungo lo scopo. Verrebbe da pensare che nessun partito abbia davvero interesse a sottrarre il servizio pubblico dal giogo politico. Del resto, l’Italia nella classifica mondiale della libertà di stampa, stilata ogni anno da “Giornalisti senza frontiere”, nel 2021 si colloca solo al 41esimo posto.

Questa lunga ma doverosa premessa per giungere alla notizia di qualche giorno fa che ripropone sotto lo sguardo, a dire il vero un po’ disattento, dell’opinione pubblica il tema della libertà di stampa e, conseguenzialmente, della tutela delle fonti da parte dei giornalisti.

Ebbene, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con propria sentenza del 18 giugno, a seguito di richiesta dell’avvocato Mascetti, ha deliberato l’accesso a- gli atti e a tutta la documentazione relativa a una inchiesta che lo riguardava trasmessa nella puntata di Report del 26 ottobre scorso dal titolo “Vassalli, valvassori e valvassini” sul tema degli appalti pubblici in Lombardia. Di fatto, ha considerato

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le mail e tutti i documenti riguardanti l’inchiesta di Report dei meri atti amministrativi e non fonti giornalistiche da tutelare come per legge. Si tratta di un precedente pericoloso che potrebbe limitare ulteriormente la possibilità dei giornalisti di adempiere a uno dei compiti fondamentali della stampa libera, quella di controllo democratico del potere. Chi di noi non ricorda Dustin Hoffman e Robert Redford in “Tutti gli uomini del presidente” nei panni dei due giovani cronisti del Washington Post che con la loro determinazione scoprono il collegamento tra la Casa Bianca e il caso Watergate, provocando le dimissioni del presidente Nixon?

Nessuno di noi oserebbe paragonare l’ottimo Sigfrido Ranucci al giornalista interpretato da Robert Redford, non fosse altro per ragioni fisiche, né tantomeno il leghista Andrea Mascetti al presidente degli Stati Uniti. Ma anche in questa vicenda di Report emerge chiaramente il tentativo da parte del potere di intimidire la stampa quando si permette di toccare temi non graditi. Per fortuna, vi è stata una risposta forte da parte dei vertici dell’azienda, dello stesso Ranucci e di esponenti politici dell’area progressista a difesa del segreto professionale e della tutela delle fonti. Principio, peraltro, più volte confermato dalla Corte europea dei diritti umani. In particolare, ricordiamo una sentenza dell’ottobre scorso nella quale viene ribadito che le autorità nazionali non possono obbligare un giornalista a rivelare la fonte. E questo anche quando la rivelazione potrebbe servire a individuare l'autore di un reato. La Corte, infatti, ha accolto il ricorso di una giornalista svizzera che aveva pubblicato un articolo sulla vendita non autorizzata di droghe leggere, svelando notizie fornite da una fonte che aveva chiesto di rimanere anonima, alla quale l’autorità giudiziaria aveva ingiunto di fornire il nome dell’informatore.

Sul “caso Report” la RAI proporrà appello al Consiglio di Stato. Sarà importante seguirne gli sviluppi.

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