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Troppo raro test “anti-chemio” al seno

Nella insidiosa battaglia che tante donne combattono contro il tumore al seno incide anche la residenza. Alcuni tipi di tumore del seno in fase iniziale, già operati, possono essere analizzati con un test genomico per definire la cura con più precisione, evitando la chemioterapia e soprattutto il rischio di ritorno della malattia: sono quelli con recettori ormonali postivi e Her2 negativo (oltre 70.000 nuovi casi all’anno). Eseguire il test nelle pazienti in cui è “incerto” il beneficio derivante dall’aggiunta della chemioterapia all’ormonoterapia adiuvate presenta 3 importanti vantaggi.

Innanzitutto, aiuta il medico a definire l’utilità reale di proporre una chemioterapia combinata all’ormonoterapia, inoltre può evitare, ogni giorno, a 22 donne di utilizzare una terapia pesante e inutile. E infine rappresenta un risparmio per il Sistema Salute, evitando i costi di chemioterapie inutili. Eppure, questo test ha ancora scarsa disponibilità di accesso: è infatti garantito dal Sistema sanitario nazionale solo a donne residenti in Lombardia, Toscana o a Bolzano, mentre nel restante territorio non è autorizzata la rimborsabilità, nonostante esista “sulla carta” uno stanziamento governativo di 20 milioni di euro, non ancora esecutivo.

Per “mobilitare” questo obiettivo è scesa in campo una campagna di sensibilizzazione “Chemio, se posso la evito”, promossa da Europa Donna Italia che da sempre difende e promuove i diritti delle donne con tumore del seno, con il supporto di società scientifiche, di Fondazione Aiom, Ropi (Rete oncologica pazienti Italia) e altre Associazioni pazienti.

«Poche donne lo conoscono, invece il test genomico - spiega la presidente di Fondazione Aiom-Ropi, Stefania Gori - in pazienti affette da tumori del seno iniziale, operato, con recettori ormonali positivi, Her2 negativo, linfonodi ascellari sani o con massimo 3 linfonodi metastatici, rappresenta uno strumento efficace per stimare il reale beneficio di una chemioterapia in aggiunta alla terapia ormonale sul controllo di sviluppare una recidiva di malattia dopo la chirurgia. In possesso del risultato di rischio, l’oncologo potrà prescrivere con appropriatezza una chemioterapia adiuvante solo se di beneficio, e la donna potrà avere la certezza di non sottoporsi inutilmente a una cura pesante e con importanti effetti collaterali».

«Il test genomico – aggiunge Lorena Incorvaia, dipartimento di Biomedicina, Neuroscienze e Diagnostica avanzata, Università di Palermo – studia comportamento e interazioni di specifici geni, calcolando in maniera precisa il rischio, ovvero la probabilità che la malattia si possa ripresentare dopo l’intervento chirurgico, in un tumore con le caratteristiche descritte. Sulla misura di questo rischio verrà dunque definita, oppure no, la necessità di proporre cicli di chemio aggiuntivi alla terapia standard. In Italia attualmente ci sono 5 test di analisi di espressione genica, che si differenziano per il numero di geni studiati e per tipo di studi clinici di validazione eseguiti». (E. M.)

© Gorodenkoff/shutterstock.com

Si tratta di un’analisi genomica disponibile solo in Lombardia, in Toscana e a Bolzano. Potrebbe evitare di utilizzare terapie più pesanti

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