Novembre 2021

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Il TERZO tempo

QUELLA PAURA DI INVECCHIARE di Lidia Ravera

V

i farò una confessione: certe volte mi capita di vergognarmi della mia età. Sono diventata scema? No, sono condizionata da quello che sento. Che ascolto. Io sono una persona terribilmente curiosa. Se salgo su un mezzo pubblico, se sto in fila per entrare in farmacia o per ritirare una raccomandata alla posta, non posso fare a meno di allungare le orecchie. È così che colgo lo spirito del tempo, è così che faccio le mie piccole scoperte sociologiche. Quella che ho fatto quest’estate, adesso che andiamo verso l’inverno, la condivido con voi. Così alleggerisco il peso, così mi consolo. Scena: un gelataio di città, con i tavolini fuori, un gruppo di trenta/ quarantenni vestiti da adolescenti, tatuati da “coatti”, come si chiamano a Roma quelli un po’ cafoni, un po’ ruvidi, un po’ esibizionisti, un po’ borgatari (gente di periferia), coi capelli gelatinati i maschi, coi capelli piastrati le femmine. Tutti tendenti al nudo: pancini femminili, bicipiti maschili. Magliette slabbrate. Bene, ho evocato la scena: il gruppo di simil giovani parla di una terza, assente. «Si, figurati, 28 anni! Quella ne ha almeno 32», dice una lei. 12

E la sua amica: «32? Ma se ne ho 36 io!» Un maschio: «Da quanti anni è che ne hai 36?» Una risata coinvolge i presenti, meno la trentaseienne cronica. Perché vi sto raccontando questo? Perché mi sono formata la convinzione che tutti, ma proprio tutti, nella nostra magnifica società occidentale, hanno il terrore di essere “i vecchi”, incalzati dal nuovo che avanza. Le giovani donne sedute attorno al tavolino di quella innocua gelateria si mettono a parlare, fitto fitto, fra loro, di una “pischella” ventiduenne che ha sedotto un comune amico-assente, facendolo divorziare dalla moglie. Della moglie vengono cantate le lodi per dieci minuti, poi spunta la maldicenza. «No, dico, ma l’hai vista? Ha 40 anni scarsi e ne dimostra 50». «No, dai, 50 no!» protesta, la trentaseienne, che deve avere trentasei anni da tempo immemorabile, a guardarla con la luce piena del giorno, mese più mese meno. Il modo in cui pronunciano il numero 50 (cinquanta, come la nostra gloriosa Testata) rivela una ripugnanza intollerabile. Tutti cercano di allontanarsi dall’epicentro del dramma: il momento in cui uscirai dalla giovinezza, non sarai

più “pischello” (guaglione, regazzino, lolita, ecc.). Mi chiedo che cosa pensano di me, che i cinquanta li ho passati da un pezzo. Gli faccio pena? Li guardo, li guardo mentre non mi guardano e mi rispondo: niente, non pensano niente. Non mi vedono. Vogliono soltanto stare fra loro. Non provano nessun interesse verso

spazio50.org | novembre 2021

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