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Zero burocrazia e riforme strutturali. L’Italia alla prova della ripartenza

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La premessa è doverosa: trovarsi a governare un’emergenza come quella del Coronavirus non è stato facile per nessun governo al mondo, come dimostrano le difficoltà che stanno incontrando democrazie sperimentate e solide come Stati Uniti e Gran Bretagna. È stato uno tsunami a cui tutti erano impreparati e che sta mettendo a dura prova la tenuta dei sistemi sanitario, amministrativo ed economico.

In Europa ne è uscita meglio la Germania, che ha potuto contare su fondamentali più solidi. L’Italia ha invece pagato prima il progressivo smantellamento della sanità di base, a cui si sono aggiunti gli errori forse inevitabili della gestione della prima emergenza, e poi la persistenza di una burocrazia ossessiva ed invasiva che ha reso difficile il funzionamento degli aiuti a un Paese in ginocchio dopo due mesi di lockdown. Il profluvio di decreti, Dpcm, ordinanze, direttive, comitati tecnici e task-forces ha prodotto un imbuto decisionale, comunicativo e funzionale che ha finito per penalizzare la stessa volontà politica del governo.

Non è ammissibile, ad esempio, che dopo cento giorni dall’inizio dello stato d’emergenza nazionale ci fossero sono ancora quattro milioni di italiani che aspettavano i sostegni del decreto Cura Italia, tra cassintegrati in deroga e autonomi in attesa dei 600 euro. Il governo ha accelerato le procedure col decreto Rilancio, che però necessita di ben 98 decreti attuativi e contiene ben 622 rimandi ad altre leggi, tra le quali un decreto Regio del 1910.

Ci sarebbero voluti da subito sussidi a fondo perduto, non prestiti alle imprese già indebitate, peraltro intralciati dalla pretesa di diciannove documenti e dalla ritrosia dei funzionari di banca ad elargirli per il timore di incorrere in inchieste penali. Certo, lo stanziamento è stato imponen

ZERO BUROCRAZIA E RIFORME STRUTTURALI. L’ITALIA ALLA PROVA DELLA RIPARTENZA Gli italiani hanno saputo gestire la pandemia del Covid-19. Ora il Paese si sta riavviando

te e all’altezza del momento: 80 miliardi di euro in grado, si è detto, di movimentarne 400, ma il fattore tempo era cruciale, ed è stato purtroppo disatteso, mentre altri Paesi sono stati in grado di far piovere soldi freschi sui conti correnti in pochi giorni dall’inizio del blocco produttivo.

Prendiamo la cassa integrazione: alla lacuna dei fondi mancanti per la cig di luglio e agosto, con i titolari delle aziende costretti dal governo a non licenziare, si aggiunge un altro grave problema: per molti lavoratori gli anticipi dell’Inps arriveranno solo a inizio luglio. Si tratta di ritardi drammatici per famiglie già in estrema difficoltà che stentano ad arrivare a fine mese. Ritardi che purtroppo, decreto dopo decreto, hanno continuato ad accumularsi.

Il Covid-19 ha messoa dura prova la tenuta dei sistemi sanitario, amministrativo ed economico

Gli italiani in questi mesi terribili hanno dimostrato grande senso di responsabilità, a parte qualche eccesso nelle prime movide della riapertura: pur sfibrati dalle autocertificazioni, dai controlli ossessivi e dai codici Ateco non chiedevano tanto, chiedevano solo di poter tornare alla vita normale magari con poche regole chiare e con qualche soldo in tasca per poter riaprire le attività. Invece si sono trovati divisi tra garantiti e non garantiti, con milioni di imprese e di famiglie, di commercianti, di artigiani e di partite Iva che non hanno visto un euro.

Prima è toccato a medici e infermieri – a cui è come premio sono arrivate solo briciole - combattere il virus a mani nude, e lo stesso destino viene purtroppo riservato agli operatori economici, molti

dei quali hanno coraggiosamente riaperto ma rischiano di trovarsi davanti a un bivio drammatico: chiudere o fallire. Ci vuole liquidità vera e non solo promessa per non far chiudere le aziende e per rimettere in circolo i consumi, ma in tutti i decreti non c’è alcun incentivo a spendere per il consumatore finale attraverso detrazioni per la spesa. C’è il bonus monopattino, è vero, ma forse quei 120 milioni avrebbero potuto essere impiegati molto meglio, e c’è il bonus per le ristrutturazioni, cosa buona che diventerà ottima se verrà esteso anche alle seconde case.

Ma prima di tutto bisogna evitare la desertificazione produttiva del Paese e la morte di milioni di piccole imprese, dei negozi storici che costituiscono la linfa vitale dei nostri centri storici. E attenzione: il dato forse più drammatico è che in queste settimane l’usura è aumentata del 50%: chi ha lavorato una vita rischia di vedersi “confiscare” la propria impresa dalla criminalità a causa dei ritardi dello Stato nel far arrivare i sussidi.

Ora sarà importante evitare la desertificazione produttiva del Paese e la morte delle piccole aziende

Ora che siamo in piena fase due, è giusto far rispettare le regole di sicurezza, ma serve buonsenso, non sceriffi o un’infornata di sessantamila improvvisati assistenti alla vigilanza pescati tra i percettori di reddito di cittadinanza e disoccupati. La sicurezza è una cosa seria, e già si sono verificati spiacevoli eccessi durante i controlli operati dalle forze dell’ordine.

Si devono dunque far rispettare le norme di precauzione, ma non si può caricare sul negoziante, sul barista, sul ristoratore anche l’onere dei controlli. È l’autorità che fa le leggi e deve farle rispettare. I commercianti hanno dovuto già caricarsi sulle spalle le spese per la sanificazione, ora non possono anche rischiare maximulte: oltre il danno, si aggiungerebbe la beffa.

Chi vuol bene all’Italia non può che auspicare che il decreto Rilancio sblocchi davvero la situazione, e che i soldi a pioggia stanziati dal governo arrivino a destinazione. Poi ci vorrà molto altro: un piano strategico di investimenti e un forte progetto riformatore per non disperdere in altri rivoli assistenziali i finanziamenti che arriveranno dall’Europa. Ma intanto va tamponata subito l’emergenza economica perché in autunno non si trasformi in rabbia sociale.

Per far questo non servono gli approcci ideologici: la maggioranza, ad esempio, ha trovato l’accordo per una sanatoria di 600 mila immigrati: scelta politicamente legittima ma che non risolve affatto i problemi del lavoro sommerso e non rilancia nemmeno l’agricoltura. Gli imprenditori agricoli avevano chiesto a gran voce i voucher e i corridoi verdi per far rientrare gli immigrati stagionali già utilizzati nei precedenti raccolti, e ora stanno pagando di tasca loro i voli charter per trasportarli in Italia e non far marcire i prodotti.

Bisogna quindi cambiare passo: in Italia c’è prima di tutto un eccesso di leggi, troppe, illeggibili, che configurano un eccesso di potere, spesso incomprensibile e per questo ancora più insidioso. Zero burocrazia dappertutto, soprattutto per cantieri e infrastrutture, che sono il vero volano per la ripartenza del Paese, e più fiducia a cittadini e imprese. È il momento che chi governa dimostri di essere all’altezza degli italiani e del modo con cui hanno saputo affrontare la pandemia. (R. M.).

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