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Attività antivirale delle proteine del siero di latte

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contiene in media 988 IU di vitamina D per 100 grammi di prodotto. Quindi il 247% del fabbisogno giornaliero.

Però gli studi successivi hanno hanno rivelato che i livelli più elevati si trovano nel salmone selvatico, che arrivano fino a 1.300 IU di vitamina D per porzione, mentre il salmone d’allevamento contiene, in media, solo il 25% di tale quantità. Ciò significa che una porzione di salmone d’allevamento contiene circa 250 IU di vitamina D, che è pari al 63% del del fabbisogno giornaliero.

Aringhe e sardine

L’aringa è un pesce mangiato in tutto il mondo. Può essere servito crudo, in scatola, affumicato o marinato. È anche una delle migliori fonti di vitamina D dopo il salmone.

L’aringa fresca fornisce 1.628 IU per una porzione di 100 grammi, che è quattro volte il fabbisogno giornaliero.

Se il pesce fresco non fa per voi, anche le aringhe in salamoia sono una grande fonte di vitamina D, e forniscono 680 IU 100 grammi, che è pari al 170% del fabbisogno giornaliero. Tuttavia, le aringhe in salamoia contengono anche una quantità elevata di sodio, che alcune persone consumano in quantità eccessiva.

Le sardine sono un tipo di aringa, anche esse rappresentano una buona fonte di vitamina D. Una dose contiene 272 IU, che è pari al 68% il fabbisogno giornaliero.

Altri tipi di pesci grassi fonti di vitamina D sono lo sgombro fresco che contiene 360 IU per porzione che e 250 IU per il prodotto confezionato in scatola.

Quali sono le cause del mancato assorbimento della vitamina D?

Le carenze nutrizionali sono di solito il risultato di una inadeguatezza alimentare, un diminuito assorbimento e/o un aumento del fabbisogno o dell’escrezione. Una carenza di vitamina D può verificarsi quando: • l’assunzione dietetica abituale è scarsa

© Bogdan Sonjachnyj/shutterstock.com

• l’esposizione alla luce solare è limitata • i reni non possono convertire la 25-idrossivi-tamina D nella sua forma attiva • l’assorbimento della vitamina D da parte del tratto digestivo è insufficiente. • Diete carenti di vitamina D sono associate ad allergia al latte, intolleranza al lattosio, ovo- vegetarianismo e veganismo.

Va tenuto presente che alle nostre latitudini circa l’80% del fabbisogno di vitamina D è garantito dall’irradiazione solare e il restante 20% viene assicurato dall’alimentazione.

Chi è più soggetto alla carenza di vitamina D?

Gli anziani sono a maggior rischio di sviluppare insufficienza di vitamina D sia perché: • con l’invecchiamento cala l’efficienza di sintesi di vitamina D per l’invecchiamento dei processi di sintesi che avvengono nella cute e dei reni (a parità di esposizione solare il soggetto anziano ne produce circa il 30% in meno) • tendono a passare più tempo in casa • possono avere un insufficiente apporto dietetico di vitamina D.

Nell’anziano le condizioni di ipovitaminosi D sono stati spesso descritti quadri di miopatia dei muscoli prossimali degli arti, di sarcopenia e di riduzione della forza muscolare, con disturbi dell’equilibrio e con conseguente aumento del rischio di cadute e quindi di fratture, specie in età senile. La vitamina D infatti è in grado di stimolare la produzione di proteine muscolari, ma soprattutto di attivare alcuni meccanismi di trasporto del calcio a livello del reticolo sarcoplasmatico, che sono essenziali nella contrazione muscolare.

Gli individui che hanno una ridotta capacità intestinale di assorbire i grassi potrebbero richiedere una supplementazione maggiore di vitamina D, dal momento che la vitamina D è una vitamina liposolubile e il suo assorbimento quindi dipende dalla capacità dell’intestino di assorbire i grassi alimentari. Il malassorbimento dei grassi è associato a una serie di condizioni mediche, tra cui alcune forme di epatopatie, la fibrosi cistica, la malattia celiaca e la malattia di Crohn, così come la colite ulcerosa quando vi sia interessamento dell’ileo terminale. Inoltre, le persone con alcune di queste condizioni potrebbero avere introiti più bassi di alcuni alimenti, come i prodotti lattiero-caseari ricchi di vitamina D.

Le persone in obesità (indice di massa corporea ≥ 30) possono avere bisogno di un maggior apporto di vitamina D per ottenere livelli di 25-idrossivitamina D paragonabili a quelle di peso normale. L’obesità non influisce sulla capacità della pelle di sintetizzare la vitamina D, ma una maggiore quantità di grasso sottocutaneo sequestra la maggior parte della vitamina e modifica il suo rilascio in circolo.

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Attività antivirale delle proteine del siero di latte

Recenti pubblicazioni riguardanti le proprietà antivirali delle proteine del siero di latte e le loro potenziali applicazioni nel campo della protezione della salute umana

di Valentina Gallo*, Francesco Giansanti** e Giovanni Antonini*, ***

Le proteine del siero di latte sia nella loro forma nativa che chimicamente modificata e i loro derivati peptidici hanno incontrato già da diversi anni molto interesse fra i ricercatori del settore nutraceutico e farmaceutico per le loro numerose proprietà tra cui quelle antimicrobiche, immunomodulanti e antitumorali, tali da rendere il latte e le sue proteine utilizzabili in un ampio spettro di trattamenti sanitari e di prevenzione. Recentemente è stata riscontrata una importante attività antivirale di queste molecole e bisogna sottolineare come lo studio di molecole antivirali con bassa o nulla tossicità, come quelle derivate dagli alimenti, sia attualmente considerato cruciale come trattamento aggiuntivo alle terapie convenzionali per contrastare le infezioni virali già note e quelle più recenti e meno conosciute come il COVID-19. Nella presente rassegna vengono riportate le recenti pubblicazioni riguardanti le proprietà antivirali delle proteine del siero di latte e le loro potenziali applicazioni nel campo della protezione della salute umana.

Introduzione

Il latte è un liquido bianco-bluastro secreto dalle ghiandole mammarie costituito da particelle di grasso immerse in un fluido acquoso. Il latte umano è un alimento peculiare per la specie e qualsiasi nutrimento di tipo artificiale (latte formulato in polvere o liquido) differisce in maniera molto marcata da esso, rendendolo difficilmente sostituibile per l’alimentazione del neonato (A.A.P., 2012). Il latte materno, infatti, oltre al suo potere nutrizionale, contiene numerosi fattori protettivi necessari a conferire un’immu-

* Istituto Nazionale Biostrutture e Biosistemi, Roma. ** Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica e Scienze della Vita e dell’Ambiente, Università degli Studi dell’Aquila, L’Aquila. *** Dipartimento di Scienze, Università degli Studi Roma Tre, Roma. nità passiva al neonato (Chirico et al., 2008) e la sua composizione è talmente complessa che varia a seconda dell’età gestazionale, nell’arco delle 24 ore della giornata, con il passare dei mesi di allattamento, con le maternità successive e nel corso della singola poppata, adattandosi perfettamente alle esigenze del neonato (A.A.P., 2012).

Il latte contiene numerosi componenti bioattivi, tra cui proteine, lipidi e oligosaccaridi che assolvono funzioni diverse fisiologicamente dirette a sostenere la crescita (Richter et al., 2019) ed il sano sviluppo di neonati (Kim et al., 2020; Eriksen et al., 2018; Hill et al., 2015; Mosca et al., 2017). Tuttavia, il latte continua ad essere un alimento di base anche per gli adulti e, grazie alle sue proprietà, è considerato come uno dei più importanti nutraceutici (Gill et al 2000; Chiara et al., 2003; Kim et al., 2020).

In effetti, molte ricerche in campo nutraceutico si sono incentrate sui componenti del latte e sui loro derivati per l’identificazione e l’isolamento delle molecole bioattive da utilizzare per il trattamento delle malattie e la loro prevenzione e anche con l’obiettivo di trovare nuovi farmaci da esse derivate per migliorare o da affiancare alle terapie convenzionali (Artym and Zimecki, 2013; Galley et al., 2020 ; Davies et al., 2018 ; Dybdahl et al., 2021 ; Kennedy et al., 1995 ; Sánchez et al., 2021).

Il latte umano comprende, oltre alla caseina (40% delle proteine totali), le proteine del siero di latte (Yamada et al., 2002) ed una terza classe di proteine note come mucine presenti nella membrana del globulo di grasso ( Lönnerdal et al., 2017). Le proteine del siero di latte costituiscono circa il 60% delle proteine totali presenti nel latte umano ma questa percentuale è molto variabile sia tra le specie, sia in base allo stadio di lattazione, essendo presenti in maggiore quantità nel colostro rispetto al latte maturo. Questa grande variazione evidenzia la loro funzione protettiva, oltre che nutrizionale, relativa alla cosidetta “immunità naturale”, particolarmente importante nei primi giorni di vita del neonato (Lemay et al., 2013; Atkinson e Lönnerdal , 1995).

Figura 1. Struttura di Lattoferrina, Lisozima, β-lattoglobulina e α-lattoalbumina da Protein Data Bank (https://www.rcsb.org/ : • 1B0L Recombinant human diferric lactoferrin DOI: 10.2210/pdb1B0L/pdb; • 1IY4 Solution structure of the human lysozyme at 35 degree C DOI: 10.2210/pdb1IY4/pdb; • 3BLG Structural basis of the tanford transition of bovine beta-lactoglobulin from crystal structures at pH 6.2 DOI: 10.2210/pdb3BLG/pdb; • 1HFX Alpha-lactalbumin DOI: 10.2210/pdb1HFX/pdb

Fra le proteine del siero di latte maggiormente rappresentate nel latte umano vi sono α-lattoalbumina (ca. 21 % delle proteine totali), immunoglobuline (ca. 10 % delle proteine totali), lattoferrina (ca. 15 % delle proteine totali), albumina sierica (ca. 4 % delle proteine totali), lisozima (ca. 4 % delle proteine totali) e una frazione minore in termini di quantità che è rappresentata da glicomacropeptide e lattoperossidasi (Artym and Zimecki, 2013; Haschke et al., 2016; Donovan et al., 2019). Molte delle proprietà biologiche e funzionali del latte sono dovuti a queste proteine (Donovan et al, 2019; Zhu et al, 2020; Lönnerdal et al., 2003; Li et al 2017 ; Haschke. Et al 2016). Il latte bovino ha una composizione di proteine del siero di latte simile a quella umana ad eccezione della presenza di un’elevata quantità di β-lattoglobulina che è completamente assente nel latte umano, ed una minore quantità di α-lattoalbumina rispetto al latte umano (Schack et al., 2009).

Le proteine del siero di latte hanno un alto indice di qualità proteica grazie al loro contenuto di aminoacidi essenziali ma, oltre al loro potere nutritivo, le proteine del siero di latte esercitano numerose attività biologiche e funzionali che influenzano diversi processi biologici tra cui la promozione della crescita ossea e della forza muscolare, l’abbassamento del colesterolo, il miglioramento delle funzioni cognitive e la regolazione dell’umore oltre ad esercitare un’azione antiossidante, antitumorale, antimicrobica, antinfiammatoria e immunomodulatrice ( Krissansen , 2007 ; Teixeira et al., 2019 ; Layman et al., 2018 ; Akhavan et al., 2014 ; Morniroli et al., 2021 ).

A causa delle loro proprietà salutari e della loro grande biodisponibilità e sicurezza, le proteine del siero di latte, i loro derivati peptidici o le proteine del siero di latte modificate chimicamente sono state ampiamente studiate per le loro attività farmacologiche, sia da sole che in sinergia con altri farmaci, per la terapia o la prevenzione di diversi tipi di malattie, comprese le infezioni virali (Małaczewska et al., 2019). Recentemente, le proteine del siero di latte proteine e soprattutto la lattoferrina, già note per un forte antivirale attività contro diversi virus capsulati e non capsulati (Wakabayashi et al., 2014), stanno ricevendo un grande interesse da parte della comunità scientifica in quanto numerosi studi condotti su diversi tipi cellulari hanno dimostrato che esercitano una forte attività antivirale anche contro SARS-CoV-2. A seguiito di questi riscontri numerosi ricercatori stanno valutando l’efficacia dell’uso della lattoferrina e delle altre proteine del siero di latte per coadiuvare le terapie convenzionali sia nella prevenzione che nel trattamento della malattia COVID - 19.

Questo articolo si propone di fornire una rassegna degli articoli scientifici riportanti studi sulle proprietà antivirali delle proteine del siero di latte e di loro derivati peptidici, illustrando anche le loro potenziali applicazioni nella protezione della salute umana dalle infezioni virali.

Proprietà antivirali delle proteine del siero di latte

È stato riscontrato che le proteine del siero di latte esercitano importanti effetti antivirali contro diversi virus capsulati e non capsulati. Tra questi sono inclusi il citomegalovirus umano, il virus dell’immunodeficienza umana (HIV-1), il virus dell’epatite B e C (Florian et al 2013; Liao et al.,2012; Redwan et al. 2014 ) , il virus dell’influenza aviaria A (H5 N1) (Taha et al. 2010 ), l’herpes simplex virus tipo 1 e 2, l’hantavirus , il poliovirus, Il virus dell’influenza A (H1N1) (Sitohy et al. 2010) , il rotavirus umano, il virus del papilloma umano e l’enterovirus (Ng et al., 2015) .

Numerosi studi hanno dimostrato che, tra le proteine del siero di latte, i più significativi effetti antivirali sono da attribuire alla lattoferrina sia nella sua forma nativa che ai suoi derivati peptidici da idrolisi parziale, la quale può avvenire durante la digestione (Oevermann et al., 2003). Mentre per le altre proteine del siero di latte, quali β -lattoglobulina bovina, α-lattoalbumina e lisozima umane, è stata dimostrata una importante azione antivirale non nella loro forma nativa ma solo a seguito di modifiche chimiche quali acetilazione o aggiunta di residui chimici che determinano un aumento della carica negativa e influenzano la sua distribuzione spaziale. (Pan et al., 2006). Infatti, studi cinetici hanno dimostrato che l’aggiunta di cariche negative aumenta fortemente l’affinità delle proteine del siero di latte sia per i recettori cellulari che sono necessari all’entrata del virus che per le proteine virali (Zeder-Lutz et al., 1999).

In tal senso è importante ricordare la lattoferrina, già nota e studiata da lungo tempo per la sua attività antibatterica (Bullen et al. 1972) ed antivirale (Valenti et al, 1998). La lattoferrina , costituita da circa 700 aminoacidi, si compone di due lobi aventi sequenza amminoacidica molto simile, probabilmente derivante da una antica duplicazione genica. Ciascuno dei due lobi lega un atomo di ferro , tuttavia, al contrario della parzialmente omologa sierotransferrina, presente nel siero dei mammiferi, la funzione della lattoferrina nel latte materno non è quella di trasportare ferro ma la sua funzione principale è quella di svolgere attività protettiva nei confronti del lattante, in particolare verso infezioni batteriche e virali (Valenti and Antonini, 2005). È interessante notare che nel bianco d’uovo degli uccelli, che in alcuni aspetti ricopre le funzioni del latte nei mammiferi, è presente una proteina simile alla lattoferrina, la ovotransferrina, che assolve molte funzioni antibatteriche simili a quelle della lattoferrina, compresa l’attività antivirale verso virus aviari (Giansanti et al, 2002; Giansanti et al. 2012). Come accennato precedentemente, le proprietà antivirali più importanti sono state attribuite alla lattoferrina in forma nativa ed ai suoi derivati peptidici come la lattoferricina (che comprende la sequenza aminoacidica 17-41: FKCRRWQWRM KKLGAPSITCVRRAF) e la lattoferrampina (che comprende la sequenza aminoacidica 269-285: WNLLRQAQEKFGKDKSP) ( Van der Strate et al., 2001; Wakabayashi et al., 2014 ; Kell et al., 2020 ). La lattoferrina, come il lisozima e contrariamente alla maggior parte delle proteine, ha un Punto Isoelettrico alcalino, ciò vuol dire che a pH fisiologico prevalgono le cariche positive dovute ad un’alta concentrazione di aminoacidi basici ed è interessante notare che entrambi i frammenti attivi della lattoferrina appartengono al cosiddetto lobo N della lattoferrina, caratterizzato dalla maggior presenza di aminoacidi carichi positivamente con i gruppi amminici protonati particolarmente presenti verso la estremità N-terminale della proteina.

Nonostante la lattoferrina ed altre siero proteine come β-lattoglobulina, α-lattoalbumina e lisozima, in forma nativa o chimicamente modificata, condividano uno spettro molto ampio e sovrapponibile di attività antivirale il loro meccanismo di azione non è stato ancora completamente chiarito (NB et al., 2015). La maggior parte dei meccanismi di azione noti coinvolgono le interazioni delle proteine del siero di latte con i recettori delle cellule ospiti o con il genoma ed alcune proteine virali, che inibiscono l’infezione interferendo con l’ingresso e con la replicazione virale. Infatti, studi sul virus dell’immunodeficienza umana di tipo 1 umana (HIV-1) hanno dimostrato che la lattoferrina bovina e il suo peptide di idrolisi lattoferricina inibiscono l’ingresso del virus agendo sui recettori CXCR4 e CCR5 (Berkhout et al.2002), ed è stato dimostrato che la forma apo della lattoferrina bovina (cioè priva degli atomi di ferro) ha un ruolo nell’inibizione della replicazione dell’HIV-1 (Puddu et al. 1998). D’altra parte, è stato dimostrato che l’inibizione dell’ingresso dell’HIV-1 sulle cellule CD4 positive da parte della β-lattoglobulina modificata e dell’α-lattoalbumina coinvolge principalmente le interazioni con la proteina del rivestimento virale gp120 ( Neurath et al., 1995). Nell’infezione da citomegalovirus umano, sia la lattoferrina che le forme metilate della β-lattoglobulina e dell’α-lattoalbumina inibiscono principalmente la replicazione e la trascrizione del virus interagendo

Figura 2. Distribuzione superficiale di carica della Lattoferrina umana e bovina. Blu: cariche positive; Rosso: cariche negative, (modificata da Baker, 2012). Si notino i cluster di cariche positive (dovuti ad un’alta concentrazione di aminoacidi basici) prossimi alla estremità N-terminale della proteina (a sinistra nella immagine), considerata la porzione della proteina responsabile di molte delle attività protettive della lattoferrina (Baker and Baker, 2005).

con il genoma virale (Swart et al.1998; Chobert et al.2007). Meccanismi d’azione simili sono stati dimostrati in studi condotti sul virus dell’epatite B e C e sul virus dell’herpes simplex di tipo 1 e 2, dove l’inibizione da parte della lattoferrina sia umana che bovina e dei suoi peptidi derivati e della , α-lattoalbumina, β-lattoglobulina e lisozima, è dovuta alla loro interazione con le proteine virali e con alcune proteine cellulari che inibisce l’ingresso e la moltiplicazione del virus ( Sitohy et al. , 2007). Studi condotti sull’infezione da alfavirus hanno dimostrato che la lattoferrina agisce anche interagendo con i proteoglicani di eparan solfato sulla superficie della cellula ospite.( Waarts et al., 2005). Inoltre, è stato dimostrato che l’azione antivirale di proteine del siero di latte coinvolge anche altri meccanismi che mediano effetti diversi tra cui l’inibizione della diffusione virale, come riportato in vitro da studi sugli effetti della lattoferrina contro Hantavirus, ed effetti citopatici, come riportato da studi riguardanti la azione della lattoferrina e della lattoperossidasi contro il virus dell’influenza A (H1N1) e contro, l’echovirus umano (Pietrantoni et al, 2006; Shin et al., 2005). Un altro meccanismo di azione è stato osservato in uno studio effettuato sul virus dell’iinfuenza. In questo lavoro è stato dimostrato che l’interazione tra lattoferrina bovina ed emoagglutinina virale porta all’inibizione dell’emoagglutinazione indotta dal virus e ad una conseguente riduzione dell’infezione (Ammendolia et al. 2012 ) e un simile meccanismo d’ azione è stato osservato anche in studi precedenti su virus influenzale A e glicomacropeptide ( Kawasaki et al., 1993). La quasi totalità dei meccanismi di azione antivirali riportati negli studi condotti sull’attività antivirale delle proteine del siero di latte implica un effetto diretto sull’ingresso e sulla replicazione del virus. Questo effetto, indotto dall’interazione proteina/ virus, è fortemente dovuto alla distribuzione della carica proteica, in particolar modo ai cluster di cariche positive o negative. D’altra parte recenti studi condotti su lattoferrina e norovirus hanno dimostrato mostrato un possibile, ma non ancora pienamente compreso, meccanismo indiretto di azione nel ridurre l’infezione norovirus, che coinvolge l’induzione della produzione di interferone lattoferrina-mediata (Oda et al. 2021).

Effetti anti SARS-CoV-2 delle proteine del siero di latte

A seguito dell’emergenza COVID-19, diversi ricercatori stanno studiando molecole bioattive derivate dagli alimenti per trovare nuove molecole antivirali in grado di adiuvare e implementare le attuali terapie convenzionali nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19. La maggior parte di questi studi è incentrata sulle proteine del latte e del siero di latte ed in particolare sulla lattoferrina in considerazione della sua ben nota attività antivirale verso molteplici virus.

Precedenti studi avevano già dimostrato l’azione antivirale della lattoferrina contro lo pseudovirus SARS-CoV, dove la proteina inibisce l’entrata del virus con un meccanismo che coinvolge il legame con le molecole di eparan solfato presenti sulla superficie delle cellule bersaglio (Lang et al., 2011). Recentemente, diversi autori hanno considerato il potenziale uso della lattoferrina per applicazioni sul trattamento del COVID-19, soprattutto a causa dei suoi effetti antinfiammatori e immunomodulatori (Wang et al., 2020; Campione et al., 2020; Chang et al., 2020; Zimecki et al., 2021).

Recentemente, Fan e colleghi (2020) hanno dimostrato per la prima volta che le proteine del siero di latte materno sia umano che di altre specie, compresi il latte di capra e di mucca, sono efficaci nell’inibire sia SARS-CoV-2 che il coronavirus del pangolino (GX_P2V). Questi studi, condotti su diverse linee cellulari incluse le Vero E6 e le A549, hanno dimostrato che le proteine del siero di latte bloccano l’ingresso virale e la replicazione del virus SARSCoV-2 e GX_P2V con un EC50 di circa 0,13 e 0,5 mg/ml di proteine totali, rispettivamente. Inoltre, un effetto simile è stato dimostrato per le formulazioni commerciali di latte artificiale bovino analizzate in questo studio (Huahao et al., 2020). Sono stati descritti due diversi meccanismi di azione: un’interazione diretta delle proteine del siero di latte con le proteine cellulari e virali che interferiscono con l’ingresso del virus riducendo l’affinità della proteina spike con il recettore ACE-2; e l’interazione con la RNA-polimerasi RNA-dipendente virale che determina una azione inibitoria sulla replicazione. In questo studio, è stato anche analizzato il contributo della lattoferrina in questi processi ed è stato dimostrato che la lattoferrina è la principale responsabile dell’attività antivirale riscontrata nelle proteine del siero di latte. In questi studi sia la lattoferrina ricombinante umana che quella bovina hanno mostrato una significativa attività nell’ridurre la carica virale infettante, tuttavia da questi studi è emerso che l’inibizione della lattoferrina è minore di quella dell’intero pool di proteine del siero di latte, suggerendo che anche altre proteine del siero potrebbero essere coinvolte nell’inibizione dell’infezione da SARS-CoV-2, presumibilmente mediante un meccanismo sinergico.

Altri ricercatori hanno condotto studi in vitro sull’attività anti SARS-CoV-2 della lattoferrina, utilizzando come modello di infezione diverse linee cellulari. Hu et al. (2021) hanno dimostrato, in studi condotti su cellule Vero E6,che la lattoferrina, sia bovina che umana inibisce efficacemente l’entrata del SARS-CoV-2 pseudovirus e di altri coronavirus umani quali HCoV-OC43, HCoV-NL63 e HCoV-229E impedendo il legame del virus alla cellula ospite attraverso l’interazione con l’eparan solfato presente sulla membrana cellulare. In particolare, l’inibizione mediata dalla lattoferrina bovina è superiore a quella della lattoferrina umana, con valori di EC50 per i virus HCoV-OC43, HCoV-NL63 e HCoV-229E virus da 11,2 a 37,9 ug/ml (per la lattofer-

rina bovina) e da 35,7 a 117,9 µg/ml (per la lattoferrina umana). Relativamente a SARS-CoV-2 il valore EC50 della lattoferrina bovina è stato stimato di circa 500 µg/ml. Inoltre, è stato dimostrato che sia la lattoferrina umana che bovina mostrano una azione indipendente dal tipo cellulare inibendo il legame e l’ingresso di SARS-CoV-2 in più linee cellulari incluse Vero E6, Calu-3 e 293T-ACE2.

In un altro studio sono stati dimostrati gli effetti antiSARS-CoV-2 della lattoferrina anche su altre linee cellulari comprese le iAEC2 e Huh7. Questo studio ha anche dimostrato che la lattoferrina modula la risposta immunitaria inducendo nella cellula ospite un’aumentata espressione di interferone e dei geni regolati da interferone (Mirabelli et al., 2020). Anche altri ricercatori hanno dimostrato che la lattoferrina induce in modo significativo non solo l’espressione di interferone ma anche di citochine antinfiammatorie e proinfiammatorie. Questi studi, condotti in cellule CaCo-2 infettate da SARS-CoV-2, hanno infatti dimostrato l’induzione mediata da lattoferrina dei geni IFNA1, IFNB1, TLR3, TLR7, IRF3, IRF7 e MAVS (Salaris et al., 2021). Inoltre, è stato anche dimostrato che la lattoferrina determina una riduzione della produzione di IL-6 che può essere utile per diminuire la produzione massiccia di citochine promossa da SARS-CoV-2 e quindi la grave risposta infiammatoria che caratterizza la malattia Covid-19 (Cutone et al., 2014). Di grande interesse sono gli studi che hanno riguardato l’individuazione di sinergie tra lattoferrina e altre molecole nel tentativo di trovare nuove possibili terapie antivirali combinate più efficaci di quelle attuali contro SARSCoV- 2. Da questi studi è emerso che la lattoferrina bovina mostra un effetto antivirale sinergico con remdesivir, un farmaco antivirale approvato dalla FDA che inibisce la polimerasi di SARS-CoV -2 (Hu et al., 2021). È stato anche dimostrato che la lattoferrina aumenta l’attività antivirale dell’anione ipotiocianito (OSCN -) contro SARS-CoV-2 in trattamenti combinati eseguiti su linee cellulari Vero E6 e HEK293T ( Cegolon et al., 2021).

In aggiunta a questi studi sperimentali, Miotto e collaboratori (2021) hanno condotto uno studio computazionale per individuare o confermare i possibili meccanismi molecolari alla base dell’attività anti-SARS-CoV-2 della lattoferrina utilizzando un protocollo basato sui polinomi di Zernike 2D. In questo lavoro è stata studiata la capacità della lattoferrina di legarsi o di interagire con diversi substrati cellulari e virali considerati coinvolti nell’infezione da SARS-CoV-2, tra cui l’acido sialico, i recettori eparan solfato, il recettore ACE2, la proteina Spike, e altre proteine di membrana e dell’involucro virale. È importante sottolineare che i loro risultati suggeriscono che la lattoferrina possa competere con la proteina Spike di SARS-CoV-2 per il legame al recettore ACE-2, necessario per l’entrata del virus nella cellula.

Un’interessante e recente studio ha messo in luce un ulteriore putativo ruolo anti SARS-CoV-2 della Lattoferrina. La lattoferrina possiede attività inibitorie nei confronti di alcuni enzimi tra i quali la Catepsina L (proteasi a cisteina endosomale) che nell’infezione da SARS-CoV-2 riveste un ruolo cruciale nell’escape endosomale del virus. In particolare la lattoferrina in toto mostra IC50 pari a10-7 M, mentre un suo peptide individuato sul lobo C possiede una IC50 nei confronti della Catepsina L pari a 10-5 M (Madadlou A. 2020). Questa peculiarità della proteina e/p del suo peptide derivato potrebbero impedire la fuoriuscita del virus nel citoplasma, interrompendo il suo ciclo vitale.

Oltre ai meccanismi finora citati, Habib e collaboratori hanno evidenziato un importante ruolo del ferro nell’infiammazione da COVID-19 e la conseguente potenziale attività protettiva degli agenti chelanti del ferro, inclusa la lattoferrina, nel trattamento dell’infiammazione da SARSCoV-2 (Habib et al. , 2021 ).

Oltre alla lattoferrina, altre proteine del siero tra cui beta-lattoglobulina e il lisozima hanno mostrato una loro potenziale attività antivirale contro SARS-CoV-2 nel ridurre l’infiammazione e nel promuovere l’infiltrazione e l’attivazione delle cellule coinvolte nella risposta immune innata come i neutrofili e macrofagi (Mann et al., 2020).

Infine, utilizzando approcci computazionali è stata analizzata l’attività di peptidi derivati dall’idrolisi della beta-lattoglobulina del latte di capra in particolare contro le proteasi SARS-CoV-2 e la contro la proteina Spike ed è stata dimostrata la loro potenziale attività inibitoria su ACE, DPP-4 e sugli enzimi furinici. Gli studi computazionali di docking molecolare hanno anche dimostrato la possibile interazione tra i peptidi derivati dalla beta-lattoglobulina e la proteina spike, suggerendo il loro potenziale ruolo nell’inibire l’infezione da SARS-CoV-2 (Çakır et al., 2021).

Conclusioni

Le proteine del siero di latte ed i loro peptidi biologicamente attivi hanno riscontrato grande interesse scientifico come nutraceutici da utilizzare come coadiuvanti nella prevenzione e cura di numerose malattie virali, per le loro importanti proprietà antivirali e antinfiammatorie e per la loro ampia disponibilità e biosicurezza. L’attuale emergenza COVID-19 ha portato gli scienziati a indagare sulle proprietà anti-SARS-CoV-2 del latte e delle proteine del siero di latte. Diversi studi in vitro hanno dimostrato una attività antivirale e antinfiammatoria della lattoferrina contro SARS-CoV-2. Questi risultati suggeriscono che la lattoferrina e i suoi derivati peptidici potrebbero rappresentare eccellenti candidati nella scoperta di nuovi antivirali e di molecole ad azione immuno-modulatrice, soprattutto in associazione con altri farmaci anti-COVID-19, da affiancare alle terapie convenzionali per il trattamento dell’infezione e nella riduzione dell’infiammazione.

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Giornale dei Biologi

Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

Anno IV - N. 5 maggio 2021

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Direttore responsabile: Claudia Tancioni Redazione: Ufficio stampa dell’Onb

Giornale dei Biologi

Maggio 2021 Anno IV - N. 5

A SCUOLA DI GENOMICA

Intesa tra Ordine Nazionale dei Biologi e Dante Labs, azienda leader nel sequenziamento del DNA umano. D’Anna (ONB): “I biologi potranno formarsi in laboratori tecnologicamente avanzati”

www.onb.it Hanno collaborato: Giovanni Antonini, Valentina Arcovio, Barbara Ciardullo, Carla Cimmino, Rino Dazzo, Chiara Di Martino, Laura Eduati, Domenico Esposito, Felicia Frisi, Valentina Gallo, Francesco Giansanti, Biancamaria Mancini, Marco Modugno, Emilia Monti, Michelangelo Ottaviano, Gianpaolo Palazzo, Antonino Palumbo, Stefania Papa, Carmen Paradiso, Emanuele Rondina, Pasquale Santilio, Pietro Sapia, Giacomo Talignani.

Progetto grafico e impaginazione: Ufficio stampa dell’ONB. Questo magazine digitale è scaricabile on-line dal sito internet www.onb.it edito dall’Ordine Nazionale dei Biologi. Questo numero de “Il Giornale dei Biologi” è stato chiuso in redazione venerdì 28 maggio 2021.

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