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Anna Bagnato e la ricerca sul tumore alle ovaie

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ANNA BAGNATO E LA RICERCA SUL TUMORE ALLE OVAIE Ogni anno circa 5.300 donne sono colpite da questo carcinoma

di Carmine Gazzanni

Una donna che lavora e studia con le donne e per le donne. Anna Bagnato, responsabile dell’Unità di modelli preclinici e nuovi agenti terapeutici dell’Istituto nazionale dei tumori Regina Elena, grazie anche al fondamentale supporto dell’Airc da anni porta avanti la sua battaglia contro il tumore ovarico: «I numeri – spiega la biologa – ci dicono che circa una donna su tre sarà colpita da un cancro nel corso della vita. Un impegno eccezionale che non può permettersi battute d’arresto, per contrastare tutti i tipi di cancro che, solamente nel 2019, in Italia hanno colpito circa 175 mila donne». E non ci si può permettere battute d’arresto neanche nel pieno di una crisi pandemica come quella che stiamo vivendo. Ma anzi l’emergenza «smaschera la vulnerabilità dell’intera comunità e soprattutto delle persone più fragili, esposte a rischi maggiori. E di fronte a questi pericoli solo la ricerca scientifica può prevenire e curare».

Dunque è fondamentale continuare a sostenere la ricerca?

«Assolutamente sì. Le pazienti beneficiano oggi dei risultati che i ricercatori hanno ottenuto grazie a lunghi anni di studi. La ricerca è l’unica possibilità per un futuro sempre più libero dal cancro».

Il suo team è quasi tutto al femminile: donne che lavorano per le donne?

«Il mio team, formato prevalentemente da ricercatrici, studia i meccanismi che regolano la crescita e la progressione di un tumore che colpisce ogni anno circa 5.300 donne: il carcinoma ovarico. Solamente il 40% delle donne con carcinoma ovarico curate in Italia supera il quinto anno dalla diagnosi. Purtroppo in questo tumore la diagnosi precoce è ancora difficile e spesso presenta un alto tasso di recidiva e di resistenza ai farmaci. Per superare questi problemi, con il sostegno della Fondazione AIRC, stiamo cercando di sviluppare nuove combinazioni

© Shidlovski/www.shutterstock.com

terapeutiche capaci di ridurre la resistenza ai farmaci. La campagna dell’Azalea della Ricerca della Fondazione AIRC, attiva per tutto il mese di Maggio, intende sottolineare una volta di più la centralità della ricerca scientifica nella battaglia contro il cancro delle donne».

Perché questa scelta? Ci si è “trovata” oppure sono intervenute anche altre ragioni?

«La passione per la ricerca inizia tra i banchi del liceo per proseguire con la laurea in Scienze Biologiche e la specializzazione in Patologia Generale all’Università “Sapienza” di Roma. L’esperienza formativa più importante è sicuramente quella vissuta nei due anni in Maryland, ai National Institutes of Health di Bethesda, accanto all’endocrinologo Kevin J. Catt, che in quel periodo pubblicò studi importanti sull’endotelina, un peptide con noto effetto vasocostrittore, di cui si stavano scoprendo alcune funzioni sulla regolazione ormonale. In quegli anni ho condotto importanti studi sulla famiglia dei recettori accoppiati a proteine G, di cui fa parte il recettore dell’endotelina, per fattori di crescita autocrini e paracrini dell’ovaio. Quegli studi hanno rappresentato le basi

Le pazienti beneficiano oggi dei risultati che i ricercatori hanno ottenuto grazie a lunghi anni di studi

molecolari delle future linee di ricerca volte allo sviluppo di nuove terapie molecolari nel carcinoma ovarico».

I mesi di lockdown che abbiamo vissuto e la lenta ripartenza hanno inciso anche nella ricerca sul cancro?

«Nei mesi di lockdown abbiamo deciso di riprogrammare l’attività di ricerca nei laboratori dell’Istituto che si trovano in un “open space”, dove non sempre si può lavorare mantenendo il distanziamento sociale. Per questo motivo abbiamo deciso di ridurre sensibilmente le presenze, rallentando la ricerca senza fermarla. Ci siamo trovati a prendere decisioni difficili su quali esperimenti essenziali continuare, e quali riprogrammare nei tempi successivi all’emergenza. A turno alcune ricercatrici del mio team hanno frequentato i laboratori proseguendo i loro esperimenti, per portare avanti in particolare il progetto di ricerca volto ad identificare nuove vulnerabilità nelle cellule di carcinoma ovarico farmaco-resistenti per sviluppare nuove strategie terapeutiche. La ripresa delle attività di ricerca in laboratorio ha richiesto una nuova organizzazione del lavoro. Noi stiamo affrontando la fase due della pandemia osservando tutte le indicazioni normative

Nell’immagine grande, un modello di utero con ovaie in 3D. Nel riquadro, Anna Bagnato.

Purtroppo in questo tumore la diagnosi precoce è ancora difficile e c’è un alto tasso di recidiva

della Regione Lazio e del Ministero della Salute. Tutto il personale presente in laboratorio utilizza i Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) e continua a mantenere le distanze di sicurezza, evitando assembramenti e mettendo in atto tutte le misure di contenimento di esposizione al virus. Nella fase 2, abbiamo cercato di ripartire subito a pieno ritmo mettendo il nostro massimo impegno: è un dovere nei confronti dei pazienti oncologici e dei sostenitori della ricerca finanziata da AIRC».

Viviamo oggi una incredibile emergenza che, tuttavia, ha permesso di comprendere l’importanza della ricerca scientifica e dei finanziamenti a questa dedicati. Crede che faremo tesoro di tale situazione?

«Quest’emergenza smaschera la vulnerabilità dell’intera comunità e soprattutto delle persone più fragili, esposte a rischi maggiori. E di fronte a questi pericoli solo la ricerca scientifica può fornirci strumenti di prevenzione e di cura. Tutti noi ricercatori sappiamo bene che il paziente oncologico affronta una sfida particolarmente difficile in quest’emergenza e rimane ancora di più al centro delle nostre ricerche. Per questo mettiamo la nostra competenza e il nostro massimo impegno al servizio della società per raccogliere e diffondere informazioni a beneficio dei pazienti oncologici e dei loro caregiver, ma affinché la ricerca sul cancro non si fermi, abbiamo bisogno del continuo sostegno di tutti. Quest’emergenza ha fatto comprendere la centralità della ricerca scientifica, perché nella ricerca risiede la possibilità di identificare nuovi percorsi di cura. Credo che proprio in questo periodo questa convinzione, che in noi ricercatori è connaturata, è ampiamente condivisa dall’intera comunità».

Per via del distanziamento sociale com’è cambiato - e cambierà - nel lavoro in laboratorio?

«Questo momento di estrema difficoltà mi ha fatto ancor più capire la vera natura delle ricercatrici del mio gruppo: i loro sguardi sopra le mascherine rivelano la passione, la tenacia ed il coraggio con cui s’impegnano a dare il meglio di sé nel portare avanti il proprio lavoro. Non si sono fermate, continuando a lavorare anche da remoto, dimostrando continuamente di “esserci” e di poter contare su di loro anche in questo periodo dove il tempo sembra sospeso, consapevoli che la ricerca non si può fermare perché il cancro non aspetta».

Una sorta di voglia di ripartire il prima possibile…

«Che è condivisa da tutti noi ricercatori. Ed esprime pienamente i valori e gli ideali di tutta la comunità scientifica, sempre volta a porre il paziente oncologico al centro della ricerca e della cura. Con la riorganizzazione del lavoro attuata in laboratorio, dobbiamo fare lo sforzo di ripartire subito per trovare più in fretta risposte e nuove terapie».

Quali sono i consigli per un paziente oncologico al tempo del coronavirus?

«La diffusione dell’infezione da Covid-19 ha messo in allarme i pazienti oncologici, che sono le persone più fragili, maggiormente esposte al rischio di infezioni e di complicanze. Durante questa emergenza i pazienti oncologici devono restare al centro della cura. Per questo motivo gli Istituti oncologici si sono riorganizzati, tenendo sempre al centro la sicurezza del paziente, programmando visite di follow-up e di screening su base individuale, o mediante il progetto di consegna a domicilio di farmaci oncologici e biosimilari, per limitare i rischi per i pazienti. Inoltre in quest’emergenza, gli strumenti digitali possono consentire la presa in carico del paziente e garantire la continuità di cura. Il nostro Istituto ha reso disponibile in teleassistenza (IFOconTeOnline) un servizio gratuito di consulenza a distanza, per mantenere con sistemi innovativi, la relazione con il paziente oncologico».

Chi è

Anna Bagnato nasce a Reggio Calabria, il 16 maggio 1960. Dopo la laurea in Scienze Biologiche presso l’Università Sapienza di Roma nel luglio 1984; fino al 1989 è ricercatrice presso l’Istituto Nazionale Cancro Regina Elena (IRE) di Roma. Per due anni ha lavorato in Maryland, ai National Institutes of Health di Bethesda, accanto all’endocrinologo Kevin J. Catt. Fino al 2008 è stata capogruppo del laboratorio di patologia molecolare all’Ire, diventando poi oggi responsabile dell’Unità di modelli preclinici e nuovi agenti terapeutici dell’Istituto nazionale dei tumori Regina Elena, e uno dei nomi più attivi tra i ricercatori supportati dall’Airc.

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