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Recensione Giuseppe Bavastro un corsaro a Livorno
Il palazzo dell’ammiragliato di Napoli
Uno scrigno ricco di storia e di opere d’arte
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di Claudio Romano
Il palazzo dell’Ammiragliato di Napoli (noto anche come “Palazzo Rosso”) nasce, attorno all’anno 1300. All’inizio la sua morfologia era di gran lunga diversa rispetto all’attuale e, sebbene cambiata con il passare dei secoli, continuò a svolgere la sua originale funzione religiosa fino alla seconda metà del XVIII secolo. Infatti, in concomitanza dell’espulsione dal Regno borbonico dei Gesuiti, attorno al 1780 l’immobile fu trasformato per diventare un albergo di lusso con il nome di “Locanda Reale”. Tale utilizzo, giustificato dall’estrema sua vicinanza alla residenza del Sovrano, proseguì per alcuni decenni. La leggenda vuole che nelle sue stanze vi soggiornasse anche l’ammiraglio inglese Horatio Nelson quando, reduce dal successo della battaglia della baia Abukir (vicinanze del delta del Nilo), fu ospite del Borbone. Si narra che l‘ufficiale inglese scelse quella sistemazione in luogo di una stanza nel Palazzo Reale per potersi incontrare in modo più “discreto” con Lady Emma Hamilton, giovane e bellissima moglie dell’anziano ambasciatore inglese a Napoli, con la quale (si dice) fosse nato un audace flirt. Nel 1806, con l’arrivo dei francesi nella città partenopea, la locanda fu dapprima requisita per ospitare militari di alto rango e, dal 1810, fu trasformata per accogliere il dicastero delle Finanze del neonato Regno murattiano e quello della Marina da Guerra. Con la restaurazione borbonica del 1815, l’edificio proseguì la sua funzione d’immobile ad uso governativo, continuando ad ospitare la sede del Ministero delle Finanze fino al 1820 e, dall’anno successivo, quella della Real Marina, più consona per la sua vicinanza alla base navale partenopea. Nel 1830, in quel palazzo fu sistemata anche l’abitazione di Carlo di Borbone, principe di Capua, fratello del Re e responsabile dell’Armata di Mare borbonica. Questi fece subito ristrutturare intero l’edificio, inclusa l’area destinata a diventare la sua residenza. Fu così creato un appartamento di ben 1.800 mq. che non doveva sfigurare a confronto
della residenza reale. Le pareti di molte stanze, incluse quelle del salone di rappresentanza, furono impreziosite con i broccati prodotti dalle seterie di San Leucio, analogamente a ciò che si faceva per gli ambienti della Reggia di Capodimonte o quella di Caserta. Il Conte d’Aquila, il 3 dicembre del 1850, fu nominato presidente del Consiglio di Ammiragliato e, pertanto, era solito ospitare nel suo appartamento le riunioni anche di tale importante consesso. Per questo motivo, l’immobile sempre più spesso, fu identificato con il termine di “Palazzo dell’Ammiragliato”. Luigi di Borbone abitò in questo edificio fino al 14 agosto del 1860, cioè fino a pochi giorni prima dell’arrivo in città di Garibaldi. Con l’unità d’Italia, l’immobile mantenne la sua funzione militare, ospitando la sede del “Ripartimento meridionale” della Regia Marina e, con essa, l’alloggio dell’Ammiraglio comandante. Tutt’oggi il “Palazzo dell’Ammiragliato” di Napoli ospita uffici della Marina Militare e l’abitazione dell’Ammiraglio responsabile del Comando Logistico. Talvolta, nelle sue stanze si tengono incontri o ricevimenti in onore di eminenti rappresentanti, militari e civili, di altre nazioni che, immancabilmente, rimangono affascinati dalla storia e dalla bellezza di questo immobile, impreziosito da svariate decine di opere d’arte, alcune concesse in temporaneo prestito dai maggiori musei cittadini, altre di proprietà della Marina Militare.
Napoli, palazzo dell’Ammiragliato. A destra alcuni degli ambienti: salone di rappresentanza, ingresso ammiragliato, camino in marmo e terrazzo con veduta del Palazzo Reale.
Corsaro, basta solo nominare questo “antico mestiere” che nelle nostre menti subito si materializzano scenari di navi e mare. Uomini all’arrembaggio con la sciabola ricurva sguainata tra nuvolette di fumo provocate dai tiri dei moschetti o addirittura delle bordate dei cannoni che squarciano le vele. Urla di battaglia di uomini vestiti con abiti dai colori sgargianti, i pugnali tra i denti, mentre, aggrappati a una cima, una scotta pendente da un pennone, si lanciano verso la nave, verso l’equipaggio avversario. Immagini create nella nostra mente grazie agli innumerevoli film storici e di avventura visti sin da quando eravamo piccoli. Un classico fu il Corsaro Nero del 1976, diretto dal regista Sergio Sollima e tratto da due romanzi di Emilio Salgari: Il Corsaro Nero e La regina dei Caraibi. Stefano Gennari, in questo libro ci propone la storia di un corsaro dell’epoca napoleonica di nome Giuseppe Bavastro, che per anni permise alla Francia di contrastare il dominio britannico sul Mediterraneo. Nato il 10 maggio 1760 a Sampierdarena (Genova) da una famiglia nizzarda, fin da giovane Bavastro dimostrò un carattere indipendente e combattivo e una forte passione per il mare che negli anni giovanili lo portò ad avere la “patente di corsa” per la Francia, ovvero divenne “Corsaro di Napoleone”. Nel 1800, il corsaro Bavastro era a Genova quando, difesa dai francesi del generale e amico Andrea Massena, fu assediata dagli austriaci e fermata dal mare da una squadra navale inglese. Al comando del Prima, l’unica galera da guerra presente in porto, Bavastro diede all’inizio filo da torcere agli inglesi, che poi contrattaccarono ed ebbero la meglio, costringendolo a ritirarsi. […] Al momento del dessert, il Console prende la parola e, con tutto il sussiego e la solennità diplomatica dovuti, fa dono a Bavastro di un “Certificato d’onore”,
RECENSIONE GIUSEPPE BAVASTRO Un corsaro a Livorno
di Alessandro Busonero
interamente miniato e ornato, a firma del primo console, Napoleone Bonaparte, per le imprese compiute nel corso dell’assedio di Genova, insieme a un cofanetto contenente l’ascia d’oro di abbordaggio d’onore, una delle massime onorificenze militari della repubblica francese a quel tempo” […]. Ma Gennari, ufficiale di Marina, oggi non in servizio, nella stesura del testo Autore: Stefano Gennari Anno di pubblicazione: 2021 Lingua: italiano numero pagine: 287 brossura prezzo: € 18,00
racconta anche una storia di memoria familiare: la sua. Gennari infatti, è un discendente dal corsaro. Nel 1814 Carlo Rocco, figlio di Giuseppe Bavastro, si trasferì a Livorno su “suggerimento proprio del padre, per curarne gli interessi commerciali e finanziari e dove, rimasto vedovo e con due figli, costituì la sua nuova famiglia, sposando in seconde nozze una donna livornese”. Da quel ramo familiare, unico con discendenza diretta del corsaro, deriva una parte della famiglia dell’autore.
“In sostanza il libro, abbraccia tutta l’avventura marinara del corsaro, sin dalle prime battute, quando s’imbarcò per la prima volta su una nave a 15 anni, per arrivare sino al giorno della sua fine, nel marzo del 1833, ad
Algeri, dove nominato comandante del porto dalle forze di occupazione francesi, morì assistito al suo capezzale dalla sola figlia Maria Geronima che lo aveva seguito”. La trama intreccia
“al trefolo principale delle gesta di Giuseppe Bavastro altri due percorsi, così da consentire al lettore, da un lato, d’inquadrare correttamente sotto il profilo storico gli eventi che videro protagonista il corsaro per mare, dall’altro, di apprezzare quelle caratteristiche peculiari di Livorno e della sua gente, che lo affascinarono a tal punto di spingere il figlio Carlo Rocco a stabilirvi la sua dimora”.
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