4 minute read

I patriarchi verdi del nostro Paese

Next Article
ECM

ECM

I PATRIARCHI VERDI DEL NOSTRO PAESE Il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali ha pubblicato un elenco di oltre 3300 alberi monumentali

Riportano alla memoria miti, leggende, storie di luoghi e di popoli, profumano, suonano col vento, cantano con gli uccelli e gli insetti, hanno forme particolari. Segnano e segnalano, soprattutto, il nostro tempo che passa, cambiando secondo il ritmo circolare delle stagioni. In Italia, per il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, sono oltre 3.300 gli alberi censiti nell’elenco di quelli monumentali, accessibile, con una semplice richiesta, in formato Shapefile o Excel. Importabile nei più comuni programmi Gis (Geographic Information System), il file permette di visualizzare la loro distribuzione sul territorio italiano, assicurando un costante aggiornamento da parte della Direzione generale foreste del ministero, grazie alla collaborazione di Regioni, Province autonome e Comuni.

Il nostro piccolo tour da Nord a Sud comincia con “S’Ozzastru”, cioè l’olivastro, quello precisamente di San Baltolu di Luras vicino al lago Liscia, in provincia di Sassari. Per molti sarebbe l’albero più

L’iniziativa è stata promossa in occassione della ricorrenza della “Giornata Mondiale della Terra”

antico d’Italia: supera i quattromila anni e ancora oggi ospita sotto i suoi rami numerose pecore al pascolo. Le sue misure sono: altezza 14 metri e circonferenza della chioma 23 m. Il tronco, che ne misura circa 12, presenta nodi e piccole cavità, come deve avere un vero patriarca della natura che si rispetti.

Un altro pezzo da novanta è il famosissimo Castagno dei cento cavalli, un albero di castagno plurimillenario, nel Parco dell’Etna in territorio del comune di Sant’Alfio (Ct) nel cui stemma civico è raffigurato. Misura circa 22 m di circonferenza del tronco, per 22 m d’altezza. Nel 2006 l’Unesco l’ha dichiarato Monumento messaggero di pace, ricordando le tante persone che nel tempo l’hanno ammirato e quel mito secondo cui, in una notte tempestosa, una regina di nome Giovanna sia stata amata da alcuni dei cento cavalieri del suo seguito, che con lei avevano trovato rifugio nel tronco.

Risalendo lo Stivale, segnaliamo l’abete bianco di Malga Fassole ad Avio (Tn). Ha una caratteristica particolare: il portamento del fusto che, anziché essere dritto come di norma si presenta nell’abete bianco, si divide a circa due metri di altezza in otto grosse branche formando una specie di enorme candelabro. Il nome attribuitogli è “patriarca del monte Baldo”. Il legno morto in alcune parti ospita molti insetti e funghi che lì trovano i loro habitat ideali. Una chioma così ampia e articolata, inoltre, fornisce possibilità di rifugio a numerose specie di vertebrati, dai micromammiferi agli uccelli.

La sequoia gigante di Faè a Longarone (Bl) mostra ai visitatori i segni della

© trattieritratti/www.shutterstock.com

Sopra, la sequoia gigante di Longarone (Belluno). A destra, il fico del Bengala del Giardino inglese a Palermo. Fonte: Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali.

frana proveniente del monte Toc, che il 9 ottobre del 1963 distrusse il territorio e moltissime vite umane. Una ferita longitudinale di cinque metri sul tronco ci fa capire, infatti, il livello raggiunto in quel luogo dall’onda d’acqua e fango proveniente dalla diga. Da allora è il simbolo del territorio devastato, ma anche rinato. È conosciuta come “Pianta santa” o “Pianta dell’Ajal” con un’età stimata di 170 anni, tale da far ritenere che sia stata una delle prime importate in Europa.

A San Vito, Monte San Biagio (Lt) il leccio-sughera convive con un eterogeneo sottobosco, formato da specie tipiche degli ambienti mediterranei, quali lentisco, fillirea, mirto, biancospino e erica arborea. È stato scelto poiché rappresenta bene i molti ibridi di quercia presenti in Italia ed è raggiungibile con uno dei tanti sentieri all’interno della sughereta. I cipressi di Triboli a San Quirico d’Orcia (Si) sono una vera e propria icona del paesaggio toscano, vegetano isolati su un’altura facente parte di un gruppo collinare posto tra la Val d’Orcia e la valle dell’Ombrone. Quella veduta, celebrata dai pittori della scuola senese, è stata proclamata dall’Unesco nel 2004 Patrimonio mondiale dell’umanità.

Il nostro breve viaggio nell’Italia dei centenari e secolari si conclude con l’albero più rappresentativo della fitogeografia nel Parco Nazionale del Pollino: il pino loricato della Grande Porta a Terranova di Pollino (Pz). Presente in Italia solo in questa parte dell’Appennino calabro-lucano con circa duemila esemplari, è quanto rimane delle antiche foreste oro-mediterranee che nel Terziario coprivano la costa adriatica meridionale e i Balcani. L’esemplare che vegeta nel valico tra Serra di Crispo e Serra delle Ciavole è conosciuto come il “Solitario”, ha una circonferenza della base del tronco di 6,5 m, il cimale spezzato e una chioma dolcemente a bandiera. Nonostante i suoi 500 anni di età stimata,

mostra ancora intatta la caratteristica corteccia a squame di serpente e, come tutti gli altri, aiuta a restituirci quel rapporto con la natura, unica chiave di cui disponiamo per aprire la porta che ci separa dalla nostra desiderata tranquillità. (G. P.).

This article is from: