Novembre 2021

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Il valore dell’esperienza | NOVEMBRE 2021 | Anno XLIII - n.11 - € 2,50 I.P.

INCHIESTA

Violenza contro le donne

Perché abbiamo bisogno di un cambiamento culturale

SOCIETÀ Badanti, tassello fondamentale del welfare nazionale Eppure, molte di loro lavorano ancora senza tutele e diritti

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EVENTI Torna il Concorso internazionale “Corti di Lunga Vita” Protagonisti di questa edizione sono “gli abbracci”

SCIENZE Farmaci e autoprescrizione: il pericolo è dietro l’angolo Con le terapie “fai da te”, serie conseguenze per la salute

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50&Più il valore dell’esperienza

Sommario

Mensile di attualità e cultura di 50&Più Sistema Associativo e di Servizi

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Anno XLIII - n. 11 - novembre 2021

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Sfoglia la rivista sul tuo dispositivo. Visita il sito: www.spazio50.org Per contattare la Redazione scrivere a: redazione@50epiu.it Carlo Sangalli

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Anna Maria Melloni

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Periscopio, notizie dal mondo

Dario De Felicis

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Badanti, un esercito da tutelare

Sadìa Maccari

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Anna Costalunga

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Nell’“abbraccio” dei Corti di Lunga Vita

Stefano Leoni

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72 anni, una laurea e una bella amicizia

Giada Valdannini

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Winda Casula

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Tecnologia e dintorni

Valerio Maria Urru

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Fisco

Alessandra De Feo

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Luca Giustinelli

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Su quel ramo del Lago… Maggiore Due appuntamenti, un obiettivo che riguarda tutti

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di R. Vinci

GENERAZIONE T, INSIEME È MEGLIO

Numerosi senior, aiutati dai loro nipoti, sbarcano su TikTok diventando vere e proprie star. In un ideale incontro virtuale tra generazioni.

In questo numero

È finita l’epoca degli abbracci?

Strani dispositivi al nostro servizio

Previdenza

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Ritanna Armeni racconta il coraggio delle donne

Violenza di genere, una spirale da rompere

Nell’ultimo libro, il percorso del mondo femminile dopo il ’68

Alimentiamo nei giovani d’oggi la “cultura del rispetto”

di Giada Valdannini

di G. Vecchiotti, I.Romano, P. Stefanucci, M. Pagliuca, C. Poselli

Rubriche Gianrico e Giorgia Carofiglio

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Lidia Ravera

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Marco Trabucchi

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Effetto Terra

Francesca Santolini

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Lettere al Direttore

Giovanna Vecchiotti

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La forma delle nuvole Il Terzo Tempo Anni possibili

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di R. Carabini

GIANLUCA ANTONI, TRA MISTERI E SEGRETI Alla scoperta di “Io non ti lascio solo”, l’ultimo romanzo dello scrittore-psicologo, tra le vicende di due ragazzini e una strana sparizione.

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di G. Cionti

ITALIANI, POPOLO DI VOLONTARI

Secondo l’Istat, il nostro Paese è tra i più impegnati nel settore del volontariato. Più di 6 milioni di italiani hanno prestato un servizio gratuito. novembre 2021 | spazio50.org

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Intervista Roberto Vecchioni La vita, la musica e... l’insegnamento attraverso le “giornate di follia”

Direttore Editoriale Anna Maria Melloni @ am.melloni@50epiu.it

Linda Russo 24

Direttore Responsabile Giovanna Vecchiotti @ g.vecchiotti@50epiu.it Design Massimo Cervoni @ m.cervoni@50epiu.it Editoriale 50&Più Srl Amministratori Antonio Fanucchi (Presidente) Giuseppina Belardinelli Franco Bonini Antonino Frattagli Brigida Gallinaro Procuratore Gabriele Sampaolo

Scienze Farmaci: i pericoli dell’autoprescrizione Il ruolo dei test genetici

Paola Stefanucci

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a cura di Fondazione U. Veronesi

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Direzione e Redazione 00186 Roma - Via del Melangolo, 26 Telefono 06.68134552 www.50epiueditoriale.it

74 Decluttering, operazione ordine Come liberarsi da oggetti ormai superflui, affrontando ricordi e vissuto di Viviana Rubini

Cultura e tempo libero Libri, Arte, Teatro, Musica, Cinema

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Vivere in Armonia

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Giochi

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Bacheca

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Bazar

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Agf, Masterfile, Shutterstock, Antonio Barella, ©Alessandro Carofiglio, Gianluca Antoni, Cesidio Lanciano, Foto CIPSI, Ercole Salinaro, www.playpulse.com. Shutterstock: OlegDoroshin. Foto di copertina: Shutterstock. Illustrazioni: Enrico Riposati.

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Finito di stampare: 22 ottobre 2021

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NUMERO CERTIFICATO 8802 DEL 5/05/2021

ASSOCIATO ALL’USPI UNIONE STAMPA PERIODICA ITALIANA

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SU QUEL RAMO DEL LAGO… MAGGIORE La cultura può essere un valido “antidoto” alla crisi portata dal Covid. Con questo obiettivo la 50&Più, con le sue proposte culturali, continua ad essere ispirazione per moltissimi senior come le preferenze dei consumi culturali degli italiani siano fortemente provate dal Covid-19: una parte maggioritaria della popolazione ritiene prudente evitare i luoghi troppo affollati e pensa che l’offerta culturale dal vivo sia ancora molto ridotta, viceversa due terzi del campione (ma lo abbiamo visto anche nelle attività di 50&Più) usa molto più spesso il digitale rispetto al passato. Il dato che fa più riflettere, tuttavia, sottolinea una cesura sociale profonda, tra le molte create da questa crisi: da una parte, metà del campione da quando è iniziata la pandemia passa molto OGGI PIÙ CHE MAI È più tempo a leggere, informarsi o a NECESSARIO INCORAGGIARE seguire attività culturali, che lo inL’INTERESSE E LA teressano sempre di più; dall’altra PARTECIPAZIONE ALL’ARTE parte, una metà degli intervistati deE ALLA CULTURA dica meno tempo nella sua giornata dersi sempre il “perché” di quello che alla cultura e - ancor più preoccufacciamo, non può che venire in menpante - è sempre meno interessato te la bella manifestazione di 50&Più a farlo. Contribuire a ricucire questo ennesimo strappo della crisi, incoche ogni anno (Covid permettendo) si raggiando l’interesse e la partecipasvolge a Baveno, sulle rive del Lago di Carlo Sangalli zione all’arte e alla cultura, anche Maggiore. Tra creatività e cultura, le Presidente Nazionale 50&Più come “antidoto” agli effetti collateespressioni artistiche che si incontrano a Baveno sono sempre sorprendenti, a dimostrazione rali, ma spesso dolorosi, della pandemia, è quindi oggi che l’età non è affatto un limite quando è accompagnata più che mai una missione che una grande Associazione da una autentica dimensione di senso. Una dimensione come la nostra deve continuare a porsi. D’altra parte, che forse è diventata ancora più rilevante dopo la lunga fare cultura e sostenerla - si sa - mantiene giovani. E, stagione pandemica che ha scosso la vita, le abitudini e come diceva Alessandro Manzoni, ispirato dalle rive di gli animi di ogni generazione. Da una ricerca condotta un altro lago rispetto a Baveno: «Si dovrebbe pensare da SWG per Impresa Cultura Italia - il Coordinamento più a far bene che a star bene: e così si finirebbe anche di Confcommercio dedicato alla filiera culturale - emerge a star meglio». Il settantatreenne Premio Nobel per la Letteratura 2021, il tanzaniano Gurnah, ha scritto: «Non sono come Virginia Wolf che all’età di 10 anni sapeva già di essere una scrittrice. Io mi sono ritrovato a scrivere qualcosa un giorno, come le persone di solito fanno. Poi si sono aggiunte nuove pagine. Infine, sono arrivato ad un punto in cui ho pensato: cos’è questa cosa che sto scrivendo? Lì sta la differenza tra buttare giù qualche riga e scrivere». Tra vocazioni “tardive” e l’importanza di chie-

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DUE APPUNTAMENTI, UN OBIETTIVO CHE RIGUARDA TUTTI di Anna Maria Melloni

Possiamo - dobbiamo - prevenire ogni forma di violenza sulle donne. Ad ogni età. Educando chi pratica violenza ad un nuovo atteggiamento. E la chiave può essere… la gentilezza.

I

l 13 di novembre di ogni anno si celebra la Giornata Mondiale della Gentilezza. La sua storia ha origini lontane, risalgono al 1963, quando il preside di un’università di Tokio, nel discorso di commiato a un gruppo di giovani neo laureati, chiese loro di farsi interpreti di atti di gentilezza, perché questa potesse un giorno investire come un’ondata tutta la società. Sono passati quasi 60 anni da allora; dal 1998 abbiamo un appuntamento fisso per ricordarla, perché di gentilezza abbiamo bisogno sempre, come antidoto a una società che a tratti si mostra violenta. Non parliamo però di una gentilezza superficiale, di sterili formalismi o gesti affrettati, ognuno di noi ha sperimentato il disagio che deriva dall’essere oggetto di comportamenti solo esteriormente cortesi. La discrepanza tra ciò che viene naturalmente trasmesso sul piano emotivo e ciò che viene proposto da comportamenti studiati ad arte, ci fa percepire chiaramente la mancanza di autenticità, in modo quasi palpabile. Quante volte, in situazioni simili, ci siamo chiesti se dare ascolto all’istinto che ci suggeriva di diffidare

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di quel determinato interlocutore… La gentilezza a cui dovremmo dare spazio è un atteggiamento interiore prima ancora che esteriore. È data da ascolto, cura, disponibilità a comprendere i bisogni dell’altro senza negare i propri, capacità di offrire parole e quando occorre silenzi. La gentilezza che non abbiamo potuto esprimere col sorriso nell’ultimo anno, abbiamo imparato a trasmetterla e riconoscerla negli sguardi, che abbiamo scoperto attenti e vigili. I nostri occhi hanno vicariato i sorrisi e gli abbracci mancati. In questo stesso mese di novembre, pochi giorni più avanti, si celebra un’altra giornata fondamentale, dedicata a un tema ineludibile: l’eliminazione della violenza contro le donne. Anche questo appuntamento, istituito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nasce alla fine degli anni Novanta e ricorre ogni 25 novembre dal 1999. Delle diverse forme di violenze, le più eclatanti e quelle meno evidenti, parliamo nell’inchiesta che abbiamo dedicato al tema, un aspetto che troverete sviluppato merita di essere sottolineato anche qui: la violenza contro le donne riguarda

tutte le fasce di età, tutte le condizioni economiche e sociali. La paura e il senso di perdita della libertà sono elementi costanti nelle vittime di violenza, che questa sia fisica, economica o psicologica. Le violenze sulle donne anziane sono in aumento e questo dato ci allarma, perché una donna anziana può, in determinati casi, percepire come estremamente ridotte le possibilità di incidere sulla sua situazione personale, soprattutto se dipende economicamente dalla persona che le usa violenza. La violenza contro le donne non riguarda solo le donne, riguarda tutti: chi la subisce, chi la perpetra, chi veicola messaggi che giustificano i carnefici o colpevolizzano le vittime, riguarda chi ritiene che a lei o a lui non potrebbe mai accadere nulla di simile. Riguarda chi pensa che una donna abbia provocato e chi crede esistano i delitti passionali. Riguarda chi sostiene che certe cose non cambieranno mai e chi si sente impotente ma vorrebbe degli strumenti per esserlo meno. Per questo dobbiamo parlarne oggi, domani e ancora e ancora, fino a quando la violenza contro le donne non sarà del tutto eliminata.

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ESSERE UMANE Le grandi fotografe raccontano Un viaggio nell’evoluzione del linguaggio fotografico mondiale, attraverso lo “sguardo femminile”, a partire dagli anni Trenta del Novecento. Nelle oltre 300 immagini, i reportage di guerra e i cambiamenti dei costumi sociali, la ricostruzione post-bellica e le questioni di genere, l’affermarsi della società dei consumi e l’osservazione della donna nei paesi extra-occidentali. Forlì, Musei San Domenico. Fino al 30 gennaio 2022

“La bambina con il pane” di Letizia Battaglia

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La forma delle nuvole

Un padre e una figlia osservano il mondo

IL CORAGGIO

DI SCEGLIERE di Gianrico e Giorgia Carofiglio

C’

Per ogni decisione da prendere ci vuole una buona dose di coraggio. Perché una scelta implica sempre una componente etica, a volte complessa 10

è un dilemma che tiene impegnati i filosofi dell’etica da oltre cinquant’anni: il cosiddetto problema del carrello. È un esperimento mentale, ovvero una situazione immaginaria creata appositamente per farci riflettere sui valori che indirizzano le nostre decisioni. È stata una filosofa inglese, Philippa Foot, a formularlo, ma molti altri si sono cimentati con questo problema che ci costringe a fare i conti con le nostre intuizioni morali e i loro limiti. L’esperimento mentale è questo. Immaginate che ci sia un carrello ferroviario (una locomotiva, ad esempio) lanciato a tutta velocità. Sul binario, a poche centinaia di metri, ci sono cinque persone legate, che dunque non possono fuggire in nessun modo. C’è una leva davanti a voi che può deviare la corsa della locomotiva su un altro binario, su cui però è legata un’altra persona. Se azionate la leva, le cinque persone si salveranno, ma la persona sul secondo binario morirà. Se non intervenite, la sorte delle cinque persone sul binario principale sarà segnata. Cosa fate? Le due possibilità implicano due visioni diverse dell’etica. Se decidete per la prima opzione, ovvero di intervenire, allora siete dei consequenzialisti, cioè pensate che la moralità di una scelta si valuti in base alle sue conseguenze. Pensate che interveni-

re causando la morte di qualcuno sia moralmente accettabile se permette di salvare un numero maggiore di persone. Se propendete per la seconda opzione, ovvero lasciate fare al destino il proprio corso, avete quello che viene definito un approccio deontologico: pensate che ci siano principi morali che si applicano in qualunque circostanza. Cioè, non credete ci siano situazioni in cui è giusto, o perlomeno moralmente accettabile, causare la morte di qualcuno, neanche per salvare altre persone. Il problema del carrello non ha risposte giuste o sbagliate, anche perché agli scenari immaginari manca l’imprevedibilità che hanno le situazioni reali. Nella vita di tutti i giorni, non siamo mai perfettamente in grado di sapere che conseguenze avranno le nostre azioni. Non possiamo essere certi del fatto che se la locomotiva prosegue dritto tutte e cinque le persone moriranno, o che se devia ucciderà l’altra. Dobbiamo scegliere in contesti di incertezza, che rendono le decisioni più complesse e spesso moralmente più ambigue. Il dilemma del carrello ci permette comunque di mettere in dubbio e saggiare le nostre intuizioni morali. Quelle che poi guidano nel mondo reale le nostre scelte, sia individuali che collettive. Ad esempio, con l’avvento dell’intelligenza artificiale, la questione di chi debba prendere decisioni

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eticamente delicate si fa sempre più rilevante. Pensate a un’automobile senza guidatore: in caso di grave pericolo per più persone (pedoni, automobilisti, passeggeri) chi si salva e chi muore? L’automobile - o meglio, l’intelligenza artificiale che la guida - deve assumere decisioni che normalmente spetterebbero a un essere umano. Ma un algoritmo non è mai neutrale: riflette le convinzioni e i valori di chi l’ha scritto, se non anche i suoi pregiudizi impliciti. Non solo: ci sono decisioni che non possono essere eticamente neutre, cioè in cui non c’è un’opzione migliore delle altre in termini assoluti. Accade in contesti che richiedono un giudizio morale, ovvero di bilanciare valori e interessi diversi. Joseph Weizenbaum è stato fra i primi scienziati a occuparsi delle que-

stioni etiche che sono sorte con l’avvento dell’intelligenza artificiale. In particolare, Weizenbaum si sofferma sulla distinzione importante che c’è fra decisioni e scelte. Le decisioni sono attività computazionali, ovvero possono essere ridotte a un calcolo o a un algoritmo, per quanto complesso possa essere. Le scelte invece richiedono qualità umane, prima di tutto empatia, emozioni, accettazione dell’incertezza. Non sono computabili, ovvero non possono essere semplicemente ridotte a termini matematici. Richiedono flessibilità, giudizio, intuizione. Le scelte hanno necessariamente una componente etica. Non possono essere ciecamente affidate alla tecnologia, né alle persone che la sviluppano. Non solo nel caso delle automobili automatiche, ma anche con gli algo-

ritmi usati in medicina o in ambito militare o nella giustizia. In generale, l’uso che facciamo della tecnologia ha sempre dei risvolti etici, perché modifica il modo in cui entriamo in rapporto col mondo e con gli altri. Se non riflettiamo sui dilemmi che ci pone la tecnologia, lasciamo scelte morali importanti al caso o a persone che non sono legittimate ad affrontarle in nome di tutti. L’esperimento mentale del carrello ci ricorda che ovunque ci siano esseri umani, con valori e interessi in conflitto, ci sono problemi che non hanno risposte vere o false. Possono essere risolti solo nella maniera più difficile: nel mezzo dell’incertezza, ponendosi domande complesse, mettendo in dubbio le proprie intuizioni e quelle degli altri. Con il coraggio di scegliere. novembre 2021 | spazio50.org

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Il TERZO tempo

QUELLA PAURA DI INVECCHIARE di Lidia Ravera

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i farò una confessione: certe volte mi capita di vergognarmi della mia età. Sono diventata scema? No, sono condizionata da quello che sento. Che ascolto. Io sono una persona terribilmente curiosa. Se salgo su un mezzo pubblico, se sto in fila per entrare in farmacia o per ritirare una raccomandata alla posta, non posso fare a meno di allungare le orecchie. È così che colgo lo spirito del tempo, è così che faccio le mie piccole scoperte sociologiche. Quella che ho fatto quest’estate, adesso che andiamo verso l’inverno, la condivido con voi. Così alleggerisco il peso, così mi consolo. Scena: un gelataio di città, con i tavolini fuori, un gruppo di trenta/ quarantenni vestiti da adolescenti, tatuati da “coatti”, come si chiamano a Roma quelli un po’ cafoni, un po’ ruvidi, un po’ esibizionisti, un po’ borgatari (gente di periferia), coi capelli gelatinati i maschi, coi capelli piastrati le femmine. Tutti tendenti al nudo: pancini femminili, bicipiti maschili. Magliette slabbrate. Bene, ho evocato la scena: il gruppo di simil giovani parla di una terza, assente. «Si, figurati, 28 anni! Quella ne ha almeno 32», dice una lei. 12

E la sua amica: «32? Ma se ne ho 36 io!» Un maschio: «Da quanti anni è che ne hai 36?» Una risata coinvolge i presenti, meno la trentaseienne cronica. Perché vi sto raccontando questo? Perché mi sono formata la convinzione che tutti, ma proprio tutti, nella nostra magnifica società occidentale, hanno il terrore di essere “i vecchi”, incalzati dal nuovo che avanza. Le giovani donne sedute attorno al tavolino di quella innocua gelateria si mettono a parlare, fitto fitto, fra loro, di una “pischella” ventiduenne che ha sedotto un comune amico-assente, facendolo divorziare dalla moglie. Della moglie vengono cantate le lodi per dieci minuti, poi spunta la maldicenza. «No, dico, ma l’hai vista? Ha 40 anni scarsi e ne dimostra 50». «No, dai, 50 no!» protesta, la trentaseienne, che deve avere trentasei anni da tempo immemorabile, a guardarla con la luce piena del giorno, mese più mese meno. Il modo in cui pronunciano il numero 50 (cinquanta, come la nostra gloriosa Testata) rivela una ripugnanza intollerabile. Tutti cercano di allontanarsi dall’epicentro del dramma: il momento in cui uscirai dalla giovinezza, non sarai

più “pischello” (guaglione, regazzino, lolita, ecc.). Mi chiedo che cosa pensano di me, che i cinquanta li ho passati da un pezzo. Gli faccio pena? Li guardo, li guardo mentre non mi guardano e mi rispondo: niente, non pensano niente. Non mi vedono. Vogliono soltanto stare fra loro. Non provano nessun interesse verso

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PARLIAMONE... Chi volesse scrivere a Lidia Ravera può farlo: per posta - C/O Redazione 50&Più Via del Melangolo, 26 - (RM) per fax - 066872597 per email - redazione@50epiu.it

chi ha vissuto di più. Negano ogni fascino all’esperienza. Ogni valore alla durata. Amano soltanto chi sa meno di loro. Invidiano soltanto chi è da meno tempo sulla terra. Soltanto i bambini, l’ho scoperto fermandomi sulla panchina di un piccolo parco giochi vicino a Castel Sant’Angelo, a Roma, soltanto i bambini desiderano essere più grandi,

hanno voglia di crescere, si aggiungono gli anni per aumentare il loro peso specifico, sono curiosi di quelli che stanno già in quinta e sanno cose che per loro rivestono ancora i panni del mistero. Io me lo ricordo, quando trotterellavo dietro a mia sorella, di quattro anni maggiore e la copiavo, e la interrogavo, e la mitizzavo, e la amavo, perché mi pareva forte come i grandi

e allegra come i bambini. Poi è arrivato il Sessantotto e abbiamo incominciato a contestare genitori e professori, abbiamo aggredito gli adulti e sfottuto i vecchi. Uno dei nostri testi sacri, autore Jerry Rubin, invitava a diffidare di chi aveva più di 25 anni. È allora che è incominciata la disgrazia di quelli di “50 e più”? Come si fa a tornare indietro? novembre 2021 | spazio50.org

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Anni possibili

LA LIBERTÀ INDIVIDUALE E LA MEDICINA di Marco Trabucchi

Un buon rapporto con il proprio dottore è fondamentale quando si inizia un percorso terapeutico. Eppure, qualcuno ha difficoltà a concedere fi­ducia ai medici e alla Medicina 14

La discussione sulla libertà sta affollando i media attorno al tema della vaccinazione e del Green Pass. Non voglio entrare in questo dibattito, ma dedicare alcune righe sulla libertà di ogni persona, di qualsiasi età, di fronte alle indicazioni (o richieste) da parte di medici e del sistema sanitario nel suo complesso. È ben noto che gli atti di cura non sono sempre lineari, spesso difficili da impostare da parte del medico e difficili da sopportare da parte del cittadino. La crisi si può verificare di fronte a queste difficoltà; spesso riguarda la persona anziana fragile sul piano fisico e psicologico, più sensibile alle eventuali conseguenze negative di un atto di cura. La medicina è un insieme di atti che talvolta sono costruiti senza un preciso fondamento scientifico; il più delle

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volte, però, si basa su studi controllati condotti con rigore, sia sul piano preclinico che clinico. Quando il sistema medico prescrive una certa procedura diagnostica o una cura si prefigge di interferire con una condizione che potrebbe danneggiare la qualità della vita, e talvolta la vita stessa, di un cittadino. Si tratta di indicazioni rivolte ad una persona che conserva la propria libertà e la propria dignità, indipendentemente dal numero di anni. Ci si potrebbe domandare se il cittadino è obbligato ad eseguire quanto indicato; normalmente ciò avviene quando vi è un legame di fiducia e di stima tra struttura sanitaria (o il singolo medico), l’ammalato e la sua famiglia. Però cosa succede se questi ultimi non concedono fiducia alla “medicina” impersonata da specifiche persone? Fin dove può

arrivare lo spazio di libertà? Si può rispondere che la libertà è sacra e che quindi deve essere assolutamente rispettata. Ma poi? Cosa succede al cittadino non fiducioso? Ha certamente il diritto di chiedere una seconda opinione, ma deve compiere delle scelte. Di seguito sono riassunti alcuni punti fermi sui quali il cittadino può costruire il proprio rapporto paritario con la medicina, in modo che ogni giorno sia un momento per vivere gli “anni possibili” senza rinunciare a cure efficaci: • Se si tratta di questioni di limitato rilievo clinico, conviene adeguarsi al consiglio, anche se può sembrare inadeguato o insufficiente. • Chiedere al medico spiegazioni sullo scopo immediato e a lungo termine di un certo atto; se il medico sembra anch’egli incerto, è bene chiedere un secondo parere. • Se si è convinti di quanto indicato, chiedere tempi e modi per aderire alla prescrizione; evitare un’accettazione “al buio”, senza essere informati in modo preciso e convincente sulle varie tappe di un’indagine diagnostica o di programma terapeutico. • Chiedere informazioni al medico (o alla struttura di riferimento) sulla possibile comparsa di effetti indesiderati. Infatti, se questi sono attesi, non spaventano e non inducono a chiedere cambiamenti; se, invece, non sono stati adeguatamente preannunciati producono ansia, incertezza

e, alla fine, il rischio di sospendere il trattamento indicato. • Se le prescrizioni sono complesse, pesanti e di lunga durata, la richiesta di chiarimenti deve essere particolarmente accurata; ad esempio, nel caso di terapia contro un tumore è diritto-dovere del cittadino essere informato in modo dettagliato. Inoltre, qualora la condizione di salute suggerisca il passaggio ad una cura palliativa, il paziente deve essere accompagnato con delicatezza ad accettare il radicale cambiamento di prospettiva che assume la nuova modalità di cura. • Qualora il cittadino non fosse in grado di capire il contenuto e il significato di una cura perché affetto da demenza, è necessario che il parente che normalmente ha il ruolo di caregiver si informi con precisione. Quando fossero state predisposte delle disposizioni anticipate, queste devono essere rigorosamente rispettate. Il caregiver, o l’eventuale amministratore di sostegno, devono mettere in atto nei confronti del medico o della struttura di cura i comportamenti sopraindicati, come fossero loro i pazienti. Seguendo queste regole il cittadino difende la propria personale autonomia e libertà; allo stesso tempo, però, costruisce un rapporto positivo con gli attori della salute, in modo da attuare serenamente le cure opportune.

PARLIAMONE... Chi volesse scrivere a Marco Trabucchi può farlo: per posta - C/O Redazione 50&Più Via del Melangolo, 26 - (RM) per fax - 066872597 per email - redazione@50epiu.it

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Effetto Terra

IL TRISTE ESODO DEI MIGRANTI CLIMATICI

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di Francesca Santolini

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tolli sommersi dalle acque, case distrutte, raccolti inondati dalle mareggiate. Pensavano che fosse una punizione degli antenati per le loro cattive azioni, gli abitanti di Carteret, quando si sono trovati davanti le isole che abitavano inghiottite dal mare. Sono arrivati a offrire animali in sacrificio e hanno rivolto preghiere al vento chiedendo una tregua. La risposta a quella devastazione non soffia nel vento ma nel cambiamento climatico, che pone al centro della cartina geografica questo gruppo di sei isolotti al largo della Papua Nuova Guinea. Nulla ha placato la furia del mare, neanche le barriere costruite davanti all’arcipelago che è stato spazzato via dalle tempeste. Per quale motivo abbiamo raccontato questa storia? Perché, secondo l’Unesco, 16

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Il cambiamento climatico sta generando i primi “profughi”, intere popolazioni costrette a fuggire da catastrofi naturali, dalla desertificazione e dalla perdita di territorio dovuto all’innalzamento del livello del mare

gli isolani di Carteret sono i primi profughi ufficiali causati dal riscaldamento globale. Tra le comunità più esposte all’innalzamento del livello del mare ci sono le Piccole isole del Pacifico che, paradossalmente, hanno contribuito in minima parte alle emissioni di gas serra (meno dell’1%). Si tratta di piccoli atolli o isole di barriera a forma di anello che si trovano a pochi metri sul livello del mare e proprio per questo sono particolarmente vulnerabili al clima che cambia. In questa parte del globo, così come in altre zone della Terra, il rischio del cambiamento climatico non è affatto una suggestione apocalittica, ma una realtà che spinge milioni di persone ad abbandonare le proprie case. Ma chi sono i profughi del clima? Un esercito di esseri umani in fuga da catastrofi naturali, dalla perdita di territorio dovuto all’innalzamento del livello del mare, da siccità e desertificazione, da conflitti per l’accaparramento delle risorse idriche o energetiche. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni hanno dichiarato che entro il 2050 si raggiungeranno tra i 200 e i 250 milioni di rifugiati ambientali, con una media di 6 milioni di persone costrette ogni anno a lasciare il proprio Paese. Ma quand’è che un semplice migrante diventa “migrante climatico”? Solitamente il migrante è colui che decide di migrare per scelta di “personale convenienza”, per la ricerca di migliori condizioni di vita, materiali o sociali. I migranti ambientali, invece, sono persone spinte a partire perché non riescono a sopravvivere nel loro luogo d’origine, in quanto non hanno più accesso a terra, acqua, mezzi di sussistenza. E i dati su questo potenziale esodo climatico sono da allarme rosso. Secondo uno studio della Banca mondiale, gli effetti del cambiamento climatico in atto nelle tre Regioni più densamen-

te popolate al mondo, provocheranno entro il 2050 migrazioni interne di 143 milioni di persone. Ci sono aree più esposte a questo fenomeno come l’Asia centrale, dove problemi come la mancanza d’acqua comincia a provocare spostamenti di popolazioni che hanno delle conseguenze sull’economia locale, creano impoverimento e incentivano l’esodo. E poi l’Africa, che sarà sempre di più teatro di conflitti locali per l’accaparramento di terreni agricoli e di risorse come acqua ed energia, davanti a scenari di desertificazione, con oltre i due terzi delle aree oggi coltivate a rischio scomparsa. La FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) prevede che nella “cintura saheliana” tra il Niger e il Senegal, la produttività delle province rurali si ridurrà fino al 50% entro il 2050. Ma non è tutto. Secondo diversi studi, l’innalzamento del livello dei mari potrebbe mettere in pericolo circa 150 milioni di persone. Se il tasso di emissioni di gas serra a livello globale rimarrà quello attuale, senza miglioramenti e impegni concreti, il rischio c’è e rimarrà alto. Parliamo di quelle città costruite su un livello medio del mare molto basso, o quelle soggette a una subsidenza importante come Venezia. Ma anche, la Laguna di Taranto, il Golfo di Oristano, la parte meridionale del nord Adriatico, sono tutte zone particolarmente sensibili. E se domani i migranti climatici saremo noi?

PARLIAMONE... Chi volesse scrivere a Francesca Santolini può farlo: per posta - C/O Redazione 50&Più Via del Melangolo, 26 - (RM) per fax - 066872597 per email - redazione@50epiu.it novembre 2021 | spazio50.org

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Periscopio

DENTRO E FUORI DAL CAMPO, LO SPORT DIVENTA UN AFFARE a cura di Dario De Felicis Lo sport, da qualche decennio a questa parte, è diventato un vero e proprio business. Tra marketing, abbigliamento e merchandise, sono sempre di più gli sportivi che riescono a strappare contratti milionari ai loro sponsor. Anche se la pandemia ha cancellato centinaia di eventi sportivi e ha interrotto molti campionati professionistici, per 50 atleti il 2021 è stato un anno davvero da record. Primo tra tutti il combattente di arti marziali miste, Conor McGregor. Lo scorso anno, al netto delle imposte, ha fatturato l’enorme cifra di 180 milioni di dollari, grazie anche alla vendita delle sue quote di maggioranza del whisky irlandese Proper No. Twelve, che pubblicizzava prima di ogni incontro. Naturalmente anche il calcio ha il suo uomo-record: Lionel Messi. L’argentino passato in estate dal Barcellona al Paris Saint-German, lo scorso anno, tra campo di gioco e pubblicità ha guadagnato 130 milioni di euro. Poco sotto, in questa ideale classifica, Cristiano Ronaldo, che ha ricavato 120 milioni di dollari. Tra gli altri sport, spiccano Dak Prescott nel football americano con 107,5 milioni, il cestista LeBron James con 96,5 milioni di dollari, e Roger Federer nel tennis con 90 milioni. Tra le donne, la più pagata è stata la tennista Naomi Osaka: il suo marchio vale 60 milioni. Quando lo sport non è più “soltanto sport”.

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In giro per il mondo

CENTENARI: QUELLA MOLECOLA IN PIÙ

A PROPOSITO DI... CAFFÈ

I centenari hanno una molecola unica che può sostenere la longevità, proteggendoli da alcune infezioni batteriche. Si chiama isoallo LCA, agisce nell’intestino e aiuta il corpo a mantenere l’equilibrio delle comunità microbiche.

CAMMINIAMO? CORPO E MENTE RINGRAZIANO Camminare e andare in bicicletta apportano notevoli benefici per il cuore. Il movimento a piedi migliora la ventilazione polmonare e migliora la circolazione sanguigna. Senza dimenticare gli effetti positivi sulla salute mentale. www.humanitasalute.it

www.ansa.it

IL POTENTE CANTO DELLE BALENOTTERE I canti delle balenottere possono essere uditi dall’orecchio umano fino a 1.000 km di distanza. Secondo un recente studio pubblicato su Science, potrebbero essere usati anche per mappare sonicamente il fondo dell’oceano, dato che raggiungono i 2,5 km di profondità.

BUON ANTIOSSIDANTE

La caffeina facilita la digestione, favorisce il consumo “naturale” di grassi e ha spiccate proprietà antiossidanti ed antinfiammatorie. Oltre al più noto effetto tonificante.

www.sciencenews.org

www.unina.it

IL TOPONIMO PIÙ LUNGO DEL MONDO

EFFETTO ANSIOGENO

Troppe tazzine possono danneggiare l’apparato gastro-digestivo. Inoltre, il suo effetto tonico e stimolante può portare a stati di ansia, ipertensione e tachicardia.

Taumatawhakatangihangakoauauotamateaturipukakapikimaungahoronukupokaiwhenuakitanatahu, in Nuova Zelanda, con le sue 85 lettere è il toponimo più lungo al mondo. È il nome di una collina, in lingua maori, che per semplicità è spesso abbreviato in “Taumata” www.chbdc.govt.nz

DEMENZA: MINORI RISCHI GRAZIE AD UNA DIETA SANA

IL MONDO A “QUOTA 8.000” Tra le montagne più famose della Terra sono 14 quelle che entrano in “quota 8.000”. Le più alte fra queste appartengono del massiccio dell’Himalaya e sono il Kangchenjunga (8.586 mt), il Lhotse (8.516 mt), il Makalu (8.463 mt), il Cho Oyu (8.201 mt). In Pakistan l’unico altro “8.000”: il Nanga Parbat (8.125 mt).

In Indonesia vivono le persone con la statura media più bassa al mondo. Prendendo in considerazione entrambi i sessi, un adulto medio è alto 1 metro e 56 centimetri. Mentre le persone più alte si trovano nei Paesi Bassi, con una media di 1 metro e 82 centimetri. www.express.co.uk

ODONTOIATRIA, ANTICHISSIMA PROFESSIONE Una ricerca dell’Università La Sapienza di Roma ha scoperto un cranio con un dente cariato, risalente a 14.000 anni fa, che era stato deliberatamente limato e raschiato con uno strumento rudimentale.

NIENTE GIGANTI IN INDONESIA

KANGCHENJUNGA

8.586 mt

LHOTSE

8.516 mt

MAKALU

8.463 mt

CHO OYU

8.201 mt

Secondo uno studio dell’Istituto Mario Negri, una sana alimentazione può ridurre il rischio di demenza, soprattutto nei pazienti over 70 e over 80. Il processo infiammatorio delle cellule cerebrali è favorito da diete monotone e carenze nutrizionali. www.donnamoderna.com novembre 2021 | spazio50.org

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Lavoro di cura

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a popolazione invecchia, i giovani sono sempre più propensi a emigrare nella necessità di trovare lavoro. Le culle restano vuote, come mai dal Dopoguerra a oggi. In questo quadro, fragile e complesso, a complicare la prospettiva, una pandemia iniziata oltre un anno e mezzo fa e che, ancora, può dirsi tutto tranne che archiviata. Ma è appunto in questo contesto che si muove il lavoro di un autentico esercito di lavoratori - soprattutto donne - che è stato al fianco delle nostre famiglie, specie in un frangente delicato come quello attraversato dal Covid: parliamo delle assistenti familiari, le cosiddette badanti. Stando alle ultime rilevazioni Inps, che tengono conto dell’intero comparto del lavoro domestico - comprese colf, babysitter e appunto badanti - sono circa 2 milioni le famiglie che si avvalgono del loro aiuto nelle case. Lavoratori che, per l’Inps, godono di un regolare contratto solamente in 900mila unità. «Quello che l’Istat vede è la punta dell’iceberg - dice a 50&Più l’avvocato Giancarlo Germani, legale esperto in tema di badanti. A nostro avviso le badanti sono circa due milioni. È un mondo silenzioso, come è evidente, perché molte sono in nero. Ma attenzione: se vanno via le badanti, restiamo senza welfare perché, a parte le RSA, sono loro ad assicurare un welfare dignitoso ai nostri anziani, consentendo loro di rimanere a casa e conservando una vita dignitosa, di relazioni, conducendo un’esistenza quanto più normale fino all’ultimo giorno». In questo ultimo periodo si parla molto di badanti, anche per ragioni legate al virus. L’obbligo di Green Pass impone loro l’adesione alla pur doverosa campagna vaccinale, ma a fronte - spesso - di zero diritti. È pur

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BADANTI, UN ESERCITO DA TUTELARE di Sadìa Maccari

Lavorano nelle nostre case assistendo i nostri anziani. Spesso, senza tutele e senza diritti. La pandemia ci ha chiarito quanto siano importanti, ma quanto siamo disposti a investire sul loro lavoro?

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vero che, proprio grazie al Covid, c’è stata una emersione del sommerso ma, in termini di regolarizzazione delle loro posizioni lavorative, c’è ancora molto da fare. L’Inps stessa parla di “effetto congiunto del lockdown e della sanatoria per gli stranieri”, che segnala un +7,5% rispetto al 2019 di assunzioni regolari. Ma, ad oggi, quanti sono disposti a mettere in regola le badanti che lavorano nelle loro case? «Tolta la difficoltà di contratti e assunzioni, per me fare la badante è stata una scelta felice». A dircelo è Nicoleta Sprinceana, una lavoratrice di 49 anni. Viene dalla Romania e dal 2003 presta servizio come assistente familiare. «Il rapporto che si crea

«Le badanti assicurano un welfare dignitoso ai nostri anziani, consentendo loro di rimanere a casa e conservando una vita dignitosa, di relazioni, conducendo un’esistenza quanto più normale fino all’ultimo giorno»

tra assistito e persona che assiste è talmente ricco di insegnamenti che credo non ci sia nulla di paragonabile. Un po’ alla stregua di un medico che si prende cura a lungo di un paziente con una patologia cronica. Migliorare la qualità di vita degli ultimi anni di una persona è una grossa realizzazione». Eppure è lei stessa a illustrarci un quadro quanto più completo, seppure a tinte fosche, di un mondo del lavoro dai contorni spesso indefiniti: un’area grigia che di fatto circonda il lavoro nero. «Anche chi viene assunto, non viene quasi mai dichiarato per tutte le ore che realmente svolge. Pur comprendendo le necessità delle famiglie, non si possono sempre sacrificare paga e orari delle badanti». E la sua è una storia di estrema consapevolezza: quella di una donna con una storia affatto semplice. Una donna istruita. «Sono una giurista. Mi sono laureata in Legge a Bucarest. La mia era una professione simile a quella dell’avvocato, ma con uno statuto diverso. L’avvocato è un libero professionista mentre il giurista è sottoposto a contratto e rappresenta un unico interesse». Eppure, come racconta lei stessa, molteplici fattori finiscono col portarla in Italia. «Dopo due anni di lutti, in cui ho perso affetti cari, ho preso le ferie accumulate per partire e avere una pausa». Poi, però, da allora, è rimasta in Italia. Inizia a fare la badante perché trova lavoro facilmente. «Il caso ha voluto che il mio primo impiego a Roma fosse proprio in uno studio legale dove, però, non potevano farmi ottenere i documenti perché la sanatoria non avrebbe regolarizzato la posizione di segretaria in uno studio di avvocati. L’unico lavoro grazie al quale avrei potuto avere anche il permesso di soggiorno era, appunto, quello di badante». Ci racconta di aver optato per il novembre 2021 | spazio50.org

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Lavoro di cura

lavoro con gli anziani perché reduce da una lunga esperienza di volontariato con i minori, uno dei quali - purtroppo con problemi gravi di salute - dopo anni è venuto a mancare. Un dolore così profondo per Nicoleta da impedirle di lavorare ancora con i più piccoli. «Volevo invece avvicinarmi al mondo della terza età essendo io cresciuta senza l’affetto dei nonni, che sono morti molto presto, mentre gli altri due erano piuttosto distanti». Ma fare la volontaria non era cosa fattibile: «Non avendo un reddito abbastanza alto da potermi permettere di fare volontariato con gli anziani, ho iniziato a fare la badante». Secondo l’avvocato Giancarlo Germani: «Bisogna semplificare e fare in modo che ogni persona anziana che si avvale del lavoro di una badante possa fare una semplice dichiarazione all’Inps e la assuma. Anche perché esiste il Contratto Collettivo del Lavoro Domestico, quindi una volta che si comprende quante 22

«La “Sindrome Italia” può colpire persone che hanno lavorato tanti anni nel nostro Paese, sono state sottoposte a pressioni e vessazioni e, col tempo, hanno accumulato forti problemi psicologici

ore lavora a settimana, che tipo di prestazione offre, è facile considerare l’importo del compenso corretto per la badante». Ed è lui a spiegarci come per le lavoratrici rumene sia più facile, in quanto comunitarie; ma se un anziano conosce un’assistente familiare ucraina con la quale si trova bene e volesse pure averla come assistente familiare, la procedura si fa piuttosto complessa perché ci si trova di fronte a un bivio: o il lavoro nero od occorre rimandarla in Ucraina, chiamarla e poi aspettare le quote di ingresso nel nostro Paese. «Capite che è un percorso farraginoso anche nel caso si avessero le migliori intenzioni». Ma come è stato, per chi ha assistito un anziano, lavorare in casa durante la pandemia? «Difficile - confessa Nicoleta Sprinceana -. Non si sapeva molto ed eravamo preoccupate più per loro che per noi stesse. Non potevi che domandarti: “Se io sono un’asintomatica e la persona che as-

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sisto se ne va per questa ragione, come si sopravvive a un’esperienza del genere?”. Io non uscivo più di casa; ho rinunciato ai mezzi pubblici nel timore di portare il contagio». Con lei e con l’avvocato Germani parliamo anche del caso che, già da un paio d’anni, è esploso in Romania: quello delle badanti che, di ritorno dal lavoro in Italia, finiscono negli ospedali psichiatrici. Si chiama “Sindrome Italia” ed è lo spettro che aleggia su molte di loro. Germani ci ricorda: «Colpisce persone che magari hanno lavorato vent’anni in Italia, qui sono state sottoposte a pressioni e vessazioni e, col tempo, hanno accumulato forti problemi psicologici». È anche per questo che, parallelamente

al suo lavoro, Nicoleta Sprinceana sta promuovendo un’opera di sensibilizzazione sul lavoro delle badanti in Italia. “I tuoi occhi e le tue mani” è il nome della campagna che ha ideato con lo scopo di abbattere il disprezzo verso le badanti. All’interno di essa, si parla chiaramente anche della Sindrome Italia: «Un burnout dice Nicoleta - certificato dagli psicologi e che, per molte, è senza ritorno. E una delle ragioni che porta a questo stato psicologico è appunto il disprezzo, di cui forse troppo poco si sa». «È un settore che andrà presto in emergenza», riflette perciò l’avvocato Germani, mentre Nicoleta aggiunge: «Andrebbe creato un registro ufficiale delle badanti nonché istituito uno strumento

di controllo sulla regolarità delle assunzioni». Di certo, quella del lavoro domestico è una situazione che va regolamentata. «Quando il problema sarà conclamato - conclude l’avvocato Germani -, dovremo agire d’urgenza. Abbiamo a mio avviso ancora due, tre anni - non di più - perché temo che la comunità rumena, come già avvenuto con quella polacca, possa fare un passo indietro. Alla fine, se non si creano i presupposti per far vivere regolarmente qui queste persone, le si tengono sempre in uno stato di precarietà e di pseudo illegalità, si rischia che mollino e tornino nel loro Paese. Così, noi ci ritroveremmo con milioni di anziani dei quali non sapremmo come prenderci cura».

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Intervista

LE “GIORNATE DI FOLLIA” DI ROBERTO VECCHIONI

di Linda Russo

Professore, cantante e scrittore, non necessariamente in quest’ordine. Pietra miliare della musica italiana e apprezzato insegnante, avverte: per imparare, bisogna andare oltre gli schemi

Lunedì mattina. Suona la campanella. Prima ora, Matematica, seconda e terza ora, Lettere. Molti studenti tra i quindici e i sedici anni si alzereb-

bero dal letto di malavoglia davanti a un inizio di settimana così. Quelli che negli anni Ottanta frequentano alcune classi del liceo classico Cesa-

re Beccaria di Milano, però, il lunedì mattina si divertono. Nel primo giorno della settimana, infatti, hanno un appuntamento a Parco Sempione, dove li aspetta il professore di Lettere. Si chiamano “giornate di follia”. O almeno così le chiama il professor Vecchioni, che “dirige” quegli appuntamenti. Una volta arrivati, ci si mette comodi e si inizia. La sfida è solo una: aggirare l’ovvio, andare oltre il risaputo. È così che si impara qualcosa di nuovo partendo dalla più semplice delle domande o da un’idea che potrebbe sembrare banale quando di banale, in verità, non c’è mai nulla. Lo racconta Roberto Vecchioni nel suo ultimo libro Lezioni di volo e di atterraggio, edito da Einaudi, in cui narra le scoperte dei suoi studenti di quegli anni, svelando tra le righe il rapporto che lui stesso ha coltivato con le parole nella sua duplice carriera di professore e cantautore. E proprio da lui ci siamo fatti raccontare di più su questi due aspetti della sua vita e molto altro. È stato professore per tanti an-

«Non ho una canzone preferita del mio repertorio, perché ci sono canzoni che sono specifiche e raccontano proprio il momento che volevo immortalare, con le sensazioni che volevo raccontare. Altre sono un po’ traballanti. Quelle meno conosciute, però, forse sono quelle che amo di più e che mi stanno più a cuore» 24

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ni, conoscendo generazioni di ragazzi. Cos’ha imparato dai suoi alunni e cosa hanno imparato loro da lei? Il mondo della scuola, dell’insegnamento, dell’educazione è reciproco. Sempre e comunque. L’insegnante che si trova davanti alla classe deve corrispondere con tutti gli alunni. E si tratta di un microcosmo di umanità: ogni ragazzo rappresenta qualcosa che, poi, ritrovi nella vasta umanità fuori da quella classe. Ognuno di loro ha il proprio carattere, i propri pensieri, i propri desideri, le proprie paure. E in quel momento sono già “in piccolo” ciò che saranno qualche anno dopo, da grandi. L’insegnante, in questo senso, non può “infilare” notizie dentro la testa di un ragazzo, ma deve tentare di dargli gli strumenti come le emozioni, la voglia di capire il mondo e gli altri. E questo è uno scambio reciproco. Chi si trova a fare l’insegnante non è granitico e non sa tutto della vita o delle cose attorno a sé. Impara tantissimo dai ragazzi e da cose importanti come

l’amore che provano, la loro cultura musicale, il modo in cui si rapportano con gli altri. E poi (l’insegnante, ndr) deve imparare a non richiedere di più a chi ha qualche difficoltà, ma deve richiedere moltissimo a chi ha tutti gli strumenti. Parlando di ragazzi e di ventenni… Cinquant’anni fa è uscita Luci a San Siro e in quel testo era disposto a scambiare fama e denaro per tornare ai suoi vent’anni. Come la pensa oggi? Allora di fama ne avevo poca, lì era un’esagerazione mia (ride, ndr). Adesso ho quella che desidero. Ciò che faccio, canto e dico non sempre è di facile comprensione perché ci sono dei messaggi e delle seconde letture. Per questo chi mi segue rispecchia esattamente il pubblico che desideravo avere. Nonostante ciò, come tutti credo, sarei ancora disposto a barattare l’età con ciò che ho e che ho avuto. Quando si racconta, dalle lezioni a Parco Sempione alla canzone dedicata a San Siro,

lascia trasparire l’amore per Milano, la sua città natale, ma anche per le sue origini napoletane. Com’è cambiato il suo rapporto con le radici nel corso degli anni? Direi che è cambiato, ma non troppo. Penso dipenda anche dalla mia impostazione: credo che chi canta debba guardarsi dentro il cuore e non possa guardare solo dentro la propria testa. Le radici in questo giocano un ruolo fondamentale. Nel mio caso, Napoli e Milano sono state importanti per motivi diversi. Milano, ad esempio, mi ha dato le correzioni: mi ha fatto vedere dove stavo esagerando e dove stavo sbagliando. Mi ha anche dato qualche secchiata in faccia, accrescendo la razionalità che mi serviva. Direi che Milano mi ha fatto da madre, mentre Napoli, più estrosa e creativa, mi ha fatto da padre in modo fantasioso e stravagante. A proposito di madri e di padri… Come ha vissuto la genitorialità? novembre 2021 | spazio50.org

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Intervista Io ho avuto un padre che era un gran giocatore, un amante delle donne, un grande innamorato della vita e napoletano. Spaventosamente bello e fantasioso. Scrissi su di lui una canzone quando un giorno lo incontrai fuori di casa mentre tornavo dalle mie gozzoviglie, alle 5, e lui usciva per andare al lavoro prestissimo. L’uomo che si gioca il cielo a dadi è dedicata a lui. Penso che se qualcuno ha o ha avuto un padre così, è una persona fortunata. Io, invece, ho perso moltissime cose

può provare. «Nasce dalla storia di un bambino di 12 anni a cui viene diagnosticata una malattia da cui non guarirà mai più - racconta -. Un bambino a cui piacciono le rose blu, che danno il titolo alla canzone. Sono fiori che il padre vorrebbe regalargli per renderlo felice, ma che in natura non esistono e non sa dove reperire. Così, in intimità, si rivolge all’unico essere al mondo che può ascoltarlo e che sta lassù. Questo dialogo propone uno scambio per avere le rose blu per il figlio. Uno scambio totale. Uno scambio che non è la vita - perché tutti i genitori darebbero la vita per i propri figli - ma è ben più com-

spunto perché diventasse ascoltabile. Ci voleva qualcosa di particolare che è arrivato mentre entravo a Bologna. Avevo scritto tutta la storia del soldato che scappava e la morte che lo inseguiva, di lui che se ne andava nella città in cui la morte lo aspettava. Era una bella storia. Insomma, ero in macchina, un tizio davanti a me - uno scriteriato - frena di colpo e io sto per andargli addosso. Mentre sto per sbattere contro la sua macchina, mi esce un “Oh oh c******e!”. E da lì mi viene in mente un motivetto che ormai conoscono tutti: l’“oh oh cavallo” di Samarcanda. Un’ultima domanda: tra quelle

«Ogni ragazzo rappresenta qualcosa che, poi, ritrovi nella vasta umanità fuori da quella classe. Ognuno ha il proprio carattere, i propri pensieri, i propri desideri, le proprie paure. E in quel momento è già “in piccolo” ciò che sarà qualche anno dopo, da grande»

della quotidianità dei miei figli perché ero sempre fuori casa. Però ho tentato di recuperare in fantasia, in gioco, in sogno. Ho cercato di insegnare loro che qualsiasi cosa accada nella vita devono mantenere i propri sogni e la fiducia in se stessi. Penso sinceramente, adesso che sono grandi, di avergli dato poco. Però i miei figli mi ribadiscono che quello che sono riuscito a dare loro è ciò che richiedevano, il resto lo trovavano altrove. Così mi dicono, anche se io non ne sono molto convinto. Del rapporto tra genitori e figli, d’altronde, Vecchioni se n’è occupato in un intero album dal titolo Canzoni per i figli, che si apre con Le rose blu, una canzone che racconta della potenza dell’amore che un padre 26

plicato: è dare ciò che hai vissuto. I sogni, le speranze, i desideri, i ricordi, l’infanzia, la gioventù. Tutto. Come se non ci fosse mai stato solo per avere la felicità di un figlio. È una canzone difficile ma importante perché parla di una storia vera». Un altro dei pezzi che ha contribuito a consacrare il suo successo prende spunto da una leggenda orientale e parla del destino: stiamo parlando di Samarcanda. Com’è nata questa canzone? Ha una storia molto divertente: è nata in macchina. Io tendo a scrivere poco: di solito penso e ripenso e vado a memoria. Stavo percorrendo l’autostrada da Milano a Bologna nel ’77. Volevo scrivere una canzone sul destino e ho pensato a questa che è una leggenda antichissima. L’avevo quasi completata, ma mi mancava uno

che ha scritto, qual è la canzone che preferisce? Questa è una domanda cattiva perché le canzoni che ho scritto la sera mi vengono a trovare e mi tornano in testa. Ti sei dimenticato di me, mi dicono. Non mi hai cantato ieri. Per questo non ne ho una preferita del mio repertorio, perché ci sono canzoni che sono precise e raccontano proprio il momento che volevo immortalare, con le sensazioni che volevo raccontare. Altre sono un po’ più traballanti. Quelle meno conosciute, però, forse sono quelle che amo di più e che mi stanno più a cuore. Ma sono tante, più di 280 canzoni, quindi non posso fare una classifica particolare. Sicuramente quelle dedicate a persone amate o all’amore che ho per me, sono tra quelle che mi piacciono di più.

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Rapporti tra generazioni

GENERAZIONE T, INSIEME È MEGLIO Un fenomeno nato dall’incontro virtuale tra giovani, adulti e anziani, che vede momenti di allegria ma anche di riflessione. Perché su TikTok l’età non conta di Rita Nicosanti

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uth Rudd è una nonna di quasi 90 anni, vive in Inghilterra e durante il periodo di quarantena per il Covid-19, è diventata una beniamina del web. Un video di un suo balletto è divenuto un vero e proprio tormentone in rete, totalizzando

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più di 25 milioni di visualizzazioni. E poi c’è Dolores Paolino, per tutti Nonna Dolly. Ha 86 anni, abita a Philadelphia (USA), e si diverte pubblicando video che la mostrano mentre beve cocktail e balla. È seguita da più di 2 milioni di persone. Ma Ruth e Dolores, da sole, non sa-

rebbero riuscite a diventare delle star dello schermo. Dietro di loro ci sono infatti i nipoti: è la nipote Jess che filma le mosse di danza di Ruth, e il diciassettenne Julian che gestisce il profilo di Nonna Dolly su TikTok, il social del momento, che i più abbinano ad un fatto puramente adolescenziale. Non è così. E la Generazione T lo dimostra. Sì, la Generazione T, dove T sta per “Togetherness”, ovvero giovanissimi, adulti e anziani, tutti insieme. Perché TikTok non è tanto una questione di età quanto di… mentalità. E su questo la pandemia ci ha dato una grossa mano, perché è stata - di fatto - un catalizzatore. I lunghi periodi dei vari lockdown, infatti, hanno costretto figli, genitori e spesso nonni nella stessa abitazione. Per far sì che la monotonia non prendesse il sopravvento, in molti si sono lasciati andare trasportati dalle nuove generazioni. È così che sono nati balletti

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e scenette in formato casalingo, con coreografie a volte improbabili, più o meno spontanee. Quattro le esigenze personali da soddisfare, a volte incoscientemente. E sono proprio quelle esigenze che, oggi, sono diventate lo zoccolo duro - ed il punto forza - di questo social: anzitutto “intrattenere” (e quindi spazio alla comicità e alla spensieratezza), poi “partecipare” (ad essere gettonatissime sono le cosiddette “challenge”, ovvero delle sfide che vengono lanciate sui social allo scopo di essere diffuse e diventare virali). Ma bisogna anche “sollevare”; non a caso molti sostengono che TikTok sia l’app migliore per sollevare il morale delle persone. E infine “scoprire”: lavori, mestieri, hobby e chi più ne ha più ne metta, soprattutto grazie ai tutorial. Eccola, la Generazione T, che va oltre le fasce di età per abbracciare, letteralmente, tutti. Nonni che si cimentano nella trap insieme ai nipoti, mamme che prendono in giro bonariamente i propri figli: ce n’è per tutti i gusti. Chiunque, infatti, può esprimere al meglio se stesso ed i propri interessi, a prescindere dall’età anagrafica. Così come si può usare questo social a scopo professionale, per promuovere la propria attività lavorativa, che sia uno studio medico, un negozio di abbigliamento o delle lezioni di inglese. E in Italia? La senior più amata di TikTok è sicuramente Nonna Roberta, 75 anni e più di 200mila follower in rete. È diventata una vera e propria star grazie al suo modo di fare, alla sua autenticità, che ha conquistato tutti. Merito anche di sua nipote, che le ha fatto scoprire questo social. Ogni giorno nonna Roberta si cimenta sui temi più disparati, parla di attualità come pure dell’appuntamento dal dentista. Parla di sport, di storia ed anche di cucina, non rifiuta mai

una chiacchierata informale. Quando è “sbarcata” su TikTok, ha subito notato una cosa: i ragazzi avevano bisogno di sfogarsi, di parlare, di fare domande. E lei si è messa a disposizione. Del resto ha sempre amato il contatto con la gente, per 35 anni ha lavorato in una libreria, consigliando letture ai suoi clienti. Ed ora la sua nuova veste di TikToker le ha ridato proprio questo: una dimensione di socialità che il pensionamento le aveva un po’ tolto. E poi c’è Nonna Giovanna, anzi, “LaNonnaGiovanna” per essere precisi. Ha 88 anni e oltre 200mila persone che la seguono. Originaria della Ciociaria, vive a Pisa da molto tempo: abita da sola in una fattoria. La sua compagnia? Un cane, tre gatti, cinque conigli e una quarantina di pulcini. Più il telefonino, ovviamente. Adora fare i video, perché la fanno sentire più giovane. È stato suo nipote Nicola ad avviarla al mondo dei social. Lui, attore comico venticinquenne, ha iniziato facendo delle scenette con sua nonna. È così che è scoppiata la “Nonna Giovanna mania”. È diventata famosa pubblicando parodie, balli e anche scherzi al nipote. Ha imitato Michael Jackson, ha dato lezioni di ballo, dal valzer alla tarantella; si fa immortalare indossando una parrucca di ricci rosa come pure la bandana. Tutto con leggerezza, tutto con il sorriso. Il suo mantra è: “mai prendersi sul serio”. E con lei il divertimento è assicurato. I giovani la adorano, ed ha ottenuto anche vari riconoscimenti. A settembre 2019, ad esempio, ha vinto il “Premio Web” al festival comico di Firenze. Spesso viene invitata in discoteca come ospite, i suoi fan la fermano per strada. Insomma, Nonna Giovanna si candida a portare la bandiera della “Generazione T”, perché ha fatto incrociare generazioni che, in altre circostanze, faticano a comunicare.

NON SOLO SKETCH Lily Ebert ha 97 anni, è una delle ultime sopravvissute all’Olocausto e mantiene alta la memoria su quello che è successo. Lei racconta l’orrore della Shoah ai giovani. Ma non va nelle scuole o nei teatri a parlare, lo fa attraverso TikTok. Ad aiutarla è il suo pronipote adolescente, Dov Forman, che ne gestisce l’account. Sua nonna si rivolge ai giovani per parlare della terribile esperienza che ha avuto. Risponde alle loro domande, anche le più disparate (come si dormiva, cosa è successo ai bambini nati nel campo, cosa mangiavano ad Auschwitz). È seguita da oltre un milione di persone. I nazisti volevano eliminarla, ma lei è riuscita a diventare una messaggera di pace, a tenere viva l’attenzione e la memoria su quello che è successo. E parla alle nuove generazioni usando il loro stesso linguaggio: «Devono conoscere la storia - ha affermato Lily - affinché una cosa del genere non accada mai più a nessun essere umano».

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Relazioni sociali

È FINITA L’EPOCA DEGLI ABBRACCI? La pandemia ha cambiato il nostro modo di relazionarci. Si sono ridotti i contatti fisici e, in particolare, le effusioni fatte di persona. Attenzione però: guai a perdere l’abitudine di questi gesti ancestrali, carichi di valori e di significati di Anna Costalunga

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a foto vincitrice del World Press Photo di quest’anno ritrae un gesto significativo: l’abbraccio protettivo di un’infermiera di una casa di riposo che, per la prima volta dopo 5 mesi, e con le opportune misure di sicurezza, abbraccia un’anziana ospite della struttura. Come la maggior parte dei comportamenti che richiedono un contatto fisico, gli abbracci si sono bruscamente interrotti con la comparsa del Covid. Ma, ben prima che il distanziamento sociale entrasse a far parte del quotidiano, questo semplice gesto, da sempre nelle nostre vite, sembrava giunto ad un punto di svolta. Da qualche tempo infatti, i millennial, protagonisti nell’infanzia di interminabili riunioni familiari, dove a dominare erano appunto gli abbracci di non-

ni e zie, hanno introdotto l’idea che nessuno ha il diritto di stringere tra le braccia i propri nipotini senza il permesso di questi ultimi. Pena l’accusa di prevaricazione e mancato rispetto della volontà altrui. Esagerazioni? Sicuramente sì, ma il Coronavirus ha dato comunque l’opportunità di riflettere sulle norme di comportamento e sui modelli sociali. Ed è giunto il momento di chiedersi se e quanto sia importante, pandemia permettendo, tornare a questo gesto ancestrale, ricco di valore e di significati. Se lo dice la psicologia… Il bisogno di abbracci ha solide ragioni di esistere, come dimostra l’ultima ricerca condotta dalla DePaul University (Stati Uniti). All’esperimento hanno partecipato 248 persone divise per coppie. All’interno di ogni coppia, ciascun partner doveva trasmettere un’emozione - rabbia, paura, disgusto, gratitudine, felicità, amore, tristezza e simpatia - all’altro, scegliendo liberamente come farlo. Si è scoperto così che le sensazioni positive - amore, simpatia, gratitudine e felicità - vengono sempre trasmesse con un abbraccio. Un gesto impiegato anche per comunicare tristezza, ma, in questo caso, con una differenza di genere: infatti gli uomini, per mostrare infelicità agli individui del proprio sesso, si limitano ad un tocco, magari sulla spalla. Per trasmettere lo stesso stato d’animo, ma ad una donna, scelgono l’abbraccio. Dunque gli abbracci sono una forma di comunicazione insita nell’essere umano, al punto di poter parlare di una vera e propria crisi di “astinenza”, in caso si interrompano bruscamente. Anche gli animali lo sanno Del resto, che questo sia un modo primario per esprimere vicinanza, è testimoniato anche dal comportanovembre 2021 | spazio50.org

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Relazioni sociali

Anche nel mondo animale l’abbraccio (in linguaggio scientifico huddling) è molto importante. Molte scimmie, infatti, si abbracciano tra loro come segno di riconoscimento ed appartenenza. Inoltre, serve come gesto di saluto e di rispet­to degli individui giovani verso i più anziani.

mento degli animali. Al di là dei numerosi esempi tratti dal mondo degli uccelli e dei mammiferi, esperti nel praticare l’“huddling”, ossia il contatto stretto tra la specie, non mancano studi condotti sui primati che individuano il valore sociale di questa pratica. Molte scimmie, infatti, ricorrono all’abbraccio per comunicare ad un altro esemplare di averlo riconosciuto. Ma se ne servono anche come mezzo per ridurre la tensione all’interno del gruppo, oltre a considerarlo un gesto di saluto e di rispetto degli individui giovani verso i più anziani. Del resto anche nella specie umana, da sempre, il gesto di allargare le braccia rappresenta la mancanza di cattive intenzioni. Al contrario, trasmette vulnerabilità e fiducia, comunicando una palese richiesta di sostegno sociale. Il potere dell’ossitocina Etologia a parte, il potere (positivo) degli abbracci è confermato anche dallo studio del corpo umano. Innumerevoli ricerche testimoniano, infatti, una loro azione diretta sull’or32

ganismo, in quanto stimolatori della produzione di ossitocina, un ormone che agisce sul cervello regolando le emozioni, riducendo lo stress e rafforzando i legami. Paul Zak, il neuroeconomista statunitense noto anche come “Dr. Love”, consiglia almeno otto abbracci al giorno per essere più sani, più felici e avere relazioni migliori. Una “soglia minima” per permettere al corpo di produrre e rilasciare grandi quantità di ossitocina in risposta al contatto fisico. L’abbraccio è salutare anche per il cuore e non solo per i più romantici. Uno studio condotto negli Stati Uniti su 200 coppie tra i 19 e gli 80 anni, infatti, ha dimostrato che l’abbraccio con il partner produce un effetto calmante, abbassando di fatto la pressione sanguigna. Ancora: abbracciandoci restiamo giovani più a lungo, poiché nel contatto fisico si produce l’emoglobina che rafforza l’organismo e rigenera i tessuti. Gli abbracci del futuro? Forse più rari ma più preziosi Tutto dunque porta a concludere che sia impossibile continuare a fare a

meno del calore di un abbraccio, la più potente forma di comunicazione non verbale, richiamo all’infanzia e alla cura. Il rischio, tuttavia, è uscire dalla pandemia con una diffusa riluttanza al contatto fisico, specialmente verso le persone al di fuori dalla cerchia comune. Qualcuno potrebbe anche pensare che, tutto sommato, mantenere un leggero distanziamento nella stagione fredda sia la via migliore per tenere sotto controllo anche banali raffreddori e influenze. E allora, come capire se la persona che abbiamo davanti sia disposta ad accettare il nostro abbraccio? Semplicemente chiedendolo, raccomanda il canadese Conlan Mansfield, esperto nel campo della sicurezza. Senza imbarazzi o fraintendimenti. Certo, è prevedibile immaginare che nell’immediatezza le regole sociali incontreranno dei cambiamenti e gli abbracci ne faranno le spese, ma, come confermano l’evoluzione e la ricerca, il loro bisogno non verrà mai meno. Forse saranno meno frequenti, diverranno più rari e consapevoli. Ma, proprio per questo, saranno più sinceri.

QUANDO USCIREMO DALLA PANDEMIA FORSE SI SVILUPPERÀ UNA DIFFUSA RILUT­TANZA NEI CONFRONTI DEL CONTATTO FISICO. MA SE GLI ABBRACCI SARANNO MENO FREQUENTI, DIVERRANNO DI CONSEGUENZA PIÙ SINCERI E CONSAPEVOLI

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Eventi

“ABBRACCIAMI!”

Torna la nuova edizione del concorso Corti di Lunga Vita, e il tema sarà dedicato agli “abbracci”. Il segretario generale 50&Più, Gabriele Sampaolo, spiega perché ce n’era così bisogno di Stefano Leoni

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novembre dello scorso anno, dopo otto mesi dall’inizio della pandemia in Italia, a Castelfranco Veneto nasce la prima “stanza degli abbracci”. Grazie a tende di plastica e materiali gonfiabili è possibile toccarsi ancora una volta, tornare ad accarezzarsi dopo un tempo lunghissimo. Nello stesso periodo, dall’altra parte del mondo, gli stessi materiali hanno permesso “il primo abbraccio”

tra Rosa Luzia Lunardi, ottantacinquenne paziente nella casa di cura Viva Bem a San Paolo, e l’infermiera Adriana Silva da Costa Souza. Uno scatto immortalato da Mads Nissen che si è aggiudicato il premio come World Press Photo del 2021. Il mese scorso, invece, durante l’assegnazione dei premi Nobel è stato conferito il riconoscimento per la medicina a David Julius e Ardem Patapoutian. I due ricercatori, infatti, hanno portato alla

luce i meccanismi attivati dai nostri recettori in risposta alla temperatura e al tatto. Un pezzetto di biologia che ci aiuta a spiegare come riusciamo a “sentire il mondo”, l’ambiente e le persone. Come riusciamo a sentire, quindi, anche un abbraccio. Raccontarlo, in effetti, è difficile. I profumi, le sensazioni, i significati e le emozioni all’interno di un abbraccio possono essere moltissimi. Si può riuscire a raccontarlo, forse, tramite le immagini. Così, 50&Più ha deciso di tornare con una nuova edizione di Corti di Lunga Vita dal titolo Abbracciami!. Ne abbiamo parlato con il segretario generale, Gabriele Sampaolo. Dopo quasi due anni, torna il concorso Corti di Lunga Vita con un tema emblematico dal titolo Abbracciami!. Cosa si aspetta di veder realizzare dai concorrenti di questa edizione? Come al solito mi aspetto tanto. D’altronde la scelta di questo tema è l’esito di una riflessione che è avvenuta in maniera approfondita. C’è un pensiero che va a un periodo in cui gli abbracci sono stati negati, allo stesso tempo, però, è anche un tema che prescinde dal tempo presente. Abbracciami!, infatti, deve farci pensare a quanti tipi di abbracci conosciamo: quelli tra padre e figlio, tra moglie e marito, tra compagna e compagno, tra amici, sul campo da gioco. L’abbraccio nasce mentre si fa qualcosa di appassionante insieme: è sempre un momento in cui si dà e si riceve. Mi aspetto, quindi, che emerga qualcosa di profondo ed essenziale, ma mi piacerebbe scoprire i nuovi sensi che verranno evidenziati dai partecipanti. Secondo lei, abbiamo riscoperto un nuovo valore del contatto umano? Pensa si tratti di un insegnamento che porteremo con noi in futuro? Abbiamo certamente riscoperto qualcosa e mi piacerebbe che lo portassinovembre 2021 | spazio50.org

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Eventi

Gabriele Sampaolo, segretario generale 50&Più. mo con noi in futuro, ma credo si debba essere anche realisti. La mancanza dell’abbraccio ha aperto uno squarcio sulla normalità che eravamo abituati a vivere. Nella realtà che conosciamo del mondo occidentale, ci scontriamo spesso con un mondo “disattento” ed è chiaro che, nel momento in cui l’emergenza ci impone di rimodulare il passo, ci accorgiamo di ciò che avevamo lasciato indietro. Quando riprenderemo a tutti gli effetti la vita frenetica di ogni giorno, per fare in modo di mantenere vivi questi valori ritrovati, sarà necessario un cambiamento culturale. Sicuramente Corti di Lunga Vita ci aiuta in questo senso. Analizzando le edizioni passate di Corti di Lunga Vita, abbiamo ripercorso tre temi: Incontri e riconoscimenti, Viaggio all’origine della gioia e Tutta la vita. C’è un percorso che lega queste tematiche ad Abbracciami!? C’è sicuramente un fil rouge che lega tutti questi temi. Con Incontri e riconoscimenti abbiamo pensato a ciò che si può rivedere nell’altro. Nel riconoscerlo, appunto. Un’azione possibile solo con un’attenzione e una disponibilità che va oltre il superficiale. Con Viaggio all’origine della gioia, 34

invece, la nostra idea ha dato voce a una verità che è quella secondo cui la vera gioia è condivisa con l’altro: è dare all’altro. Poi c’è Tutta la vita che ci riporta anche al tema specifico di questo concorso che è quello della prospettiva anziana, la prospettiva di un’età dove l’esperienza di vita è più grande. Tutta la vita è provare a riscoprire costantemente ciò che ci dà la possibilità di viverla pienamente e molto spesso si tratta delle relazioni. Perciò torniamo nuovamente al tema dell’altro. Con Abbracciami! non possiamo dire di chiudere il cerchio, ma ritroviamo tutti questi sensi ed è come se noi dichiarassimo, quasi apertamente, il percorso fatto. Parliamo quindi di una voglia condivisa di tornare a riabbracciarsi. Quanto ha pesato l’assenza di contatto tra i soci di 50&Più e quali strategie adottate dall’Associazione hanno permesso di “non perdersi”? Tra le strategie attuate dall’Associazione c’è stata l’innovazione delle modalità di interazione con i soci. Basti pensare ai webinar che abbiamo organizzato. Questo, però, evidenzia due aspetti: uno positivo e uno negativo. Quello positivo legato a un grande strumento a cui appellarsi anche a

distanza, quello negativo che vede il gap digitale nella fascia over e mette in luce le differenze tra coloro che gli strumenti li sanno usare e coloro che, invece, non sono ancora avvezzi alla tecnologia e rischiano di rimanere tagliati fuori. Noi abbiamo avuto una grandissima partecipazione, ma non abbiamo visto migliaia di altri soci che spesso partecipano ad altri eventi e che, qui, non hanno potuto essere con noi. Questo è un tema su cui l’Associazione deve lavorare anche in vista del futuro. Ognuna delle iniziative organizzate da 50&Più cerca di rispondere a passioni e interessi diversi, dando sempre spunti nuovi. Oltre a lasciare spazio a neofiti e appassionati di cinema, quale crede sia il valore aggiunto di Corti di Lunga Vita? Essendo un concorso rivolto ai non professionisti c’è un coinvolgimento spontaneo che ha un grande valore. Alcuni dei nostri soci, ad esempio, si sono attrezzati ex novo per approcciarsi alla materia e mettersi in gioco. Abbiamo avuto bellissimi risultati. C’è una sollecitazione che a sua volta vuol dire relazioni, produzione di qualcosa di nuovo e riflessione sui temi che di volta in volta vengono proposti.

Concorso internazionale di cortometraggi - IV edizione

Corti di Lunga Vita, il concorso di cortometraggi dell’associazione 50&Più, è pensato per tutti coloro che vogliono realizzare opere che fanno riferimento all’anzianità o all’invecchiamento. Per partecipare, infatti, è necessario presentare opere inedite, di durata uguale o inferiore ai 7 minuti e che sappiano declinare il tema Abbracciami! - che guiderà questa edizione - in relazione alla terza età. Per maggiori informazioni e per rimanere aggiornati sul bando di quest’anno, è possibile visitare la pagina www.spazio50.org/corConcorso internazionale di cortometraggi - Edizione IV ti-di-lunga-vita.

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Storie

UNA LAUREA A 72 ANNI E UN’AMICIZIA SENZA ETÀ

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L di Giada Valdannini

a notizia di per sé è già di quelle che non si leggono tutti i giorni: a settantadue anni compiuti, si laurea in Scienze storiche. Ma ciò che c’è dietro, forse, stupisce ancor di più. Questa è la storia di Rosanna Brescia (nella foto in basso), una neolaureata dell’Università La Sapienza di Roma, il cui racconto parte da un quartiere periferico della Capitale: Casalbertone. È lì che conosce Tommaso Lanciano (con lei, nella foto a destra) che, all’epoca, è praticamente appena nato. Oggi, noi li incontriamo seduti l’uno accanto all’altra, entrambi davanti al monitor di un computer: lui di anni ne ha 26, è dottorando in Data Science e lei che, appunto, di anni ne ha 72 e ha appena concluso gli studi con soddisfazione con un ottimo 105. Se facciamo la loro conoscenza, è grazie a Tommaso che, sapendo della storia di Rosanna, ha voluto che la rettrice ne fosse al corrente. Così, qualche tempo fa, le ha scritto. «Volevo - ci racconta Tommaso - che la storia di Rosanna non passasse sottotraccia e, anzi, mi sembrava giusto che fosse riconosciuto il suo sforzo. Così ho mandato una mail alla rettrice de La Sapienza - Antonella Polimeni - la quale mi ha risposto appena dieci minuti dopo averle scritto». Sì, perché al di là del merito di una laurea in età abbastanza avanzata, la storia di Rosanna è una di quelle testimonianze belle, per tante ragioni. «Io sono di Foggia - ci dice lei - e quando ero ragazza, l’università nella mia città non c’era. I miei, all’epoca, non mi permisero di studiare fuori e perciò non potei andare all’università». Ma questo è solo l’inizio. Una volta divenuta adulta, Rosanna, infatti, diventa madre: una maternità indubbiamente complessa. «Ho perso mia figlia quando aveva quattordici anni e da allora ho deciso di lanciare una sfida alla vita».

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«Con Tommaso c’è un feeling particolare. Io mi sento sostenuta perché un giovane ha un potenziale incredibile. Sento di prendere carica da lui, mentre lui dice di prenderla da me. È un avvicendarsi. Quando c’è affetto, l’età anagrafica non conta» Nella nostra lunga conversazione ci racconta che la bambina è nata con la distrofia muscolare - la malattia di Werdnig-Hoffmann - e aggiunge: «Non abbiamo potuto avere altri figli perché siamo portatori sani di questa malattia. Allora, non volendomi lasciare sopraffare dalle avversità della vita, ho fatto il concorso magistrale e ho iniziato a fare la maestra». Una strada bellissima, non senza ostacoli. «Facevo la supplente: un giorno di qua, un giorno di là, ma vi giuro che, al mattino, vivevo con la speranza che squillasse il telefono e arrivasse la chiamata per una supplenza. Insomma, a quarantaquattro anni, ho iniziato come facevano le giovani maestre di venti». In questo 2021, a quasi trent’anni di distanza da quei giorni, consegue una laurea che è sempre emblema dell’amore verso questa figlia che purtroppo ha perduto. «Io non avevo potuto fare l’università ma sognavo che mia figlia la potesse frequentare. Perciò, a un certo punto, mi son detta: “Perché non iniziare un percorso in suo nome, come se lo facesse lei?”. E così, in ma-

niera quasi furtiva, mi sono iscritta - perché mio marito pensava che sarebbe stato troppo faticoso “per una persona di una certa età”. Ma a me la definizione “certa età” non va per niente a genio e, infatti, eccomi qui». Qui, laureata, di fronte a noi, col bagaglio di una storia tutta da raccontare. Ma facciamo un passo indietro. «L’incontro con Tommaso - continua Rosanna - è avvenuto che lui era nella culla. Io l’ho seguito nel suo percorso di vita, crescita, da bambino che andava a scuola, da adolescente e, mentre lui portava avanti i suoi studi, io mi sono iscritta all’università». Ed è qui che ci parla della famiglia di questo ragazzo: «Sono persone molto care, lui, il fratello, la mamma e il papà: siamo vicini di casa e intimi amici. Hanno sempre sostenuto me e mio marito. Anni in cui Tommaso evidentemente immagazzinava tutto ciò che accadeva, anche perché probabilmente gli suscitava curiosità il fatto che così adulta andassi ancora a studiare». Il giorno della laurea, Rossana racconta di essere stata molto tesa: «Pur

avendo studiato tutto con attenzione, si ha sempre la paura di non riuscire a dire tutto. L’emozione gioca brutti scherzi». Ma è arrivata in ateneo forte anche delle sue “colonne”: «C’era mio marito, la mamma di Tommaso e il papà. Le restrizioni legate al Covid imponevano una presenza massima di tre persone e io ho voluto che ci fossero loro alla mia discussione di laurea». Un riconoscimento che la famiglia di Tommaso si è davvero guadagnata non facendo mai mancare sostegno a Rosanna. «Io dico sempre che sono stata fortunata ad avere queste persone vicino. Nulla viene a caso. So che se busso a quella porta, mi viene aperta. E so come non sia facile essere nostri amici: assistere mia madre che ha completamente bisogno di me, non mi permette di uscire: sono anni che non mangiamo una pizza fuori. Però, magari, recupero cucinando qualcosa a casa e portandogliela per un assaggio». La mamma di Rosanna ha 96 anni e dipende completamente da lei. «Ogni tanto riprendo la tesi come se la dovessi ripassare, perché a lungo lo novembre 2021 | spazio50.org

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Storie studio è stato la mia ancora di salvezza: nei momenti difficili sapere di dover dare un esame mi dava la carica. Ed ora questo comincia a mancarmi». La curiosità? Il marito (con lei, nella foto a destra), dapprima scettico sugli studi di Rosanna, si è dovuto ricredere e, forse, al momento della discussione della tesi di laurea, era proprio il più emozionato. Ma il suo cambio di vedute è avvenuto già molto prima. Rosanna racconta infatti che l’ha sempre accompagnata in ateneo e che frequentare le aule universitarie è stata una sferzata di energia per entrambi. «Ogni volta che vedevo quei ragazzi all’università - dice lei - immaginavo mia figlia girare per le aule e pensavo: “lo faccio io per te”. Mi piaceva sognarla serena anche perché “ci parlo”, con dolore nel mio cuore, ma senza rammarico e con la serenità che mi ha dato averla avuta per figlia». «Ecco perché volevo che la storia di Rossana fosse conosciuta - ci dice Tommaso -, perché è una testimonianza preziosa soprattutto per chi è giovane come me». «Con Tommaso - ci spiega lei - c’è un feeling particolare. Io mi sento sostenuta perché un giovane ha un potenziale incredibile. Sento di prendere carica da lui, mentre lui dice di prenderla da me. È un avvicendarsi. Quando c’è affetto, l’età anagrafica non conta». Ed è grazie a questo affetto se abbiamo potuto scoprire la storia di Rosanna: una donna coraggiosa che non ha smesso di avere sogni nel cassetto. Sogni per il futuro che, anche qui, la accomunano con ogni ventenne. È per questo che a lei, come a Tommaso, domandiamo cosa ci sia nel loro rispettivo futuro, certi che entrambi portino con loro valige cariche di progetti. Tommaso ci dice che sta concludendo il dottorato e che non sa se continuerà nella realtà accademica o nel mondo del lavoro esterno. «Però - assicura sono motivato e certo che verranno 38

fuori opportunità». Non da meno i sogni e le aspettative di Rosanna che già sa cosa vorrà fare nel prossimo futuro. «Non nego che potrei riprendere in mano i libri. Vorrei intraprendere studi sulla Storia delle religioni. Ma ho anche un altro desiderio: scrivere un libro». E continua a ricordare la figlia: «Pur avendo problemi di natura bronchiale, non avendo mai camminato, lei era serena. E questo essere serena ha saputo trasmetterlo agli altri - ci dice -. Vorrei scrivere un libro: la mia storia, dalla nascita di mia figlia. Non un libro triste, un libro che dia un messaggio di vita, di speranza, un messaggio d’amore. La realtà con la mia bambina è stata dura, dolorosissima, non sto qui a dirvi le sensazioni che si provano quando muore un figlio… Ma in questa casa è circolato anche tanto amore. Ho utilizzato un metodo Doman per la riabilitazione: sono venute trentacinque volontarie ad assisterla. Tutte donne che ci hanno aiutato senza chiedere in cambio nulla, e dopo che la loro presenza era diventata ormai purtroppo non più necessaria, ci hanno detto: “Noi non abbiamo dato, abbiamo ricevuto. Abbiamo ricevuto da questa bam-

bina e da te un messaggio prezioso che ci porteremo dentro e ci accompagnerà per tutta la vita”». Si ritiene una donna fortunata, Rosanna. «Nella vita ho potuto essere mamma, poteva anche non capitarmi mai. Certo, è stato solo per quattordici anni ma li ho vissuti intensamente, come se lei fosse la bambina più normale, tranquilla e in salute di tutte. E quando la guardavano in carrozzina, anche una volta grande, io mi dicevo: la guardano perché è bella non perché è in carrozzina. Se dopo la sua scomparsa mi fossi arresa, sarebbe stato come deludere mia figlia. Non avrei apprezzato il messaggio di amore e di vita che mi ha dato». E in questo preciso momento, Rosanna si gode anche la serenità del momento. «Ho sempre considerato l’insegnamento una missione perché è importante lasciare un’impronta, non sulla sabbia ma sull’argilla, perché così rimane. Spero tanto di esserci riuscita. Di certo, in questi giorni, i miei alunni che hanno letto di questa laurea, mi hanno riempita di affetto e, tramite messaggi, mi hanno addirittura mandato le foto dei lavoretti fatti insieme. Non so dirvi che grande emozione sia stata!».

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Intervista

RITANNA IL CORAGGIO È SENZA

DELLE DONNE TEMPO di Giada Valdannini

ARMENI C

i vuole coraggio a cambiare. E Un Paese che cambia li, che è stata una rivoluzionaria, capace anche di criticare Marx e Lenin. La gione serve tanto più se s’intende alla vigilia del vane Rosa, la protagonista del libro, cocambiare ciò che si ha intorno. Sessantotto, struisce se stessa anche grazie alla grande Lo testimonia la storia di Rosa una ragazza Luxemburg. Miglietta, la protagonista del libro di che sfugge alla E lo fa appunto anche grazie a una Ritanna Armeni Per strada è la felicichiusura della sorta di confronto intimo e immatà (Ponte alle Grazie): un romanzo che provincia ginario con la figura di Rosa Luracconta la vicenda di Rosa, una tipica per raggiungere xemburg. Perché ha scelto di racbrava ragazza di provincia, che vuole Roma dove vuole laurearsi e per questo arriva a Roma. contare proprio questa storia? Solo che è il 1968 e la Capitale è in ferIo, in generale, racconto storie di donne. studiare e laurearsi; E racconto le donne nella storia. In uno mento tra libertà, diritti dei lavoratori, l’incontro coi dei miei libri ho parlato del grande amore diritti delle donne e facoltà occupate. È movimenti di Lenin, in un altro delle pilote sovietiche in questo contesto che Rosa si cala in studenteschi che volavano sui tedeschi; poi ho scritto completa sintonia con quegli anni, non e il femminismo. un libro su una donna fascista, perché senza sviluppare però un forte spirito Tutto nel nuovo libro penso che la storia delle donne vada ricritico: lo stesso che la porterà a indadi Ritanna Armeni, conosciuta e vada raccontata. A un certo gare - attraverso la sua tesi di laurea - la “Per strada è la punto, nei miei percorsi mentali, sono figura di un’altra Rosa, quella più celefelicità” arrivata agli anni Settanta, che poi sono bre, la rivoluzionaria: la grande Rosa gli anni della mia gioventù. Luxemburg. È un libro autobiografico? Ritanna Armeni, chi c’è in questo suo libro? Da una parte c’è Rosa - la protagonista, Rosa Miglietta -, Questo libro ha molti elementi autobiografici, anche se la ragazza che incontra il ’68, il femminismo, il movimen- non è proprio un’autobiografia ed è stato agevolato proto, l’Italia che vuole cambiare e, dall’altra, c’è la grande babilmente dal lockdown. Il fatto di dover stare chiusa in Rosa: Rosa Luxemburg, che ha scritto libri fondamenta- casa e di poter riflettere anche un po’ sulla propria vita, su

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ciò che si è fatto, su quelle che sono state le mie conquiste, le sconfitte, mi ha aiutata. Poi è venuta fuori l’idea di scrivere un libro che raccontasse la storia di una ragazza che ormai è vecchia rispetto alle giovani donne di adesso - stiamo parlando, in questo libro, di una storia di ormai oltre cinquant’anni fa. Perché ha deciso di intrecciare le vite di Rosa, la giovane studentessa, e quella di Rosa Luxemburg? Un giorno, su Facebook, ho visto un post su Rosa Luxemburg - una donna che io ho sempre molto amato e che, dentro di me, è stata sempre un po’ un modello - e ho pensato che sarebbe stato bello scrivere qualcosa su di lei. Però, ho anche pensato che sarebbe stato bello capire come una ragazza potesse vivere la Luxemburg e così è nato questo romanzo. Dal libro emerge piuttosto il volto della Luxemburg donna: insomma, non solo la rivoluzionaria che tutti conosciamo… Ho deciso di dare questo taglio perché, a dir la verità, è quello che mi interessa di più e poi perché è forse il taglio più trascurato. Rosa Luxemburg ha scritto oltre novecento lettere all’uomo che amava. Di lei mi interessavano alcuni aspetti della vita: per esempio, si definiva una cinciallegra. Voleva la felicità e voleva la felicità anche per le persone che dovevano fare la rivoluzione. Questo è un tratto molto femminile perché gli uomini che hanno dovuto fare la rivoluzione si sono sacrificati per la rivoluzione stessa, ma non tanto per la felicità delle altre donne e degli altri uomini. Invece Rosa non vuole cambiare l’umanità astrattamente: vuole aiutarla a cambiare. E tutti questi risvolti di Rosa - che la avvicinano molto a quello che è stato il pensiero delle donne dopo il 1970, al nuovo femminismo mi sono sembrati molto interessanti.

Rosa Miglietta, la protagonista del libro, capisce che la felicità è per la strada forse nel momento in cui lascia Roma - dove studia -, va a Torino e si trova, per la prima volta, di fronte alle fabbriche, agli operai e alle operaie. In quel momento valica anche il confine che, anche nel movimento, c’era: quello delle donne sempre un passo indietro agli uomini. Io non ho scritto un libro sul ’68, sugli anni Settanta storico. Ho scritto un libro sui sentimenti di quegli anni: la voglia di trasformare, di stare per strada con gli altri, la felicità, la solidarietà, l’amore. Ed è stato questo sentimento profondo - che si è divaricato in tanti altri sentimenti - che ha prodotto dei cambiamenti. Non è stata la politica, in senso generico. Quello che fa Rosa è un percorso - è anch’esso una strada - che passa attraverso la libertà. Rosa viene dalla provincia e studia nella grande città. E se la provincia è controllo sociale, è la famiglia che ti opprime, la città è altro. Di Roma, Rosa non è col-

IL LIBRO Rosa è una ragazza in gamba. Viene dalla provincia. A vent’anni sbarca a Roma per laurearsi e cercare un lavoro. È la vigilia Sessantotto e Roma è invasa dall’energia del movimento studentesco. Per lei, studio e impegno politico. Da giovane acerba, si trasforma in una donna alle prese con amore, amicizie, i grandi classici del marxismo e un movimento che vuole cambiare il mondo. È lì che incontra un’altra Rosa, Rosa Luxemburg, e con lei intreccia un rapporto serrato con momenti di complicità e di rottura, di immedesimazione e di lontananza. novembre 2021 | spazio50.org

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Intervista

«Alle donne della mia età vorrei dire di non essere nostalgiche. Come tutti, abbiamo vissuto, lottato, amato, sofferto. Ma abbiamo anche aperto delle prospettive»

pita dai monumenti ma dal senso di libertà che lei riesce a raggiungere. Poi capisce che la strada degli studi che ha condotto fino a quel momento è insufficiente ed è allora che conosce la libertà della critica. È qui che incontra i compagni di movimento che vogliono cambiare la società e gli operai che intendono cambiare la fabbrica, però poi fa un ulteriore passo in avanti: quello più genuino. Ed è quello in cui riconosce se stessa e le altre - amiche e compagne - come donne. Che sono diverse dagli uomini e che, anzi, sono state fino ad allora usate dagli uomini. Cosa vorresti che dicesse questo libro alle donne che erano ventenni nel Sessantotto, alle quarantenni di oggi e alle giovanissime? Alle donne della mia età, di non essere nostalgiche. Come tutti, abbiamo vissuto, abbiamo lottato, abbiamo amato, abbiamo sofferto; ma ab42

biamo anche aperto delle prospettive che però probabilmente non possiamo riproporre. Penso che le donne della mia età facciano spesso questo errore di nostalgia che, talvolta, produce anche una sorta di rancore, di tristezza. Io invece, quando guardo il mondo delle giovani donne, provo una grande allegria. Mi piace che in loro sia penetrata fino in fondo la pretesa della libertà. Le quarantenni, oggi, sono donne molto arrabbiate perché stanno capendo cose - forse le stesse che capii io molti anni fa - e che però a loro procurano un maggior rancore perché si erano illuse, per un lungo periodo, che molte cose fossero state raggiunte. E poi, invece, si sono ritrovate in un mondo del lavoro che riproduce moltissimi stereotipi. Le vedo, però, molto combattive, ed hanno assimilato il messaggio che è stato loro mandato: non in modo ideologico, ma nel senso più vero, nel modo di costruire se stesse. Le ven-

tenni di adesso sono invece tutte da studiare. Mi sembrano molto più attrezzate di noi, ma non so dove riusciranno a convogliare la loro forza e quanta effettivamente sia. Come sarebbe Rosa oggi se immaginassimo un sequel di questo libro? Rosa sarebbe piuttosto anzianotta, avrebbe la mia età. Forse bisognerebbe scrivere un libro su cosa significhi essere anziani dopo che si è sperato di cambiare il mondo, che cosa è rimasto di quelle speranza e come è cambiato il carattere. Perché, in realtà, sono convinta che, col passare degli anni, siamo come un tronco di legno che viene man mano scolpito. Invecchiare cosa significa? Per molti aspetti significa stare meglio. Ma si sta meglio con grande fatica: per continuare a costruire se stessi si hanno più difficoltà. Di fronte al fatto incontestabile che la vita che hai di fronte è inferiore a quella che hai dietro di te, la fatica di vivere non è tanto diversa da quella che si ha a vent’anni. Anzi, a vent’anni talvolta si hanno più difficoltà perché non si conosce il mondo. Quando si invecchia, la fatica è quella di accettare e stare bene lo stesso, anche se si sa che poi c’è un confine che non è definito, ma c’è.

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Focus

“LA CULTURA DEL RISPETTO”, CIBO PER GLI ADULTI DI DOMANI di Giovanna Vecchiotti

Lucia, 70 anni, uccisa dal marito che si toglie la vita; Eleonora, 85 anni, uccisa dal figlio, che ha confessato l’omicidio; Chiara, 16 anni, uccisa dall’amico coetaneo; Maria, 78 anni, uccisa in una casa di riposo dal marito di 87 anni; Saman, il fratello conferma: “È stata uccisa dalla nostra famiglia”. L’orrore si sussegue giorno dopo giorno attraverso i titoli dei giornali, che snocciolano sintesi di esistenze stroncate dalla violenza di chi crede che la vita di una donna (moglie, madre o figlia che sia) gli appartenga. Non c’è età che possa mettere al riparo dalla tragedia, non esiste ceto sociale, luogo d’origine o titolo di studio che possa salvare la vita. Perché il femminicidio è trasversale, trasversale come l’amore, eppure dell’amore non ha nulla: perché l’amore regala e non priva, protegge e non uccide. Il termine femminicidio è stato introdotto per la prima volta dalla criminologa femminista Diana H. Russell, nel 1992, per indicare uccisioni di donne, da parte degli uomini, solo perché donne. Una violenza fisica, economica e psicologica, che spesso si manifesta con un crescendo di parole e gesti: un’offesa, una spinta, uno schiaffo, calci e pugni, e poi la fine annunciata, che le vittime non riescono ad eludere. Il femminicidio ha radici lontane che affondano in secoli di patriarcato, che la crescita di una coscienza femminile è riuscita appena a scalfire. Ma rompere la spirale della violenza di genere si può e si deve; per farlo, però, è necessario sviluppare e diffondere - ad ogni livello della società - una “cultura del rispetto” che sia in grado di abbattere giustificazioni e stereotipi che alimentano la violenza stessa. Una cultura che permetta ai bambini di oggi di diventare donne e uomini di domani, in un mondo che non conosca il binomio “vittima e carnefice”.

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LA VIOLENZA NON HA ETÀ Se ne parla poco, ma i dati sono in crescita: tra le donne vittime di abusi, molte sono over 60. E i centri antiviolenza accolgono le loro richieste di aiuto

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di Ilaria Romano

n Italia viene uccisa una donna ogni tre giorni, e nella maggior parte dei casi per mano del partner, dell’ex partner, di un familiare o di un conoscente. Settimanalmente il Viminale pubblica un report aggiornato del Servizio Analisi Criminale che riporta tutti i casi di omicidio e di femminicidio, dal quale risulta che dal primo gennaio 2021 hanno perso la vita 91 donne, 78 delle quali uccise in ambito familiare (dati aggiornati al 3 ottobre 2021). Un dramma quasi quotidiano che racconta l’apice di un fenomeno, quello della violenza contro le donne, ben più ampio e non sempre evidente; perché i comportamenti violenti non sono necessariamente visibili, fatti di percosse o peggio, ma spesso molto più subdoli e difficili da riconoscere. La violenza può essere psicologica, fatta di umiliazioni, denigrazione, isolamento e controllo maniacale; ma anche economica, quando la donna viene privata della libertà di gestire il denaro in famiglia o magari sul lavoro percepisce uno stipendio inferiore ai colleghi uomini che esercitano la stessa mansione, o è costretta a firmare dimissioni in bianco a tutela del datore di lavoro in caso di gravidanza.

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La violenza dunque ha molte sfaccettature, ma quella domestica in particolare ha una caratteristica che accomuna tutti i casi: è trasversale al contesto culturale, alla posizione socioeconomica e all’età. Le vittime non sono necessariamente giovani, anzi sempre più spesso donne adulte, over 60 o 70, si ritrovano a chiedere aiuto per mettere fine a una vita di maltrattamenti. Eppure, la violenza di genere nelle fasce più anziane della popolazione sconta ancora una rappresentazione parziale del fenomeno, come testimoniano i dati Istat che considerano le donne dai 18 ai 70 anni, e di fatto escludono i casi di abusi nelle ultrasettantenni, che invece rientreranno nel generico “abuso su anziani”, come se in età più avanzata il genere perdesse importanza. «Rispetto al 2010, quando abbiamo aperto il primo Centro antiviolenza a Conversano (Ba), le donne anziane che si rivolgono ai Cav sono aumentate - racconta Marika Massara, coordinatrice della Rete dei Centri Antiviolenza della Comunità San Francesco, che opera in Puglia -, e oltre a subire violenza dai propri partner sono spesso anche vittime dei figli maschi, ormai

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adulti, che hanno appreso un modello paterno maltrattante e mettono in atto diverse forme di abuso nei confronti delle madri. Abbiamo casi di violenza psicologica, fisica, ed economica quando i figli si appropriano della pensione. Ci sono state mamme anziane che pur di liberarsi da una situazione insostenibile hanno lasciato anche la propria casa, altre hanno denunciato i figli». Quali sono le specificità delle situazioni di violenza contro le donne over 60? In generale, nel 90% dei casi il maltrattante è sempre all’interno del nucleo familiare, come per qualunque altra fascia di età. Nello specifico, però, oltre alla problematica della violenza si sommano altre dinamiche, come quella abitativa e lavorativa, perché è molto più difficile reinserire una donna di settant’anni. Inoltre, parliamo spesso di casi in cui gli abusi si sono protratti per anni e anni, e spesso c’è vergogna a parlarne, oltre che rassegnazione per una prospettiva di cambiamento più difficile da immaginare rispetto ad una donna giovane. Non bisogna poi dimenticare i problemi le-

gati alla sfera della salute, che possono ulteriormente complicare la situazione, sia quando riguardano la vittima sia il maltrattante, perché spesso la donna non riesce a pensare di lasciare il marito o il compagno senza le sue cure, nonostante gli abusi. Come possono intervenire i Centri Antiviolenza in queste situazioni? I Cav si rivolgono a tutte le donne, di ogni età. È importante che si sappia perché ancora oggi ci sono operatori sanitari che, lavorando nelle strutture socioassistenziali o a domicilio, vengono a conoscenza di problemi familiari legati a casi di violenza e magari non sanno come intervenire. Come Regione Puglia stiamo pensando a una campagna di comunicazione specifica per le donne over 60 e nel frattempo, anche se la questione è complessa e deve essere affrontata a tutto tondo, noi ci siamo e cerchiamo le soluzioni. Mi viene in mente una donna di 80 anni con patologie che abbiamo dovuto allontanare in emergenza e collocare in una casa rifugio, dove poi abbiamo mandato un operatore sociosanitario che la seguisse, pagandolo con appositi fondi regionali.

È un fenomeno in aumento quello della violenza contro le donne anziane? Se ne parla ancora poco ma il fenomeno è in aumento e, soprattutto dall’inizio della pandemia, alcune situazioni si sono esasperate a causa della convivenza a stretto contatto fra le mura domestiche e la crisi economica, anche nella popolazione anziana. L’effetto lockdown è stato drammatico perché ha esacerbato situazioni già al limite, dove il maltrattante era sempre in casa, e chiedere aiuto diventava ancora più complicato. Non a caso abbiamo attivato altri canali oltre al numero di telefono, come le chat e le email, chiedendo anche la collaborazione delle forze dell’ordine nei casi di rischio concreto e imminente. C’è anche da dire che probabilmente i casi di abuso sulle donne anziane esistevano anche prima, quando nessuna di loro raggiungeva un centro antiviolenza, e quindi vuol dire che oggi si è acquisita una maggiore consapevolezza rispetto alla possibilità di chiedere aiuto, e questo è positivo. È possibile anche in età adulta riuscire a trovare il modo di interrompere una relazione tossica? Si, è successo più volte, attraverso un allontanamento con ricollocamento in struttura protetta, e una denuncia: tante donne sono riuscite a interrompere la relazione tossica, alcune le stiamo seguendo anche adesso. Ci sono stati anche casi in cui si è scelto inizialmente di lasciare il marito, come una signora che ha deciso di andare a vivere all’estero dalla figlia, ma poi è tornata a casa per non esserle di peso. In ogni caso rispettiamo la scelta della donna, qualunque essa sia, e continuiamo a offrire comunque un supporto psicologico costante. A volte già questo è una boccata d’ossigeno.

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LAVORARE CON GLI UOMINI A RISCHIO, UNA PRIORITÀ Anche i centri di ascolto per maltrattanti ricoprono un ruolo di fondamentale importanza al fine di prevenire gli abusi e ridurre i casi di recidiva di Ilaria Romano

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e l’azione di tutela delle donne vittime di violenza è fondamentale, altrettanto importante è lavorare sugli uomini, maltrattanti o potenzialmente tali, sulla prevenzione degli abusi per una corretta dinamica relazionale o, nel caso di reati già commessi, sulla riduzione della recidiva. Da quando è nato il primo centro a Firenze nel 2009, il Centro di Ascolto per Uomini Maltrattanti, ne sono nati diversi in tutta Italia, soprattutto al Nord, che lavorano ogni giorno sull’assunzione di responsabilità di chi mette in atto agiti violenti e sulle possibilità di cambiamento, nonostante in Italia manchino ancora delle linee guida rispetto ai percorsi da affrontare in questo campo. «Nel nostro Paese, rispetto ad altre Nazioni europee che hanno cominciato negli anni Ottanta e Novanta a lavorare anche con gli uomini nel contrasto alla violenza di genere, siamo molto indietro - spiega Andrea Bernetti, responsabile dell’Associazione Centro Prima, ex Centro di Ascolto per Uomini Maltrattanti di Roma - e a livello nazionale questo tipo di intervento è visto come secondario rispetto a quello di supporto alle vittime. Noi pensiamo che siano entrambi essenziali e che debbano essere integrati. Basti pensare che prima della ratifica della Convenzione di Istanbul non c’erano leggi che esplicitavano in maniera chiara che è un obbligo dello Stato fornire percorsi trattamentali per uomini autori di violenza nell’ottica di prevenzione e contrasto. Oggi abbiamo anche il Codice Rosso, che parla di un percorso riabilitativo per gli autori di reato, ma poi mancano le risorse per realizzarlo. Come avviene il primo contatto con gli uomini maltrattanti? Uno dei motivi possibili perché l’uomo prenda il coraggio di cambiare è

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il rendersi conto che i suoi comportamenti violenti stanno mettendo in crisi il rapporto di coppia. Bisogna ricordare che esistono tante forme e gradi di violenza, e dobbiamo essere consapevoli che la violenza può essere per molto tempo non esacerbata, ma persistente. Può essere psicologica, fisica ma non sistematica, con cui in qualche modo si convive per molto tempo. Poi succede che la partner manifesti la voglia di uscire da quella situazione. È lì che l’uomo può avere paura di perdere la relazione, i figli, o tema di commettere un reato, soprattutto se si tratta di persone che non hanno un’abitudinarietà col mondo della giustizia. La spinta può avvenire quindi a livello personale, ma anche dietro sollecitazione della partner o della famiglia, oppure dalle Istituzioni, a seguito di un contatto con i servizi sociali per questioni riguardanti la separazione e l’affidamento dei minori, o con le forze dell’ordine a seguito di ammonimento; o, infine, quando il reato è già stato commesso e il giudice invita ad un percorso per diminuire la possibilità di recidiva e dare una pena rieducativa. Che tipo di percorso può essere intrapreso? Il percorso ha come obiettivo l’assunzione di responsabilità, del riconoscimento dei motivi che hanno generato la violenza, per poi lavorare su soluzioni alternative alla violenza. Gli uomini arrivano qui sentendosi vittime delle donne e interpretano la loro violenza come una reazione inevitabile a qualcosa che hanno subìto. L’uomo maltrattante si comporta come un figlio insoddisfatto della madre, e non come un adulto che sta con una partner che esprime il suo desiderio di costruire un rapporto alla pari. Dunque siamo sempre in presenza di una difficoltà sul piano della reciprocità della relazione. L’altro aspetto ricorrente è

la fantasia dell’insostituibilità della partner: tantissime relazioni che si concludono con un femminicidio si basano sull’assunto che chi si sottrae al rapporto condanna l’altro a una solitudine senza speranza. Poi c’è l’aspetto degli stereotipi, dei modelli maschili cui attenersi, del vivere le emozioni che non si riescono a capire, trasformandole in rabbia. Assunzione di responsabilità significa quindi riconoscere in sé quello che si attribuisce all’altro come colpa, passare dal bisogno di attribuire colpe al desiderio di capire e affrontare ciò che si sta vivendo. La riuscita del percorso dipende da come ci si arriva e da come viene trattata la motivazione che porta l’uomo a fare il percorso: il primo passo è sviluppare una domanda di cambiamento personale nell’uomo. Nella nostra esperienza le persone hanno eventualmente un “drop out” proprio all’inizio; questa è infatti la fase più complessa, perché si arriva con il desiderio di liberarsi da un problema, ma poi si rendono conto che sono ancora troppo legate alla rabbia e devono impegnarsi a conoscerla per trasformarla. Quelle che proseguono, invece, riescono a interrompere la violenza e fare un cammino progressivo di consapevolezza. Il messaggio da sostenere è che prendersi cura della propria dinamica relazionale permette di sviluppare relazioni affettive piacevoli; invece, fare una comunicazione legata alla colpa, a quello che non si fa e non si dovrebbe fare, non ha efficacia su chi non si sente in colpa ma prova tanta rabbia. Quanto incide il proprio vissuto nelle dinamiche del maltrattante? C’è un legame molto forte e, difatti,

si parla proprio di catena intergenerazionale della violenza: un’infanzia in cui si è subita violenza porta nella vita adulta molte più probabilità di essere maltrattante o vittima di violenza. Si passa dal 5% al 32% di possibilità (Istat, 2014). La funzione genitoriale è antiviolenza, contro il maltrattamento sia agito che subito, sul contrasto della paura dello stare al mondo e sul supporto del figlio ad affrontare il mondo e a poter vivere i propri fallimenti e insuccessi. I maltrattanti sono l’espressione amplificata di qualcosa che ci attraversa tutti, la difficoltà a stare in un rapporto affettivo, il dover affrontare la fine del modello di relazione infantile (assenza di reciprocità, insostituibilità della persona amata, progetti di vita recepiti e non costruiti insieme), la paura di fallire e non rispettare le attese e gli stereotipi socialmente e culturalmente stabiliti. In molti casi non si arriva alle estreme conseguenze, si crea un adattamento anche virtuoso; in altre persone, invece, esplode una violenza che non possiamo giustificare né relegare a comportamenti individuali, che ci interroga tutti, ci riguarda e ci impegna a conoscerla per affrontarla. novembre 2021 | spazio50.org

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I LUOGHI COMUNI (E NON) SUGLI UOMINI CHE MALTRATTANO LE DONNE Esiste un profilo psico-comportamentale degli uomini violenti: i cosiddetti “pitbull/sangue caldo”, irruenti ed emotivi, e i “cobra/sangue freddo”, che controllano le emozioni ma sono in grado di compiere gesti estremi

di Paola Stefanucci

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a contabilità è agghiacciante. Ogni tre giorni viene uccisa una donna dal “suo” uomo: in Italia, negli ultimi anni, si registra un numero pressoché costante di femminicidi che affollano le pagine della cronaca quotidiana dei (tele)giornali. Mentre rimane incerta la statistica dei maltrattamenti in famiglia: taciuti e non denunciati. Ma perché, e chi sono, i maschi che ammazzano, deturpano, picchiano mogli, amanti, compagne e, sempre più spesso, coinvolgono nella loro furia omicida anche i figli? Si tratta di soggetti psichicamente alterati? O solo di uomini prepotenti che esercitano la violenza contro le donne? «Non sono matti - ci dice Andrea Cicogni, direttore del Servizio Salute Mentale per il quartiere 5 a Firenze, nonché referente scientifico della Asl Toscana Centro per il C.A.M., il Centro di Ascolto per uomini Maltrattanti, nato dodici anni fa per contrastare e prevenire le degenerazioni violente del comportamento maschile -. Nella quasi totalità

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dei casi sono uomini sani di mente che usano potere e controllo sulle (ex) partner. Attraverso continue aggressioni, minacce, intimidazioni e umiliazioni. Le vittime vivono così in un costante stato di paura e senso di perdita della libertà. Questo meccanismo persecutorio è stato definito “controllo coercitivo” e rappresenta - già - un reato in cinque Paesi del mondo: Irlanda, Inghilterra, Scozia, Galles e Francia». «Il femminicidio o ginocidio, quindi, è l’atto estremo di un comportamento ipercontrollante - ribadisce lo psichiatra e psicoterapeuta - ripetuto nel tempo. Altro che il drammatico epilogo di una momentanea perdita di autocontrollo, come viene talvolta raccontato secondo un vecchio e consolidato stereotipo. E l’ambiente in cui si consuma la violenza di genere non riguarda semplicemente, come ancora si tende a credere, realtà caratterizzate da marginalità ed emarginazione: il fenomeno non risparmia nessuna fascia sociale rispetto alle condizioni culturali, economiche e all’educazione religiosa di chi maltratta le donne. Come dimostrano tutti gli studi, le ricerche e i dati statistici relativi alla violenza domestica. Sono poi da bandire tutti gli atteggiamenti volti a minimizzare la violenza agita: “Le ho dato solo uno schiaffo”. Oppure: “È solo una scaramuccia amorosa, in fondo ci vogliamo bene”. O ancora: ”È solo un bisticcio”. E a colpevolizzare la donna: “È lei che tocca i miei punti deboli”. “È lei che mi ha provocato. Io mi sono solo difeso”. Non esistono giustificazioni per il femminicidio. È un reato contro la persona e come tale va perseguito». Esiste un profilo psico-comportamentale degli aggressori?

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La letteratura riporta più d’una tipologia di uomini maltrattanti. Jacobson e John Gottman, docenti presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Washington, hanno classificato, ad esempio, i maltrattanti in base alle loro reazioni emotive in due categorie: i “pitbull/sangue caldo” e i “cobra/sangue freddo”. I primi sono disforici, alternano fasi di depressione a fasi di eccitazione, hanno paura dell’abbondono. Mentre aggrediscono diventano rossi, urlano e si agitano. I cobra sono sociopatici, hanno paura dell’intimità, sarebbero pronti a uccidere in caso di rottura della relazione, pianificando accuratamente ogni azione. In generale si tratta perlopiù di uomini fragili per cui l’abbandono diventa motivo di vita e di morte, di narcisi insensibili alla sofferenza che infliggono, di individui intrisi di una cultura patriarcale

e maschilista incapaci di una relazione alla pari. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una donna su tre ha subìto una forma di violenza nel corso della sua vita dai 15 anni in poi. Ma le vittime spesso non denunciano. Sì, purtroppo è vero. Spesso le donne non denunciano, tengono il dolore tutto per sé, non si confidano nemmeno con i parenti. L’emersione, così come la prevenzione, della violenza di genere va affrontata con il coinvolgimento dei genitori, di sorelle, fratelli, medici di famiglia, pediatri, medici del pronto soccorso, psicologi e insegnanti. Se una donna su tre subisce violenza, si suppone che un maschio su tre sia un “maltrattante”. Anche tra gli adolescenti c’è chi maltratta le coetanee. Nelle scuole italiane l’educazione affettiva è negletta. Negli Stati Uniti si insegna ai

teenager a riconoscere i segnali premonitori della violenza. Se un ragazzo pretende da una ragazza di sapere sempre dove e con chi sia, le controlla il cellulare, la minaccia, le impedisce di incontrarsi con gli amici, è ovvio che non si tratta di amore, ma del principio di una storia dolorosa, segnata da possessività e gelosia. Infine, dottor Cicogni, lei è tra i fondatori del primo C.A.M. in Italia. Di che si tratta? Il C.A.M. è un punto di riferimento per quegli uomini che vogliano assumersi la responsabilità del loro comportamento di maltrattamento - fisico, psicologico, economico, sessuale, di stalking - ed intraprendere un percorso di cambiamento. Quanti uomini maltrattanti sono passati nel Centro? Dal 2009 ad oggi circa mille. E qualcuno è cambiato? Sì. novembre 2021 | spazio50.org

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PERCHÈ ABBIAMO BISOGNO DI UN CAMBIAMENTO CULTURALE

di Mariella Pagliuca

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ai “se l’è cercata!” ai presunti comportamenti “esasperanti”, la nostra quotidianità - sia mediatica che reale - si riempie di giudizi a priori, stereotipi e fantomatici dati di fatto quando parliamo di violenza di genere. La vera ed unica certezza è che ogni forma di violenza, a maggior ragione quella di genere e domestica, va sempre ripudiata e condannata, senza tentativi di giustificazione o dinamiche di vittimizzazione secondaria. Un principio lineare e di una semplicità quasi disarmante, che però trova ancora grandi difficoltà ad affermarsi nel comune sentire. Siamo riusciti a fare enormi progressi in campo scientifico e tecnologico, viviamo in un mondo che ci offre possibilità inimmaginabili anche solo in confronto a pochi anni fa, eppure come collettività non siamo stati in grado fare un passo molto più semplice: rivoluzionare l’immagine ed il ruolo femminile nella società. L’idea della donna come debole o la sua visione come di una proprietà privata del compagno o dei familiari rimangono considerazioni ancora ben radicate nel pensiero collettivo: rientrano nei più classici stereotipi, considerati la causa primaria alla base degli atti di violenza, che sempre più spesso sfociano in femminicidi. Il Parlamento europeo, in una Risoluzione approvata lo scorso settembre, evidenzia proprio che “la violenza di genere affonda le sue radici negli stereotipi di genere, nelle strutture eteropatriarcali (i sistemi in cui gli uomini e l’eterosessualità si trovano in posizioni culturalmente dominanti, ndr), nelle asimmetrie di potere e nelle disuguaglianze strutturali e istituzionali” e che questa interessa tutti gli ambiti della società.

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Se non fossimo ancora abbastanza convinti, potremmo trovare ulteriori conferme nella Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa, il più importante e completo trattato di natura internazionale elaborato per il contrasto della violenza di genere e domestica (e di cui quest’anno ricorre il decennale). Qui viene infatti evidenziato che la violenza contro le donne è “una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione”, e che la violenza ha una natura strutturale ed è uno dei meccanismi sociali che pone le donne in una posizione subordinata rispetto agli uomini. Abbiamo sufficienti elementi perché ci assalga il dubbio che - a questo punto - non basti pensare solo a misure di natura normativa per la prevenzione ed il contrasto alla violenza, ma che queste debbano essere naturalmente accompagnate da uno sforzo sociale e politico verso un cambiamento culturale. UN Women, l’entità delle Nazioni Unite per la parità di genere e l’empowerment (inteso come potenziamento, presa di potere, rafforzamento) femminile, spiega che le idee, le norme ed i valori delle società influenzano ogni aspetto della vita e molto spesso, quando questi sono impliciti nella quotidianità, possono rendere le disuguaglianze e gli stereotipi difficili da riconoscere ed affrontare. Tali modelli e norme culturali possono allora plasmare ed alimentare le modalità con cui definiamo quale azione possa essere riconosciuta come molestia sessuale, cosa possa rientrare nelle sfere di maschile o femminile, per cosa valga la pena lottare o cosa dovrebbe essere semplicemente ac-

La violenza di genere è un concetto che può essere cambiato, plasmato e modificato, intervenendo in maniera diretta sull’impianto educativo. Bisogna agire sui modelli formativi a partire dalla primissima infanzia per poi proseguire con campagne di sensibilizzazione, cercando di creare una reale uguaglianza tra uomo e donna

cettato come normale o inevitabile. Si innesta un meccanismo in cui la tolleranza, il silenzio, l’acquiescenza e la colpevolizzazione delle vittime prendono piede e diventano la normalità. Simone de Beauvoir, scrittrice e femminista del Novecento, sosteneva che «donna non si nasce, lo si diventa». Ciò che la donna rappresenta nella nostra società contemporanea è frutto della cultura che plasma la realtà, e lo stesso vale per tutte le dinamiche che vive quotidianamente, comprese le molestie e la violenza. La buona notizia è che la cultura, avendo una natura che possiamo azzardarci a definire “artificiale” poiché non innata ma costruita dalla società stessa, può essere allora plasmata, modificata e modellata. E tale consapevolezza inizia ad arrivare anche ai “piani alti”: la pandemia, con tutto il suo negativo bagaglio di conseguenze sociali ed economiche, ha colpito principalmente le donne, portando alla luce del sole disuguaglianze non più celabili, insieme ad un aumento esponenziale dei casi di violenza. La politica e le istituzioni hanno dunque compreso di doversi risveglia-

re da un torpore che ha permesso che la parità di genere rimanesse a lungo un tema secondario e trattato in maniera frammentata e superficiale. A livello istituzionale ci si inizia finalmente a liberare da quella visione per cui le donne appaiono come “una debole minoranza da tutelare”. No, le donne sono l’altra metà del tutto, le cui differenze devono essere valorizzate e non livellate o appiattite. È un processo di arricchimento per la società nel suo complesso. Ed è per questo che ogni fattore inibitore, come la violenza di genere, deve essere contrastato con ogni mezzo a disposizione. Promuovere un cambiamento culturale significa iniettare questa consapevolezza nel tessuto sociale. Il Women 20, gruppo di lavoro dedicato alla parità di genere interno al G20 - il forum internazionale che riunisce le principali economie del mondo e di cui quest’anno l’Italia detiene la presidenza - ha dedicato una attenzione particolare proprio alla promozione di un cambiamento culturale, dedicandovi addirittura una commissione specifica. Da dove iniziare, allora? Innanzinovembre 2021 | spazio50.org

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Inchiesta 50&Più tutto, dai sistemi educativi, a partire dalla primissima infanzia. Pensare a sviluppare programmi e campagne per affrontare gli stereotipi di genere, che mirano a eliminare pregiudizi e stereotipi inconsci (ed indirizzati sia a bambine che bambini, a ragazze e ragazzi), promuovere l’aggiornamento e la revisione dei testi scolastici, con un’attenzione particolare alla storia delle donne. Proprio su questo ultimo punto si muove la proposta della specifica Commissione sul Cambiamento Culturale: una revisione dei principali testi di studio destinati alle scuole medie inferiori e superiori, in modo che le studentesse e gli studenti di tutte le età possano conoscere la storia di “cento donne scomparse nei libri di scuola”. Sempre nella cornice del G20, la presidenza italiana ha promosso per la prima volta l’organizzazione di una specifica Conferenza internazionale dedicata proprio all’empowerment femminile, al fine di innescare sul tema un confronto complessivo nella comunità internazionale. Un segnale forte, che segna il passo verso l’identificazione della parità di genere e dei diritti delle donne come prioritari nella politica internazionale. In Italia, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (che tutti siamo abituati ormai a chiamare PNRR) individua nella parità di genere una delle cosiddette priorità trasversali, ossia una delle chiavi di lettura funzionali per il raggiungimento di tutti gli obiettivi del Piano, con particolare riferimento alla Missione 5 ,“Coesione ed Inclusione”. Nell’ottica di concretizzare quanto definito nel PNRR, è divenuta operativa da poche settimane la nuova (e prima!) Strategia Nazionale per la Parità di Genere 2021-2026, voluta dalla ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, che nella sua essenza rappresenta una cornice che abbraccia numerose misure orientate 54

- nel loro complesso - ad un cambiamento di visione culturale. Alcuni esempi: si riconosce - a ragione - la presenza di una “questione maschile”, che deve essere presa in considerazione ogni qualvolta si ragiona su misure tese ad aumentare la parità di genere, perché gli uomini se ne facciano uguali promotori e sostenitori, a tutto vantaggio di un equilibrato cambiamento sociale; si parla di revisione dei requisiti dei libri di testo, per incentivare gli editori a garantire visibilità alle donne ed incoraggiare messaggi di parità ed uguaglianza; si incentiva la promozione trasversale del principio di parità di genere in ogni ordine e grado di istruzione. La Strategia comprende ovviamente molto altro: la riduzione del gap salariale di genere, incentivi all’im-

prenditoria femminile, metodi di riequilibrio degli oneri di cura familiari (ad esempio, congedi di paternità, fondi per gli asili nido e detrazioni per caregiver e babysitter). A questo punto, appare superfluo porci la domanda: “e cosa hanno a che fare queste misure con il contrasto alla violenza?”. Ma in caso la domanda sorgesse inesorabilmente spontanea, la risposta sarebbe un semplice: “tutto”. Ritorniamo al punto di partenza. Ogni piccolo passo, ogni misura di supporto, ogni tentativo di modificare lo status quo a favore delle donne, contribuisce al cambiamento culturale, e dunque all’eliminazione di tutti quegli stereotipi - limitati e limitanti - che sono il nutrimento principale della violenza di genere.

DONNE. LA LUNGA STRADA PER I DIRITTI di Carlotta Poselli

La parità tra sessi è anche, e soprattutto, una questione da risolvere nel reale. Troppo spesso le possibilità per le donne si fermano a discussioni teoriche, poco utili se poi non vengono concretizzate nella vita di tutti i giorni

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a pandemia ha accresciuto le distanze, aumentato l’isolamento, specie per le donne vittime di violenza. E tra le donne vittime di abusi, sono molte anche le senior. «Parliamo di donne over 50 - ci ha detto Francesca Filippi, coordinatrice del Settore Violenza di Fondazione Pangea - che si trovano sempre più

spesso a vivere situazioni drammatiche con i loro figli che hanno interiorizzato un modello di violenza paterno che questa società difficilmente contrasta». Uno scenario complesso che ha dunque a che fare col tema della violenza assistita. «Interiorizzare un modello violento da parte del padre - spiega ancora Francesca

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Filippi - può comportare un enorme fattore di rischio, la riproduzione di questa violenza. Le donne over50 si trovano spesso a gestire situazioni di reiterazione del comportamento violento dell’ex marito da parte dei loro figli e questo crea un dolore così profondo perché contrastare la violenza di un marito è un discorso, contrastare la violenza di un figlio è un altro». Ma come è facile immaginare, l’aggressione fisica, l’atto violento, non sono che la punta dell’iceberg alla base del quale c’è di certo la questione della parità tra i generi. Simona Lanzoni, vice presidente di Fondazione Pangea, dice: «La questione della parità delle donne passa attraverso la loro liberazione perché è vero che siamo pari, ma ancora non siamo libere». E se può suonare curiosa una simile affermazione nel 2021, eccone invece presto spiegate le ragioni: «Abbiamo tantissimi diritti riconosciuti - continua Simona Lanzoni -, alcuni conquistati dalle donne; altri, concessi. Però

non possiamo dimenticare che molti di questi diritti sono su carta e non nella concretezza quotidiana». La ragione? «Poter usufruire di un diritto significa avere anche servizi ad esso collegati. Se non abbiamo i nidi, per esempio, non abbiamo la possibilità di essere autonome dal punto di vista lavorativo. Quindi, quando parliamo di diritti delle donne, parliamo anche di vita pratica, di vita quotidiana che deve essere apprezzata per poter esser vissuta. Il diritto non è questione teorica, è questione pratica. I diritti sulla carta, se poi non possono essere operativi nel quotidiano, non servono: sono quei famosi diritti de iure e non de facto». Un quadro, dunque, complicato, cui si sommano i diritti che le donne non hanno ancora raggiuto: tra questi, la parità salariale. «E poi - insiste Lanzoni - c’è il lavoro di cura che sembra delegabile solo alle donne, quando invece sappiamo bene che può essere redistribuito; questo però, chiaramen-

te vuol dire un cambiamento di tipo culturale profondo in una società che ha ancora grossa difficoltà a farlo. Sarebbe bello che un giorno ci fosse un lavoro di cura equamente svolto, anche in una visione olistica della persona, che prenda in carico non solo il mero bisogno di assumere la pasticca a una certa ora, ma anche la capacità di comunicare e accogliere il bisogno della persona stessa che, in quel momento, è in difficoltà». Ad oggi, però, il lavoro di cura è pressoché gratuito o spesso parte dello sfruttamento lavorativo. Ed è ciò verso cui precipitano molte donne che, proprio a causa della pandemia, stanno perdendo sempre più numerose il posto di lavoro. «Tra loro ci sono tantissime over 50 - assicura Francesca Filippi -. Negli ultimi due anni, con questa furiosa crisi, ma anche in quelli precedenti al Covid, la fuoriuscita delle donne da diversi meccanismi economici ha creato un infragilimento tale che le condizioni di violenza emergono ancora meno e con maggiore difficoltà. E c’è un oceano di fatica nel ricostruire un’autonomia economica a quell’età. Reinserirsi nel mondo del lavoro, a quell’età e da vittima di maltrattamento, è cosa assai complessa. Se c’è una strettoia, se c’è un imbuto, sono le donne che vengono tagliate. E sapete perché? Perché è meglio, in una crisi economica, relegarci in un ruolo di cura gratuito che pagare i nostri posti di lavoro. Ma è un atteggiamento miope perché, novembre 2021 | spazio50.org

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Inchiesta 50&Più dal punto di vista economico, una società paritaria dove le donne lavorano come gli uomini è una società più ricca». Una conferma della disparità di genere in cui ci chiediamo noi stessi come si possa porre un argine. È Simonetta Lanzoni a rispondere: «Da un lato c’è tutto il lavoro da fare sugli stereotipi di genere, perché sappiamo benissimo che ancora oggi è legato all’idea della donna accudente, quando invece sia donne sia uomini dovrebbero essere accudenti perché ci prendiamo cura delle persone come dell’ambiente, come del resto del mondo». Per creare un’inversione di tendenza, perciò, aggiunge: «Nelle scuole va fatto un lavoro di prevenzione perché la cultura si cambia nelle giovani generazioni. Bisogna ripartire dai programmi scolastici. Anche nei grandi classici si parla di uomini guerrieri che utilizzano le donne con Zeus che è un violentatore seriale. Dobbiamo aiutare i giovani a crearsi la loro identità, che casomai non è quella del guerriero che fa ciò che gli dei vogliono o quello della vittima che deve accettare le avances del dio. Bisognerebbe ricominciare a rinarrare quella che è la storia - che ha migliaia di esempi - rispetto a quello che è lo stereotipo di genere per poter aprire gli occhi alle giovani generazioni e lasciar decidere a loro». Ma intanto, sul tema della violenza non c’è tempo che possa essere atteso. «Dal punto di vista della violenza - ci fa notare ancora Francesca Filippi, coordinatrice del Settore Violenza Fondazione Pangea - noi abbiamo degli strumenti giuridici molto rilevanti, in tutti gli ambiti: civile, penale. Abbiamo normative all’avanguardia, tra le quali la super citata Legge, cosiddetta del Codice Rosso, che si intreccia con la Con56

venzione di Istanbul, una convenzione assolutamente moderna e che ha una visione della violenza assolutamente all’avanguardia. Quindi, gli strumenti legali - le norme - ci sono, ma qui c’è un punto: la normativa si interpreta, la normativa va adeguata al caso specifico. Quando avviene il passaggio - che è assolutamente culturale, non solo giuridico, ossia, quando si passa all’applicazione della normativa -, la cultura in questo senso preme notevolmente. In caso di stupro - come fu per lo stupro del Circeo, ma ancora oggi, nel 2021 abbiamo un accanimento dirompente e violento che si trasforma - anche sui giornali - in una radiografia della vita morale della vittima, qualunque età essa abbia. Quando inserisci la violenza dentro una cultura che non è di genere ma che è dispari, impari, hai sempre la certezza di essere contro corrente culturale, perché le resistenze sono enormi e hanno lo scopo di riportare le donne in una condizione di sudditanza. E quindi anche di responsabilità nell’esserci

cercato ciò che avviene». In buona sostanza, sottolinea Francesca Filippi: «Gli strumenti giuridici ci sono ma non vengono utilizzati in maniera adeguata, perché l’applicazione avviene a seconda della sensibilità della persona che in quel momento la sta applicando». Non sempre ci si salva da sole, dunque. Ed è anche per questo che nasce il “Progetto Reama” di Fondazione Pangea, la rete per l’empowerment che lavora per l’auto e mutuo aiuto con l’obiettivo di venire in soccorso delle donne. Questa rete si trova in tutta Italia. Le operatrici di Pangea seguono e accolgono le donne online, telefonicamente e di persona. Chiunque voglia entrare in contatto con loro, può farlo intanto scrivendo a sportello@ reamanetwork.org, poi si viene contattate e assistite. Prendere consapevolezza, chiedere aiuto, è la prima carta da giocare per uscire dall’isolamento.

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Curiosità

STRANI DISPOSITIVI AL SERVIZIO DELLE NOSTRE VITE di Winda Casula

Dalla cyclette che ci fa pedalare per vedere le serie Tv alla scrivania che si trasforma in poltrona per la pausa dal lavoro. Negli ultimi mesi, forse come mai prima, sono nate una serie di “invenzioni” singolari e multifunzione, che raccontano un cambiamento negli stili di vita. Anche se non tutti correranno ad acquistarle

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uanti di noi, soprattutto nell’ultimo anno e mezzo, hanno acquistato una cyclette per fare un po’ di esercizio fisico anche a casa, magari guardando la Tv per distrarsi? E quanti si sono comunque annoiati finendo per abbandonarla in un angolo della camera da letto? Per la fine del 2021 è in uscita un nuovo modello di bicicletta senza ruote che potrebbe fornire un valido aiuto contro la noia, anzi, invogliare a pedalare: si chiama “Playpulse One” e permette di vedere attraverso il suo display multi-touch da 24 pollici, tutte le serie televisive e gli altri contenuti streaming delle principali piattaforme, come Netflix, Prime Video, YouTube, Hulu, Twich e HBO. Offre inoltre la possibilità di giocare ai videogame, che per il momento saranno quattro, già installati. Dotata di sensori sui pedali per

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LE INVENZIONI NEI LIBRI Quali sono le invenzioni che hanno cambiato la storia dell’umanità, segnando un prima e un dopo? Ecco alcuni libri per scoprirlo: - Le scoperte e le invenzioni che hanno cambiato il mondo, dalla fine del XIX secolo ai giorni nostri, di Gianni Morelli, edizioni White Star 2018; - 1001 invenzioni che hanno cambiato il mondo, di Jack Challoner, Atlante edizioni 2009; - Storia delle macchine, tre millenni di cultura tecnologica, di Vittorio Marchis, Laterza 2005; dello stesso autore anche 150 anni di invenzioni italiane, Codice editore 2011.

tracciare l’attività, e sul manubrio per monitorare la frequenza cardiaca, questa cyclette è provvista di 8 Gb di RAM e 512 Gb di memoria SSD, oltre ad altoparlanti integrati e ingresso jack per ascoltare l’audio con le cuffie. Permette di guardare i contenuti preferiti solo a patto che non si smetta di pedalare perché, quando succede, il display si oscura e l’audio si disattiva. Insomma, la serie Tv diventerà una gratificazione in più solo se la sessione di esercizio non sarà interrotta. Per gli appassionati di fitness domestico è nato anche il personal trainer elettronico, uno schermo in grado di osservare e correggere movimenti e posture durante l’allenamento. “Vault” - lanciato da Nordic Track, un noto marchio americano del settore - funziona come uno specchio orientato in verticale in modo da poter rilevare ogni dettaglio del corpo; è realizzato in carbonio e acciaio e, come la cyclette Playpulse, è dotato di altoparlanti e bluetooth. In questo caso, però, niente serie televisive, ma un abbonamento annuale al catalogo di IFit, che offre 140 tipologie di allenamenti tra pilates, yoga, allungamento e potenziamento muscolare. Disponibile in due versioni - una di base e un’altra che include una serie di accessori come manubri, bande ed elastici -, è venduta ad un prezzo di certo non per tutti, che oscilla fra i 1.999 e i 2.999 dollari. Se non tutti amano lo sport fra le mura domestiche, tanti sono coloro che hanno dovuto riadattare il proprio lavoro all’ambiente di casa e magari hanno anche integrato una scrivania in camera o in soggiorno: a loro è dedicata la “Chaise Renversée”. L’idea è del designer Pierre-Louis Gerlier: un piano di lavoro che, all’occorrenza, può essere capovolto per diventare una comoda

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poltrona per la pausa. «La scrivania per chi non vuole avere solo una scrivania», come l’ha definita il suo inventore, è realizzata in metallo e sembra un’ottima soluzione per ricreare l’ufficio in appartamenti di piccole dimensioni, dove anche i mobili diventano flessibili e multifunzione a seconda delle occasioni e dei momenti della giornata. Il progetto ha già incontrato l’interesse di Boqa, azienda francese che produce

sedie e complementi d’arredo, nota per l’iconica poltrona Acapulco dal design a forma d’uovo. Fra le idee singolari degli ultimi tempi, una è dedicata invece ai viaggi, con uno sguardo alla sostenibilità ambientale: si tratta di “Rhita”, la valigia smontabile, che permette di sostituire ruote e manici con facilità, piuttosto che dover essere smaltita come un bagaglio tradizionale al primo “guasto”. Sviluppata

e prodotta da tre designer dell’Università di Tainan, ex capitale di Taiwan, è composta da pochi pezzi realizzati con materiali riciclati, da assemblare con un sistema di montaggio molto semplice. Con il doppio vantaggio di ridurre l’impatto ambientale e preservarla nel tempo, in antitesi con la filosofia “usa e getta” per la quale la riparazione è più antieconomica dell’acquisto di un nuovo prodotto.

NONSEUM, IDEE INUTILI IN MOSTRA Non tutte le idee prodotte nel corso della storia hanno avuto successo, anzi alcune hanno suscitato perplessità e ironia. In Austria, alcune di queste strane - e spesso inutili - invenzioni, sono esposte al Nonseum, il museo del non-senso di Herrnbaumgarten, dove i curatori hanno messo insieme un’improbabile selezione di oggetti creativi, come i cucchiai bucati per mangiare di meno, l’arrotola-spaghetti, la doppia scopa ideale per la pulizia di due gradini contemporaneamente e le strisce pedonali portatili, disegnate su un tessuto da srotolare sulla strada quando si deve attraversare. novembre 2021 | spazio50.org

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Intervista

GIANLUCA ANTONI CON “IO NON TI LASCIO SOLO” CONFEZIONA UN ROMANZO CHE È DIVENTATO GIÀ UN CASO EDITORIALE. UN’INDAGINE IRRISOLTA, CHE OSCILLA TRA NOIR, THRILLER E RACCONTO “YOUNG ADULT”: UNA STORIA CHE CATTURA IL LETTORE DALLA PRIMA ALL’ULTIMA PAGINA intervista di Raffaello Carabini «Sicuramente la scrittura ha un elemento intimista e un valore terapeutico - lo dico come psicologo - perché ti permette di entrare in contatto con te stesso, di analizzare quello che ti succede e di prendere le distanze da quelli che sono i tuoi pensieri, le tue emozioni. E anche di seguire il tuo personale percorso di crescita: leggere quello che hai scritto tempo addietro ti fa rendere conto di quanto sei cambiato. La scrittura è qualcosa di oggettivo, rimane. È come una fotografia d’antan che ti dà l’idea di come sei diverso da allora». Io non ti lascio solo inizia come un “cold case”, con un maresciallo che non è riuscito a risolvere il caso della scomparsa di un bambino, il figlio di Guelfo, 30 anni prima. Ma poi percorre diverse linee narrative, il noir, il romanzo “young adult”, perché è costruito sui diari di

due adolescenti; poi c’è l’indagine poliziesca, sia quella rinnovata per capire cos’è successo a quel bambino, sia la nuova su dove è finito il cane Birillo, e c’è il rapporto padre-figlio dei romanzi di formazione. È stato complesso mettere insieme tutti questi piani oppure le è venuto spontaneo? Quando ho iniziato a scrivere questo romanzo avevo alcune idee in testa. Non avevo intenzione di scrivere un romanzo noir, giallo, thriller o altre cose, volevo raccontare la storia di questi due amici del cuore che, andando alla ricerca di un cane, si sarebbero trovati in un’avventura molto più grande di loro in un paesino di montagna, dove ci sarebbero stati un matto, una ragazzina, i nonni, qualche persona anziana e un orco. Questa era l’idea, poi mi sono immerso totalmente nella storia, mi sono fatto novembre 2021 | spazio50.org

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Intervista tutte le esperienze con i ragazzini ed è venuto fuori questo intreccio noir e giallo, in modo abbastanza spontaneo. Dovendo scrivere di dodicenni, e soprattutto in prima persona e in forma diaristica - perché sono stati trovati i loro diari -, lo stile doveva essere semplice, quello che possono utilizzare a quell’età. Ho cercato di pulire quanto più possibile la scrittura, lo stile, per adattare il racconto a chi raccontava le vicende. Ma volevo anche trasmettere l’idea di quanto uno stesso episodio, quello che vanno a vivere Filo e Rullo, possa essere interpretato in maniera completamente diversa. Se le vedi con gli occhi di Filo, il ragazzino razionale, quelle esperienze si presentano in un modo; viste, invece, attraverso occhi, cuore e pancia di Rullo, il ragazzino pauroso, la stessa vicenda può risultare del tutto diversa. Per me l’aspetto psicologico del fatto che noi interpretiamo sempre la realtà, che il nostro modo di filtrarla può restituircela in un’ottica completamente diversa era importante, e ho utilizzato l’espediente narrativo dei due diari per metterlo in evidenza. Come affrontare il mondo incomprensibile dei grandi e come superare il dolore di questa conoscenza è un po’ il vero problema esistenziale degli adolescenti. C’è una formula minima che può suggerirci, come genitori, e anche come nonni, per aiutarli?

Il suggerimento di base è ascoltare. Non un ascolto passivo, bensì attivo, cioè che solleciti la possibilità di aiutare loro stessi a conoscersi attraverso il raccontarsi. A volte noi adulti cadiamo nell’errore di voler instradare i nostri figli e i nostri nipoti, di dire loro cosa è giusto o sbagliato, di far notare quando sbagliano, di spiegare le cose. È come fossimo noi al centro, mentre al centro dobbiamo mettere loro, specie in una realtà dove di ascolto ce n’è poco, è narcisistica, tutti tendono ad apparire, dove o sei seguito e osannato dai tuoi pari o non sei nessuno. Manca l’ascolto, quello vero, vis à vis, da persona a persona, guardandosi negli occhi. Spesso hanno solo bisogno di ragionare su quello che gli succede, e con facilità riescono a trovare le risorse per superare le lo-

ro sfide, per imparare a gestire quello che avviene dentro di loro, perché alla fine quello che manca ai ragazzi di questa età è la consapevolezza di sé. Attraverso l’ascolto noi riusciamo fondamentalmente a farli stare nelle loro emozioni, non risolvergliele, perché alla fine per poter superare qualsiasi tipo di dolore, sofferenza, sfida dobbiamo passare attraverso tutte le emozioni, sentire che anche la tristezza, la rabbia, la paura, sono emozioni naturali. Per conoscerle, per saperle gestire ci dobbiamo passare attraverso, non possiamo evitarle. A volte, invece, l’adulto cerca di evitare ai propri figli e nipoti di provare quelle emozioni, ma è un grande danno perché non diamo loro la possibilità di sviluppare le risorse e gli strumenti proprio per gestirle.

1968

2010

2012

Nasce a Senigallia, dove tuttora vive e lavora. È psicologo e psicoterapeuta: «Attraverso il mio lavoro conosco la parte più nascosta, inesplorata delle persone e il condividerla è per me un grande onore».

Pubblica Cassonetti, il primo romanzo autobiografico, un libro nato dal diario tenuto per lungo tempo dall’autore, cui seguirà - due anni dopo - Il peso specifico dell’amore, che ne è il sequel.

Per IlSole24Ore pubblica la guida Trova il tuo lavoro - scritta insieme a Nicola Giaconi -, con un cd allegato, e Realizza i tuoi sogni, entrambe rieditate nel 2019 nella collana “Migliora te stesso”.

LE ORIGINI

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ANTONI COSTRUISCE UNA TRAMA RICCA DI SUSPENSE E DI INTRECCI INATTESI, GRAZIE SOPRATTUTTO AI DIALOGHI REALISTICI E FULMINANTI DEGLI ADULTI E A QUELLI INGENUI ED EMPATICI DEI BAMBINI

IL PRIMO ROMANZO

I LIBRI-GUIDA

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IL LIBRO

Il regno della remise en forme è ad Abano Terme!

Io non ti lascio solo (Salani, 288 pagine, € 15,90) è una fiaba noir che unisce le atmosfere del giallo a quelle del romanzo di formazione e del racconto per adolescenti. Protagonisti Filo e Rullo, due ragazzini (leggiamo le pagine dei loro diari) che partono da soli alla ricerca di un coraggioso cagnolino che si è perso nei boschi, affrontando un’avventura che cambierà loro la vita. Pieno di colpi di scena ed emotivamente coinvolgente, ci fa scoprire il padre di Rullo - ancora smarrito per la perdita della moglie - il gigantesco Guelfo, il maresciallo De Benedittis, la dolce Amèlie e lo stralunato Scacco. Partendo da un vecchio caso insoluto relativo alla scomparsa di un bambino, arriveranno a capire sconcertanti verità.

Thermalcare® Light - 7 notti 10.10 - 13.11.2021 • 7 notti in camera doppia Classic con trattamento di pensione completa (bevande escluse) • Visita medica con stesura del protocollo di cura • Integratore di sali minerali ed estratti vegetali alcalinizzante e antiossidante • 6 applicazioni di fango • 6 bagni termali all’ozono • 6 trattamenti personalizzati (25 minuti) a scelta tra massaggi terapeutici o rilassanti • Acquagym di gruppo in piscina* • Spa kit con accappatoio e telo piscina per l’intera durata del soggiorno • Tutti i servizi inclusi Atlantic

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* Servizi fruibili in base alla situazione sanitaria attuale. Offerta valida anche per altre tipologie di camera e non cumulabile con altre promozioni in corso.

Io non ti lascio solo vince il Premio Romics per il miglior romanzo di genere del concorso “IoScrittore”, torneo letterario organizzato dal gruppo editoriale Mauri Spagnol. L’anno successivo si aggiudica anche il Premio Miglior Libro “Holmes Awards”, concorso nazionale dedicato ai romanzi gialli, thriller, noir e horror.

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Solidarietà

ITALIANI, POPOLO DI VOLONTARI L’esperienza del volontariato rappresenta non solo un impegno, ma un vero e proprio stile di vita all’insegna dello slogan“I care” (“mi interessa”). E i senior italiani, secondo l’Istat, sono quelli più coinvolti nelle azioni di solidarietà verso il prossimo

di Giuseppe Cionti

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C’

è un vecchio detto popolare che recita: “A tavola non si invecchia mai”. Volendolo parafrasare verrebbe da dire: “Facendo il volontario non si invecchia mai”. Questo il senso dell’esperienza di vita di Guido Barbera, membro del Direttorio Internazionale delle Associazioni Follereau e presidente del CIPSI (Coordinamento di Iniziative Popolari di Solidarietà Internazionali), di cui è stato cofondatore nel 1982. Esperto di cooperazione internazionale, docente in molti corsi formativi per operatori di solidarietà e cooperazione internazionale, è anche direttore responsabile della rivista Solidarietà Internazionale. Barbera ha ormai superato la soglia dei 60 anni, ma quando parla del suo impegno cogli subito un’energia e una forza che normalmente riscontri in persone con molti lustri in meno. Che quella del volontariato sia un’esperienza “senza età” lo dimostrano anche i numeri a disposizione (fonte Istat), se è vero che proprio le persone nella fascia di età

tra i 55 e i 64 anni, risultano - nel nostro Paese - quelle col tasso più alto di coinvolgimento nel volontariato, il 15,9%. Una percentuale che diminuisce man mano che scende l’età, anche in ragione del minor tempo libero, con il valore più basso - circa il 10% - nella fascia di età 14-24 anni. Allora - chiediamo a Barbera - il volontariato non sembra essere solo “questione per giovani”… «Assolutamente no. Il volontariato, e ne sono convinto, non ha età perché non è un semplice fare qualche cosa o dare impegno, tempo o risorse rivolte a chi ha più bisogno. Direi piuttosto che è uno stile di vita che deve contrassegnarci. Proprio la storica marcia Perugia-Assisi, che si è svolta anche quest’anno malgrado il Covid, ha scelto come slogan quello dell’“I care” (la risposta al “Me ne frego” con il “Mi interessa, mi riguarda, mi coinvolge”) di don Lorenzo Milani. L’ho trovato molto bello, soprattutto in tempi di forzati distanziamenti. Il volontariato - mi piace

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pensare - è proprio la personalizzazione e la concretizzazione dell’“I care” perché, oltre all’impegno e al servizio di cura, ti mette in gioco, ti rende responsabile del tuo ruolo di cittadino e di abitante di questa terra e degli ambienti in cui viviamo». Un impegno quello volontaristico, insomma, che non è solo azione caritativa ma “politica” nel senso vero del termine, quello dell’occuparsi della comunità in cui si vive… Esattamente. Faccio questa scelta non semplicemente perché mi vengono dati dei compiuti o perché desidero fare qualcosa di buono per gli altri o, peggio ancora, perché mi sostituisco a ciò che le Istituzioni non fanno, ma mi riapproprio del mio ruolo di cittadino nel costruire un’umanità con lo stile delle relazioni di fraternità che poi sono alla base del vivere insieme. Questo, nella mentalità della pura delega che si è imposta negli anni, è un concetto bellissimo espresso anche nel primo articolo della Carta della Dichiarazione dei Diritti Umani, quando afferma che tutti nascono liberi e uguali. La filosofia che deve stare dietro ad ogni volontario è allora quella, non solo di richiedere e rivendicare questi diritti, ma quella dell’impegno, direi della compromissione, per mantenerli e garantirli. Questo, ovviamente, vale a qualunque età della vita e dà la cifra della nostra presenza in una comunità. Ci fornisce anche la possibilità di essere protagonisti nell’affrontare problemi e costruire le soluzioni a partire dalle nostre esperienze e competenze. Uno degli errori più grandi nell’azione del volontariato è quello di limitarlo all’operatività, dedicando qualche ora del nostro tempo per lavarsi la coscienza. Torniamo sulla questione generazionale. Proprio il volontariato potrebbe costituire una pratica virtuosa per il dialogo e la relazione intergenerazionale?

I NUMERI IN ITALIA L’Italia si conferma un Paese tra i più avanzati e impegnati nel volontariato. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istat sulle “Attività gratuite a beneficio di altri”, risulta che sono circa 6,63 milioni gli italiani che hanno svolto un lavoro volontario, definito come “attività prestata gratuitamente e senza alcun obbligo”, per almeno una volta al mese. La maggior parte di loro, oltre 4 milioni, lo ha fatto all’interno di organizzazioni (associazioni, comitati, movimenti, gruppi informali), i restanti direttamente a favore di altre persone, della comunità o dell’ambiente. Il tasso di volontariato è pari al 12,6% della popolazione, cioè un italiano su otto. Un numero in costante crescita se si pensa che era il 6,9% nel 1993 e il 10% nel 2011. La regione più virtuosa è il Trentino, con il 21,8% di volontari. Il Veneto è secondo, con il 17,2%. Le regioni con la percentuale più bassa sono, invece, la Puglia (8,5%) e la Campania (7,9 %). In generale, il lavoro volontario viene svolto più nel Nord-Est d’Italia (16%) e nelle periferie delle grandi aree urbane (14,5%). Svolge attività come volontario il 23,4%delle persone che si possono definire “benestanti” e il 22,1% dei laureati, contro il 9,7% di chi ha significativi problemi economici e il 6,1% di chi ha la sola licenza elementare (in Italia, di fatto, la scuola media inferiore, ora nota come secondaria di primo grado, è obbligatoria dal 1962-63). Se la fascia più impegnata in questo tipo di attività è quella che va dai 55 ai 64 anni, risultano invece 126 milioni le ore dedicate dagli italiani al volontariato in quattro settimane, che equivale a circa 787mila persone occupate a tempo pieno. L’impegno medio mensile è di 19 ore, con punte di 25,6 e 24,9, rispettivamente in Friuli Venezia Giulia e Piemonte, fino a scendere alle 13,8 ore della Campania e 13,9 ore della Sicilia. Non ci sono differenze significative tra uomini e donne, mentre le ore dedicate aumentano con l’età dei volontari. Il 44,3% dei volontari svolgono un servizio a livello individuale, ovvero al di fuori di eventuali organizzazioni; il 37,7% dei volontari organizzati da almeno dieci anni si dedicano alla stessa attività.

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Solidarietà

Guido Barbera presidente del CIPSI UN ESEMPIO VIRTUOSO DI IMPEGNO E AZIONE Solidarietà e Cooperazione CIPSI è un coordinamento nazionale nato nel 1985, che associa 41 organizzazioni non governative di sviluppo (ONGs), organizzazioni della società civile (OSC) ed associazioni che operano nel settore della solidarietà e della cooperazione internazionale. Il CIPSI è nato “con la finalità di coordinare e promuovere, in totale indipendenza da qualsiasi schieramento politico e confessionale, campagne nazionali di sensibilizzazione, iniziative di solidarietà e progetti basati su un approccio di partenariato. Ed opera come strumento di coordinamento politico culturale e progettuale, con l’obiettivo di promuovere una nuova cultura della solidarietà”. I principali ambiti operativi sono la promozione e gestione di progetti di lotta alla povertà basati su un approccio di partenariato, il sostegno ad attività produttive tramite il microcredito o tramite programmi consortili a livello tematico o geografico; la formazione di operatori, educatori e quadri per Associazioni di cooperazione; la sensibilizzazione e responsabilizzazione dell’opinione pubblica sul piano dei comportamenti solidali attraverso attività di Educazione allo Sviluppo (EaS), Campagne, in ambito scolastico ed extrascolastico, scambi culturali e gemellaggi. Ma il CIPSI si impegna anche nel coinvolgimento delle Istituzioni locali, nazionali e internazionali, a sostegno delle attività promosse dalle Organizzazioni associate e delle richieste formulate dai partner del Sud. I numeri di questo impegno diffuso parlano di circa 50 Associazioni di cooperazione internazionale, a struttura nazionale ed europea, operanti in Africa, Asia ed America Latina, con progetti a sostegno di iniziative locali di sviluppo nei Paesi del Sud del mondo. A livello di articolazione territoriale, attraverso le Associazioni aderenti, Solidarietà e Cooperazione CIPSI coinvolge attualmente in Italia 120.000 persone, con 175 gruppi di appoggio, lavora in 91 nazioni in Africa, America latina, Asia ed Europa dell’Est. Ha 200 attività di partenariato all’estero con 185 associazioni locali e oltre 6 milioni di beneficiari. 66

Chi ha più anni alle spalle ha un bagaglio di esperienze e, direi, di saggezze come patrimonio personale. La cosa è tanto ovvia quanto misconosciuta nelle nostre società. La questione è tornata di attualità anche grazie all’impegno di Papa Francesco, che su questo punto insiste molto. Gli stili di vita si fondano sull’esempio che ci viene dato da chi ci ha preceduto. E questo partendo dalla famiglia. Da lì, penso, occorre partire per valorizzare ogni età e fase della propria esistenza. Ci sono esperienze virtuose che provengono da alcuni Paesi. Mi viene in mente una nazione come il Canada, dove nelle case di riposo i corrispettivi delle nostre Rsa - sono sorti degli asili con i bambini che li frequentano. Da quanto so il risultato è stato bellissimo e si può parlare di esperimento riuscito, anche per valorizzare e quindi trasmettere le esperienze di vita vissuta rivolte alle nuove esistenze che si stanno formando e stanno crescendo. Esperienze simili stanno attecchendo anche in Germania. Per concludere, in Italia cosa le viene in mente quando pensa al volontariato e alla terza età? Le tantissime persone che portano avanti questo stile di vita, che si fa impegno fattivo e porta tanti benefici a chi lo svolge. A quanti mettono a disposizione la loro esperienza e competenza, con più tempo e libertà a disposizione, per la comunità e, in particolare, per chi sta più indietro. E parlo di casalinghe, operai o piccoli e grandi imprenditori. Un esempio? Il gruppo dei “Seniores”, associazione costituita da Cesare Taviani. All’interno della Banca di Roma e partendo dall’esperienza tedesca, con l’impegno di puro volontariato ha messo in campo manager, dirigenti e professionisti ormai in pensione e con problematiche personali legate proprio alle difficoltà di distacco dal mondo del lavoro, che operano - anche viaggiando - in progetti di cooperazione allo sviluppo.

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Scienze di Paola Stefanucci

Tendiamo sempre più spesso ad essere medici di noi stessi. Prescrivendoci da soli le terapie e decidendo in autonomia i tempi di somministrazione, non solo ne alteriamo i benefici, ma rischiamo serie conseguenze

NOI E I FARMACI. I PERICOLI (IGNORATI) DELL’AUTOPRESCRIZIONE

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a storia dei farmaci corre parallela alla storia dell’umanità. I successi della farmacologia e della farmacoterapia, registrati soprattutto nel secolo scorso, sono stati determinanti per la conquista della longevità e della qualità della vita. Grazie ai farmaci possiamo diagnosticare, curare (o prevenire) molte malattie, dalle più gravi alle più lievi. Sebbene siano indispensabili alla custodia della nostra salute, oltre a benefici effetti terapeutici i farmaci possono provocare anche danni: i cosiddetti “effetti collaterali” o “indesiderati” (elencati puntualmente nel foglietto illustrativo che accompagna ogni confezione, ma che non sempre leggiamo). Per tale motivo l’autoprescrizione, senza controllo medico, può essere pericolosa. Anche medicinali che, erroneamente, consideriamo del tutto innocui andrebbero usati con prudenza. Ci

riferiamo ai farmaci cosiddetti “da automedicazione” o “da banco”, che possiamo acquistare liberamente senza obbligo di ricetta, per curare in autonomia (ipotetici) disturbi lievi e passeggeri. Ma spesso, anche quando stiamo bene, corriamo in farmacia a cercare la pillola per “stare meglio”. Una vera e propria “farmacomania”. Secondo l’ultimo rapporto realizzato dall’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed) dell’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco), l’anno scorso abbiamo speso 2,4 miliardi di euro per l’acquisto di farmaci da automedicazione. Tra antidolorifici, antinfiammatori, vitamine, fitofarmaci e integratori alimentari. «L’autoprescrizione e/o l’assunzione in maniera impropria di farmaci non sempre necessari sono comportamenti rischiosi per la nostra salute», ci spiega Silvio Garattini, fondatore nel 1963 dell’Istituto di

Ricerche Farmacologiche Mario Negri, noto nelle comunità scientifiche di tutto il mondo. «Spesso per un malessere anche molto leggero, che passerebbe da solo - ci dice il farmacologo, - si ricorre all’autoprescrizione, senza tener conto che tutti i farmaci possono dare delle forme di tossicità. Bisognerebbe essere più cauti e non prendere iniziative senza consultare il medico. Se, ad esempio, si assumono già altri farmaci, si possono verificare pericolose interazioni tra sostanze differenti. Il farmaco auto-prescritto, interagendo con il farmaco importante assunto su prescrizione del medico, può modificarne l’efficacia, diminuendola o azzerandola, oppure può rafforzarne l’azione determinando una maggiore tossicità. Ad esempio, gli antinfiammatori non steroidei - che rappresentano la classe di farmaci più comunemente auto-prescritti, utilizzati prevalentemente per alleviare dolori novembre 2021 | spazio50.org

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Scienze ossei, articolari e muscolari - possono bloccare gli effetti dei farmaci antipertensivi. È molto importante annotare sempre meticolosamente tutti i farmaci - compresi i prodotti da banco, integratori e i fitoterapici - di cui facciamo uso per riferirli al medico curante, che potrà così valutare la loro compatibilità con il trattamento che intende prescrivere». Non solo ci prescriviamo i farmaci, ma ci sentiamo autorizzati a modificare o interrompere la terapia prescritta dallo specialista. Con quali conseguenze? Di un sottodosaggio, terapeuticamente inefficace, se diminuiamo la dose. Due compresse o una invece delle tre raccomandate dal medico, ad esempio. O, al contrario, di un pericoloso sovradosaggio. La scarsa aderenza alla terapia rappresenta una forma di auto-prescrizione indiretta. Se ad ogni episodio influenzale tiriamo fuori gli antibiotici avanzati da una precedente prescrizione, che male facciamo? Gli antibiotici hanno ridotto il numero delle morti causate dalle malattie infettive e migliorato lo stato di salute dei cittadini. Parallelamente allo sviluppo degli antibiotici si è, però, verificata la resistenza batterica, che oggi è un problema a livello mondiale. L’eccessivo e inappropriato utilizzo degli antibiotici negli uomini e negli animali e le scarse pratiche di controllo delle infezioni hanno trasformato l’antibiotico-resistenza in una seria minaccia alla salute pubblica globale. Questo comporta un prolungamento della degenza ospedaliera, il fallimento terapeutico e un significativo numero di morti, con conseguente incremento dei costi sanitari. Ci sono integratori per tutto, per migliorare le prestazioni sportive, per favorire un’atti70

Silvio Garattini Nasce a Bergamo nel 1928. Perito chimico, dottore in Medicina e libero docente in Chemioterapia e Farmacologia, è stato direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri fino a giugno 2018. Attualmente ricopre la carica di presidente. va vita sessuale, per cancellare la stanchezza fisica e mentale, per potenziare le difese immunitarie… Non possiamo farne a meno. Ma sono davvero utili? Gli integratori alimentari (detti anche complementi alimentari o supplementi alimentari) sono inutili se si segue una dieta varia e bilanciata. Il loro utilizzo dovrebbe essere limitato all’integrazione di una dieta carente di uno o più nutrienti a causa di un’assunzione inferiore alle quantità raccomandate o in condizioni di aumentato fabbisogno. È necessario sottolineare che gli integratori sono prodotti alimentari, non sono farmaci. Tuttavia molte sostanze, per lo più di origine vegetale, sono utilizzate di frequente sia come ingredienti degli

integratori, sia come principi attivi di farmaci. Un criterio usato per distinguere l’uso di un determinato principio attivo come “integratore” o come “farmaco” è la dose. Un esempio? La vitamina B12. La cobalamina - questo il nome chimico della sostanza è prescritta in qualità di “farmaco” per la cura dell’anemia megaloblastica nelle preparazioni che superano la dose minima di apporto giornaliero, pari a 1.000 mg. Altrimenti è considerata un integratore alimentare. Se una persona non è anemica e assume la vitamina, non sta compiendo un’azione farmacologica ma sta prendendo una sostanza a caso. La pubblicità martellante che si fa degli integratori alimentari - va detto - contribuisce ad alimentare un consumismo dissennato che non giova a migliorare il nostro stato di salute. Una maggiore educazione sanitaria sarebbe auspicabile… Certo, ma sarà difficile ottenere risultati significativi senza una grande rivoluzione culturale. Bisognerebbe ribaltare l’attuale concezione della medicina polarizzata sulla cura delle malattie, ma curare solo quando non è possibile prevenire. Occorrerebbe considerare la prevenzione

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come l’assoluta priorità del Servizio Sanitario Nazionale. La maggioranza delle malattie, soprattutto quelle croniche, è evitabile. Tutte si potrebbero prevenire efficacemente attraverso l’adozione dei cosiddetti “buoni stili di vita”. Tutti abbiamo un’idea di che cosa siano ma poi, nei fatti, li trascuriamo. Ricordiamoli. L’alimentazione varia e moderata per evitare sovrappeso e obesità è fondamentale, se vogliamo evitare malattie croniche quali diabete, insufficienza cardiaca, respiratoria e renale. L’esercizio fisico induce una maggiore stabilità motoria, prevenendo cadute ed eventuali fratture. L’esercizio intellettuale, le relazioni sociali evitano il declino cognitivo caratteristico degli anziani. Dai nostri comportamenti virtuosi dipende anche la sostenibilità del Servizio sanitario. In realtà, questa attenzione alla prevenzione ha un conflitto di interessi con il mercato della medicina. Se tutti smettessero di fumare, si alleggerirebbe il lavoro di molte chirurgie toraciche. Se si diffondessero i buoni stili di vita, le industrie farmaceutiche e dei dispositivi medici dovrebbero ridimensionare la loro attività. La promozione di uno stile di vita corretto non riguarda

L’autoprescrizione e/o l’assunzione in maniera impropria di farmaci non sempre necessari sono comportamenti rischiosi per la nostra salute. Spesso per un malessere anche molto leggero - che passerebbe da solo si ricorre al “fai da te”, senza tener conto che tutti i farmaci possono dare delle forme di tossicità

solo la Sanità. È un obiettivo che deve coinvolgere tutta la società, dalle istituzioni alla scuola e alla famiglia. In che modo, secondo lei, possiamo sensibilizzare i più giovani sul “valore della prevenzione” affinché, crescendo, più che accaniti consumatori di farmaci diventino persone attente alla propria salute e al benessere collettivo? Anzitutto, esaltando la scienza nella scuola. È vero che si insegnano già discipline scientifiche, ma queste rappresentano i contenuti della scienza e sono destinate a cambiare nel tempo. È invece fondamentale insegnare anche la metodologia scientifica essenziale per una buona educazione sanitaria. novembre 2021 | spazio50.org

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Scienze

a cura di Fondazione Umberto Veronesi

TEST GENETICI: COSA SONO QUANDO SERVONO (E QUANDO NO)

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uesto nostro ventunesimo secolo, con la decodifica del genoma umano, si è presentato accompagnato dalle migliori prospettive di riuscire a capire, prevenire e curare le malattie. Come? Attraverso la conoscenza capillare del DNA. Da alcuni decenni ormai, anche la ricerca sui tumori parla sempre più il linguaggio della genetica. Ma quanto possiamo aspettarci da questi moderni oracoli? Genetica, salute e malattia Grazie alla decodifica del genoma umano e alla nuova branca della medicina, la “medicina genomica”, oggi si è scoperto che malattie prima misteriose sono dovute a mutazioni in un singolo gene (le cosiddette malattie monogeniche), e su alcune si può già intervenire con terapie ad hoc (terapie geniche). Possiamo pre-

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UN IDENTIKIT MOLECOLARE PER TERAPIE SU MISURA Non solo rischio ereditario: oggi i test del DNA possono aiutare a migliorare il percorso di cura. È il caso dei test genomici che forniscono un identikit molecolare del tumore. Possono indicare, ad esempio, se la chemioterapia adiuvante dopo un intervento chirurgico al seno è utile o no, evitando costi e tossicità inutili. Prima rimborsabili solo in alcune regioni, da quest’anno il Ministro della Salute ha dedicato un fondo destinato alla copertura di questi esami su tutto il territorio nazionale.

vedere l’efficacia di una terapia, evitando quelle poco utili e proponendo piani di cura adatti alle caratteristiche genetiche di una data malattia in un dato individuo. Possiamo sapere se c’è un rischio superiore alla media di ammalarsi di alcuni tipi di tumore, malattie cardiovascolari, obesità, diabete o asma, e se si può trasmettere tale propensione a un figlio. Tumori e DNA Cosa c’entra il nostro “libretto di istruzioni”, ovvero il nostro DNA, con lo sviluppo delle malattie tumorali? Sappiamo che i tumori sono malattie definite “multifattoriali”, dipendono cioè da una combinazione fra genetica, fattori ambientali e comportamentali. Nel corso della vita nelle nostre cellule accumuliamo mutazioni che possono talvolta causare lo sviluppo di un tumore. Alcune mutazioni sono casuali, capitano

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Salute

durante la normale vita delle cellule e le fasi di replicazione del DNA; alcune sono favorite dall’esposizione a fattori esterni. Qualche esempio? Il fumo o le radiazioni solari. Sono mutazioni acquisite. Altre volte invece, le mutazioni sono ereditate, e sono presenti sin dalla nascita. In questo caso di parla di mutazioni ereditarie. Le mutazioni ereditarie Contrariamente alla percezione comune, i tumori genetici ereditari sono una minoranza, nel complesso fra il 5 e il 10% dei casi. È improprio definirli “ereditari” poiché ciò che si eredita non è la malattia, ma un rischio aumentato di svilupparla rispetto alla popolazione generale. In ambito oncologico si contano almeno un centinaio di geni coinvolti in forme ereditarie. Fra i più noti, ci sono i geni BRCA che, se mutati, sono associati ad un alto rischio di tumori della mammella (anche per i rari, ma insidiosi, casi di tumore mammario maschile) e dell’ovaio, ma studi recenti ne hanno documentato il ruolo anche nei tumori del pancreas e della prostata. Ci sono poi le mutazioni del gene APC, legate alla poliposi adenomatosa familiare e al rischio di carcinoma intestinale; alcune sindromi sono dovute a mutazioni genetiche, come la sindrome di Lynch - associata al rischio di tumori del colon, dell’endometrio e dell’ovaio - o la sindrome di Li Fraumeni, che aumenta le probabilità di sviluppare tumori di vario tipo nel corso della vita.

co un piano di controlli periodici e intervenire con le procedure necessarie. È il caso, ad esempio, della rimozione di polipi intestinali che potrebbero evolvere in tumori maligni, o di farmaci che riducono il rischio. In alcuni casi, si possono valutare decisioni più impegnative, come la rimozione profilattica di organi sani, ad esempio le mammelle o le ovaie se si è portatrici di mutazioni BRCA, la tiroide se si è portatori di mutazioni a carico del gene Ret. Test genetici: maneggiare con cautela Avere i test genetici a disposizione è una straordinaria opportunità di salute e prevenzione. Ma ha implicazioni importanti e ognuno dovrebbe, con l’appoggio di specialisti esperti in counseling genetico, porsi almeno due domande: cosa si potrà fare per ridurre il rischio di ammalarsi? E poi: come ci si sentirà una volta noto il risultato? Un test genetico non dà certezze. Gestire, anche emotivamente, una probabilità può infatti avere un impatto significativo sulla vita. E non solo: un eventuale esito positivo può avere conseguenze importanti anche sulla vita dei familiari. Sapere o non sapere deve essere il risultato di una scelta ponderata in presenza di serie motivazioni di salute o di valide indicazioni di rischio: sempre con l’aiuto di un medico.

TUMORI FEMMINILI QUANDO È UTILE LA CONSULENZA GENETICA Solo per i tumori del seno si contano almeno una decina di mutazioni genetiche ereditarie coinvolte. Come capire, in malattie che colpiscono decine di migliaia di donne l’anno in Italia, se è il caso di parlare con un consulente genetista? • Il test BRCA viene generalmente eseguito, in primo luogo, in una paziente con tumore della mammella o dell’ovaio che presenti caratteristiche cliniche e familiari “sospette”. • Se il risultato è positivo, ovvero se è presente una variante patogenica di BRCA, i familiari diretti possono valutare di sottoporsi al test, anche se sani, purché maggiorenni. • Una persona sana può effettuare un test previa una attenta valutazione in ambito di consulenza genetica oncologica. (AIOM - Criteri per l’invio alla consulenza genetica oncologica del/della paziente con carcinoma mammario)

I test disponibili Molte di queste mutazioni sono identificabili grazie a test genetici che sono rapidamente diventati sempre più accessibili, per costi ed esecuzione. Sapere di avere un rischio più alto della media permette di attuare strategie di prevenzione, migliorare gli stili di vita, concordare con il medinovembre 2021 | spazio50.org

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Scienze

OPERAZIONE ORDINE: IL DECLUTTERING È ANCHE EMOTIVO di Viviana Rubini

Spesso ci ritroviamo a tenere in casa oggetti che non utilizziamo più, ricordi che vogliamo custodire perché pensiamo di sentirci legati a essi. Alcuni non sono più così indispensabili alla nostra vita e possono essere sostituiti o eliminati. Facendo “pulizia” ci libereremmo di conseguenza di quei pesi emotivi che ci tengono ancorati al nostro trascorso 74

Quanto è bello, riaprire, magari con i figli o nipoti, le scatole contenenti i ricordi, la prima tutina, il primo disegno, delle cartoline... E quanto è gratificante ammirare la nostra collezione di pupazzetti o di souvenir presi in giro per il mondo! Esiste una connessione fortissima tra le cose disseminate nella nostra casa e la nostra mente: gli oggetti rappresentano momenti di vita che abbiamo vissuto, desideri che abbiamo e che abbiamo avuto, che ricordano persone, luoghi, progetti, sogni. È difficile disfarsene, smistare, buttare. Per natura siamo portati a conservare tutto, a trattenere, fuori e dentro di noi. Alcuni ripongono spesso in maniera compulsiva gli oggetti più disparati, divisi per for-

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Psicologia

UN BISOGNO OSSESSIVO La disposofobia è un disturbo da accumulo patologico seriale di oggetti, caratterizzato da un bisogno ossessivo di acquisire (senza utilizzare né buttare via) una notevole quantità di beni, anche se inutili. ma, colore o tipologia. Ci sono poi persone che non riescono a liberarsene e accumulano, senza criterio, sommandone ad altri, montagne di cose che diventano rifiuti, non certo riposte in scatole ordinate. Dovremmo piuttosto imparare a distinguere i ricordi dagli oggetti inutili: sulle pareti, nelle scatole, nei cassetti o negli armadi. Ascoltare le storie che gli oggetti trovati raccontano, per buttare poi, senza alcuna esitazione, quelli che non hanno nulla da dire. Significa che non ci appartengono più. Possono trovare comunque seconda vita ed essere riciclati o rinnovati. Nell’ultimo anno l’esigenza di ricavare nuovo spazio da dedicare all’ufficio casalingo, alle videochiamate o alla didattica a distanza, per vivere in ambienti più confortevoli, ha acuito in molti di noi la necessità di riorganizzare gli ambienti. Evitando di sfociare nell’accumulo patologico (la disposofobia), una delle soluzioni per trasformare il nostro habitat è sicuramente praticare il decluttering, ovvero eliminare le cose che ingombrano, alla lettera “fare spazio”. Il decluttering necessita di una buona dose di decisione e della capacità di convivere con piccoli momenti di malinconia e nostalgia. Mentre si fa spazio e ci si libera del superfluo, si fanno i conti anche con i ricordi e il vissuto. Per questo motivo, è un metodo che coinvolge non solo lo spazio fisico, ma anche quello interiore. Il decluttering è una filosofia che ci

porta a sbarazzarci dell’inutile; è un lavoro lento, spesso anche doloroso: ci si confronta con le ataviche paure del distacco, si deve imparare ad andare avanti spezzando per sempre il cordone ombelicale che ci lega al passato. Gli accumuli sono la soluzione migliore che una psiche trova nel momento in cui deve alleviare il dolore di una privazione, che può essere materiale o, più spesso, affettiva. Gli oggetti accumulati sono anche una specie di “armatura” eretta contro il dolore, contro l’incertezza minacciosa di un mondo in continuo e imprevedibile cambiamento. Si ricorre a giustificazioni illusorie per evitare di sbarazzarsi degli oggetti e di superare il disagio emotivo. C’è persino chi colleziona di tutto e di più per il bisogno di “essere” attraverso l’avere. “Più ho, più sono. Se non posseggo, ho paura di non esistere”. A volte si attua un processo di estensione e proiezione del Sé in ogni oggetto conservato. Ognuno di questi “cimeli” assume un significato preciso nella storia di quella singola persona e riflette la sua immagine. Il vuoto, in generale, può fare paura per diversi motivi. Riempirlo di cose è un modo illusorio per non sentirlo. O di mettere una barriera tra sé e il mondo. In conclusione, buona parte degli oggetti che abbiamo in casa, pur non avendo una funzione specifica, costituisce una parte della “memoria” della vita della propria famiglia: si può trattare di lettere, album di foto, oggetti cari ai nostri avi e molto altro ancora. La scelta di “lasciare andare” è assolutamente personale e va fatta dopo un’attenta riflessione sull’importanza che certi ricordi possono rappresentare in quel preciso momento. Questo processo, quando deciso, non deve essere visto come una privazione, ma come un viaggio divertente e creativo verso una semplicità riconquistata.

UN PASSO ALLA VOLTA Bisogna procedere per step a seconda del tempo a disposizione, quotidianamente o scegliendo, ad esempio, un week-end. È necessario che le cose che non servono siano eliminate davvero, non spostate in soffitta o in cantina. Per orientarsi meglio nella selezione degli oggetti da gettare, esaminiamo le emozioni che suscitano; la gratitudine per ciò che ci hanno dato si rinnova regalandoli a chi, dopo di noi, ne può fare un uso più concreto. Un pensiero che può aiutarci nel fare pulizia è ricordare a noi stessi che ciò che abbiamo vissuto esiste a prescindere dalla presenza o meno di un oggetto. novembre 2021 | spazio50.org

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Tecnologia e dintorni CURIOSITÀ

a cura di Valerio Maria Urru

A maggio 2021 Pechino ha inaugurato il primo servizio di veicoli autonomi a pagamento della Cina, un vero e proprio servizio di robotaxi.

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SENSORI NEURALI, LA FANTASCIENZA DIVENTA REALTÀ In futuro riusciremo a controllare l’ambiente con la mente

Sono grandi appena 0,1 mm cubo - come un granello di sale - i nuovi sensori capaci di registrare l’attività elettrica dei neuroni. Realizzati da un team di ricercatori della Brown University (Usa), si comportano come una vera interfaccia neurale computer-cervello e, in futuro, potrebbero aiutare chi ha perso funzioni cerebrali come camminare e comunicare. La sperimentazione sembra funzionare, anche se c’è ancora molta strada da fare.

www.brown.edu

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TI PIACE UN VESTITO? FAGLI UNA FOTO E FB LO TROVA Intelligenza Artificiale e social network in aiuto dell’e-commerce

Facebook sta lavorando ad una tecnologia che potrebbe rivoluzionare l’e-commerce o dargli comunque ulteriore impulso. Una tecnologia capace di scoprire dove acquistare un vestito scattando una semplice foto attraverso Instagram. Quella della visual search non è una novità, la funzione è simile a quelle già offerte da Snapchat e Pinterest, ma il noto social network crede molto in questa sfida. Primo fra tutti lo stesso Zuckerberg.

www.facebook.com

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ROBEE, IL ROBOT “DI MASSA” MADE IN ITALY Al nostro fianco nei lavori pericolosi o gravosi

È alto 1.70 m, pesa tra i 65 e i 75 kg, è esteticamente simile all’uomo ed è in grado di vedere e spostarsi in autonomia. RoBee è il primo umanoide Made in Italy che le aziende possono impiegare per tutelare i lavoratori nelle mansioni ripetitive o pericolose. Dopo oltre tre anni di sperimentazione, è il primo esemplare di una nuova era della robotica. È infatti compatibile con la produzione di massa ed è pronto a sbarcare sul mercato già nel 2022.

www.oversonicrobotics.com/it

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UN ALGORITMO CONTRO ANSIA, DEPRESSIONE E... Un domani l’iPhone potrebbe essere in grado di riconoscerle

La Apple sta progettando un algoritmo capace di rilevare elementi legati a specifiche condizioni di salute mentale. Attraverso i dati raccolti, in futuro l’iPhone potrebbe infatti riconoscere ansia, depressione e demenza. Tutto questo esaminando le espressioni del volto, il parlato, ma anche la qualità del sonno e la frequenza cardiaca e respiratoria. Le informazioni resterebbero sul dispositivo senza alcuna condivisione con i server di Cupertino.

www.apple.it

LO SAPEVATE CHE? 76

Dall’1 al 4 novembre a Lisbona si tiene il “Web Summit”, uno dei più importanti eventi annuali europei su tecnologia e innovazione digitale (https://websummit.com).

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DICHIARAZIONE DI SUCCESSIONE Rivolgiti ai nostri uffici per le pratiche di successione e volture catastali. La dichiarazione di successione va presentata dagli eredi entro un anno dalla data del decesso del titolare dei beni.

EVENTUALI DOCUMENTI DA PRESENTARE Delega a 50&PiùCaf per la presentazione della dichiarazione Certificato di morte (in carta semplice) Certificato di stato di famiglia del defunto o autocertificazione rilasciata dall’erede Certificato di stato di famiglia degli eredi e legatari (o autocertificazione) Autocertificazione “status eredi”, fotocopia dei documenti, dei codici fiscali del defunto e degli eredi Atti di acquisto e vendita del patrimonio immobiliare, se in possesso

Certificazione comprovante le passività e le detrazioni Certificato rilasciato dal gestore di eventuali c/c, libretti postali, azioni, obbligazioni, fondi comuni d’investimento, ecc Certificato di destinazione urbanistica per i terreni Eventuali donazioni effettuate in vita

50&PiùCaf grazie all’accordo stipulato con il Patronato 50&PiùEnasco offre inoltre assistenza per la pensione di reversibilità. www.50epiucaf.it

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Fisco

a cura di Alessandra De Feo

AGEVOLAZIONE PRIMA CASA, QUESTIONE ANCORA APERTA Alcuni dubbi sono ben definiti dalla richiesta di un contribuente, che chiede quali sono gli adempimenti previsti per mantenere il beneficio

N

ell’ultimo periodo dell’anno 2021, l’Agenzia delle Entrate - più volte interpellata in materia di applicazione dell’agevolazione “prima casa” ai fini delle imposte indirette - ha fornito alcuni chiarimenti attraverso le risposte n. 634/2021, n. 653/2021 e n. 651/2021. Vediamo, in questo numero, l’istanza per la quale è stata fornita la prima risposta (n. 634/2021). L’istante ha contratto matrimonio e l’11/03/2010 ha acquistato, in regime di comunione legale dei beni, una casa (destinata a casa familiare) per la quale è stata richiesta l’agevolazione di “abitazione principale”. Successivamente ha chiesto la separazione legale, nel cui contesto è stato stabilito che la casa familiare rimanesse in uso al marito fino al 2026. In data 11/03/2020, il contribuente acquista una nuova abitazione, adibita a residenza propria e dei propri figli, chiedendo di poter beneficiare delle agevolazioni per l’acquisto della “prima casa” e assumendo, contestualmente, l’impegno di alienare la propria quota della casa ex coniugale entro il termine di un anno previsto dal comma 4-bis della Nota II-bis, della Tariffa, Parte I, all’articolo 1 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131. Ciò premesso, l’istante chiede se possa applicarsi la non decadenza dall’agevolazione fruita per il secondo acquisto o, in alternativa, almeno la non applicazione della sanzione, rimanendo eventualmente dovuta solo la differenza tra misura ordinaria e misura

agevolata delle imposte dovute per il secondo acquisto. A detta domanda, l’Agenzia delle Entrate ha risposto che, in considerazione delle suddette disposizioni di legge che regolano la materia, ed in particolare in base al citato comma 4-bis, è consentito al contribuente di fruire delle agevolazioni in esame, in relazione all’acquisto del nuovo immobile, anche in assenza del requisito della “novità” del godimento del beneficio, poiché già in possesso di altra abitazione acquistata con le medesime agevolazioni; ciò a condizione che l’immobile pre-posseduto venga alienato entro il termine di un anno dal nuovo acquisto agevolato. In mancanza di tale alienazione opera, dunque, la decadenza dal beneficio fruito per il secondo acquisto. Riguardo alla fattispecie in esame è utile far riferimento all’ordinanza della Corte di Cassazione n. 14740 del 13 giugno 2017, che ha previsto la possibilità per il contribuente di usufruire in vita più volte del beneficio cosiddetto “prima casa”. Riguardo ai termini per effettuare gli adempimenti previsti ai fini del mantenimento dei benefici “prima casa”, si rammenta che, ai sensi dell’articolo 3, comma 11- quinquies del D.L. 31 dicembre 2020, n. 183 (“Mille proroghe”), convertito con modificazioni con la Legge 26 febbraio 2021 n. 21, il periodo di sospensione dei termini per l’agevolazione “prima casa” è stato prorogato al 31 dicembre 2021. Pertanto, per gli acquisti avvenuti tra il 23 febbraio

2020 e il 31 dicembre 2021, i termini inizieranno a decorrere dal 1° gennaio 2022. Si rammenta, infine, che con circolare del 13 giugno 2016, n. 27/E, è stato chiarito che in caso di inottemperanza dell’obbligo di alienazione dell’immobile pre-posseduto entro il termine previsto dal comma 4-bis dell’articolo 1 della Nota II-bis, della Tariffa, Parte I, allegata al TUR, sono applicabili le procedure indicate nelle risoluzioni n. 105/E del 2011 e n. 112/E del 2012. Tali procedure possono essere seguite dal contribuente che non intenda o non possa assolvere agli impegni assunti in sede di acquisto della “prima casa” di abitazione, per comunicare tale circostanza all’Agenzia delle Entrate ed evitare l’applicazione della sanzione amministrativa, ovvero corrisponderla in misura ridotta.

Specialmente nell’ultimo anno, l’A­ genzia delle Entra­te è stata più vol­ te interpel­lata in materia di applica­ zione dell’agevolazione “prima casa” ai fini delle imposte indirette, un tema complesso che richiede un costante aggiornamento. novembre 2021 | spazio50.org

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PENSIONE ANTICIPATA

PRECOCI 2021 SCADENZA DOMANDE ENTRO IL 30 NOVEMBRE

Hai iniziato a lavorare prima dei 19 anni? Potresti essere un “lavoratore precoce”.

Verifica presso il Patronato 50&PiùEnasco se hai i requisiti per andare in pensione.

CHI NE HA DIRITTO: I cosiddetti lavoratori precoci sono coloro che hanno maturato almeno 12 mesi di lavoro in modo effettivo anche se non continuativo prima del compimento dei 19 anni di età: possono andare in pensione con 41 anni di contributi, sia gli uomini che le donne, sia i lavoratori dipendenti che gli autonomi, indipendentemente dall’età anagrafica, purché si trovino in una delle condizioni richieste dalla legge.

I lavoratori precoci che maturano i requisiti entro l'anno in corso hanno tempo fino al 30 novembre 2021 per presentare domanda di certificazione.

ISTITUTO DI PATRONATO E DI ASSISTENZA SOCIALE

www.50epiuenasco.it Vieni a trovarci presso la sede 50&PiùEnasco a te più vicina per un’analisi personalizzata della tua posizione contributiva. Valuteremo il diritto alla pensione e cureremo l’inoltro della domanda.


Previdenza

a cura di Luca Giustinelli

ULTIMA CHIAMATA

per “Precoci” e “APE Sociale”

È in fase di verifica una soluzione alternativa alla vigente “Quota 100”. Tra le diverse proposte, una nuova “Quota 41”

P

assano le settimane e si avvicinano ormai le luci del Natale, ma Governo e Parlamento non hanno ancora trovato la soluzione per scongiurare lo “scalone” generato dal superamento (questa dovrebbe essere l’unica certezza, nonostante i colpi di coda di qualche forza politica che ne chiede la proroga di almeno un anno) di “Quota 100” dal prossimo 1 gennaio 2022; né si sa se le misure di flessibilità in uscita che verranno adottate saranno a carattere strutturale o transitorio. Se ne saprà di più nelle prossime settimane, quando sarà presentata la Legge di Bilancio. E, del resto, è legittimo procedere con molta cautela e con grande attenzione alla sostenibilità delle misure che saranno adottate, perché la spesa pensionistica nel 2020 ha raggiunto una quota pari addirittura al 17% del PIL (era pari al 15,2% prima dell’introduzione di Quota 100); solo per rendere l’idea, la spesa sanitaria nello stesso anno - l’anno del Covid - è stata pari al 7,5% del PIL, mentre quella per l’istruzione di ogni ordine e grado è stata pari al 3,9%. Le soluzioni proposte sono le più varie (i Partiti hanno presentato ben 9 diverse proposte di legge): si va da “Quota 102” ad una nuova pensione a scaglioni: la quota contributiva a 63 anni e quella retributiva a 67; dalla creazione di un “Fondo nazionale per la flessibilità in uscita dal mercato del lavoro” con gli stessi requisiti di “Quota 100”, fino a varie ipotesi di pensionamento anticipato, con riduzione dell’importo della pensio-

ne commisurata al numero di anni di anticipo rispetto all’età per il pensionamento di vecchiaia. Tra le possibili soluzioni proposte, quella che incontra un consenso pressoché unanime (salvo quello - non del tutto secondario - di INPS e Ragioneria di Stato, che la ritengono insostenibile per i conti pubblici) è l’introduzione di una nuova quota: “Quota 41”. Ma c’è anche chi - molti, in verità - ritiene che non sia necessario procedere ad un’ennesima riforma, che, modificando di nuovo le regole, potrebbe ingenerare ulteriore incertezza e sfiducia nella stabilità del sistema previdenziale, spingendo così molti lavoratori ad uscirne prima possibile (per il timore di trovare qualche sorpresa dietro l’angolo), aggravandone così la situazione di sostenibilità, in una pericolosa spirale viziosa. Da più parti si spinge, infatti, per una soluzione che non stravolga l’attuale struttura del sistema previdenziale e miri invece, semplicemente, a rafforzare ed ampliare la platea dei beneficiari di misure già oggi esistenti come, ad esempio, il Contratto di Espansione, l’Opzione Donna, l’APE Sociale e… “Quota 41”. La pensione per i Lavoratori Precoci Sì, perché già oggi alcune categorie di lavoratori possono accedere alla pensione con 41 anni di contribuzione effettiva (requisito valido sia per gli uomini che per le donne), indipendentemente dall’età anagrafica: sono i cosiddetti “Precoci”, lavoratori, cioè, che han-

no cominciato a lavorare in giovane età - che possono quindi far valere almeno 12 mesi di contribuzione prima del compimento del 19° anno di età - e che si trovino anche in una delle seguenti condizioni di disagio lavorativo, economico o familiare: stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, o dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale, con conclusione integrale della prestazione da almeno tre mesi; abbiano un grado di invalidità civile accertato superiore o uguale al 74%; assistano, al momento della richiesta e da almeno sei mesi, del coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità; abbiano svolto attività particolarmente faticose e pesanti (cosiddette. attività “usuranti”), quali lavoratori notturni, lavoratori addetti all’industria di catena, ecc.; si tratti di lavoratori dipendenti che hanno svolto un’attività lavorativa cosiddetta “gravosa” ricompresa tra specifiche categorie, per almeno sette anni negli ultimi dieci anni di attività lavorativa, ovvero, per almeno sei anni negli ultimi sette anni di attività lavorativa:

Da più parti si spinge per una soluzione che non stravolga l’attuale struttura del sistema previdenziale e miri invece, semplicemente, a rafforzare ed ampliare la platea dei beneficiari di misure già oggi esistenti come, ad esempio, il Contratto di Espansione, l’Opzione Donna ecc. novembre 2021 | spazio50.org

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Previdenza operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici; conduttori di gru o di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni; conciatori di pelli e di pellicce; conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante; conduttori di mezzi pesanti e camion; personale delle professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni; addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza; insegnanti della scuola dell’infanzia ed educatori degli asili nido; facchini, addetti allo spostamento merci ed assimilati; personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia; operatori ecologici ed altri raccoglitori e separatori di rifiuti; operai dell’agricoltura, della zootecnia e della pesca; pescatori della pesca costiera, in acque interne, in alto mare, dipendenti o soci di cooperative; lavoratori del settore siderurgico di prima e seconda fusione e lavoratori del vetro addetti a lavori ad alte temperature; marittimi imbarcati a bordo e personale viaggiante dei trasporti marini e in acque interne. Per accedere al beneficio, i lavoratori interessati devono presentare una domanda di “riconoscimento” entro il 1 marzo di ciascun anno, presentando poi la domanda di pensione quando l’INPS ha accertato l’effettivo diritto. Per chi nel 2021 non ha presentato domanda di riconoscimento nei termini stabiliti, è prevista la possibilità di presentarla entro il 30 novembre: in questo caso, la domanda sarà presa in considerazione solo se risulteranno ancora risorse residue rispetto a quanto stanziato per il 2021 per finanziare la specifica misura. 82

L’APE Sociale Pur se con alcune differenze (ad esempio, la necessità, per i lavoratori in stato di disoccupazione, di dimostrare una condizione di disoccupazione di lunga durata), condizioni di disagio lavorativo, economico e familiare analoghe a quelle richieste per il diritto al pensionamento come “Precoci” danno diritto anche all’APE Sociale”, ovvero un “anticipo pensionistico” di importo massimo pari ad € 1.500 mensili, che accompagna fino al pensionamento di vecchiaia quelle categorie di lavoratori, ritenute me­ritevoli di una particolare tutela, a condizione che abbiano maturato almeno 63 anni di età ed un requisito di anzianità contributiva di almeno 30 (disoccupati, “caregivers”e invalidi) o 36 anni (addetti ai lavori gravosi). I soggetti che soddisfino entro il 31 dicembre 2021 le condizioni richieste per il diritto all’APE, devono presentare richiesta di riconoscimento delle condizioni di accesso al beneficio entro il 30 novembre 2021. Questa misura è in scadenza proprio a fine 2021; peraltro, è proprio sull’allargamento della platea dei beneficiari dell’APE Sociale - privilegiando i lavoratori fragili e quelli gravosi - che si concentrano le maggiori attenzioni per un superamento “soft” dello scalone previdenziale che si verrebbe a creare dal 1/1/2022.

Proprio nelle scorse settimane, una Commissione tecnica promossa dal Ministero del Lavoro ha prodotto una proposta di allargamento delle categorie di lavori gravosi che possono dare diritto all’APE Sociale, misura che non solo verrà con ogni probabilità prorogata oltre il 2021, ma addirittura rafforzata e resa strutturale o, quanto meno, stabilizzata fino al 2026. Questa proposta - basata su presupposti scientifici: frequenza, gravità e durata degli infortuni e delle malattie professionali per singola attività - allargherebbe dagli attuali 15 a 57 (per un totale di oltre 200 mansioni) i gruppi di lavori “gravosi” che comportano un pensionamento anticipato rispetto alla generalità degli altri lavoratori e potrà costituire, forse, parte di quell’intervento “soft” e non troppo invasivo sul sistema previdenziale, resosi necessario per garantire un “atterraggio morbido” dopo il superamento di “Quota 100”. Gli Uffici 50&PiùEnasco presenti su tutto il territorio nazionale possono fornire ai lavoratori interessati tutte le valutazioni e le informazioni, verificando il diritto e la convenienza dell’accesso al pensionamento sia come “Precoci” che con l’“APE Sociale”, e potranno provvedere alla presentazione della relativa domanda.

spazio50.org | novembre 2021

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14/10/21 15:54


La piattaforma 50&Più è uno strumento di comunicazione rivolto al mondo degli over. Un angolo del web piacevole e divertente, dedicato prevalentemente a chi ha superato i 50 anni e cerca un approccio veritiero ai problemi che riguardano l’età matura. Un luogo in cui l’informazione, sempre attenta e aggiornata, è dedicata a coloro che vogliono sentirsi parte attiva della società. www.spazio50.org vi aspetta, venite a scoprire di più!

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dal 18 al 25 febbraio 2022

GRANDI CROCIERE 50&PIÙ TURISMO

PARTENZA GARANTITA CON ACCOMPAGNATORE

Emirati Arabi, Oman e Qatar con Costa Firenze Una crociera negli Emirati Arabi è perfetta per chi vuole scoprire un’arte antica, sapori speziati, la modernità e tutta la magia del deserto. Escursioni: soste notturne sotto le stelle del deserto e tanto tempo per appassionarsi alla bellezza futuristica di Dubai, passeggiare nell’antica città di Muscat, navigare nel fiordo in Oman, ammirare le moschee di Abu Dhabi e lo scintillante skyline di Doha. Expo Dubai 2020: un’occasione unica per visitare la prima Esposizione Universale nel Medio Oriente. Un evento affascinante e coinvolgente, proiettato nel futuro.

LA NAVE COSTA FIRENZE La nuova nave che celebra il Rinascimento e il gusto tipicamente italiano, di cui la città toscana è la massima espressione. Lo stile degli spazi di Costa Firenze è dinamico e avvolgente. A bordo: la più grande proposta di ristoranti tematici della flotta Costa Crociere per un irresistibile invito a provare piatti per tutti i gusti. La tua cabina: i colori richiamano le cromie rinascimentali di Firenze e i materiali raffinati degli arredi rispecchiano la passione tipicamente italiana. QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE

DATA

PORTO

ARRIVO

PARTENZA

18-02 ven

Dubai

-

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Doppia interna

€ 1.050

19-02 sab

Dubai

-

23:59

Doppia esterna

€ 1.200

20-02 dom Abu Dhabi

09:00

23:59

Doppia balcone

€ 1.310

21-02 lun

Doha

14:00

22:00

Singola

22-02 mar

in navigazione

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Assicurazione

€ 45

23-02 mer

Muscat

07:00

17:00

Tasse portuali

€ 150

24-02 gio

Dubai

13:00

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25-02 ven

Dubai

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Le quote comprendono: Volo da Milano/Roma • Trasferimenti da e per il porto di Dubai • Sistemazione nella cabina prescelta con trattamento di pensione completa • Accompagnatore 50&Più.

su richiesta

Quota d’iscrizione per i non soci 50&Più: € 50 Le quote non comprendono: Bevande al bar ed ai pasti • Tasse portuali (€ 150) • Quote di servizio obbligatorie da pagare a bordo (€ 70) • Escursioni e tour organizzati • Assicurazione medico-bagaglio e annullamento viaggio (€ 45) • Extra di natura personale e tutto quanto non espressamente indicato nella voce “Le quote comprendono”.

(Aut. Reg. 388/87) Tel. 06 6871108/369 Fax 06 6833135 E-mail: info@50epiuturismo.it Oppure presso le sedi Provinciali 50&Più.

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OLIMPIADI INVERNALI 2022

INFORMAZIONI SPORTIVE

COURMAYEUR Comprensorio del Monte Bianco

(AO)

Dal 23 al 30 gennaio 2022

La quinta edizione delle Olimpiadi Invernali 50&Più si svolgerà nel cuore della Valle d’Aosta, ai piedi della montagna più alta d’Europa, nel comprensorio sciistico di Courmayeur Mont Blanc. Trascorrerete giornate sulla neve circondati da splendidi paesaggi e avvolti da una natura incontaminata. Ogni giorno potrete scegliere se dedicarvi alle diverse attività sciistiche, alle passeggiate nel vicino centro di Courmayeur, alle escursioni organizzate dall’Hotel o al totale relax nel centro benessere con piscina.

SISTEMAZIONE ALBERGHIERA Il TH Courmayeur (4 stelle Sup.) si trova ad Entreves (1,8 km da Courmayeur), un luogo fiabesco, dove il tempo sembra essersi fermato e dove si possono ammirare panorami spettacolari del massiccio del Monte Bianco: creste vertiginose, scintillanti ghiacciai, valli e ambienti di immensa bellezza. L’Hotel dista circa 200 metri dalla Sky Way, la funivia che consente di arrivare sulle cime perennemente innevate del Monte Bianco, alla scoperta della sua maestosità. All’interno dell’Hotel potrete usufruire (fino a esaurimento presenze) di una piscina panoramica affacciata sulle cime del Monte Bianco e una palestra attrezzata con area fitness. Per un maggior benessere è a disposizione il centro wellness con sauna, idromassaggio, bagno turco e trattamenti estetici e distensivi. Tutte le proposte saranno confermate a condizione che si possano garantire i più alti standard di sicurezza e tutela dei partecipanti, il tutto nel rispetto delle normative vigenti. Qualora i pacchetti venissero annullati, i pagamenti effettuati dai Soci 50&Più verranno debitamente rimborsati.

L’organizzazione dei “giochi” sarà gestita dallo Staff 50&Più, supportata dallo Staff tecnico Gare e dai maestri di sci locali. I partecipanti, divisi per categoria e classi d’età, si sfideranno nelle seguenti gare: Slalom gigante (2 manches) - Slalom speciale (2 manches) - Sci di fondo classico e sci di fondo pattinato - Camminata di regolarità a tempi di percorso stabiliti.

QUOTA INDIVIDUALE DI PARTECIPAZIONE (7 notti/8 giorni)

In camera doppia

€ 630

In camera doppia uso singola

€ 880

Suppl. Polizza Annullamento Viaggio (facoltativa)

€ 15

Quota d’iscrizione per i non soci 50&Più: € 50 RIDUZIONI: III e IV letto anni 0-3: gratuito (THinky Card obbligatoria per i servizi a loro dedicati € 126); anni 3-15 in camera con 2 adulti: 50%; adulti 30% (le età si intendono per anni non compiuti al momento del soggiorno). I minori devono necessariamente pernottare con i propri genitori o nucleo familiare. Le quote comprendono: Soggiorno in camera doppia al Th Courmayeur Hotel • Trattamento di prima colazione e cena • Animazione e spettacoli serali, piano bar, giochi, balli e feste • Partecipazione alle gare e agli intrattenimenti proposti dall’organizzazione • Ingresso alla SPA e utilizzo piscina su prenotazione e contingentata secondo le normative vigenti • Assicurazione bagaglio/sanitaria • Assistenza di personale 50&Più Turismo. Le quote non comprendono: Trasporti da e per Courmayeur • Polizza annullamento viaggio (€ 15) • Ski pass individuale • Tutte le bevande • Lezioni di sci • Tassa di soggiorno (attualmente € 2 al giorno a persona, da regolare in Hotel) • Trattamento massaggi al Centro benessere • Mance, extra in genere e tutto quanto non specificato. GARAGE: coperto e disponibile fino ad esaurimento posti: € 10 al giorno. Da prenotare. TRASPORTI: sono previsti in treno per Torino con trasferimento per e da Courmayeur (150 km). In aereo dai principali aeroporti d’Italia per Torino, con trasferimento per e da Courmayeur (150 km). Quotazioni individuali e di gruppo su richiesta.

(Aut. Reg. 388/87) Tel. 06 6871108/369 Fax 06 6833135 E-mail: info@50epiuturismo.it Oppure presso le sedi Provinciali 50&Più.

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14/10/21 15:55


Cultura

Libri

HEATHER CHRISTLE

IL LIBRO DELLE LACRIME TRADUZIONE DI GIULIA POERIO IL SAGGIATORE 216 PAGINE 19 EURO

PIANGERE, UNA CAREZZA PER L’ANIMA Lasciarsi andare al pianto non è sinonimo di debolezza, ma un percorso intimo fatto di sensazioni, ricordi ed immagini che evocano potenti emozioni. E sono proprio queste che ci rendono esseri umani di Renato Minore Le lacrime si possono “conservare” facendole cadere su una carta da zucchero nera, “i cristalli di sale formano chiazze bianche come stelle della notte”. E si possono anche “sparare”: lo ha fatto una studentessa olandese che, con una pistoletta costruita per congelarle, le ha poi spruzzate sul viso di un suo troppo esigente professore. Heather Christle, scrittrice americana che insegna Scrittura creativa ad Atlanta, ha scritto un singolare “libro della lacrima”, corpo, sentimenti, ricordi, immagini, filosofia. Partendo dal proprio vissuto: «Certe mattine mi sveglio con una enorme sensazione dentro di me e non riesco a decidere se sia il bisogno impellente di piangere o scrivere una poesia». Ha così voluto tracciare la mappa di tutti i luoghi in cui ha pianto. Ma la mappa ha anche definito un diverso territorio: quello in cui affiorano le domande su com’è che piangiamo e su che cosa accomuna occhi lucidi e pianti disperati. Heather Christle lo ha perlustrato nelKONSTANTINOS KAVAFIS Introduzione traduzione e note di Renata Lavagnini e Cristiano Luciani Bompiani 2.912 pagine Prezzo: 48 euro

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la forma di piccoli e aguzzi frammenti che si interrogano sull’argomento. Infilzano e sfiorano, anticipano e rinviano, folgorano e si ritraggono, afferrano la propria storia e quella degli altri. Non è certo un’antologia di aneddoti e curiosità più o meno lacrimosa, ma un tesoretto disseminato di connessioni e corrispondenze che, nel pianto e nei diversi modi di rispondere alla sofferenza, intrecciano letteratura, poesia e neuroscienza. Un corto circuito tra sapere ed esperienza. Alla stessa Christle capita, in certi giorni, di piangere più di quanto non scriva sul pianto. In fondo con il pianto che può scoppiare all’improvviso (così sembra suggerire questo libro un po’ racconto, un po’ saggio, un po’ memoir che si legge assai volentieri), le emozioni che abitano dentro di noi ci rendono umani. Fidarsi di quello che proviamo non significa essere deboli o fragili, ma vivi, aperti all’esperienza, pronti anche a meravigliarci del mondo. Pure con una lacrima che non abbiamo saputo trattenere.

I suoi versi li diffondeva in fogli volanti, 153 poesie riunite per la prima volta nel 1935 su cui si è costruita fama e mito. Nello scaffale dei grandi libri, ecco per la prima volta in Italia un tutto Kavafis, il grande poeta greco, allievo e maestro di un’arte classica con versi popolati di imperatori bizantini e sofisti di Siria, estraneo al romanticismo lacrimoso e al classicismo monumentale. Il suo passato è un mondo senza eventi, una sospesa eternità di istanti; Alessandria antica e moderna s’incontrano sullo stesso versante del tempo e la salvezza è nella destinazione lirica del sogno, con il desiderio di erotizzare la storia rivivendo ciò che lo scorrere dei giorni e l’erudizione hanno imbalsamato. Il volume Bompiani raccoglie anche, con esemplare cura, versi giovanili, rifiutati e incompiuti. Un Kavafis completo, proprio da non perdere.

spazio50.org | novembre 2021

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Arte

Il museo parigino Marmottan Monet possiede la maggiore collezione di opere del più apprezzato tra gli impressionisti: 53 sono esposte nella città lombarda

CLAUDE MONET TORNA A MILANO CON LE SUE “NINFEE” di Ersilia Rozza E non solo. Anche con Londres. Le Parlement. Réflets sur la Tamise, che riporta al suo soggiorno inglese, con La plage de Trouville, spiaggia della Normandia dove trascorreva le giornate en plein air, all’aria aperta, per dipingere i minimi mutamenti di colore dell’atmosfera e del paesaggio, con En promenade près d’Argenteuil, a passeggio vicino al villaggio in cui si era stabilito prima di trasferirsi a Giverny, dove morirà circondato da un magnifico giardino con Les Roses e soprattutto le sue Nymphéas. Non quelle del grande ciclo donato come simbolo di pace dal maestro all’indomani dell’armistizio del 1918 e visibili all’Orangerie parigina, ma quelle più personali che Monet tenne per sé, che non volle vendere. Fu il figlio minore Michel, suo erede, a cederle, insieme al più importante corpus di opere paterne, all’Académie des Beaux-Arts, che le fece allestire al Museo Marmottan (nome del critico d’arte che aveva regalato il palazzo e la sua collezione old style alla stessa accademia, omaggiato in mostra da una sala arredata con mobili napoleonici), diventato poi Marmottan Monet. Al Palazzo Reale di Milano, fino al

30 gennaio, si può cercare di leggere Claude Monet (1840-1926) in tutta la sua evoluzione: non solo come il “più impressionista degli impressionisti”, ma anche come il “primo astrattista”, quando proprio le sue “ninfee” perdono colore, definizione, sfondi (anche a causa della cataratta che lo colpì nel 1908), e assumono un vigore, una presenza, una tempra che gli espressionisti astratti hanno a lungo ricercato in seguito. E che in asta quotano milioni di dollari: più di 70 quelli offerti a maggio per Le bassin aux nymphéas.

Informazioni sulla mostra: Monet. Dal Musée Marmottan Monet di Parigi Palazzo Reale Piazza Duomo n. 12, Milano Orario: 10-19.30 (giovedì 10-22.30); chiuso il lunedì. Biglietti: € 14; ridotto € 12 (over 65, under 26, disabili, gruppi, adulti famiglie, insegnanti, militari, forze dell’ordine, convenzioni); ridotto € 6 (scolaresche, minori famiglie, convenzioni, giornalisti); gratuito per under 6, accompagnatori portatori di handicap e di gruppi. Tel. 02 88445181 www.palazzorealemilano.it

DA NON PERDERE FIRENZE

Jenny Saville L’esistenza come sofferenza, addirittura mutilazione, è il tema ricorrente di una delle più grandi pittrici viventi. Un itinerario tra diversi musei propone le enormi tele dell’artista britannica, mostrandone la correlazione con i maestri del Rinascimento. Museo Novecento Fino al 20 febbraio

MENDRISIO (SVIZZERA)

A. R. Penck

40 grandi tele, 20 sculture e 50 opere su carta illustrano l’attività di Ralf Winkler, così all’anagrafe, tra i massimi artisti del secondo Dopoguerra, scomparso nel 2017. Da neoespressionista, il suo percorso diventa sempre più stilizzato e primitivo, ricordandoci chi siamo e da dove veniamo. Museo d’Arte Fino al 16 febbraio

novembre 2021 | spazio50.org

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Cultura

Teatro

di Mila Sarti

LA NUOVA STAGIONE PRENDE FINALMENTE VITA

Cartellone ricco di proposte quello presentato dal Teatro Stabile dell’Umbria, uno dei primi a muoversi con nuovi appuntamenti, guardando avanti con ottimismo Squadra che vince non si cambia! E così Filippo Timi e Lucia Mascino, capitanati dal regista cinematografico Giuseppe Piccioni, passano dai successi sul grande schermo a quelli teatrali del Morlacchi di Perugia. La grande sintonia, la passione e il talento mostrati dai due attori in un film di Piccioni li hanno catapultati insieme sul palco del teatro perugino, diretti, dal 3 al 7 novembre, dallo stesso Piccioni. Promenade de santé (Passeggiata di salute), il titolo della pièce del drammaturgo francese Nicolas Bedos, una grande prova d’attore per i due protagonisti che vivono in scena una storia d’amore malata. Entrambi ospiti di una clinica psichiatrica, s’incontrano e si innamorano su una panchina di un parco dove confidano le loro paure, le inquietudini e le loro manie. Lei è una ballerina nin88

fomane e schizofrenica, lui è un alcolista erotomane narcisista. Dal 10 al 12, Little Tony e Bobby Solo irrompono con la loro musica nella prima opera teatrale del Vate. Avete presente la tragedia La città morta scritta da D’Annunzio nel 1896? Ecco, mettetela da parte per avventurarvi nell’esclusivo viaggio che il giovane regista Leonardo Lidi ha creato fra poesia e divertimento. Quindi, due spettacoli con un comune denominatore: la danza. FOLK-S will you still love me tomorrow (il 18), creazione tra danza moderna e performing arts di Alessandro Sciarroni, e Moving with Pina (il 21), con Cristiana Morganti che ci svela la grande coreografa tedesca Pina Bausch. Torna poi Leonardo Lidi, Premio della Critica 2020, firmando la regia de La Signorina Giulia di Strindberg, in scena dal 24 al 28.

DA NON PERDERE TRIESTE

Lo spettacolo risplende di grandi attori e registi Casa della cultura, dell’arte e del divertimento. Così il direttore Paolo Valerio descrive il Politeama Rossetti, che propone un importante programma di prosa, teatro brillante, scena contemporanea, musica, danza e musical. Fra gli spettacoli di questo mese, Furore, Piazza degli Eroi, Il delirio del particolare. Info 0403593511

ROMA

Nuova stagione teatrale al via! Dopo venti anni, Fabio Canino porta nuovamente in scena Fiesta, dedicato alla grande Raffaella Carrà. Le sue canzoni come sottofondo musicale di uno spettacolo ironico e divertente. In scena alla Sala Umberto fino al 28. Dal 30 Donatella Finocchiaro in Taddrarite Pipistrelli, un testo forte su una Sicilia al femminile.

Info 066794753

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Musica

JESUS CHRIST SUPERSTAR L’ultima rivoluzione del musical, che diventava un’opera rock, è datata 1971, con il mega successo di Jesus Christ Superstar, già a teatro dall’anno precedente. Il terzo lavoro del geniale Andrew Lloyd Webber, non ancora sir, e del suo storico paroliere Tim Rice, è proposto oggi in un’edizione del 50ennale con 3 cd rimasterizzati, materiale esclusivo, un libretto di 100 pagine e alcune memorabilia.

di Raffaello Carabini

SCHIFF “RIVEDE” I CONCERTI PER PIANO DI BRAHMS

ROCK DURO

Una registrazione che libera i due concerti “dal fardello dei marchi di fabbrica, spesso discutibili, della tradizione esecutiva” e ne “purifica e disintossica la musica”, quasi ricreandoli

Quando, già famoso, in un ristorante gli proposero il vino migliore dicendo: «Questo è superiore a ogni altro, come la musica di Brahms è superiore a ogni altra», rispose severo: «In tal caso lo tenga per sé e mi porti una bottiglia di Beethoven». Fu questa ammirazione a portare il compositore tedesco ad accostarsi al genere sinfonico con lenta ponderazione: la prima esecuzione della sua Sinfonia n. 1 è solo del 1876, quando aveva 43 anni e faceva concerti in giro per l’Europa da oltre venti (la sua prima esibizione in pubblico è documentata nel 1843, a 10 anni). Lo stesso si può dire dei Concerti per piano e orchestra: il n. 1 fu eseguito nel 1859, accolto freddamente da un pubblico che si stava abituando alle novità wagneriane, e il n. 2 e ultimo è solo del 1881.

Li propone oggi il grande pianista András Schiff in un doppio cd con l’ispirata Orchestra of the Age of Enlightenment di Londra, che lavora senza direttore. Le esecuzioni vogliono presentarli esattamente come li aveva pensati Brahms, con un pianoforte Blüthner costruito a Lipsia intorno al 1859 (più morbido sui bassi degli abituali Steinway) e un’orchestra ridotta di 50 elementi, che utilizza corde di budello e fiati del XIX secolo. Inoltre, Schiff ha scoperto nuove sfumature nelle partiture originali: l’effetto più sorprendente è nel primo movimento del concerto n. 1, con un metronomo significativamente più lento di quello che si ascolta di solito. L’autore della più famosa ninna nanna del mondo ne esce ancora più grande.

INCREDIBILI IRON MAIDEN Incredibili Iron Maiden Il gruppo della “vergine di ferro”, una tortura medievale, è tornato con il doppio cd Senjutsu, poderoso come un uppercut di Mike Tyson. Fondato a Londra nel 1975 dal bassista Steve Harris, ancora alla guida con il chitarrista Dave Murray e l’inconfondibile cantante Bruce Dickinson, ha superato le mode, il rap, gli anni che scorrono. Il suo heavy metal potente (e sorprendente: c’è un brano dedicato a Winston Churchill) è volato subito in cima alla nostra classifica delle vendite di cd e vinili. novembre 2021 | spazio50.org

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Cultura

Cinema

FILM IN USCITA DRAMMATICO IL BAMBINO NASCOSTO Regia: Roberto Andò con: Silvio Orlando, Giuseppe Pirozzi

Un maestro di musica e un bambino in fuga sono i protagonisti di una storia vissuta nei quartieri di Napoli dove i criminali dettano legge. Il film analizza il rapporto tra un colto maestro di piano e il piccolo Ciro, fuggito dalle grinfie del padre camorrista: il bambino pizzicherà le corde segrete del professore, inducendolo a un imprevisto svezzamento affettivo.

COMMEDIA THE FRENCH DISPATCH Regia: Wes Anderson con: Timothée Camalet, Elisabeth Moss, Willem Dafoe

Definito “una lettera d’amore al giornalismo”, il decimo film del regista statunitense de I Tenebaum e Grand Hotel Budapest scorre su 3 linee narrative, in modo eccentrico - alternando sequenze a colori e in bianco e nero - la storia della redazione parigina del giornale che dà il titolo al film. Nel cast, tra gli altri, anche Bill Murray e Tilda Swinton. 90

di Alessandra Miccinesi

È STATA LA MANO DI DIO Paolo Sorrentino, premio Oscar de “La grande bellezza”, torna ad emozionare con un film intimo e personale: un racconto di formazione dolente e brioso ambientato nella sua città, Napoli Il brontolio del Vesuvio che pare un monito e un ragazzo con il walkman seduto di fronte al mare che ascolta Napul’è. Iniziare a fare i conti con la realtà non è facile per nessuno, specialmente se sei un adolescente costretto a superare la linea d’ombra all’improvviso. Ma il cinema può essere salvifico - sotto ogni punto di vista, per chi lo fa e chi ne gode - poiché entra profondamente nel cuore e nella psiche, rendendo ogni attimo e ogni ricordo indelebili. Il premio Oscar Paolo Sorrentino (Il Divo, The Young Pope) firma il suo film più personale - È stata la mano di Dio, Gran Premio della Giuria a Venezia 2021 - ambientandolo nella sua città. Siamo negli anni Ottanta, periodo dello sbarco di Diego Armando Maradona che

porterà gioia e riscatto ovunque a Napoli, nei vicoli come al Vomero. Il protagonista, Fabietto (Filippo Scotti, miglior attore esordiente al Lido), vive nel capoluogo campano alternando all’euforia del calcio i momenti d’impaccio a scuola. Il giovane timido è cullato dal vociare chiassoso della sua grande famiglia e ama rifugiarsi nell’abbraccio di un cinema dagli echi felliniani. Quando il futuro bussa in modo violento alla porta, Fabio dovrà tracciare una nuova rotta per il suo domani. Cast ricco che affianca Toni Servillo a Teresa Saponangelo, Luisa Ranieri, Renato Carpentieri, Massimiliano Gallo, Marlon Joubert. Regia: Paolo Sorrentino Genere: drammatico

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Contribuisce alla funzionalità della prostata e delle vie urinarie.

Serenoa repens - Solanum lycopersicum

Urgenza di urinare, stimolo frequente anche di notte, svuotamento incompleto della vescica e bruciore sono disturbi maschili che aumentano con l’età. Quando serve può essere d’aiuto una soft gel al giorno di Urogermin Prostata, grazie alla sinergia esclusiva di componenti funzionali. Ogni soft gel infatti non solo apporta 320 mg di Serenoa repens estratto lipidico ma Avovida® - estratto di Avocado e Soia, Solanum lycopersicum titolato in Licopene, più Selenio e Zinco.

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Vivere in armonia

seguendo le stagioni

NEL MESE DELLA BRUMA «Accade che se il sole, o la luna paiono tinti di biancastra corona; se le stelle sian pallide senza nubi, e che sembrano più vicine e più grandi, annunciano futura pioggia» Almanacco Barbanera 1892 a cura di:

NOVEMBRE Un mese dai toni pacati, ovattato dalle nebbie e dall’imbrunire rapido, mentre zucche e tradizioni si affollano sulla Festa dei Santi. A novembre tutto sembra rallentare, il freddo punge dando vigore ai più coraggiosi frutti nell’orto. Ma nei giorni in cui anche la terra sembra prendersi una piccola pausa, sono l’olio e il vino a chiedere attenzioni, ad accendere l’attività in frantoi e cantine. Perché nel brumoso autunno si lavora e si fa festa all’olio nuovo e al vin novello, quello benedetto da san Martino, pronto a farsi assaggiare in allegra compagnia con le castagne. Antichi piaceri che ci tengono di più in casa, mentre nel cuore novembrino giunge la Giornata mondiale della gentilezza, da portare con sé per un mondo migliore. Nell’orto è ancora tempo di semine, mentre in giardino i bulbi chiedono di essere interrati. Nel frutteto il cestino si riempie di salutari agrumi, e nel bosco funghi, corbezzoli e bacche di rosa canina raccontano storie lontane, al ritmo delle stagioni. 92

L’AGLIO (ALLIUM SATIVUM) Fa bene perché... Le virtù di questo ortaggio sono molte: riduce il colesterolo, ha un effetto ipotensivo e svolge un’azione antibiotica per il suo contenuto di solfuro di allile (zolfo), che lo rende anche vasodilatatore, antisettico, espettorante e vermifugo. Il succo del bulbo è utile per neutralizzare il veleno delle vespe. Il proverbio L’aglio è la spezieria dei contadini. Per la coltivazione in vaso occorre terriccio ben concimato in cui mettere a dimora i bulbilli. I vasi, da collocare in punti del balcone soleggiati ma riparati dal vento, devono avere diametro e profondità di almeno 30 cm. La semina In Luna calante, tra ottobre e novembre o da gennaio fino ad aprile, interrare gli spicchi-bulbilli con la punta verso l’alto, a 3-4 cm di profondità, tre per vaso. In terra, distanziare gli spicchi di 10-12 cm. Richiede annaffiature moderate ma frequenti sarchiature. Raccolta e conservazione Quando le foglie diventano gialle tra luglio e agosto - estrarre i bulbi con una paletta e lasciarli asciugare sul vaso o sul terreno per 2-3 giorni. Disporre le teste in cesti, o annodarle in mazzi o trecce da appendere in luoghi freschi e aerati.

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BUONO A SAPERSI! Insalate fatte in casa Siamo salutisti e paladini della sostenibilità. È dunque un piacere poter autoprodurre in casa qualche foglia verde da mettere in tavola. Niente di più facile, anche grazie alla possibilità di acquistare scatole “fai da te” per la produzione familiare di microinsalate. Si tratta di vaschette già preparate con terriccio e sementi, da collocare in un ambiente luminoso, annaffiandole in modo regolare. Quando i semi inizieranno a germogliare, basteranno 7-12 giorni, a seconda di specie e varietà, per avere l’atteso raccolto.

NEL CESTINO DEL MESE

NELL’ORTO, NEL GIARDINO, SUL BALCONE Con l’autunno che avanza, le temperature scendono, la nebbia ammanta orto e giardino, annunciando il temuto arrivo delle prime gelate. Ecco allora che l’operazione importante da fare in questi giorni è proteggere le piante con la pacciamatura. Niente di difficile. Si tratta semplicemente di sottrarle al freddo, dedicando particolare attenzione ai nuovi alberi, tanto nel giardino che nel frutteto, e pure agli arbusti da poco trapiantati, e anche alle rose. Come fare? Basta collocare alla base del fusto uno strato di paglia, foglie, aghi di pino, corteccia o anche erba tagliata. E sarà un’efficace protezione pure per l’orto. Servirà a mantenere più caldo e umido il terreno e a impedire la crescita delle erbe infestanti. Venendo invece alla Luna e alle sue fasi, ecco che in crescente ci attende la semina di fave e piselli, ma dobbiamo pure forzare i radicchi per l’imbianchitura. Da legare e fasciare ci sono anche i gobbi, affinché imbianchino e non gelino. Servirà anche ad averli più dolci e teneri. Nel giardino coprire le specie sensibili al freddo con “tessuto non tessuto” e terminare la messa a dimora dei bulbi a fioritura primaverile. In Luna calante continuare invece la raccolta per la conservazione di cavolfiori, broccoli, finocchi e zucche. Seminare cipolle e aglio. Porre al riparo gli agrumi e raccoglierne i frutti.

COLTIVARE CON LA LUNA

UN PICCOLO FRUTTETO FAMILIARE Se il desiderio è raccogliere frutti coltivati e assaggiare al momento giusto mele, pere e susine, questo è il tempo per mettere a dimora il nostro piccolo frutteto familiare. La cosa migliore sarà scegliere varietà locali che meglio si adattano alle condizioni climatiche e di terreno. Anche andare alla ricerca di varietà tradizionali, magari in estinzione, non solo permetterà di ritrovare sapori dimenticati, ma pure di contribuire a preservare la biodiversità. Infine, la produzione familiare dovrà essere il più possibile scalare, da maggio a novembre. Si comincia allora con la raccolta delle ciliegie, poi qualche susina, e le prime pere; poi ancora susine, pere e prime mele, per arrivare all’autunno con il trionfo della frutta da conservare per l’inverno. Preparate grandi buche, buon concime organico, palo tutore e mettete a dimora con la fase di Luna crescente.

SE HAI ½ GIORNATA

ORTAGGI: bietole, carote, cavolfiore, cavolo broccolo, cavolo cappuccio, cavolo verza, cicorie, cipolle, fagioli, fagiolini, finocchi, indivie, lattughe, melanzane, peperoni, piselli, pomodori, porri, radicchi rossi, rape, rucola, sedano, spinaci, valerianella e zucche. FRUTTA: cachi, castagne, cotogne, fichi, limoni, clementine, mandarini, mandorle, mele, melagrane, noci, nocciole, pere, pompelmi e uva.

AROMI: maggiorana, peperoncino, prezzemolo, rosmarino e salvia.

IL SOLE Il 1° sorge alle 06.33 e tramonta alle 16.54. L’11 sorge alle 06.45 e tramonta alle 16.43. Il 21 sorge alle 06.57 e tramonta alle 16.34. Le giornate si accorciano. Il 1° Novembre si hanno 10 ore e 21 minuti di luce solare e il 30 se ne hanno 9 e 23 minuti. Si perdono 58 minuti di luce solare. LA LUNA Il 1° sorge alle 02.05 e tramonta alle 15.28. L’11 sorge alle 13.27 e tramonta alle 23.21. Il 21 tramonta alle 08.53 e sorge alle 18.46. Luna calante dal 1° al 3 e dal 20 al 30. Luna crescente dal 5 al 18. Luna Nuova il 4, Luna Piena il 19. novembre 2021 | spazio50.org

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Giochi

Stuzzica Cervello

di di Lionello e Favolino

di Enrico Diglio

TEST 1 Osservate attentamente le seguenti cinque figure e dite quale delle sottostanti quattro figure contrassegnate da lettere va inserita al posto del punto interrogativo, secondo un criterio logico da determinare.

REBUS Lionello 13 6...

REBUS Lionello ...5 2 8

a)

b)

c)

d)

TEST 2 Osservate le seguenti dieci coppie di lettere e numeri e il loro colore, e dite quale numero - secondo logica - va sostituito al punto interrogativo nella decima coppia.

» L’EDERA DEL GIARDINO Accanto a un busto femminile, in alto la sua presenza - macchia di colore sembra sia fatta a posta, per lasciare il suo ricordo: ove s’attacca muore. » MADAMINA Madamina con passo lento va a passeggio dopo la pioggia e lo strascico d’argento lascia sempre dove s’appoggia. Va in giro, in largo e in tondo questa dama girandolona che passeggia nei suoi giardini ma la casa mai abbandona.

TEST 3 Osservate attentamente il sottostante gruppo di figure e andate a pagina 96. TEST 3 Osservate attentamente il seguente gruppo di figure e andate a pag

INDOVINELLI Favolino

Soluzioni a pag. 96 94

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Modalità di invio Telefonare al 3533700656.

Relazioni personali

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Queste pagine sono dedicate a chi cerca un’amicizia, o un compagno di vita; a chi vuole affittare, comprare o vendere immobili, a chi cerca un lavoro, oggetti rari e curiosi e ai collezionisti

Le inserzioni possono essere indirizzate a mezzo posta a: 50&Più, Via del Melangolo, 26 00186 Roma, oppure tramite posta elettronica all’indirizzo: redazione@50epiu.it. Vengono accettate solo se firmate in modo leggibile e corredate della fotocopia del documento d’identità del firmatario, fermo restando il diritto all’anonimato per chi ne faccia richiesta.

re. Desidero una donna libera, magra, dolce, romantica, sincera, non fumatrice, per condividere la fine della vita. Telefonare al 3406570505. 66enne, bella presenza, giovanile, sportivo, raffinato, conoscerebbe signora con bella mente e animo ricco, per amicizia ed eventuali sviluppi. Telefonare al 3336574837. 70enne, bella presenza, benestante. Vivo in una casa in collina con vista mare, in provincia di Cosenza, una zona di prestigio turistico e interesse naturalistico. Cerco una compagna da 60 anni in su, per convivenza. Telefonare al 333776072. 50enne ottimista, amante arte, natura e psicologia, conoscerebbe ragazza o signora residente a Roma, per amicizia ed eventuale relazione. Telefonare al 3245634553. Sono un modesto pensionato 75enne, vedovo da 5 anni. Desidero una compagna italiana, età 66-72 anni, non fumatrice, con patente di guida, di Bologna, Ferrara o relative province. Telefonare al 3338012780. 70 anni, celibe, economicamente benestante, autonomo, pensionato statale, cerca donna libera sotto l’aspetto sentimentale e familiare, per

convivenza con futuri sviluppi e disposta a trasferirsi dopo opportuna conoscenza. Vivo nelle Marche, a 300 mt dal mare. Telefonare al 3480603898. Signora 78enne, vedova, residente nella regione Lazio, avrebbe piacere di conoscere un uomo anche di altre regioni per cercare un’amicizia ed in seguito, se d’accordo, anche convivenza. Telefonare al 3395317379.

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Collezionismo Cedo 13 volumi delle copertine della Domenica del Corriere, finemente rilegate con fregi dorati, che vanno dal 1899 al 1975. Chiedo 20 euro per volume e l’acquisto in blocco. Telefonare al 3479034898.

TUTTE LE INSERZIONI SONO PUBBLICATE GRATUITAMENTE E NON DEVONO SUPERARE LE 50 PAROLE LA REDAZIONE NON RISPONDE DEL CONTENUTO DELL’INSERZIONE. L’art. 6, comma 8, del D.L. 4/6/2013 n. 63, convertito nella L. 3/8/2013 n. 90, ha imposto di riportare negli annunci di vendita o di locazione di immobili, l’indice di prestazione energetica dell’involucro edilizio globale o dell’unità immobiliare e la classe energetica corrispondente. Lo stesso D.L. ha previsto, inoltre (art. 12), che in caso di violazione di tale obbligo, il responsabile dell’annuncio è punito con una sanzione amministrativa non inferiore a 500 euro e non superiore a 3.000 euro. A tal proposito, evidenziamo che per la pubblicazione accetteremo solo annunci che riportino anche quanto previsto dal suddetto art. 6, comma 8. novembre 2021 | spazio50.org

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INDOVINELLI L’edera del giardino = Il francobollo Madamina = La chiocciola

Stuzzica cervello TEST 1 - La figura da sostituire al punto interrogativo è quella contrassegnata dalla lettera c). Essa, infatti, permette di rispettare il seguente criterio logico: tra le quattro opzioni di soluzione proposte è l’unica ad essere diversa dalle cinque figure rappresentate all’inizio del test. TEST 2 - Il numero che va sostituito al punto interrogativo è 3. Esso, infatti, permette di rispettare il criterio logico valido per le altre nove coppie di lettere e numeri: nelle coppie di colore verde il numero rappresenta il numero dei tratti rettilinei che compongono la lettera associata aumentato di un’unità, mentre nelle coppie di colore rosso il numero rappresenta quello dei tratti rettilinei che compongono la lettera associata diminuito di un’unità. Quindi, ad esempio:

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BAZAR

a cura del Centro Studi 50&Più

SALUTE UN NANOPACEMAKER ANTI-PARKINSON Frutto di una cooperazione internazionale e finanziato con oltre tre milioni di euro dalla Commissione europea, il progetto “Ion Neuromodulation for Epilepsy Treatment” sta cercando di realizzare un microscopico pacemaker che, una volta impiantato nel cervello, moduli lo scambio ionico fra i neuroni spegnendo così tutte quelle problematiche elettriche causate dal Parkinson e dalle crisi epilettiche. C’è ancora un po’ da aspettare: partito lo scorso anno, il progetto si concluderà nel 2024. ALLARME OSTEOPOROSI Nel corso della vita il 40% circa della popolazione incorre in una frattura di femore, vertebra o polso, in maggioranza dopo i 65 anni. Gli specialisti hanno quindi avanzato la previsione che nel 2050 gli uomini over 60 con fratture del femore o dell’anca aumenteranno di 10 volte. Oggi, in Italia - secondo i dati del Ministero della Salute -, circa 5 milioni di persone sono affette da osteoporosi e l’80% sono donne in post menopausa. Ne soffrono il 23% delle donne oltre i 40 anni e il 14% degli uomini over 60.

DISABILITÀ UN CONTRASSEGNO UNICO PER L’AUTO Ad ottobre è arrivato anche in Italia il Contrassegno Unico Disabili Europeo (Cude). Oltre a sostituire il vecchio, il nuovo Cude porta con sé diverse inno-

Questo spazio offre informazioni, curiosità, notizie utili. Come ogni bazar, sarà luogo d’incontro e di scambio. Potete quindi inviarci le vostre segnalazioni e quesiti a: centrostudi@50epiu.it

vazioni per il titolare. Con questo, infatti, si può circolare in tutta l’Unione europea e non si dovrà più contattare il comune del luogo in cui ci si vuole recare per farsi “accreditare”. Attenzione però: il contrassegno è strettamente personale ed utilizzabile solo in presenza dell’intestatario. www.ilportaledellautomobilista.it

PROGETTI IN CORSO SILVER LIFE, LA VITA NEI BORGHI C’è una nuovo modo per “inventarsi” una vita diversa arrivati alla terza età. È il progetto “SilverLife - Riabitare i borghi di Biella”. Nato sia per evitarne lo spopolamento che per proporre un modello comunitario e sostenibile, è frutto della cooperazione del Politecnico di Milano con il Consorzio Sociale “Il Filo da Tessere” e PlanetB - “Luoghi e progetti per l’economia civile”. L’iniziativa è rivolta a tutti quegli over 65 ritiratisi dal lavoro ma ancora con tanta voglia di impegnarsi per il bene comune. www.silver-life.it UN BADANTE “AGRICOLO” DI COMUNITÀ Un incontro di generazioni e di culture, un’occasione di inclusione e integrazione, un modo per aiutare le persone anziane nella gestione del proprio orto o giardino. Così si potrebbe riassumere il progetto “Badante agricolo di comunità”. Partito ad Ivrea, il suo scopo è rendere gli orti sociali e i giardini uno spazio privilegiato in cui fare comunità, ma soprattutto un luogo di incontro e scambio tra nuovi cittadini e popolazione locale. www.ecoredia.it

ANDARE IN PENSIONE RISCATTO DELLA LAUREA? ECCO IL SIMULATORE ONLINE Decidere “come” e “se” riscattare la laurea per avvicinarsi alla pensione potrebbe non essere più così complesso, se non impossibile. Oggi, sul portale dell’INPS, è online un “simulatore” adatto proprio a chi ha iniziato a studiare e lavorare dopo il 1995 o è inoccupato. È già in cantiere però una versione 2.0 utilizzabile anche dai lavoratori “senior”. Un modo veloce, dunque, per verificare i costi e gli eventuali vantaggi esistenti al fine di riscattare gli anni di studio per la pensione. www.inps.it

FILM SUPERNOVA Regia di H. Macqueen Con S. Tucci, C. Firth, J. Dreyfus Gran Bretagna, 2020 Sam e Tusker, sessantenni, sono compagni di vita. Il primo pianista, il secondo scrittore, hanno sempre condiviso la loro passione per l’arte. Tusker però ha scoperto di essere affetto da demenza precoce, motivo per cui decide di prendersi una vacanza dalla realtà. A bordo di un camper, rivisita con Sam luoghi e persone del loro passato. Durante il viaggio entrambi dovranno fare i conti con la malattia e la trasformazione del loro rapporto. In Supernova, road movie ricco di sfumature, lo sguardo con cui Sam abbraccia e custodisce Tusker è una testimonianza visiva di quanto desideri trattenerlo accanto a sé, proprio mentre a poco a poco lo vede scivolare via.

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Lettere al direttore

Risponde Giovanna Vecchiotti Direttore responsabile 50&Più

LA MATERNITÀ E LE SUE DIVERSE FORME Il non essere madre non impedisce di vivere l’amore genitoriale attraverso i bambini con cui si condivide una parte della propria vita Gentile Direttore, sono una fedele lettrice della vostra rivista, che seguo ormai da tanti anni, e apprezzo molto. Le scrivo perché vorrei raccontare brevemente la mia vita; non che sia stata straordinaria sotto qualche punto di vista, ma solo perché credo che la mia esperienza possa essere d’aiuto a qualche altra donna che si trovi nella mia stessa condizione. Ho quasi 70 anni, una laurea in Storia e Filosofia ed una vita trascorsa a lavorare in piccole società. In realtà di lavori ne ho cambiati molti, ma ogni volta ho scelto piccole realtà, molto più stimolanti dal punto di vista lavorativo e con un calore umano più forte. Ho imperniato la mia esistenza sull’autonomia, sull’indipendenza, cercando di non essere di peso a nessuno. Come avrà già capito non mi sono mai sposata né ho avuto (e non ho tuttora) un compagno fisso. Sfortunata? Non credo. Perché penso che il mio bisogno di essere totalmente autonoma abbia sempre un po’ intimorito gli uomini che mi hanno affiancata in un tratto più o meno lungo della mia vita. Il rifiutare il matrimonio, solo perché “socialmente utile”, è stata una scelta che spesso ho pagato, ma che rifarei senza esitazione. Con un unico cruccio: quello di non aver avuto figli. Perché negli anni della mia giovinezza, avere un figlio al di fuori del vincolo matrimoniale era pressoché improponibile. Come ho sop-

perito al mio desiderio di maternità? Dedicandomi molto ai bambini. Ho fatto la baby-sitter a decine di neonati, ho aiutato i figli delle mie amiche a fare i compiti, ho fatto volontariato nei campi scuola estivi e così via. Insomma, mi sono sempre circondata di bambini, e anche se non avevano nel loro corpo una parte del mio Dna, certamente avevano un pezzetto del mio cuore. E io del loro. È vero, io non ho avuto un figlio. Perché ne ho avuti a centinaia. Dora Angeli La sua esperienza, signora Dora, è certamente d’aiuto a molte nostre lettrici. Il non aver avuto un figlio “tutto suo” non le ha impedito, infatti, di distribuire amore a tanti altri bambini, anche solo accudendoli appena nati oppure affiancandoli durante l’estate o, ancora, aiutandoli a fare i compiti dopo la scuola. L’amore può avere tante sfaccettature e lei ne ha conosciute diverse: una per ogni bambino a cui ha donato un pezzetto di cuore, ricevendone un altro in cambio. Essere genitore va molto al di là dal mettere al mondo un bambino. E non tutti sono pronti ad un compito così gravoso. Lei, signora Dora, è riuscita a regalare felicità a tanti piccoli come, o forse più, di tanti genitori. Continui così, perché regalare la felicità, oltre a far bene a chi la riceve, migliora la vita a chi la offre. E lei ha ancora tanta vita davanti a sé. Auguri.

PARLIAMONE... Chi volesse scrivere a Giovanna Vecchiotti può farlo: per posta - C/O Redazione 50&Più Via del Melangolo, 26 - (RM) per fax - 066872597 per email - g.vecchiotti@50epiu.it 98

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spazio50.org | novembre 2021

15/10/21 14:28


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12/07/2021 12:17:39


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