neo-Eubios 69 / Settembre 2019

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TRACCE DEL TEMPO: I SUONI DELLA MEMORIA di * Gelsomina Di Feo, Andrea Cerniglia, Anna Magrini, Christian Quaranta

“Era la vigilia di Natale di un freddo inverno. La neve cadeva copiosa mentre il vento che fischiava l’accompagnava talvolta come in walzer talvolta agitandola freneticamente a formare scie lattiginose. Il legno nel camino scoppiettava sopra le ardenti fiamme mentre quello della sedia a dondolo del nonno si lamentava sotto il suo peso da dover cullare. Ci ritrovavamo sempre lì, in quella casa di montagna, io, papà, mamma, il mio fratellino di otto anni e mio nonno, per festeggiare insieme. Dalla finestra si sentiva il cigolio delle ruote di un carretto natalizio che si faceva sempre più energico, poi il silenzio di qualche istante veniva interrotto dal campanello della porta che annunciava l’arrivo degli zampognari. Si usava ancora così in quel paesino, una tradizione così lontana dal nostro presente capace però di scaldare le nostre anime con la stessa distanza che intercorre tra un bimbo in pancia e il cuore della sua mamma. Un paio di canzoni bastano a spingere la realtà oltre un orizzonte fiabesco, fatto di renne, di Babbo Natale, di regali e di arrosto con patate. L’atmosfera fatata terminava lasciando spazio al vociare della gente che, brulicando, si avviava verso la chiesa attendendo il rintocco delle campane, ma già qualcuno si scambiava gli auguri bisbigliando, per paura di rompere quella magia quasi surreale. Come tutti gli anni, il nonno prendeva una vecchia cassetta e noi, come apostoli, ci radunavamo intorno al televisore per guardare insieme quel filmino, sempre lo stesso, di uno di quei natali in cui papà aveva poco più dell’età di mio fratello. In quel filmato compariva molto spesso la nonna, ma stavolta percepivo che il mio cuore non era pronto per rivedere la sua immagine e udire la sua voce; era passato troppo poco tempo dalla sua scomparsa e sapevo che quella visione non sarebbe stata come tutte le altre volte, ma avrebbe fatto scorrere in noi un fiume di commozione. Così decisi di allontanarmi e girovagare in cerca di distrazioni. In quella casa la polvere avvolgeva gli oggetti come una coperta, come a proteggerli

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La persistenza della memoria (1931), SalvadorDalì dal fluire del tempo: fu durante questa accurata osservazione che mi accorsi di una macchina da scrivere, che giaceva lì e mi chiamava a sé come se volesse incitarmi a toccarla e a provare la sensazione di chi davanti a sé non aveva schermi bensì un foglio di carta che non concede ripensamenti ma solo battute definitive. Ma io un errore lo avevo commesso perché mi ero fatto distrarre dalla musica del giradischi che mio papà si divertiva sempre a far suonare con il suo primo quarantacinque giri regalato dalla sua prima fidanzata. E così, come il suo primo amore, la melodia partiva con qualche incertezza, si stabilizzava, per poi iniziare a gracchiare fino a interrompersi. Non esistevano angoli di quella casa a cui non appartenesse qualcosa di magico; persino l’orologio oscillava sornione convinto che ognuno di loro, ogni oggetto lì presente, non sarebbe mai stato dimenticato e che, anzi, loro fossero i precursori non solo del nostro presente ma anche del nostro futuro. In lontananza sento un suono che si fa sempre più vicino e con prepotenza viene a portarmi via da qui. E’ la sveglia del mio cellulare, sono le otto! Oggi è la vigilia di Natale”. Gelsomina Di Feo

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