KITIJA LAKSA PAROLA DI RECUPIDO LIGA VENTE A1: ECCO LE 4 STRANIERE A2: TUTTO SU PLAYOFF & PLAYOUT ESTATE AZZURRINA UNA STORIA DAL 2040
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MAG-GIU 2022
MAGGIO - GIUGNO 2022
N.38
in questo numero 1 EDITORIALE
Irriducibili sognatori
3 inside A1
La stagione ai raggi x
11 Focus
Ecco le 4 straniere
17 cover story Laksa MVP3
23 inside A2
Missione compiuta
29 Primo piano
Vente, Miss Promozione
35 ORIZZONTI
Estate azzurrina
41 storie
Notte prima della finale
45 PALLA E PSICHE
Life balance, prevenire il burnout
REDAZIONE Silvia Gottardi,
Simone Fulciniti, Manuel Beck, Laura Fois, Francesco Velluzzi, Massimo Mattacheo, Alice Buffoni, Eduardo Lubrano
PROGETTO GRAFICO Linda Ronzoni/ Meccano Floreal
IMPAGINAZIONE Grazia Cupolillo/ Meccano Floreal
FOTO DI Marco Brioschi, Famila Schio, Reyer Venezia, Baloncesto Espana, Olimpia Milano PINK BASKET è un periodico di proprietà di Silvia Gottardi
editoriale
IRRIDUCIBILI SOGNATORI DI silvia gottardi Siamo ai titoli di coda anche di questa stagione cestistica. I campionati di A1 e A2 sono ormai archiviati. Mentre scrivo si sta ancora giocando nei playoff nazionali di B, in altre categorie minors e nelle finali giovanili. L’estate che ci aspetta non prevede impegni per la nostra Nazionale, che ancora una volta non si è qualificata per i Mondiali, in programma in Australia a fine settembre. La nostra ultima apparizione alla manifestazione iridata ormai risale al lontano 1994, quando – proprio in Australia – Pollini, Tufano, Ballabio & co. si piazzarono all’undicesimo posto. È solo una magra consolazione sapere che anche la grande Spagna, dopo aver steccato gli ultimi Europei, non si è qualificata. Esclusa anche la Russia, per i noti motivi che vanno ben oltre il basket giocato. La nostra Nazionale, in versione molto sperimentale, ha fatto però vedere cose interessanti nel Torneo di Melilla: speriamo sia l’inizio di un percorso che ci possa portare a competere a livelli più alti. Vedremo anche se la decisione di scommettere sulle 4 straniere in A1 la prossima stagione aiuterà le nostre a crescere o le relegherà ancora di più ad un ruolo da comprimarie (ne parliamo nel focus). Quest’estate si giocherà molto con le Nazionali giovanili, di cui vi raccontiamo nel dettaglio nel pezzo Estate azzurrina. Intanto ci tengono compagnia i colpi di mercato, il 3x3 e la WNBA: la nostra Cubaj sta trovando qualche minuto in campo con le Liberty, anche se nelle prime 7 partite giocate ha messo solo 2 punti a referto, segnati alla prima uscita contro Connecticut. Diamole tempo. C’è poi anche il nostro camp Pink Basket Pro Workout con Francesca Di Chiara, Francesca Zara e Diego Squaizer, perché continuare ad allenarsi d’estate è fondamentale per fare il salto di qualità e diventare giocatrici migliori. Per quanto riguarda noi, invece, che le scarpe le abbiamo appese da tempo al chiodo, possiamo staccare la spina e goderci le vacanze, in attesa di capire se questo sarà l’ultimo numero del magazine oppure se a settembre continueremo a raccontarvi il mondo del basket femminile. Comunque vada, è stata una bella avventura durata 38 numeri, 3.059.298 impressions e 107.190 letture (che sono un’enormità per il nostro mondo, e dopo la pubblicazione di questo numero chiaramente aumenteranno ancora). Oltre a ringraziare tutti quelli che ci hanno letto e seguito con affetto, ringrazio i miei collaboratori che in questi anni mi hanno aiutata mettendoci tanto entusiasmo, oltre che tanta professionalità. Vi salutiamo con Notte prima della finale, ovvero il racconto di come immaginiamo la Nazionale alle Olimpiadi di Roma 2040 (nell’ambito di un basket e di una società diversi, ma forse non così impossibili...) perché, nonostante tutto, rimaniamo dei sognatori! Buone vacanze!
GIORGIA SOTTANA PER RECUPIDO MVP DELLA STAGIONE, VIVE A PIENO LA MATURITÀ ED È DECISIVA NEI MOMENTI IMPORTANTI.
inside A1
LA STAGIONE AI RAGGI X LA VITTORIA DI SCHIO, LA SORPRENDENTE BOLOGNA DI GIANOLLA. LA DELUSIONE REYER,
BALLARDINI CHE AL DEBUTTO SALVA FAENZA. IL COMMENTO ALLA STAGIONE CON COACH RECUPIDO, TRA PRESENTE, PASSATO, FUTURO ED UNA GOCCIA D’AMARCORD
di Simone Fulciniti
U
na stagione ricca di emozioni e di colpi di scena. Un
bel livello di gioco, atlete straordinarie, forze nuove che stanno crescendo, qualcuna davvero potente. In grado di mettere pressione alle grandi corazzate Schio e Venezia. Un campionato che ha posto in luce nuove idee di gioco, giovani italiane che assicurano un futuro importante ad una Nazionale alla costante ricerca della consacrazione. Per analizzare l’annata del grande basket femminile, abbiamo pensato di avvalerci del supporto di uno dei migliori coach italiani: Gianni Recupido, allenatore dell’anno 2019, che ha dato alla sua Ragusa un’identità precisa, attraverso un progetto giovane che ha acceso i riflettori su giocatrici straordinarie come Kuier, Santucci, Hebard, solo per fare qualche esempio. Gianni, che campionato è stato quello di A1 che si è appena concluso? Dal punto di vista tecnico rispetto a quando ho cominciato io col basket femminile c’è una maggiore ricerca della velocità, del gioco in transizione, del gioco rapido in corsa.
Si usano di più i raddoppi, e la pressione a tutto campo. È anche vero che le letture che erano in grado di mostrare le varie Macchi, Masciadri, Godin e qualche altra giocatrice, sono un po’ venute meno. Ci sono meno capacità. Tranne qualche eccezione come Schio che invece, pur avendo aumentato i ritmi, mantiene un livello di letture molto alto. Comunque è stato un bel campionato vinto dalla squadra più forte, meglio costruita e meglio allenata. Quindi Schio resta la squadra da battere… Assolutamente sì. E lo hanno dimostrato rimanendo imbattute tutto l’anno in Italia. Hanno perso una partita con noi nei play off, che diciamolo, è stata un capolavoro, e ci è andato tutto bene. Poi hanno ceduto a Bologna di uno, quando la partita sembrava ormai vinta. Si sono dimostrate nelle due serie, con noi e Bologna, nettamente superiori. Qual è la grande forza del club “orange”? Sicuramente l’aspetto economico conta: puoi scegliere
inside A1 GIANNI RECUPIDO DOPO UNA STAGIONE COMPLICATA CON LA SUA RAGUSA, HA DECISO DI LASCIARE IL CLUB A CUI È LEGATO DA UNA VITA. AVEVA ANCORA UN ANNO DI CONTRATTO.
meglio, puoi togliere pedine agli avversari, puoi mettere in panchina giocatrici che nelle altre squadre partirebbero titolari alzandone il livello. Però questo da solo non basta: loro hanno una grandissima organizzazione, tradizione e abitudine a vincere, Sembra una sciocchezza, ma appena arrivi a Schio impari a vincere. E poi la fortuna di avere sempre allenatori di alto livello, anche cambiando radicalmente come è successo lo scorso anno da Pierre Vincent a Georgios Dikaioulakos, hanno mantenuto un range altissimo di qualità di gioco. Una Società strutturata con tante persone che lavorano bene e sanno come si trasmette questa mentalità vincente. Danno l’idea a chi arriva che ci sono obiettivi, che tutto è programmato. E ovviamente occorre la qualità delle giocatrici.
simo Romano, nella finale di Eurocup, e nella semifinale dei play off con Bologna. Questa squadra denotava l’incapacità di reagire alle difficoltà. Un atteggiamento arrendevole. Quando segni 36 punti in una partita è chiaro che smetti di lottare, non tiri fuori più niente. E questo credo che sia stato un modo del gruppo di manifestare un certo disagio. Anche se è difficile parlare quando non sei dentro la situazione. Mi permetto di dire che quando avviene questo il coach può influire poco. L’allenatore influisce quando invece di perdere di 6 vinci di 2. Ma in caso di sconfitta di 30 c’è poco da cambiare, la squadra si è arresa. Ogni volta si fanno i processi, e l’allenatore viene esonerato. Ma è qualcosa che esplode nel gruppo.
Da Venezia sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più? Molto di più. La scorsa stagione hanno mostrato una bellissima pallacanestro, ma probabilmente il ciclo era finito. Magari è successo qualcosa che ha velocizzato le cose. E poi si paga, a mio parere, il cambio dell’allenatore in corsa; alla fine è una ferita che rimane aperta. Senza dare colpa a chi stava in panchina prima o dopo. Quando succedono questi fatti, il 90% delle volte la squadra paga e credo che la Reyer non abbia fatto eccezione. C’è bisogno di una “rivoluzione”, cosa che stanno mettendo in atto.
Bologna la consideri una sorpresa, oppure te l’aspettavi che potesse approdare in finale? Sopresa no. Perché potenzialmente è una Ferrari, e a tratti ha corso come una Ferrari. Però ancora qualcosa nella struttura manca: è una Società nuova nel femminile, hanno bisogno di esperienza, di alzare il livello delle straniere, e aggiustare qualcosa con le italiane. Ma operano bene e con le disponibilità economiche che hanno e con l’aiuto dell’esperienza nel maschile a mio giudizio faranno grandissime cose. Per la prossima stagione stanno costruendo un roster pari, se non superiore a quello delle altre contendenti, e sarà una delle candidate alla vittoria finale.
La sconfitta in finale di Eurocup potrebbe aver influito psicologicamente? Perdere di oltre 30 punti segnandone meno di 40 si è verificato tre volte per loro: prima dell’esonero di Mas-
Ragusa poteva fare di più, o ha fatto il massimo? Chissà se avessimo avuto la possibilità di poter lavorare tutti insieme tutto l’anno dove saremmo potuti arrivare.
Abbiamo fatto meglio del precedente arrivando terzi. Nel play off 2021 perdemmo la semifinale 2-0; nel 2022 abbiamo portato Schio a gara 3. Vincendone una e facendola soffrire nella seconda. L’evoluzione delle giocatrici, l’obiettivo che avevamo per un ciclo che si era aperto tre anni fa, c’è stata; ed è un traguardo raggiunto. Peccato per gli infortuni, che ci hanno costretti a cambi di assetti, a mesi giocati senza lunghe di riferimento. Per poi ribaltare la situazione alla fine. Un po’ di rammarico quindi c’è: la squadra era stata costruita con dieci elementi per la prima volta nella nostra storia, giovani ma dieci. Avremmo potuto giocare un basket aggressivo, di corsa. Invece questa possibilità è venuta a mancare, avendo a disposizione solo cinque o sei ragazze, e come detto, cambiando
to sono disposto a prendere in considerazione la cosa. A me piace stare sul campo. Nelle ultime stagioni hai affrontato fior di tecnici che hanno guidato le squadre nell’A1 femminile. Un percorso che ti ha aiutato a crescere... Altroché. Grandi stimoli. Specie le serie dei play off dove devi trovare adattamenti in tempi rapidi e capisci veramente come giocano i tuoi avversari. Per esempio, studiare Vincent prima e Dikaioulakos dopo è bello, capisci il sistema, l’idea di gioco dell’avversario e ovviamente rubi. E cresci tantissimo. Il campionato ha un buon livello di allenatori: Cinzia Zanotti che guida alla grande il Geas Sesto San Giovanni, Luca Andreoli che ha lanciato Luc-
Non sono per le quote rosa, che ritengo offensive. Sono per il merito: ci sono donne che hanno personalità, competenze, conoscenze e devono essere messe in condizione di poter lavorare. assetto di continuo. Alla fine sono contento del risultato, certo, ma il cammino è stato troppo travagliato. La partenza di Tagliamento durante il campionato? Un problema grosso. Marzia è una grande giocatrice e stava disputando la migliore stagione della sua carriera come percentuali, minuti, rendimento, valutazione. Ci sono stati dei problemi interni, una frattura insanabile che ha imposto una scelta. E a noi alla fine è mancata molto. Quando sono stato costretto a giocare con 5 lunghe senza pericolosità dal perimetro. Danno tecnico e morale. Perdere pezzi durante l’anno non è cosa positiva. Senza dare colpe a nessuno, dico che si poteva gestire meglio la situazione. La decisione di separarti dal Club, comunicata dopo l’ultima partita, quando è stata maturata? Durante il campionato. Le difficoltà di quest’anno sono state infinite. Non sempre c’è stata unità di vedute con la Società. Dopo tanti anni che si lavora insieme, con la confidenza, le cose vengono fuori di più. Ho perso troppe energie, non avevo più le forze per motivare l’ambiente. E anche la Società necessitava di stimoli nuovi. Avevo un altro anno di contratto, ma era insensato prolungare una cosa che non sarebbe andata bene. Una scelta giusta: dividerci, restare in ottimi rapporti, aperti a future collaborazioni. Il progetto non aveva più ragione di esistere. E adesso? La comunicazione tardiva non mi aiuta a trovare squadra. Da 26 anni faccio l’allenatore tra maschile e femminile. Anche fermarsi un attimo potrebbe essere positivo per rigenerarsi. Se poi arriva un progetto intrigante a quel pun-
ca come vera sorpresa del campionato, Lorenzo Serventi con la sua esperienza a San Martino. Giocare contro di loro è sempre costruttivo. La miglior giocatrice del campionato ’21/’22? Vado controcorrente: secondo me la numero uno è stata Giorgia Sottana. È rimasta una giocatrice tecnica, dalle grandi letture. Chiama i giochi giusti, manda la palla dove deve andare. Mi ha stupito, vive il pieno della maturità. Non può più segnare trenta punti a partita, ma il suo tipo di prestazione innalza il valore della squadra. Io sono innamorato dei vecchi playmaker di una volta, quelli che oggi non ci sono più. Lei non lo era, ma quest’anno l’ha fatto alla grande. Penso alla finale di Coppa Italia: mvp giustamente a Laksa, ma è stata Sottana a passare i palloni a Laksa al momento giusto e a Gruda per fare i canestri decisivi. E ha vinto la partita. Così come nelle finali scudetto. In gara tre non l’ha fatto e hanno perso, in gara quattro l’ha rifatto e hanno vinto. Due allenatrici, Gianolla e Ballardini, sono subentrate in corsa e facendo benissimo... Intanto parliamo di due ex giocatrici di primissimo piano, che conoscono bene il mondo del basket. Angela Gianolla playmaker enorme e Simona Ballardini, impossibile condensare la sua grandezza in poche parole. Credo che questa linea si debba cavalcare di più. Io non sono per le quote rosa, che ritengo offensive. Sono per il merito: ci sono donne che hanno personalità, competenze, conoscenze e devono essere messe in condizione di poter lavorare. E ce ne saranno altre già pronte. Anche meglio degli uomini: la gestione del femminile è complicata per noi uomini che vediamo tutto bianco o nero;
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inside A1 non cogliamo le sfumature. Le donne invece sono più attente: non a caso ho spesso e volentieri voluto una assistente donna. C’è una partita che vorresti rigiocare? Gara due in casa con Schio. Se piazziamo il colpo lì poi andiamo a Bologna a giocarcela. In campionato rigiocherei con Broni, dove la squadra è arrivata disfatta. Magari finivamo terzi invece che quarti e non trovavamo Schio in semifinale. Ma lo sport ti toglie e ti dà, e alla fine uno prende quello che si merita. Prima hai citato Chicca Macchi, ti ricorda qualcosa? Le finali scudetto 2015? Fece una vera magia in gara 5 a Schio, una sconfitta che maturammo all’ultimo secondo. Era il mio primo anno come assistente di Nino Molino. Schio oltre a Macchi, aveva Masciadri, Yacoubou al massimo della condizione, Anderson che su ogni blocco leggeva perfettamente qualsiasi scelta tu facevi e ti puniva, e poi c’era Ress. Un livello di letture che adesso non c’è più. Da capo allenatore avresti gestito diversamente quel finale? Nino per me è stato un maestro: mi ha aperto gli occhi
sul femminile, e sulla gestione del gruppo squadra. Quella partita la vinse Schio, non la perse Ragusa. Ricordo il canestro da tre di tabella di Honti che spesso la notte in sogno mi perseguita, e quel capolavoro di Macchi, sul quale non puoi fare niente. E poi due palle perse nostre in maniera stupida, un fallo dubbio chiamato a Ivezic. Io l’avrei giocata uguale a Nino, visto che a una manciata di secondi dalla fine eravamo sette punti sopra. Nel basket contano gli episodi. Si fa presto a dire potevano fare così o cosà. Nino l’ha giocata alla grande, gestendo il finale in maniera eccellente. Siamo stati sfortunati. Una serie leggendaria... La più bella finale degli ultimi anni: anche per merito di Molino che riusciva costantemente a mettere in crisi Schio. Quella fu la volta in cui siamo andati più vicini allo scudetto. Anche nel 2018, quando avevo Hamby e Ndour, e andammo a gara 5, combattuta ma non fu la stessa cosa. Molino è approdato a Castelnuovo Scrivia... È rientrato in un bel progetto, con persone attente e preparate. Gli auguro di avere buoni successi. Così come a Sassari, Campobasso, progetti dove la gente investe, sa quello che vuole e va lasciata lavorare in pace.
Che cosa resterà della finale scudetto, oltre alla supremazia di Schio, alle prodezze da mvp di Laksa, al canestro vincente di Zandalasini in gara-3? Senza dubbio il pubblico: 10.800 gli spettatori ufficiali nella somma delle 4 partite, probabilmente di più se si considera che i 3500 di Bologna per G4 sembravano vicini ai 4000, osservando il colpo d’occhio del PalaDozza. Ma c’è stato anche un pubblico mancato: quello televisivo. Nemmeno per l’atto finale si è trovata un’emittente – a parte il canale di LBF – per mostrare il meglio che il nostro basket potesse offrire. E le due finaliste non hanno gradito. Ha dichiarato il patron scledense Cestaro: «Dobbiamo andare di più in televisione, ormai è diventato indispensabile per il nostro movimento». Ancora più netto l’AD virtussino Baraldi: «È incredibile che una finale scudetto femminile non abbia avuto l’attenzione del mondo televisivo. La colpa però non è delle tv: le istituzioni non valorizzano il prodotto come fa la pallavolo che è sempre in Rai. Zanetti e Cestaro, Brugnaro e la Molisana a Campobasso investono forti somme ed energie. La gestione del basket dovrebbe migliorare molto perché se investire diventa una colpa, allora ci fermiamo». Un doppio missile che speriamo produca effetti positivi, anche se ci tocca commentare – pur col massimo rispetto per Cestaro e Baraldi – che il loro sfogo è sacrosanto ma tardivo. Non è impresa facile trovare chi trasmetta il basket femminile a condizioni soddisfacenti, ma l’allarme sul fatto che l’esposizione limitata allo streaming e al canale di Lega mortificasse la visibilità del campionato doveva essere lanciato subito, non quando ormai non si poteva più rimediare. Per fortuna, la Virtus per ora non si ferma… anzi, ha rilanciato alla grandissima con un mercato d’assalto. Per concludere – completando così il bilancio stagionale dello scorso numero – parliamo anche di chi ha lasciato l’A1 in queste ultime settimane. Sul campo è toccato a Broni, battuta 0-2 da Moncalieri nell’ultimo turno di playout: a fare la differenza, con 39 punti in due gare, è stata il recente innesto Vanloo (non senza il contributo della pattuglia “operaia” delle italiane), mentre le pavesi hanno ceduto malamente il fattore-campo in gara-1 e hanno mancato nella volata di gara-2 la chance di rinviare tutto alla terza partita. Lasciano quindi la massima serie dopo 6 anni. È durata solo 3 stagioni, invece, la permanenza di Costa Masnaga in A1. E non certo per i risultati, anzi: il 6° posto appena conquistato era il massimo picco per il club brianzolo. Che però ha dovuto fare un passo indietro, scambiando i diritti con quelli di A2 di Brescia. Dopo le partenze di Matilde Villa e Spreafico, le punte del nucleo italiano, la società ha valutato che per restare competitiva avrebbe dovuto snaturare la propria filosofia improntata alle giocatrici di casa. L’A1 guadagna così una piazza di notevoli dimensioni e in crescita cestistica, come Brescia, ma perde la Grande Utopia masnaghese: una squadra capace di raggiungere i playoff per due anni di fila con una maggioranza di giocatrici del proprio vivaio. Manuel Beck
CECILIA ZANDALASINI GUIDA UNA SORPRENDENTE VIRTUS FINO IN FINALE, ELIMINANDO IN SEMIFINALE UNA REYER CHE PERÒ QUEST’ANNO HA DELUSO.
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RACCOLTA PUNTI 2022
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EUROPA I CLUB IMPEGNATI IN EUROPA GIÀ SCHIERAVANO LE 4 STRANIERE IN COPPA, COME VENEZIA E SCHIO. IN CAMPIONATO INVECE SOLO 3. IN FOTO ASTOU NDOUR.
focus
ECCO LE 4 STRANIERE
ARCHIVIATO IL CAMPIONATO DI A1 21/22 I CLUB LAVORANO ALACREMENTE PER COSTRUIRE I ROSTER PER LA PROSSIMA STAGIONE, CHE AVRÀ UNA GRANDE NOVITÀ: LE 4 STRANIERE! QUESTA SCELTA HA SUSCITATO POSIZIONI MOLTO CONTRASTANTI, PROVIAMO A RACCONTARVELE
Di Eduardo Lubrano
T
ra le certezze della prossima stagione di serie A1 di pal-
lacanestro femminile c’è sicuramente – oltre al benvenute al Basket Team Crema ed al Galli San Giovanni Valdarno che hanno vinto la serie A2 – la questione delle giocatrici provenienti d’oltralpe. Saranno quattro per ogni squadra da poter schierare in campo a piacimento dell’allenatore. Due di queste dovranno però essere comunitarie e due straniere a tutti gli effetti. Per comunitarie si intendono le atlete in possesso di passaporto di uno dei 27 paesi aderenti all’Unione europea.
Stabilita questa differenza non da poco ecco che la nostra
serie A1 – che fino ad oggi ne prevedeva tre in campo di straniere – sarà invasa da atlete provenienti da ogni parte d’Europa e del mondo visto che sappiamo come molte giocatrici – ed in generale molti atleti – per motivi diversi hanno in questi anni preso il passaporto di un paese europeo dell’Unione. Un bene, un male? Come sempre solo il campo po-
trà dirlo ma qualche preoccupazione c’è già da ora visto che le nostre giocatrici sono così poche che togliere loro lo spazio che ci sarebbe, appare a molti un segnale negativo. “Ma è proprio per questo che invece bisogna andare incontro a questa regola – ha detto in un’intervista al sito pianetabasket.com, il Direttore Generale di Schio, Paolo De Angelis – Io sono un fautore da tempo di questa modifica. Perché faccio due conti. Se la serie A1 composta da 14 squadre gioca con rose da 10 giocatrici di cui 7 italiane, ha bisogno di 98 giocatrici. Ci sono per fare un campionato di alto livello come deve essere la A1? Secondo me no. Ed allora negli anni sono stati depauperati i campionati minori come la A2, per me un fiore all’occhiello, a cascata la B e via dicendo. Sono favorevole e non mi interessa nemmeno se devono essere tre in campo, una in tribuna o il contrario o con chissà quale altra formula. Quando abbiamo abolito le quattro straniere una decina di anni fa purtroppo la Nazionale non ha avuto quei
focus
benefici che tutti si aspettavano e prima quando c’erano qualcosa di meglio si era mosso. Dobbiamo far crescere il movimento. Dobbiamo puntare tutti dalla Fip alle Società su questo gruppo della Nazionale che io trovo fortissimo. Dobbiamo lasciar lavorare coach Lardo in pace, perché l’allenatore della Nazionale
deve avere un periodo di quattro anni per il suo mandato e non essere mandato via alle prime difficoltà. Nessuna polemica o critica a nessuno, solo una riflessione per la qualità del lavoro di tutti”.
La prima opposizione a questa tesi è quella di chi sostiene
VIVAIO COSTAMASNAGA È IL CLUB CHE PIÙ DI TUTTI IN QUESTI ULTIMI ANNI HA PUNTATO SUL VIVAIO. IN FOTO LA 2003 ALLIEVI.
che il movimento sarebbe dovuto passare addirittura da tre a due straniere. Un’immagine poetica di un interlocutore di Pink Basket è quella di “Uno stagno che si restringe ogni anno e noi che ci siamo dentro lo vediamo che l’acqua ci arriva alle caviglie. Non serve metterci dentro due ninfee per renderlo più bello, non
deve essere questo l’obiettivo di chi guida la pallacanestro femminile”. Tradotto in altri termini: le grandi squadre vanno a far spesa dalle medie e piccole che a fatica riescono a tirar fuori qualche buona giocatrice, possono permettersi grandi acquisti e grandi investimenti all’estero. In questo modo aumenta la forbice
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focus tra un ristretto numero di squadre e le altre e lo spettacolo non diventa più bello ma più noioso. Bisognerebbe lavorare, sempre secondo questa tesi, perché le giocatrici italiane crescano di numero, perché possano davvero giocare, quelle che lo meritano ovviamente, calmierare i prezzi e distribuire la qualità in modo che quel famoso stagno diventi un laghetto nel quale possano nuotare un po’ tutti.
Certo l’argomento è forte e suscita posizioni molto con-
trastanti. Un dato che De Angelis ha citato nella sua intervista fa riflettere: la pallacanestro femminile le ha provate un po’ tutte in questi ultimi 30 anni rispetto alle straniere. Se l’obiettivo era far crescere il movimento bisogna dire che è stato un fallimento. Abbiamo avuto ed abbiamo giocatrici straordinarie ed alcune stellari senza dubbio, le Nazionali giovanili hanno vinto 13 medaglie in 12 anni. Ma la Nazionale senior è rimasta intrappolata dentro un limbo di incompiuta – certamente non solo per
l’aggiunta di una giocatrice al pacchetto di straniere possa stimolare un effetto concorrenza dirompente: sapendo di avere ancora meno spazio, le nostre potrebbero essere spinte a lavorare ancora di più in estate a livello individuale per arrivare prontissime al raduno ed all’inizio della stagione per provare a “rubare” minuti convincendo i loro allenatori che sono in grado di tenere il campo. Uno sforzo mentale notevole senza dubbio. Ma che sarebbe anche un grande segnale per tutte e per tutti. Bello, magari potessimo assistere ad una “reazione” di questo genere da parte delle ragazze italiane. Il problema si porrà dove le scelte tecniche vedranno quattro straniere in campo ed un’italiana anche se forse non tutte e 14 le formazioni di A1 saranno in grado di prendere quattro straniere e molte probabilmente partiranno con un 3 più 1 che lascia qualche spiraglio di speranza. “La cosa più grave - ci dice un addetto ai lavoratori che per mille motivi lasceremo anonimo – non è
La pallacanestro femminile le ha provate un po’ tutte in questi ultimi 30 anni rispetto alle straniere. Se l’obiettivo era far crescere il movimento bisogna dire che è stato un fallimento. responsabilità del numero delle straniere – ma insomma. Perché se una giovane domina l’Europa ed il Mondo e poi da senior non trova spazio o ne trova pochissimo per continuare il percorso di crescita, è tutto inutile o quasi il lavoro fatto in precedenza e l’obiettivo che si raggiunge è quello di non far scattare la scintilla tra le più giovani verso questo sport. Perché si capisce presto che non c’è futuro a meno di non essere un fenomeno. Ma quanti ne nascono di fenomeni? Ecco che allora è di particolare interesse un’altra presa di posizione che sostiene come le quattro straniere siano un “male necessario”. Dice, chi è fautore di questa ipotesi, che o si riduce il numero delle squadre in serie A1 ma anche di A2 che diventa il terreno dove si va a reclutare pur di avere le italiane che il Regolamento impone di schierare, così quelle poche giocatrici di valore vengono distribuite in meno squadre ma più forti mediamente, oppure dobbiamo andare necessariamente nella direzione delle 4 straniere per comporre i roster delle squadre della massima serie. Il livello delle giocatrici è abbastanza basso specie per le lunghe – mamme e papà italiani non fanno figlie altissime ma questa è tutt’altro che una colpa – dunque anche le squadre che giocano le coppe devono andare a pescare all’estero. C’è però da sperare – e questa è una riflessione molto interessante - che
tanto le 4 straniere che forse alzeranno lo spettacolo e daranno molto da fare alle nostre per crescere, quanto il fatto che l’anno prossimo sarà possibile mettere in campo una squadra di 12 senior con tanti saluti al settore giovanile ed un altro favore alle squadre che non se ne curano”. Con una sequenza che conosciamo bene: nei minuti che contano quanti palloni giocheranno le italiane? Ed il pallone decisivo chi lo giocherà, una straniera o l’italiana di turno in campo? Ah… le giovani: nella stagione finita ad aprile su 14 squadre ben cinque non hanno messo in campo una Under 20 nemmeno per un minuto, una ha superato i 1300 minuti con 4 ragazze ed una è arrivata quasi a 2300 minuti con 6 giocatrici.
Insomma non rimane che aspettare la nuova ondata di gio-
catrici, tenendo conto che ad oggi con l’esclusione delle squadre russe dalle coppe potrebbe essere meno difficile arrivare a qualche extra comunitaria di buon livello, mentre per le comunitarie sarà esattamente l’opposto: costeranno di più e magari a parità di offerta rimarranno nel loro paese. La sensazione comunque è che la solfa sarà sempre la stessa e cioè che chi potrà spendere allestirà una buona formazione e chi non potrà farlo guarderà queste avversarie vincere con la sgradevole sensazione che i 40 minuti della partita non siano i soli dove si è deciso un destino.
BRONI 20/21 GIOCA L’INTERA STAGIONE CON UNA SOLA STRANIERA, A TRATTI SENZA, MA RIESCE COMUNQUE A SALVARSI CON LE SUE ITALIANE. IN FOTO FRANCESCA PARMESANI, QUEST’ANNO A LUCCA.
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KITIJA LAKSA 1996 RIGA, ALA PICCOLA DI 184 CM, È UNA STRAORDINARIA TIRATRICE DA TRE PUNTI, CRESCIUTA CESTISTICAMENTE IN USA NEL COLLEGE SOUTH FLORIDA.
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LAKSA 3 MVP
ARRIVATA IN PUNTA DI PIEDI, KITIJA LAKSA È DIVENTATA IL GIOIELLO PIÙ AMBITO. PRIMA GIOCATRICE DELLA STORIA CAPACE DI VINCERE 3 TITOLI MVP IN UN ANNO, A 26 ANNI IL SUO DESTINO È ANCORA TUTTO DA SCRIVERE... E IN ITALIA SARÀ IN MAGLIA VIRTUS
Di Laura Fois
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a mattatrice della stagione 2021/22 ha un nome e un
cognome: Kitija Laksa. La giocatrice lettone è stata l’asso pigliatutto con il Famila Schio che ha vinto l’undicesimo scudetto della sua storia, più la Supercoppa Italiana e la Coppa Italia. Laksa, dal canto suo, è riuscita a portarsi a casa il triplete del triplete: nominata MVP di tutte e tre le finali, è sempre andata in doppia cifra (rispettivamente 11, 26 e 21 punti) e in Supercoppa ha segnato il canestro della vittoria. Nella storia della Lega Basket femminile, è la prima giocatrice a raggiungere un traguardo del genere. La conferma con Schio sembrava cosa fatta, frutto di un accordo verbale tra il suo agente e la società veneta, ma l’offerta della Virtus Bologna, che ha confermato il blocco duro di questa stagione (Zandalasini, Cinili e Dojkic), è stata troppo allettante. Lasciando subito strascichi e dispiaceri, a partire dal presidente di Schio, Marcello Cestaro, che ha affidato i suoi pensieri a Facebook, dove si è sor-
preso più che altro della soffiata del club bianconero. Con una mossa del genere, la Virtus ad oggi si posiziona come la squadra da battere. E forse la vera notizia è che si sia riusciti a tenere Laksa in Italia, dove si è trovata benissimo. Arrivata quasi in silenzio e in punta di piedi a inizio stagione scorsa, diventata poi punta di diamante e soprattutto il gioiello più ambito a campionato archiviato, quando il mercato ha aperto le danze le V nere hanno calato il sette di denari. E lei, in un lungo post su Instagram, ha voluto prima ringraziare il popolo bianco-arancio esprimendo stima e riconoscenza: “Per tutta la stagione, tra alti e bassi, ho sempre ricevuto affetto e supporto a Schio, una piccola comunità con un cuore grande. Durante ogni minuto che ho giocato mi son sentita al sicuro e con le spalle coperte, e questa sensazione è qualcosa che ogni giocatore vorrebbe sempre portarsi con sé. Quest’anno per me è stato speciale e così sarà per sempre. Grazie al club, allo staff, alle compagne di squadra, ai coach
cover story
MVP X 3 3 TROFEI IN BACHECA PER SCHIO IN QUESTA STAGIONE E 3 PREMI PER KITIJA: MVP DELLA SUPERCOPPA, DELLA COPPA ITALIA E DELLE FINALS SCUDETTO.
e al presidente. Questo è un arrivederci, so che ci rivedremo e per questo l’affetto e il rispetto resterà immutato”. Sicuramente sarà un lungo arrivederci, visto che Laksa ha appena firmato un contratto con la Virtus Bologna fino al 2024.
Tiratrice fenomenale e figlia d’arte, ha avuto sin da bam-
bina gli occhi puntati addosso, tanto che a soli 17 anni le è arrivata la chiamata della nazionale maggiore per disputare l’Eurobasket 2013. Partecipa di nuovo alla massima competizione europea nel 2015 e nel 2017, mentre l’anno dopo torna a indossare la maglia della Lettonia ai campionati mondiali. L’e-
sperienza in college con South Florida le spalanca per la prima volta le porte americane. Si laurea in psicologia dello sport ma sul parquet la sua esperienza si interrompe per un infortunio al ginocchio. Laksa recupera con forza e vigore, e da sempre una cosa che la contraddistingue è il carattere e una mentalità da leader, unita a una seria e costante etica del lavoro. Nel 2020 arriva la chiamata della vita dal mondo WNBA ma fa solo il training camp con le campionesse delle Seattle Storm, che poi la tagliano. Il riscatto è un piatto che la lettone scalda a fuoco lento e due anni dopo si prende tutto in maglia Famila Schio. A 26 anni, il suo destino è ancora tutto da scrivere.
“L’anno scorso sono stata tagliata dalle Seattle Storm, quest’anno ho vinto lo scudetto in Italia”, ha twittato il 6 maggio, riferendosi a quel sogno andato in fumo di giocare nella WNBA. Ma la fiamma è sempre accesa e il treno potrebbe passare una seconda volta. Di questo e molto altro abbiamo parlato con la fuoriclasse nata a Riga nel 1996, guardia tiratrice di 186 centimetri, raggiunta via WhatsApp durante meritate vacanze.
po’ di vacanze e di esplorare i Caraibi. Dopo un po’ di riposo riprenderò ad allenarmi per tutta l’estate con i miei coach. Ma questo momento di stacco è molto importante per me: ho bisogno di riposarmi fisicamente e di mantenermi attiva allo stesso tempo, senza toccare il pallone. Sento proprio la necessità di staccare mentalmente dalla mia routine cestistica. Magari da fuori non sembra, ma è un periodo altrettanto rilevante per un’atleta.
Kitija, dove sei andata in vacanza quest’anno e quali sono i programmi per l’estate? Sono contenta di aver avuto il tempo di godermi un
Segui un regime di dieta particolare? No, non ho un regime alimentare specifico, ma cerco di seguire una dieta equilibrata. Invece il mio pa-
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cover story sto pre-gara è quasi sempre lo stesso: pasta e salmone, oppure pollo e insalata. Questa stagione per te è stata da incorniciare, cosa provi? Una sensazione indescrivibile. Sì, sono stata nominata tre volte MVP ma questo non sarebbe mai potuto succedere senza la squadra e la società del Famila. I successi di Schio per me hanno più importanza rispetto ai trofei personali. Questo è stato il tuo primo anno in Italia, come l’hai vissuto? È stato stupendo, speciale. Vorrei partire col menzionare i fan e il pubblico di Schio che hanno supportato magnificamente il team durante tutta la stagione, anche nei momenti difficili, come l’uscita ai quarti di Eurolega (dove ha chiuso con oltre il 40% dal campo, 11.8 punti di media, 2.3 rimbalzi e 1.6 assist a partita, ndr). Ho un bellissimo ricordo della festa a Schio per il tricolore, che ha ripagato un anno
Quando l’opportunità arriverà sarò pronta ad accoglierla. Ad oggi sono contenta della decisione che ho preso. Che effetto ti ha fatto giocare con giocatrici come Sue Bird? Sono cresciuta vedendo giocare Sue Bird e ritrovarmi ad allenarmi con lei è stata un’esperienza che difficilmente potrò dimenticare. Lei è una leggenda. Con Breanna Stewart invece non son riuscita a giocare perché in quel periodo era infortunata ma chissà cosa riserverà il futuro! Invece ho sfidato varie volte Diana Taurasi, l’ho marcata perché abbiamo lo stesso ruolo, e devo dire che è stata sempre una bella battaglia, così come guadagnarsi il suo rispetto. Sei una guardia tiratrice che si sa tenere pronta anche nei momenti più incandescenti. Da dove viene questo “killer instinct”? Credo sia un affare di famiglia! Mia madre, mio padre e mio fratello hanno giocato a basket a livello
La pallacanestro è un gioco d’istinto. Le decisioni devono essere prese in pochissimo tempo quindi più si è sicure di se stesse più sarà facile non mancare il bersaglio. veramente duro. Tante partite sono state combattute, ma la maggior parte le abbiamo portate a casa. Sicuramente devo migliorare molto su un aspetto: l’italiano! So dire due parole in croce... Perché hai scelto il numero 33? Ha un significato molto personale per me. Fin da piccola usavo il 9, ma nel college non puoi indossare questo numero di maglia, allora ho creato il mio numero usando le… tabelline (3x3)! Il 33 me lo porto dietro da ragazza, è un numero che mi apparterrà sempre e per cui voglio essere riconosciuta. Anche la mia firma porta il numero 33. Sei stata scelta al primo giro del draft WNBA con la chiamata numero 11 dalle Seattle Storm, hai fatto il training camp ma non la stagione. Cosa ti porti dietro da quella esperienza? Il bello e il brutto di un sogno che comunque resta aperto. Avevo lavorato molto duramente per arrivare pronta al ballo delle grandi ma la società ha avuto piani diversi. Le cose accadono per una ragione. Non sono triste, neanche arrabbiata per quello che è successo. Se una porta si chiude c’è un’altra che si apre, e sono contenta di aver trovato il mio posto in Italia. Hai ricevuto offerte dalla WNBA quest’anno?
professionistico e tutti noi ci siamo dedicati molto a curare l’aspetto del tiro. La genetica c’entra, ma ciò che fa la differenza è il duro lavoro. Più prendo confidenza in ciò che faccio, più provo orgoglio e mi sento bene. La pallacanestro è un gioco d’istinto. Le decisioni devono essere prese in pochissimo tempo quindi più si è sicure di se stesse più sarà facile non mancare il bersaglio. Hai giocato nella NCAA, a Riga e in nazionale. Cosa le accomuna? Ogni squadra di cui ho fatto parte mi ha dato l’opportunità di crescere sia come persona sia come atleta. Sono grata a ogni compagna di club e allenatore con cui ho avuto piacere di giocare e di essere allenata. Non penso di essere ancora arrivata al picco della mia carriera cestistica, penso che il meglio debba ancora arrivare. Dove arriverà Kitija Laksa? Lo vedremo. Penso che col duro lavoro, la giusta attitudine e un un sistema che ti supporti, niente sia impossibile. In un altro tweet, qualche mese fa ha scritto: “Odio perdere più di quanto ami vincere”. E questo la dice lunga sulla numero 33. Un motivo in più per non perdersi una partita del prossimo campionato di serie A1 femminile. Specialmente Schio-Virtus.
CARRIERA LAKSA È RIMASTA FINO ALLA STAGIONE 2020/21 NELLA SUA CITTÀ NATALE, A RIGA. PER LEI NUMERI IMPORTANTI SIA IN EUROLEGA E IN NAZIONALE.
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PRO
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Missione compiuta PROMOSSE IN A1 LE GRANDI FAVORITE: CREMA E S. GIOVANNI VALDARNO. BATTUTE IN FINALE UDINE E UMBERTIDE. MA SALE ANCHE BRESCIA,
SCAMBIANDO I DIRITTI CON COSTA. I PLAYOUT CONDANNANO VICENZA E NICO. IL RIASSUNTO DI 35 GIORNI DI BATTAGLIE ED EMOZIONI
di manuel beck
T
utti le aspettavano sulla vetta dei playoff: ci sono arriva-
te. Le regine di A2 sono Crema e S. Giovanni Valdarno: lo sono state per l’intera stagione, a partire dai pronostici estivi. Le squadre di Diamanti e Matassini erano le più forti, ma dovevano fronteggiare, oltre alle avversarie, la pressione di potersi permettere un solo esito, la promozione, pena il fallimento conclamato. E – soprattutto per le lombarde, che oltre all’imbattibilità stagionale avevano messo in bacheca la quinta Coppa Italia di fila – poteva subentrare l’ingannevole sensazione di non avere più nulla da conquistare, di dover solo timbrare una superiorità già dimostrata: a volte è l’anticamera del “flop” clamoroso. Qualche rischio l’hanno corso, ma hanno finito in trionfo. In comune tra le due neopromosse c’è anche il coronamento di un lungo percorso: una promozione costruita negli anni, superando delusioni e insistendo fino a trovare la formula perfetta. Un po’ paradossale è il fatto che mentre Crema e Valdarno si dannavano l’anima
dal 30 aprile al 1° giugno per salire in cima alla montagna, c’era già chi le aspettava lassù dopo aver preso l’elicottero… Stiamo parlando di Brescia, che già a metà maggio annunciava l’operazione di scambio-diritti con Costa Masnaga, acquisendo l’A1 dopo essere uscita al primo turno dei playoff. In direzione opposta hanno lasciato l’A2 Vicenza e Nico, condannate dai playout: raggiungono Torino Teen e Civitanova, già retrocesse dopo la stagione regolare. A prendere il loro posto saranno le 4 vincitrici delle finali nazionali di B (ancora da disputare mentre scriviamo): Giussano-S. Martino, Futurosa Trieste-Albino, Ancona-Milano Stars, Stella Azzurra Roma-Livorno. Il bilancio complessivo racconta di un’A2 che ha saputo superare anche quest’anno un’ondata di Covid e proporre, come sempre, giocatrici e partite di assoluta qualità. La grande maggioranza delle squadre è ricorsa a ritocchi di mercato durante la stagione: segnale di disponibilità di risorse e di determinazione a ben figurare da parte di tutti.
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GIRONE NORD // Per Crema l’ostacolo più duro è la semifinale con Milano, che le impone l’unico stop stagionale. Meno equilibrata la finale con Udine, che aveva piegato 2-0 Castelnuovo, ora già attivissima sul mercato. Una magia di Perisa salva Treviso. Bolzanine ok LA REGINA Il momento chiave della promozione di Cre-
ma è stato in gara-2 di semifinale a Milano. Sotto 0-1 dopo la sconfitta-shock in casa, spenta improvvisamente la luce di una stagione dominata, per di più senza Vente nella “tana” di un’avversaria carica a mille: c’è voluto il carattere, e il crescendo finale di D’Alie (20 punti), per scacciare i fantasmi del fallimento (61-70). Da lì in poi non ce n’è stato più per nessuno: la Parking Graf ha ritrovato le sue impressionanti folate in velocità, alimentate dai morsi della difesa, ha chiuso 87-56 in G3 il derby con Milano e ha aperto la finale contro Udine con uno spettacolare 97-68 in G1 (favolosa D’Alie, 22 punti nel 1° tempo, alla fine 24 + 8 rimbalzi e 8 assist; Nori 21). Di grande maturità infine la gestione di G2, assorbendo la sfuriata iniziale delle padrone di casa per poi macinarle alla distanza, 6477, con Melchiori (21 con 6/8 da 3), Nori e Vente (35 punti e 18 rimbalzi in coppia). Per Diamanti rimarrà il ballo di una stagione sola: c’è Ragusa nel suo futuro. La sua Crema sarà ricordata come una delle squadre di A2 più forti di sempre, anche non ha eguagliato il record d’imbattibilità di Broni 2016. D’Alie è la nostra “mvp” del girone Nord: trascinatrice, motore instancabile, tuttofare; Melchiori e Nori le esecutrici principi, rispettivamente sul perimetro e in area, così come, appena un gradino sotto, Conte e Pappalardo; Vente la specialista delle promozioni (con Costa e Faenza le precedenti); Rizzi il cambio perfetto nel reparto-piccole; Capoferri e Caccialanza le bandiere, capaci di adattarsi a un ruolo minore, ma prezioso.
FINALISTA Udine ha confermato ai playoff il già notevo-
le 2° posto in stagione regolare, con un organico che sembrava meno attrezzato di altri, ma che ha funzionato benissimo sotto la guida di Riga. Missanelli e Blasigh scatenate per tutti i playoff; Mosetti, Molnar, Da Pozzo e compagne solide a supporto; peccato per l’assenza di Turel, anche se difficilmente sarebbe cambiato l’esito della finale, in cui Udine ha accettato la sfida di Crema giocando a viso aperto e a mille all’ora, ma non ha retto alla distanza; da ricordare però l’esaltante inizio di G2, arrivando fino a +14 (Missanelli 27 punti).
SEMIFINALISTE Milano a metà tra l’orgoglio di essere stata
l’unica a mettere Crema spalle al muro, e il rimpianto di non aver completato il “colpo del secolo”. Capolavoro in G1, dominando in casa del fin lì imbattuto “Cream Team”: 64-81 (Toffali 17) con 11/21 da 3 e una difesa tattica che
ha inopinatamente irretito D’Alie e compagne. Poi battaglia durissima in G2, con la squadra di Pinotti (37 di valutazione per Zelnyte) che perde Guarneri per infortunio dopo 3’, mette comunque paura a Crema ma non concretizza le chances di sorpasso a inizio 4° periodo. Poi in G3 non ne ha più. Castelnuovo è uscita 0-2 contro Udine, dopo due partite tirate: in G1 non bastano 30 di Gatti, in G2 piemontesi avanti per 3 quarti, poi il sorpasso friulano. Semifinalista sia in campionato che in Coppa è un buon bilancio. Ma la società ora alza il tiro: la sinergia col Derthona maschile consente progetti ambiziosi, il mercato ha già portato colpi di spessore (Gianolla, Marangoni nel momento in cui scriviamo).
AI QUARTI Solo Ponzano riesce a portare la sua avversaria
a gara-3: le venete di Zimerle sorprendono Udine al doppio overtime in G1 (67-76; Rescifina 13), poi le friulane vincono piuttosto nettamente le altre due sfide. Ponzano chiude comunque soddisfatta, così come Mantova, che poco poteva contro Crema, ma dopo il meno 29 di G1 (nonostante 21 di Llorente), in G2 crea qualche problema alla corazzata con una tignosa “triangolo-e-due” su D’Alie e Melchiori. Ci si attendeva più equilibrio nelle altre due serie. Ma Alpo cede alla distanza in entrambe le gare con Milano (meno 11 e meno 13; in G2 non bastano 23 di Marangoni; nella serie solo 7 punti totali con 3/18 per Packvoski); e Brescia paga il mancato arrivo di Trehub – problema di tesseramento – cedendo 0-2 con Castelnuovo: in G1 bresciane avanti al 30’ ma segnano solo 4 punti nell’ultimo quarto; in G2 rimontano da -16 ma sono respinte. Zara, nello staff bresciano, era nella curiosa situazione di affrontare la squadra da lei allenata fino a pochi mesi prima. Dei successivi sviluppi abbiamo già detto.
PLAYOUT Dalla semifinale alla retrocessione in 12 mesi:
tremenda la caduta di Vicenza, con due serie perse alla terza partita, l’ultima e fatale con Treviso dopo aver vinto G1 in trasferta (Tagliapietra 18) sciupando però il “match-point” in G2. Nella drammatica G3 risolve una prodezza di Perisa, tripla a -2” con l’avversaria addosso, per il 54-53 che salva il team della Marca e condanna il club ex campione d’Europa. Al 1° turno arrivano in porto le due bolzanine, non facilmente (2-1) ma controllando la rispettiva G3 con discreta autorità: 76-54 il Basket Club con 19 di Fall e 15+11 rimbalzi+6 assist di Vella; 6252 le Sisters con 13+10 rimbalzi di Guilavogui.
CREMA SALE IN A1 DOPO UNA CAVALCATA INCREDIBILE, UNA SOLA PARTITA PERSA IN TUTTA LA STAGIONE.
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SAN GIOVANNI VALDARNO GRANDE FAVORITA DEL GIRONE SUD, NON TRADISCE LE ATTESE. PERESSON, IN FOTO, UNA DELLE PROTAGONISTE DELLA PROMOZIONE.
GIRONE SUD // Percorso netto per Valdarno nei playoff, arrivando a 20 vittorie consecutive. Degnissima avversaria Umbertide, che in semifinale ferma la grande ascesa di Patti, autrice del colpo sulla #2 Spezia nei quarti. All’ultimo appello si salva Savona, al 1° turno le due campane LA REGINA Finalista lo scorso anno, protagonista assoluta
del mercato estivo: S. Giovanni Valdarno non poteva nascondersi e non l’ha mai fatto. Unico esito accettabile, la promozione. Per questo, verso metà stagione, non si è accontentata di essere prima ma con qualche passo falso, cogliendo l’occasione di riunire la coppia Peresson-Cvijanovic con coach Matassini, che le aveva già avute con profitto a Udine. È stata la mossa che ha dato la definitiva marcia in più a un organico già di lusso con Bove, Vespignani, Alice Milani, Tibè, Ramò, Isabella Olajide, Lazzaro, Laura Gatti. Dal 29 gennaio non ha più perso in campionato (unico k.o. nei quarti di Coppa Italia), inanellando 20 vittorie consecutive, di cui le 6 di un “perfect playoff” culminato nel 2-0 in finale su Umbertide. Una serie però in cui la Bruschi ha dovuto dimostrare anche carattere, non solo caratura tecnica, per prevalere due volte di stretta misura. In G1, da meno 2, Lazzaro e Bove confezionano un 7-0 per il +5 a 2’15” dalla fine; Stroscio e Kotnis accorciano a meno 1, Peresson fa 2/2 in lunetta a -8”, la tripla di Giudice allo scadere non va (65-62). Anche in G2 battaglia di sorpassi nell’ultimo quarto, poi alla tripla di Moriconi per il meno 2 di Umbertide (Giudice 15 punti) risponde Peresson dall’arco ed è la stoccata vincente; sigillano Bove (top scorer con 16) e Cvijianovic, per il 59-66 che fa partire la festa.
FINALISTA Umbertide ha disputato un grande playoff,
trovando quella continuità a volte mancata in stagione regolare. Il capolavoro l’ha fatto in semifinale contro una Patti che molti vedevano favorita grazie alle sue individualità di spicco; le ragazze di Staccini hanno fatto valere la compattezza di un collettivo più abituato a combattere insieme: dal trio di riferimento Pompei-Giudice-Kotnis (19+13 rimbalzi per la polacca in G3 contro le siciliane) alle utilissime Baldi, Stroscio, Cabrini, Moriconi. In finale le umbre hanno fatto il massimo per complicare la vita a Valdarno, mettendo la testa avanti nell’ultimo quarto sia in G1 (rimontando dal -13 dell’intervallo) sia in G2.
SEMIFINALISTE Patti ha saputo ribaltare in corsa una stagio-
ne che stava pendendo pericolsamente verso i playout: determinanti gli arrivi di Miccio e Botteghi, poi di Touré, elemento fuori categoria. Così le siciliane hanno raggiunto la seconda semifinale in due anni di A2: di che essere orgogliosi, pur col rimpianto di aver ceduto nel finale di G3 contro Umbertide (68-63, Verona 23) dopo
aver sorpassato a inizio ultimo quarto. Male l’approccio alla serie, meno 17 in G1; riscossa in G2 (76-66) con 25 di Miccio e 20 di Verona. Proprio Marta Verona è la nostra “mvp” stagionale per il girone Sud. Anche Vigarano ha finito in crescendo la sua stagione, in cui cercava una non facile ripartenza dalla retrocessione. Dopo il 2-0 su Firenze ha provato a far fastidio a Valdarno, riuscendoci solo in parte (meno 16 e meno 14 nelle due gare). Micidiale Cvijanovic per le toscane: 39 punti in due partite, con 17/23 dal campo.
AI QUARTI Prematura l’uscita di La Spezia dopo il 2° posto
in stagione regolare: per le liguri soprattutto la sfortuna di trovare una Patti che valeva ben più della sua settima piazza. In G1 non bastano a Templari e compagne le 6 giocatrici in doppia cifra né la rimonta da -10 a -2 nel finale (75-77; Touré 23+13 rimbalzi), in G2 le prestazioni siderali di Miccio (30 con 6/11 da 3), Botteghi e Touré, 89 di valutazione in tre, vanificano quelle di Castellani (27) e Colognesi (19) in un garibaldino 88-78. Ribaltato il ranking anche tra la #4 Firenze e la #5 Vigarano, che conferma l’impressione di essere giunta più in forma ai playoff, “matando” le toscane con un secco +25 in G2 (Sorrentino 18) dopo la gran rimonta in G1, da -17 all’intervallo al colpo in overtime, 74-75 (Coser 14 punti, 16 rimbalzi e il canestro del pareggio al 40’; non bastano 29 di Marta Rossini). Si fermano subito le due sarde, ma l’obiettivo stagionale era già raggiunto. Selargius tiene testa a Umbertide in entrambe le partite, ma in G1 segna solo 7 punti dopo l’intervallo, in G2 non bastano 23 di Konstantinova e 15+11 rimbalzi di Cutrupi. Cagliari, contro la futura promossa Valdarno, regge fino all’ultimo in G1 (49-46) prima di cedere netto in G2.
PLAYOUT Come al Nord, tutte le serie sono andate alla
terza partita. Thrilling soprattutto fra Savona e Capri, con le campane che conquistano la salvezza dopo due overtime in G3 (89-92): clamorosa Bovenzi, 52 di valutazione con 33 punti, 14 rimbalzi e 8 assist; grande anche la veterana Rios, tripla doppia; dall’altra parte non basta Pobozy, 30+14 rimbalzi. Salva al 1° turno anche Battipaglia: la Nico rinvia il verdetto con una vittoria al supplementare in G2 (21 rimbalzi di Mattera) ma Potolicchio e compagne chiudono in G3 (57-45). Poi Savona si salva condannando le toscane, che in G3 lottano fino all’ultimo ma si arrendono ai tiri liberi decisivi di Pobozy e Zanetti (58-53).
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LIGA VENTE LETTONE CLASSE 1991, CENTRO DI 191 CM, È ORMAI UNA VETERANA DEL CAMPIONATO ITALIANO DI A2.
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VENTE, MISS PROMOZIONE TERZA PROMOZIONE CONQUISTATA DALLA LETTONE LIGA VENTE IN 4 STAGIONI.
IN ORDINE: COSTA MASNAGA, FAENZA E DA POCHISSIMO CREMA. SOLIDA, ESPERTA E AFFIDABILE, CONOSCIAMOLA MEGLIO IN ATTESA DI VEDERLA FINALMENTE IN A1
Di Francesco Velluzzi
M
iss promozione è lei: Liga Vente. Ma non per il fi-
sico statuario e il viso pulito, piuttosto perché chi prende Liga in A2 sale immediatamente in A1. Il succo è questo: Costa Masnaga, Faenza e da pochissimo Crema. Perché nel trionfo, annunciato, della Parking Graf, non c’è solo il talento smisurato di Rae D’Alie, la strategia eccellente di un tecnico come Mirco Diamanti, mago delle difese, ma illuminato anche nei giochi d’attacco ricchi di ritmo, il lavoro dietro la scrivania di Marco Mezzadra, e, tornando al campo, la concretezza della tiratrice Francesca Melchiori, la stazza di Alice Nori e Carolina Pappalardo, o il lavoro in spogliatoio delle storiche Paola Caccialanza e Martina Capoferri, ma c’è l’intelligenza cestistica, l’altezza, la precisione della straniera: Liga Vente. Se le dai la palla sa cosa farne, se sbagli un tiro sai che lei ti recupererà a rimbalzo il pallone, se sbagliano le avversarie la conclusione quel pallone che spunta dal ferro sarà suo.
Lettone Liga è nata e abita (nei mesi di vacanza) in
Valmiera, in Lettonia. Un paese che ama e in cui vive sua mamma che per lei è tutto. “Mi ha sempre aiutata e sostenuta, siamo legatissime e non vedo l’ora di riabbracciarla. Per due mesi starò con lei a casa. Le dico solo grazie”, racconta Liga dopo il trionfo della promozione raggiunta a Udine e culminata in più di un’ora di balletti sul parquet del Benedetti e qualche birra per il brindisi... anche se Liga in quei balletti era l’unica che indossava solo il completo da gioco e non la maglietta celebrativa, e stava sempre un passo indietro. È una donna di grande intelligenza, ma con un’anima un po’ triste. Ha combattuto, studiato e lavorato da quando era una bimba che ha sopportato sicuramente un’infanzia non facile. Col padre non ha rapporti: “Non lo sento anche se vive pure lui in Valmiera”. La vita se l’è costruita con la mamma che poi ha avuto un altro compagno e un’altra figlia. Liga è cresciuta pensando di fare la nuotatrice. “A scuola si faceva nuoto, per sei anni sono stata in piscina. Mi è piaciuto, poi è arrivato il basket. Per un
primo piano anno e mezzo facevo sia nuoto che basket, poi ho scelto il basket... A 14 anni ero già alta 1,90”. Vente ha capito che quella era la strada e, siccome, anche negli studi se la cavava più che egregiamente, come nella pallacanestro, ecco la scelta fondamentale. A 19 anni è andata negli Stati Uniti. “Ho vinto le borse di studio, ho fatto quattro anni al College. Mi sono laureata in International Business Management. Sono stata tra Kansas e Florida. Bellissima esperienza. Soprattutto importante per il futuro”.
Europa e Italia A quel punto è arrivata l’Europa. Liga ave-
va 23 anni, negli Stati Uniti aveva dato. Scattava una nuova fase della sua vita. “Perché ero andata fuori di casa comunque presto e ormai mi ero abituata a girare. La prima Europa è stata in Francia, vicino a Lione. Sono stata un anno a giocare lì. Ma l’anno successivo ecco l’Italia, il paese dove poi mi sono praticamente stabilita per giocare a basket. Andai a Castellammare di Stabia e ancora quell’esperienza è nel mio cuore. Località splen-
re l’avversaria che mi spinge da dietro, il contatto mi esalta per avere un gioco d’attacco più facile. Sui rimbalzi in attacco credo sia una questione di istinto naturale. Non so come ho imparato, ma mi viene quasi spontaneo andare a cercare di recuperare un pallone per impostare una nuova soluzione offensiva. Credo serva soprattutto alla squadra che, in questo modo, ha più opportunità, più occasioni per andare a cercare e trovare il canestro. In una squadra come Crema poi, giocare con Rae è stato importante. Lei è carica di energia, motivava tutte le compagne se le vede giù di tono. Ha grande tecnica e forza. Abbiamo condiviso l’appartamento in questa meravigliosa stagione e quindi avevamo modo di confrontarci maggiormente anche sui giochi d’attacco....”. Liga è brava ad andare a cercare il pick and roll e con D’Alie diventa una sinfonia stupenda. Il resto lo ha fatto il lavoro di Diamanti. Ma c’è un problema: nè Costa Masnaga, nè Faenza hanno tenuto in A1 Vente dopo la promozione ottenuta.
Sui rimbalzi in attacco credo sia una questione di istinto naturale. Non so come ho imparato, ma mi viene quasi spontaneo andare a cercare di recuperare un pallone ed essere utile alla squadra. dide, paesaggi e visioni da cartolina e da sogno, un rapporto stupendo. Castellammare farà sempre parte della mia vita. Sono stata benissimo. Poi è venuta una stagione al Sanga, la squadra di Milano. Una vita ovviamente diversa, rispetto a quella della Campania paesaggistica e turistica. La grande città. Milano. Anche al Sanga ho fatto una stagione, prima di salutare l’Italia. Ma soltanto per un anno. Ho scelto la Germania, Hannover. Prima di tornare alla “base””. La “sua” Italia. Altri quattro club e in tre ha centrato la promozione. Impresa, tra le straniere, riuscita soltanto a lei. Tante storie diverse dalle quali la silenziosa, ma molto riflessiva, Liga, ha imparato di tutto e di più. “Sono stata promossa con Costa, Faenza e ora Crema. In mezzo c’è stata una parentesi, bella, a Udine, dove ho vissuto la stagione della pandemia. E dove ho appena conquistato nuovamente la A1 ma con la maglia (numero 22) di Crema”.
Ruolo e Successi Liga è sempre stata determinante e
fondamentale. Perché un pivot così in A2 è difficilmente marcabile. Non solo per i 191 centimetri, ma proprio per l’intelligenza cestistica. Riesce sempre a posizionarsi nella situazione migliore per andare a catturare il rimbalzo e, se viene servita, nei pressi dell’area o dentro l’area sono dolori per tutti. Perchè adora l’uno contro uno sotto canestro. “Devo ave-
Se Costa aveva da subito altre idee e parliamo di quattro anni fa, la scelta di Faenza è stata discutibile. Perché Liga sarebbe rimasta molto volentieri. Era stata fondamentale per quel successo meraviglioso. “Uno mi voleva, un altro no”.... E Simona Ballardini che oggi è tornata per acclamazione alla guida tecnica del club della sua città? “Chissà”. Dietro questa decisione tanti misteri. “Non è che ci sia rimasta male, ma mi erano state dette altre cose. Comunque, è andata così”.
Crema E Liga si è presa la sua bella rivincita, nuova-
mente in Lombardia. Dove, ora, con le quattro straniere della prossima stagione, bisognerebbe confermarla subito. Con un nuovo programma da definire perché Diamanti, voluto dal nuovo corso di Ragusa, andrà via. “Il successo è arrivato perché siamo un gruppo tranquillo. Nessuna giocatrice ha mai pensato di essere meglio di un’altra, tutte hanno badato a dare il proprio contributo. E così è stato dall’inizio alla fine. In questa maniera si costruisce una promozione. Il gruppo è sempre stato unito, alla ricerca dell’obiettivo finale”.
Vita La pivot lettone ha, poi, messo tanto del suo. Con la professionalità, la testa, l’impegno. Che mai
A1 SONO 3 LE PROMOZIONI CONQUISTATE DA LIGA SUL CAMPO, MA FINO AD ORA NON HA POI MAI CALCATO I PARQUET DI A1.
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primo piano
CREMA CON LA MAGLIA DELLE LOMBARDE HA CHIUSO LA STAGIONE CON 12,7PT, 7,8 RIMBALZI E 15,7 DI VALUTAZIONE MEDIA.
mancherà in tutte le esperienze che farà nella sua vita. Quella cestistica è nelle mani dell’agente Florio col quale programmerà il futuro. Che spera a Crema: “Ma non abbiamo ancora parlato bene”. Con cinque “straniere”, considerando D’Alie, Crema sarebbe a posto, tenendo Melchiori e Nori e magari prendendo un secondo play italiano. Liga è stata ed è un esempio per come vive: “Tengo molto a me e alla cura del mio corpo. Da quando ho scelto una nutrizionista anche la mia alimentazione è molto curata nel periodo del campionato. Per questo motivo io e Rae non potevamo mai cucinare l’una per l’altra. Io facevo le mie cose. Sempre la pasta a pranzo, ma integrale, di kamut o
di farro. E poi tanta carne bianca. Questa alimentazione mi fa stare bene e mi fa rendere al meglio. Ho una mia dieta che seguo e mi dà giovamento. Anche se un debole e l’ho: i pasticcini. Adoro alcuni dolci e non mettetemi mai in mano un vassoio di pasticcini di qualità. Li amo fortemente. Sono la mia vera soddisfazione. Ma so come controllarmi. Difficilmente sgarro”. Lo farà adesso che si potrà godere le meritate vacanze. “Sì, prima di riabbracciare mia mamma a casa, mi concedo una bella vacanza al mare italiano. In Sicilia con una mia amica storica con la quale avrò la possibilità di staccare, anche il telefono, e godermi le vostre splendide spiagge. Ormai sono da anni
in Italia e il vostro mare è fantastico”. Una vacanza da single.... “Sì, non sono fidanzata, ma non mi pesa, sto bene da sola. È un’abitudine, perché sono da anni fuori di casa e ho cambiato tante città. Sono una che riesce stare in pace con se stessa e bene. Riesco benissimo a gestire la mia vita con tanti interessi. Cosa deve avere un uomo per attrarmi? Sicuramente tanta intelligenza, è la base”.
Liga è silenziosa, timida e si apre molto poco, ma
quando parla dà sentenze e fa capire molto bene i suoi pensieri e le sue idee. Come sulla guerra tra Russia e Ucraina, che non sfiora la sua Lettonia, ma
ormai va avanti da quasi quattro mesi: “La guerra è una brutta cosa. Abitiamo in un mondo abbastanza moderno e ancora dobbiamo fare la guerra per difendere i nostri paesi. Non è una cosa normale. Mi dispiace molto per la gente Ucraina. E non è facile per loro vivere nella paura senza sapere cosa succederà il giorno successivo. Non è davvero una situazione normale. Spero che presto si trovi una soluzione per permettere alle persone di tornare ad una vita normale, come è giusto che sia. I conflitti si possono risolvere in altro modo, senza alcuna necessità di andare in guerra. Proprio non riesco a capire una situazione del genere”.
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MATILDE VILLA LA CLASSE 2004 DOVRÀ AFFRONTARE UN DOPPIO IMPEGNO ESTIVO CON LE AZZURRINE: EUROPEO DI CATEGORIA U18 ED EUROPEO U20.
ORIZZONTI
ESTATE AZZURRINA MENTRE I CAMPIONATI SENIOR STANNO ANDANDO IN ARCHIVIO, E LA NAZIONALE
MAGGIORE NON AVRÀ IMPEGNI UFFICIALI IN ESTATE, TUTTE LE NAZIONALI GIOVANILI SARANNO IMPEGNATE NEGLI EUROPEI DI CATEGORIA. SCOPRIAMO INSIEME LE TAPPE DI AVVICINAMENTO A QUESTI MESI DI PASSIONE AZZURRA
DI MASSIMO MATTACHEO
E
state. Sole, mare e maglia Azzurra. Un leitmotiv che
da sempre scandisce questo periodo dell’anno, in cui – conclusi i campionati – giocatrici, staff tecnici e addetti ai lavori si concentrano sull’Italbasket. Una maglia ambita, sognata e da guadagnare, l’orgoglio di rappresentare la propria nazione al massimo livello continentale muove e anima decine di atlete che ogni anno mirano a indossarla.
Il nostro viaggio alla scoperta degli appuntamenti che at-
tendono le Nazionali femminili comincia qui, dalla senior guidata da Lino Lardo. Al momento in cui scriviamo, è reduce dal Torneo di Melilla (Spagna) concluso con il bilancio di una vittoria, con il Belgio, e una sconfitta, contro le padrone di casa. In un’estate priva di impegni ufficiali, la Federazione ha organizzato tornei di alto livello contro squadre di prima fascia europea. Il prossimo appuntamento sarà infatti a Cividale del Friuli, contro Spagna e Slovenia, sempre nel mese di giugno (17-19).
Queste gare amichevoli, unite al raduno iniziato a Chianciano Terme a maggio, consentiranno al Commissario Tecnico di valutare giocatrici giovani e non ancora stabilmente nel giro della Nazionale, con l’obiettivo di ampliare il bacino di atlete che potranno rappresentare il nostro paese nei prossimi appuntamenti ufficiali. Un’occasione, dunque, per sperimentare nuove soluzioni in vista delle sfide a Svizzera e Slovacchia, che si terranno a novembre in Italia e saranno valide per le qualificazioni a EuroBasket Women 2023. A riprova di quanto queste partite amichevoli possano essere utili per il futuro, il CT Lardo ha così commentato sui canali ufficiali della Federazione la vittoria ottenuta contro il Belgio con un convincente 77-60: “I margini di miglioramento di questo gruppo sono enormi, ma ci godiamo questa vittoria contro una squadra fisica e di ottimo livello. A Melilla abbiamo portato 9 atlete Under 25, che hanno bisogno proprio di giocare questo tipo di partite per cresce-
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MELILLA AZZURRE REDUCI DAL TORNEO DI MELILLA (SPAGNA) CONCLUSO CON UNA VITTORIA, CON IL BELGIO, E UNA SCONFITTA, CONTRO LE PADRONE DI CASA.
re. Dopo una settimana di riposo, ci ritroviamo a Cividale del Friuli con un gruppo più ampio. Chi è stato in raduno a Chianciano deve sentirsi parte attiva di questa vittoria perché una prestazione come questa nasce dall’ottimo lavoro svolto in Toscana”.
Nella lunga estate che attende invece le Nazionali giovanili, la
prima formazione a scendere in campo sarà l’Un-
der 20, impegnata negli Europei di categoria in programma a Sopron (Ungheria) dall’8 al 16 luglio. Le Azzurrine avranno un nuovo corso tecnico, iniziato lo scorso 17 maggio con la nomina a Commissario Tecnico di Andrea Mazzon, che in questa stagione è subentrato all’Umana Reyer Venezia conducendo la squadra alla semifinale di Coppa Italia e alla semifinale playoff oltre che alla finale di
EuroCup Women. Mazzon ha preso il posto di Sandro Orlando, che si è accordato con la formazione messicana dei Libertadores Queretaro, risolvendo così il contratto che lo legava alla FIP. Fucina di talenti da sempre, la squadra si è laureata campione d’Europa nel 2019, guidata dalle giocate di Costanza Verona, Alessandra Orsili e Sara Madera, che negli anni successivi si sono confermate autenti-
che promesse della nostra pallacanestro sia a livello di Club sia a livello di Nazionale senior, di cui sono entrate a fare parte in pianta più o meno stabile. Dopo la vittoria di EuroBasket 2019, il torneo non è stato disputato negli anni successivi a causa del Covid-19, che ha limitato notevolmente l’attività delle Nazionali giovanili. La squadra allenata allora da Sandro Orlando si è imposta, nel 2021, nel pro-
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ORIZZONTI prio girone degli European Challengers ottenendo cinque vittorie in altrettanti incontri. Con la mancata disputa degli Europei di categoria negli ultimi due anni, dunque, l’Italia si presenta all’appuntamento in Ungheria da campionessa in carica, con l’ambizione di ben figurare nella rassegna continentale. Per prepararsi al meglio all’evento, la Nazionale si radunerà a Folgaria e Udine dal 13 giugno al 5 luglio, affrontando in questo periodo Slovenia e Bulgaria (due volte) prima di partire alla volta dell’Ungheria per disputare EuroBasket.
L’estate a tinte Azzurre proseguirà poi nel mese di agosto, con
gli impegni che attendono le Nazionali Under 18 e Under 16, entrambe protagoniste nei rispettivi Europei di categoria.
Francia e Grecia. Una occasione di confronto di alto livello per le giovani Azzurre, che saranno opposte ad alcune delle migliori nazionali del panorama europeo. Dopo il lungo stop per il Covid-19, che ha reso difficili le ultime annate sia per i Club, costretti a convivere con le difficoltà logistiche, organizzative ed economiche, causate dalla pandemia, sia per le Nazionali giovanili, questa estate torna dunque a colorarsi di Azzurro. La possibilità di confrontarsi con le migliori squadre europee, l’occasione per i migliori talenti del panorama continentale di mettersi in mostra si uniscono alle incognite legate ai lunghi stop delle competizioni continentali che impediscono di fare pronostici sulle grandi favorite. Sicuramente l’Italia ha tutte le carte in regola per potere essere protagonista a tutti i livelli, per la capacità
Sarà dunque una estate tutta da vivere, insieme alle Nazionali giovanili, che proveranno a tornare o ad arrivare sul trono d’Europa. E soprattutto, torneranno a indossare con orgoglio e passione quella maglia Azzurra così bella nei vari Europei di categoria. Le prime, sotto la guida di Giovanni Lucchesi, partiranno per la manifestazione difendendo il titolo conquistato in Bosnia ed Erzegovina tre anni fa, nel 2019, nel corso di quella magica estate Azzurra. Inserite nel Gruppo A del torneo, affronteranno nell’ordine Spagna, Polonia e Turchia il 6, il 7 e l’8 agosto ad Heraklion, in Grecia. Il torneo avrà la sua conclusione con la finale in programma il 14 agosto.
L’Under 18, insieme all’Under 20, è una delle formazioni che
ha dato maggiori soddisfazioni all’Azzurro nel corso degli ultimi anni e avrà l’occasione di ben figurare anche in questa manifestazione continentale. A completare il quadro delle Nazionali giovanili impegnate negli Europei di categoria, l’Under 16 allenata da Roberto Riccardi, che sarà di scena dal 19 al 27 agosto a Matosinhos, in Portogallo. Inserite nel Gruppo A insieme a Ungheria, Croazia e Finlandia, le Azzurrine si presentano ai nastri di partenza con l’ambizione di essere competitive. Nell’ultima edizione, del 2019, la corsa dell’Italia si fermò con la sconfitta ai quarti di finale ad opera della Spagna, che poi concluse EuroBasket al terzo posto, battendo la Francia nella finale per il bronzo. L’Under 15 Femminile, allenata da Giovanni Lucchesi, prenderà invece parte al Torneo dell’Amicizia in programma a Melilla, in Spagna, dall’11 al 14 luglio, dove affronterà, oltre alle padrone di casa, anche
degli staff tecnici di esaltare le qualità delle ragazze e per l’abilità della scuola italiana di allenatori di ottenere diversi e importanti successi a livello giovanile.
Sarà dunque una estate tutta da vivere, insieme alle Nazio-
nali giovanili, che proveranno a tornare o ad arrivare sul trono d’Europa. E soprattutto, torneranno a indossare con orgoglio e passione quella maglia Azzurra così bella nei vari Europei di categoria. In queste settimane, si stanno svolgendo anche le Finali Nazionali giovanili delle categorie Under 19, Under 17 e Under 15. Queste ultime sono state le prime a scendere in campo, tra Pordenone, Gorizia, Trieste e Udine: lo scudetto è andato a Roma Team Up (alias Basket Roma) dopo una finale all’ultimo respiro contro la Libertas Trieste, grazie a 25 punti e 23 rimbalzi del talento del 2009 (!) Hassan. Mentre scriviamo si sta disputando la Finale Nazionale Under 19 in programma a Battipaglia dal 6 al 12 giugno, mentre l’Under 17 sarà di scena a Campobasso dal 26 giugno al 2 luglio.
Mesi da vivere con grande passione, attenzione e interes-
se per la pallacanestro giovanile in rosa, che torna finalmente a essere grande protagonista. Nel segno dei futuri talenti e con un occhio di riguardo particolare per quella maglia Azzurra tanto ambita e sognata.
ILARIA PANZERA L’ESTERNA DEL GEAS, CHIAMATA AD ESSERE PROTAGONISTA DEL GRUPPO U20, HA ESORDITO IN NAZIONALE MAGGIORE A MELILLA.
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storie
Notte prima della finale DI manuel beck Niente da fare: il sonno non arriva. Giulia si sta rigirando nel letto da almeno un’ora. Tende l’orecchio per controllare il respiro della sua compagna di stanza. Con sollievo s’accorge che nemmeno Samira sta dormendo. Ne è sicura. Dopo anni di Nazionale insieme, sempre nella stessa camera, non può sbagliarsi. “Ehi... stai dormendo?”, le sussurra. Un attimo di silenzio, poi la risposta attraversa il buio: “Ma se ti dico di sì, ci credi?”. Giulia ride: “No...”. “Abbassiamo l’aria condizionata?”, propone l’altra. “Non serve a niente. Quando mai abbiamo dormito, prima di una partita così?”. Giulia ha ragione solo in parte. È vero che non hanno mai dormito bene, prima dei grandi appuntamenti della loro carriera. E non è mai stato un problema. Ma una partita così non l’hanno mai giocata finora. È la notte prima della finale. Delle Olimpiadi di Roma 2040. Italia contro Stati Uniti. Domani sera ci saranno 20.000 spettatori nell’immenso palasport olimpico; ci sarà la diretta tv nazionale, e dopo gli 8 milioni che hanno guardato la loro esaltante rimonta in semifinale, è facile la previsione che l’audience sfonderà ampiamente i 10 milioni. I destini dell’Italia, lo sanno tutti, passeranno soprattutto da loro due, Giulia e Samira. Certo, gran collettivo quello azzurro, mentalità encomiabile, difendono tutte come dannate... ma in attacco solo la coppia che condivide questa stanza del villaggio olimpico ha abbastanza talento per mettere in crisi persino le americane. Una consapevolezza eccitante, ma anche la pressione di non poter sbagliare. “Tranquilla. Anche senza dormire, gli facciamo un c... così, vedrai”, spara Giulia. La solita. Samira l’ha sempre invidiata per questa sua autostima incrollabile, che lei non ha mai avuto. “Ci credo, a patto che tu non ti metta a svalvolare contro gli arbitri e le avversarie...”, ribatte. Touché. Il rovescio della medaglia della personalità sopra le righe di Giulia è l’elettricità in eccesso. Quando inizia a polemizzare col mondo intero, il suo nervosismo contagia tutte. Ma non sarebbe arrivata così in alto se non avesse imparato a controllarsi, a canalizzare la sua energia verso l’obiettivo comune anziché disperderla in guerriglie personali. “Fidati, non butto via un’Olimpiade per litigare con un arbitro, dopo tutto il mazzo che ci siamo fatte... Tu, invece, non cadere in depressione se sbagli i primi due tiri, eh? Ti voglio carica dall’inizio, non possiamo aspettare che ti svegli”. Uno pari. Il tallone d’Achille di Samira, nonostante sia una giocatrice dominante, è quel fondo d’insicurezza, e di perfezionismo eccessivo, che la porta ad assorbire male gli errori, per sua fortuna davvero pochi. Sono diverse come il giorno e la notte, loro due. Per aspetto e origini: Giulia è una bionda dal Nord Italia, Samira è cresciuta al Sud ed è un simbolo della nuova Italia multietnica; la prima ha un’altezza sopra la media del suo ruolo ma è un play, mentre la compagna è una lunga dalla figura interminabile. Poi per il
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STORIE
carattere: Giulia è un vulcano in eruzione perenne, istintiva e impulsiva, carismatica e istriona; Samira è un’introversa che riflette cento volte prima di parlare e di agire. All’inizio non si sopportavano. Un po’ per l’accanita rivalità alle finali nazionali giovanili, un po’ per quel loro essere apparentemente agli antipodi. Poi hanno capito che, grattando sotto la superficie, sono animate dall’identica passione divorante per il basket, dalla stessa competitività esasperata, dalla voglia di raggiungere traguardi di squadra più di quelli individuali. “Ti ricordi 7 anni fa, la notte prima della finale dei Mondiali U19? Anche quella volta eri sicura che le avremmo battute, e io ti davo della pazza. Invece...”, ammette Samira. “Appunto, e dopo tanto tempo con me non ti fidi ancora? Siamo forti”, ribatte Giulia. L’oro ai Mondiali Under 19 del 2033 è stato l’inizio di tutto. Sì, avevano già vinto medaglie giovanili insieme, ma c’erano già riuscite altre generazioni di talenti azzurri. Il titolo iridato, per di più battendo le americane, era senza precedenti. Era il segnale che quel gruppo aveva qualcosa di davvero speciale, e loro due più di tutte. Da allora, tanto lavoro, tanta fatica, qualche delusione, ma soprattutto soddisfazioni incredibili. Scudetti, coppe europee, due ori a Eurobasket Women. Stagioni da protagoniste in Wnba, dove Samira ha anche vinto un titolo, Giulia per ora no, ed è l’unica cosa che invidia davvero alla compagna. Poi l’argento ai Mondiali senior di due anni fa, sempre contro le americane, con Samira fuori negli ultimi minuti per una distorsione alla caviglia. Che rimpianti. Ma mezza Italia le ha viste in tv e si è innamorata di loro, quel giorno. Ora sono probabilmente le due sportive più popolari del Paese: le portacolori del basket femminile che sta avendo un boom clamoroso di popolarità. Guadagnano milioni di euro, come è normale nel 2040 per le stelle dello sport femminile. Ma l’emozione della grande partita in arrivo è sempre la stessa di quando erano ragazzine. Perché in fondo loro sono ancora così, nello spirito: sognatrici, malate di basket, che giocherebbero gratis se non fossero così brave e fortunate da essere pagate molto bene per farlo. “Ho già in mente l’azione decisiva, se siamo punto a punto. Vuoi sentirla?”, dice Giulia dopo un attimo di silenzio. “Tanto so già che il piano prevede te come protagonista...”, ribatte Samira. “Come hai fatto a indovinare? Sì, immagina che mancano 20 secondi e siamo pari... tengo palla per 1015 secondi, poi finto l’entrata, vado in step-back, sparo la tripla e mi butto per terra. Così da giù vedo la palla entrare, sento il boato e poi mi venite tutte addosso perché abbiamo vinto l’oro”. E mentre libera la fantasia si emoziona come se lo stesse vivendo davvero. “Egocentrica! Fa’ così, piuttosto: palleggi 10-15 secondi, e va bene, poi però vai davvero in entrata, e quando ti chiudono, mi alzi l’alley-oop e io schiaccio al volo”. “Eh, vediamo... è complicato, se poi ti sfugge la palla a saponetta? Mi rovini il capolavoro”. “Ma vaff...” E vanno avanti così, tra ricordi e frecciatine, finché in qualche modo si addormentano. *** In un’altra stanza del villaggio olimpico, nemmeno Katia dorme. A notte fonda, dopo aver mandato a letto i suoi assistenti alla fine dell’ultima riunione dello staff, la c.t. della Nazionale è ancora incollata al suo device, a studiare filmati delle americane. Li conosce già a memoria, ma non si sa mai. Può sempre notare qualche particolare nuovo, da cui ispirarsi per un’idea in più. Come quelle che sono valse la vittoria in semifinale, l’altra sera. Le australiane sono state perfette, nel primo tempo: 15 punti di vantaggio, in un palasport deluso e attonito. Poi Katia ha cambiato le carte nell’intervallo, ordinando una box and one sul play avversario; appena le Opals si sono adeguate, ha rimescolato tutto, con una zona 3-2 che ha annebbiato definitivamente le avversarie, aprendo la strada alla rimonta azzurra in un crescendo d’euforia del pubblico. Anche nei quarti, contro la Nigeria, Katia ha fatto le mosse giuste. Le africane erano chiuse a riccio dentro l’area, ingabbiando Samira, mentre Giulia non trovava la mira da fuori e l’attacco era asfittico. Allora ha sfruttato la versatilità delle sue stelle, portando Samira fuori sul perimetro e mettendo Giulia spalle a canestro come una lunga. Le nigeriane non ci hanno capito nulla per un quarto abbondante, quanto è bastato all’Italia per prendere il largo.
Katia è stata sommersa di complimenti, dopo queste due vittorie. Anche dagli abituali detrattori. Facile salire sul suo carro adesso, ha pensato lei. Se perderanno la finale, magari con qualche magagna tattica imputabile al coach, si scatenerà il plotone di esecuzione. È il prezzo da pagare alla popolarità del basket femminile. Ai tempi in cui non lo filava nessuno, al massimo il processo te lo facevano quattro gatti d’appassionati sui forum di internet, non i giornalisti-top d’Italia in prima serata sulla tv nazionale... Ma per ora sono solo rose e fiori. Le è arrivato un messaggio persino da chi aveva cercato di farle le scarpe fino all’ultimo. Un santone del maschile, un po’ decaduto ma con una nomea tuttora prestigiosa e molto appoggio mediatico, che vedeva nella panchina dell’Italia olimpica femminile – con fondate speranze di medaglia – un treno su cui salire per rilanciarsi alla grande. In un passato non troppo lontano, probabilmente Katia sarebbe stata spodestata senza troppi riguardi, nonostante i suoi meriti pregressi. Per fortuna siamo nel 2040 e lei non è mai sentita in discussione da parte dei vertici federali. Quanto è cambiata in meglio la situazione rispetto a quando ha iniziato ad allenare. Le coach ora non sono più mosche bianche ad alto livello: più di metà delle squadre di A1 sono ormai dirette da donne. Senza bisogno di “quote rosa” artificiali; semplicemente perché hanno la possibilità di dimostrare di essere brave. Se non lo sono, avanti un’altra. O un altro, ovviamente. Non è che per riparare al maschilismo di prima si debba scadere in un femminismo altrettanto discriminatorio. Katia osserva l’ennesima azione devastante delle americane nella semifinale stravinta sulla Serbia. Contro di loro i tatticismi servono a poco, lo sa bene. Perché non hanno punti deboli. Lo ricorderà lei stessa alla squadra, nell’ultimo discorso prima della finale, che ha già preparato nella sua testa: “Ragazze, oggi non vi darò né un piano A né un piano B. Sono impazzita? No, semplicemente oggi vinciamo perché saremo più forti di loro, non più furbe o più tattiche.. È una finale olimpica: giocatela col cervello sì, ma a viso aperto, con il vostro talento, con quello che rimane delle energie fisiche e mentali. Con il carattere che avete sempre avuto e che vi ho sempre invidiato”. Katia si è sempre sentita fortunata per questo. Non tanto per avere due talenti clamorosi come Giulia e Samira contemporaneamente, ma perché le giocatrici italiane di questa generazione non hanno paura di nessuno. Ai suoi tempi avevamo un complesso d’inferiorità verso Francia e Spagna, qui ai Giochi le abbiamo demolite per l’ennesima volta, nella prima fase. Sono solo un lontano ricordo certi nostri crolli contro avversarie non irresistibili, pagando improvvise paure nei momenti decisivi, per poi sciogliersi in pianti irrefrenabili alla sirena finale... “E per il resto, ragazze – concluderà così il discorso – fidatevi dell’empatia tra di voi e con il pubblico: sarà la vostra energia in più”.
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STORIE
Empatia: una delle sue parole preferite. In una delle mille interviste di questi giorni, hanno chiesto a Katia quale ritiene la sua dote migliore da coach. E lei ha risposto proprio l’empatia. Al di là delle sue competenze tecniche, in cui pensa di essere brava ma come altri e altre, Katia si sente la più adatta a gestire questo gruppo proprio perché sa sintonizzarsi con tutte, dalle stelle come Giulia e Samira alle gregarie meno utilizzate. È normale: da ex giocatrice, Katia è in grado di capire in ogni momento cosa passa per la testa delle sue ragazze. Così come è normale che, avendo speso nel femminile la sua intera carriera da coach, conosca alla perfezione le italiane dalla serie A alla Z, così come tutte le avversarie. Chissà perché sembrava, una volta, che queste skills contassero meno di un curriculum maturato nel settore maschile: scienziati del basket, senza dubbio, ma ben poco specializzati nell’ambiente che si trovavano a gestire una volta “calati nel femminile”, come si era soliti dire... Katia torna a visionare il filmato per l’ultima volta. Le immagini mostrano una schiacciata della torre americana DeShawna Price. Un gesto normale nel basket femminile di oggi. Da quando la Fiba ha abbassato i canestri, il gioco delle donne ha fatto un balzo di spettacolarità che ha convinto anche i più scettici. Un uovo di Colombo. Non è solo una questione di schiacciate, che sono la ciliegina sulla torta, ma di maggior facilità nell’eseguire ogni conclusione, da quelle da sotto alle triple siderali. Più canestri e meno errori. Katia, prima della riforma, non riusciva a capire la resistenza al cambiamento, anche da parte di molte giocatrici, quasi si sentissero sminuite dal semplificarsi la vita. Se la donna è mediamente più bassa e salta meno dell’uomo, perché doveva utilizzare lo stesso canestro? Le pallavoliste da sempre schiacciano e murano con facilità grazie alla rete ribassata; nel lancio del peso si usa un attrezzo più leggero di quello maschile: è forse un disonore? Per fortuna, oggi nessuno si sognerebbe di tornare indietro. Il basket femminile del 2040 è un perfetto bilanciamento tra spettacolo e tecnica, come quello maschile. Anzi, probabilmente di più... *** Anche Linda resta sveglia, la notte prima della finale, nella sua stanza d’albergo. Solo adesso ha tempo di leggere l’intervista che le ha dedicato Daria, firma di punta di uno dei quotidiani più importanti d’Italia. Le manda un messaggio di ringraziamento: “Un onore essere ritratta così dalla miglior penna dello sport italiano”. Solo dopo aver premuto il tasto d’invio, si rende conto che a quell’ora rischia di disturbare. Invece le arriva subito una risposta: “Casomai è un onore per me aver potuto raccontare la miglior dirigente dello sport italiano...”. Linda sorride. Non si abituerà mai a sentirsi tale, anche se in questi anni, e ancora di più nelle magiche giornate olimpiche, l’orgoglio è tanto e legittimo. Lo era già quando è diventata la prima presidentessa nella storia della Federbasket; ancor più adesso, alla vigilia di una finale olimpica che non è un exploit isolato, un lampo dovuto all’abilità di sfruttare circostanze fortunose, ma il logico coronamento di una crescita incredibile del basket femminile italiano. Ripensa a una ventina d’anni fa. Aveva appena smesso di giocare e iniziato la carriera da dirigente. Quanta frustrazione. Il campionato di A1 faticava a venire trasmesso in tv, mentre calcio e pallavolo femminili avevano fior di esposizione visibile a tutti, tanto più per la rispettiva Nazionale. I giornali ci dedicavano spazi risibili, anche per i maggiori eventi; si faceva notizia solo per qualche “scandalo”, vero o presunto, come un allenatore che maltrattava una giocatrice. Adesso invece... Linda osserva la prima pagina del quotidiano sportivo sul tavolo della sua stanza, con la Nazionale di basket che campeggia al centro. Ormai è diventata un’abitudine. Non solo per le azzurre: si sono guadagnati fior di prime pagine anche i club, tornati a dominare l’Europa come nell’epoca d’oro degli anni ’80-90 del secolo scorso, un’epoca che sembrava sepolta e invece... Pensare che si era rimasti più di vent’anni senza vincere l’Eurolega fa sorridere, adesso che una singola stagione senza trofei continentali sembrerebbe un fallimento. “Com’è stato possibile il cambiamento?”, le ha chiesto Daria nell’intervista. Katia rilegge la sua risposta: “È stato un lungo percorso, iniziato già prima della mia gestione. A un certo punto il basket italiano nel suo complesso si rese conto che ghettizzare il femminile, trattarlo come un parente povero, era un errore gravissimo, che altri sport non commettevano. Si superarono divisioni e steccati, anche all’interno del movimento femminile si trovò un’unità d’intenti che prima mancava. Il successivo decollo non sarebbe stato possibile senza proprietari e dirigenti straordinari non solo nel coltivare il proprio orto, ma anche nel lavorare per l’interesse comune”. “E la Federazione in che modo ha fatto la sua parte?”.
“Il problema più grave da risolvere era la carenza di tesserate. Le società di base dovevano fare i salti mortali per trovare nuove praticanti ogni anno. Molte ragazzine smettevano perché la squadra più vicina era a troppi chilometri di distanza: e questo gridava vendetta. Allora abbiamo messo tutte le nostre energie per invertire la freccia, sostenendo da un lato le piccole società attive sul territorio, dall’altro incentivando i club di vertice in modo che trovassero conveniente investire sulle giovani italiane: una volta chi ci provava finiva per arrendersi a costi insostenibili. Così sono rifioriti i vivai e si è creato un circolo virtuoso: oggi le ragazzine vedono davanti a sé i modelli di cestiste italiane affermate e popolari, e ne traggono stimolo sia ad iniziare, sia poi ad aspirare a una carriera di alto livello, per chi ne ha le doti”. “E a tal proposito, molto è stato fatto per i diritti delle giocatrici”, ricordava Daria. “Sì: oggi per le italiane di vertice il basket è una professione tutelata come qualsiasi altro lavoro, e in grado di consentire un dopo-carriera molto meno precario di prima. Non succede più che giocatrici di talento debbano smettere a 20-25 anni per salvaguardare il proprio futuro. Per gli uomini era già così da decenni, ci siamo arrivati anche per le donne”. Nella parte finale dell’intervista, Linda allargava gli orizzonti: “Il basket femminile ha avuto i suoi meriti, ma una crescita così clamorosa è stata resa possibile da una fortuna: che la società italiana sia cambiata. Ancora vent’anni fa resistevano pregiudizi assurdi contro gli sport di contatto per le donne. L’esposizione del ‘lato B’ della sportiva, e in generale l’essere gnocca, per dirla in modo grezzo, erano considerate un valore aggiunto. Oggi non sentiamo più fesserie come ‘la tale atleta non rinuncia alla sua femminilità’ (come se qualcuno si fosse mai sognato di dire che ‘il tale atleta maschio non rinuncia alla sua virilità’); le sportive sono giudicate per quello che fanno sul campo, in pista, in piscina, non per quanto siano sexy o meno. È proprio grazie a questo cambiamento sociale che la mia carriera da dirigente sportiva, ma anche quella di tante mie colleghe, ha potuto decollare”. “In effetti, ormai siete in tante a presiedere federazioni sportive”, osservava Daria. “Così come sono tante donne a dirigere aziende, ricoprire cariche politiche di primo piano, eccetera. Vent’anni fa in Italia era impensabile. Persino un uomo come mio padre, che girava il mondo come dirigente di una multinazionale, pensava ancora che la donna ideale curasse i figli e la casa; e se qualcuna faceva carriera, commentava con allusioni sarcastiche, come se potesse essere arrivata in alto solo passando dal letto di qualcuno, non per meriti propri. Ma non gliene faccio una colpa: era la mentalità patriarcale che avevano inculcato nella sua generazione e in quelle precedenti. Oggi nessuno pensa che una donna debba, scusate il termine, darla via per fare carriera: ha le sue opportunità e deve dimostrare di meritarsele. Come gli uomini. L’Italia era in ritardo rispetto ad altri Paesi ma ha recuperato”. “E il basket femminile ha saputo cavalcare meglio di tutti l’onda del cambiamento”, chiosava la giornalista. “Esatto. È stato al 50% merito nostro… e al 50% un miracolo”. “Come andrà la finale?”, era l’ultima domanda. “Ovviamente non ne ho idea. Speriamo tutti di poter celebrare grazie alle donne il primo oro olimpico della storia del basket italiano. Ma se non succede... un movimento che ha moltiplicato le praticanti negli ultimi anni, e continuerà a farlo nei prossimi, non perde mai davvero”. *** A un’ora dall’inizio della finale, il palasport olimpico è già una bolgia. Esplode un’ovazione all’ingresso in campo dell’Italia per il riscaldamento. Come in ogni prepartita di questi Giochi, Giulia e Samira lanciano uno sguardo in tribuna per salutare chi hanno a cuore: una la sua compagna, l’altra il suo ragazzo. Finalmente, comunque vada, da domani le coppie avranno un po’ di tempo da passare insieme. Ma non molto: tra dieci giorni riprende già la Wnba. A qualche metro di distanza, coach Katia osserva quei saluti e sorride. Riflette sul fatto che quando era giocatrice lei, gli outing erano ancora visti come gesti clamorosi. Oggi invece, nel 2040, non interessa più a nessuno sapere se la tale campionessa sta con un lui o una lei; o meglio, può far parte dei dettagli che si è soliti fornire su un personaggio, ma del tutto secondari rispetto alle sue prestazioni sportive. Oggi nessuno più definirebbe “coraggioso” un outing, perché non c’è bisogno di alcun coraggio. Ma è il pensiero di un attimo. Ora tutte le energie, tutte le attenzioni di Katia, di Giulia e di Samira, così come di Linda che ha preso posto nella tribuna-autorità, vicino al presidente della Repubblica e alla presidentessa del Consiglio (il Papa ha fatto sapere che seguirà dalla tv), sono per la partita che sta per iniziare. La più importante delle loro vite.
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ELENA DELLE DONNE L’ATTUALE STELLA DELLE MYSTICS HA SOFFERTO DI BURNOUT ALL’INIZIO DELLA SUA CARRIERA. E’ STATA MVP WNBA NEL 2015 E 2019.
palla e psiche
LIFE BALANCE, PREVENIRE IL BURNOUT DI ALICE BUFFONI - Centro Studi e Formazione in Psicologia dello Sport Non si sottolinea mai abbastanza l’importanza di trovare un equilibrio tra Atleta e Persona. Riuscirci permette non solo di gestire meglio le pressioni agonistiche e mantenere alto il livello della performance, ma anche di prevenire una sindrome molto pericolosa e frequente per gli atleti: il Burnout. Il Burnout è il risultato di diversi fattori che portano a un decadimento rapido delle risorse psicofisiche e quindi a un calo evidente della prestazione. Sintetizzando, possiamo dire che il Burnout è una reazione a una tensione emotiva cronica, derivante da una cattiva gestione di situazioni stressanti. Quando lo stress è prolungato, la mente attua dei meccanismi di difesa, ad esempio, un giocatore in Burnout sembrerà apatico, senza entusiasmo: sono i primi segnali che qualcosa non va. Prendere le distanze dalle proprie emozioni dà l’illusione di attenuare la tensione e soffrire di meno, ma il rischio è eliminarle del tutto, anche quelle belle e vitalizzanti. Tra i professionisti, il disinvestimento emotivo porta i giocatori a considerare solo il fattore dei compensi, l’atleta si appiattisce e si allena solo per contratto. Un altro sintomo profondo di Burnout è la deformazione spazio-temporale: si percepisce il tempo in termini di stagioni agonistiche e tempi di recupero, senza più spazio per le relazioni sociali o le attività collaterali. I compagni e gli allenatori diventano degli antagonisti, visti come fonte di ulteriore stress e di richieste prestative o relazionali che il giocatore in Burnout non può più soddisfare. Da malessere psicologico, il Burnout può degenerare anche in malessere fisico causando disturbi del sonno, del sistema nervoso centrale, disturbi alimentari. Non è una situazione facile, ma possiamo attuare delle contromisure per prevenirla! La prima cosa da fare è curare anche la preparazione mentale: lavorare sull’autoefficacia, sulla motivazione, sulla gestione delle pressioni e delle aspettative esterne abbassa sensibilmente la percezione delle situazioni stressanti e ansiogene. Fondamentale è anche una pianificazione ben strutturata degli obiettivi sportivi e di vita, proprio perché non esiste solo la dimensione-atleta, siamo innanzitutto persone. Diversificare gli impegni, avere interessi extra sportivi favorisce questo equilibrio. Possono essere hobbies, il tempo di qualità passato in famiglia, lo studio, attività solidali. Le parole di Pippo Ricci, top player dell’AX Olimpia Milano, lo confermano: «Viviamo la vittoria, la sconfitta, c’è la prestazione che ti soddisfa, ma c’è anche il momento no. In questo vortice sono riuscito a trovare un equilibrio che mi riporta sulla terraferma, ed è lo studio: importante trovare quelle ore, mettermi a tavolino, sui libri e superare, magari con fatica, gli esami universitari». E tu, hai trovato il tuo equilibrio? Questa rubrica è tenuta da Centro Studi e Formazione in Psicologia dello Sport.
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