JASMINE KEYS PEPO GONZALEZ MARIANGELA CIRONE BASKET LE MURA LUCCA A1, A2 ED EUROLEGA STELLA AZZURRA ROMA
35
FEB 2022
FEBBRAIO 2022
N.35
in questo numero 1 EDITORIALE
Bambine o fenomeni?
5 inside A1
Il miracolo continua
10 speciale coppe
L’Europa sorride a Schio e Venezia
13 best ita 15 Focus
Il paese delle meraviglie
21 cover story
La Key(s) del successo
27 inside A2
In sette vs Crema
33 Primo piano
Pepo la marchigiana
38 ORIZZONTI
Stella Azzurra a tinte Pink
41 storie
Sua Maestà Cirone
47 PALLA E PSICHE
I più forti vincono sempre?
REDAZIONE Silvia Gottardi,
Francesco Veluzzi, Giuila Arturi, Manuel Beck, Simone Fulciniti, Laura Fois, Eduardo Lubrano, Alice Buffoni, Stella Azzurra
INFOGRAFICA Federica Pozzecco PROGETTO GRAFICO Linda Ronzoni/ Meccano Floreal
IMPAGINAZIONE Grazia Cupolillo/ Meccano Floreal
FOTO DI Marco Brioschi, Roberto Liberi, Luca Taddeo per Famila Schio, Marco Teatini per Thunder Matelica, Stella Azzurra, FIBA Europe, Debora Fabio, Reyer Venezia, Derthona Basket PINK BASKET è un periodico di proprietà di Silvia Gottardi
editoriale
BAMBINE O FENOMENI? DI silvia gottardi Fatto. Il 6 febbraio 2022 Kamila Valieva, 15 anni, ha fatto la storia del pattinaggio artistico diventando la prima donna ad aver effettuato un salto quadruplo alle Olimpiadi, regalando così la medaglia d’oro alla Russia nel pattinaggio di figura a squadre. La cerimonia di premiazione prevista per il 7 febbraio è stata però rinviata per motivi non del tutto chiari. Fatto. L’8 febbraio è stato ufficializzato l’esito di un test antidoping effettuato dalla giovane stella russa a dicembre 2021, che l’ha trovata positiva alla trimetazidina (una sostanza vietata dalla WADA). È arrivata immediatamente la sospensione dell’atleta, subito revocata il 9 febbraio, in virtù del fatto che Valieva è minorenne, quindi soggetta a regole diverse rispetto a quelle di un atleta adulto. Gli atleti sotto i 16 anni, infatti, sono maggiormente tutelati dalle regole anti-doping e, in genere, non sono ritenuti responsabili per l’assunzione di sostanze vietate. Fatto. Il 15 Febbraio la quindicenne di Kazan prende parte alla prova individuale piazzandosi momentaneamente al primo posto; in caso di un suo podio il CIO comunica che non ci sarebbe stata premiazione. Dopo due giorni, durante la seconda prova, Kamila cade più volte durante l’esercizio ed esce in lacrime dalla pista. Perde il vantaggio che aveva accumulato e si piazza solo al quarto posto. La grande favorita, la pattinatrice più forte del mondo, forse della storia, è schiacciata dalla pressione e dalle polemiche per il caso doping, e si trasforma in una quindicenne impaurita. Ora veniamo al punto della questione. Sorvoliamo sul doping (che tanto concordiamo tutti di esserne contro), sorvoliamo anche sul pasticcio che si è creato per il fatto che gli under 16 sono troppo giovani per essere squalificati (perché?), e focalizziamo la nostra attenzione su queste atlete bambine. Sì perché a 15 anni si è poco più che bambine. Franco Arturi ha scritto un interessante editoriale in merito sulla Gazzetta, auspicando l’interdizione per atleti di meno di 16 anni (meglio 17) per gare di questo livello. Secondo lui portare un’adolescente di 15 anni a gareggiare o vincere un’Olimpiade significa averla massacrata di lavoro fin da quando era una bambina di 10, 11 anni. Averla costretta ad ore e ore di allenamenti maniacali, ad una disciplina ferrea, a sacrifici enormi, rovinandone l’infanzia. Solitamente, quando si parla di atlete bambine, tutti pensano soprattutto alle ginnaste. Ma negli altri sport? Nel nostro basket ad esempio? Matilde Villa (2004) non aveva ancora 15 anni quando ha cominciato a stupirci con le sue magie a Costa, e ha esordito in Nazionale senior un mese prima di compierne 17. Carlotta Zanardi (2005) è stata una delle migliori giocatrici per punti e valutazione della passata stagione di A2. Anche io, nel mio piccolo, come del resto anche Laura Macchi o altre coetanee, a 14-15 anni ci allenavamo tutti i giorni (qualche volta anche facendo il doppio allenamento), giocavamo in prima squadra ed eravamo considerate “senior”. Che ricadute ci sono a livello psicologico e fisico? La ginnastica o il pattinaggio sono sicuramente discipline massacranti e usuranti, anche pericolose. La pal-
editoriale
MATILDE VILLA CLASSE 2004, È LA SECONDA MIGLIOR REALIZZATRICE ITALIANA DELLA SERIE A1 CON 15,82 PT A PARTITA. HA ESORDITO IN NAZIONALE LO SCORSO NOVEMBRE A 16 ANNI E 11 MESI.
lacanestro, e forse in generale gli sport di quadra, mi sembrano meno stressanti da un punto di vista fisico. Anche se è vero che a 15 anni nessuna atleta può essere già pronta fisicamente: io ad esempio mi sono rotta il mio primo crociato proprio a 15 anni, il secondo a 16… Il vantaggio che vedo negli sport di squadra è anche che sono dei giochi, e credo che il gruppo possa in qualche modo proteggere le singole atlete. Inoltre so per certo che, almeno da noi, le giovanissime non devono rinunciare alla scuola o alla loro vita normale per dedicarsi completamente al basket. Sicuramente però fanno una vita diversa dagli altri teenagers, piena di rinunce e con pressioni psicologiche che gli altri coetanei non devono affrontare: niente gita di classe perché c’è la partita, il sabato sera a casa a riposare, in estate la Nazionale, l’ultima l’hai giocata male e abbiamo perso, ma se non vinciamo la prossima sono guai ecc… E quindi? È davvero difficile esprimere un’opinione generale. Vietare ai fenomeni di gareggiare/giocare con le senior sarebbe come impedire loro di continuare a crescere, e priverebbe il pubblico di magie rare. La cosa più sensata, concordo con Arturi, è quella di introdurre un limite minimo di età per le grandi manifestazioni internazionali, per tutti gli sport! Questo probabilmente diminuirebbe la pressione sia fisica che psicologica sulle atlete bambine, ma non vieterebbe loro in assoluto di misurarsi ad un livello superiore. In fin dei conti aspettare fino a 16 anni non è poi aspettare tanto.
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MARIA MICCOLI PER L’ALA TRIESTINA È LA SECONDA STAGIONE CONSECUTIVA CON LUCCA, DI CUI È ANCHE CAPITANA. SI TRATTA PERÒ DI UN RITORNO DOPO LO SCUDETTO 2016/17.
inside A1
il miracolo continua DOPO L’INCREDIBILE SCUDETTO DEL 2017 LUCCA HA VISSUTO STAGIONI ALTALENANTI, AFFRONTANDO ANCHE MOMENTI DIFFICILI. HA SAPUTO PERÒ RINNOVARSI E,
MANTENENDO I VERTICI SOCIETARI E UNA STRATEGIA BEN DEFINITA, ANCORA UNA VOLTA, OGGI, È IN GRADO DI GUARDARE LA CLASSIFICA DALL’ALTO IN BASSO
Di Francesco Velluzzi
I
l miracolo sono loro. Le ragazze della Gesam Gas &
Luce Lucca. Nel 2017 il Basket Le Mura, allenato da quello stratega e alchimista di Mirco Diamanti diventò Campione d’Italia. Un successo clamoroso che detronizzò il Famila Schio che da più di dieci anni domina la scena del basket femminile italiano (anche se l’ultimo titolo assegnato, quello del 2021, lo ha vinto la Reyer Umana Venezia). Lucca vinse sfruttando gli errori delle Orange venete, vinse con le magie difensive di quel tecnico che ormai fa parte della storia, ma soprattutto del passato di un Club che ha mantenuto i vertici societari e dirigenziali, continua ad avere l’apporto fondamentale del suo main sponsor, gode sempre dell’appassionato impegno del presidente Rodolfo Cavallo, ma ha completamente voltato pagina. Perché l’altra anima della Società, che è anche qualcosa di più visto che è un pezzo di storia del movimento italiano, Lidia Gorlin lo scorso anno ha deciso per motivi personali di tornare nella sua Vicenza, lasciando la direzione
organizzativa di quella Lucca che si cucì lo scudetto sul petto sotto la sua gestione.
La scuola Vigarano Lucca, dopo quel tricolore, non è
riuscita a vincerne altri. Quello fu un miracolo sportivo. Il piccolo che batte il gigante. David contro Golia. L’utopia che diventa potere. Un anno in finale, l’anno dopo in trionfo. È qualcosa che rimarrà per sempre. Ma Lucca è riuscita a non affondare. Ha resistito e ha sempre costruito una squadra in grado di mettere in difficoltà qualsiasi tipo di avversario. In questa stagione il ruolo di guastafeste si addice ancora di più alle ragazze toscane che non hanno stelle da Nazionale, hanno pescato le straniere giuste senza che queste fossero acclamate come top player da contrattoni, ha lavorato su alcune giovani di prospettiva e ne ha rilanciate due che, da ragazzine, sembravano nate per il basket, Caterina Gilli e Giulia Natali, classe 2002, due che possono ancora fare in tempo a dare la svolta alla nostra Nazionale.
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GRUPPO LUCCA È RIPARTITA DA COACH LUCA ANDREOLI (1990), REDUCE DA DUE ANNATE POSITIVE IN A2 CON LA NICO BASKET E DAL TRIENNIO A VIGARANO. SI È SUBITO INSTAURATO UN BEL FEELING COL GRUPPO.
Il merito è di un tecnico che quelle due bambine le ha cresciute e mandate “allo sbaraglio” in A-1 da piccolissime. Luca Andreoli è l’autore, tecnico, del miracolo Vigarano, il piccolo centro del ferrarese che conquistò la grande ribalta e che poi si è dovuto, economicamente, arrendere. La bravura dei dirigenti di Lucca è stata quella di ripartire da loro, dalle loro idee, dal buon lavoro in palestra, dalla serietà nei programmi. Perché accanto ad Andreoli, che ha preso il posto di Francesco Iurlaro (ora fermo) col quale nel Club non si era riusciti a trovare la giusta chimica, c’è la parte
dirigenziale. Innanzitutto Ennio Zazzaroni che ha costruito Vigarano e ora fa risplendere Lucca. In più c’è anche Edoardo Grandi, il terzo componente di un trio che si trova alla perfezione in campo e fuori.
Il tecnico che attacca Luca Andreoli ha 32 anni e vive
sostanzialmente di basket. In Toscana si è trovato bene anche sentimentalmente perché divide la sua vita con Diletta Nerini, playmaker classe 1996 del Nico Basket di Ponte Buggianese. Dall’Emilia alla Toscana così è stato più facile. A casa si parla di
basket perché Luca non saprebbe vivere senza la palla a spicchi. “Mio papà Paolo, che ora ha 60 anni, è stato allenatore. Lo ha fatto per 30 anni e solo ora si è fermato. Io ho cominciato ad allenare a 17 anni, era normale che finisse così. Giovanili della Fortitudo, sono cresciuto a Castel Maggiore”. Poi Luca è andato a Vigarano e quel che è diventato un modello per chi segue il basket femminile. Settore giovanile importante e ragazze preparate alla perfezione per arrivare da protagoniste in prima squadra e poi, eventualmente, fare il super salto in una big. “A Vi-
garano sono andato a 25 anni. Con il team costituito con Zazzaroni e Grandi si è fatto un bel lavoro. L’idea di gioco è sempre stata quella di essere offensivi e propositivi. A Vigarano ci eravamo posti un obiettivo che era quello di cercare sempre di segnare almeno 70 punti. Questo non significa non prestare attenzione alla fase difensiva, anzi. Dalla difesa bisogna partire per costruire un buon attacco. Ma significa anche tirare senza paura, aumentare quindi le percentuali di tiro. Siamo un po’ zemaniani sotto questo aspetto. Non pensiamo alla distruzione
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inside A1 dell’avversario, ma cerchiamo di giocar bene noi, di fare sempre e comunque una buona pallacanestro. Bisogna riuscire a mettere le ragazze nelle condizioni migliori per andare al tiro”. Se Lucca è quarta in classifica un motivo ci sarà. “Una filosofia simile ce l’ha Costa Masnaga. Noi andiamo in quella direzione. E a Lucca non ho fatto altro che riproporre questo concetto. Sono sicuramente agevolato dal fatto di aver allenato tutte le ragazze italiane che ho a disposizione, ad eccezione di Parmesani che non avevo mai avuto. L’altro aspetto è la duttilità delle mie ragazze che, quasi tutte, possono ricoprire più ruoli. Gilli fa tre ruoli, Miccoli, la nostra capitana, è un’altra che si adatta. Come le tre straniere. Dietrick gioca uno e due, è una play moderna con un gran tiro, Wiese fa uno, due e tre indifferentemente. Kaczmarczyk, la polacca, che ha giocato anche (poco) in Eurolega, è il nostro pivot. La difesa è sempre a uomo. Credo di aver fatto 10 minuti di zona in tutto il
avere un particolare feeling col precedente tecnico), in questa tutto sta funzionando alla perfezione. Non è una frase buttata lì dire che siamo un bel gruppo, lo siamo veramente. Con le compagne ci troviamo, ci vediamo fuori dal campo, organizziamo le serate. Non c’è solo l’allenamento, e anche le straniere sono felicemente coinvolte. Il discorso tecnico è completamente differente rispetto all’annata che ho vissuto con Diamanti. Lui puntava tutto sull’aspetto difensivo, sull’aggressività, qui con Luca corri e vai. La duttilità è fondamentale. E io, che sono piccola, forse la più piccola, rispetto alle lunghe che devo marcare, riesco comunque a cavarmela. Uso il corpo e la fisicità, ma commetto falli. Provate voi a difendere contro Gruda... La migliore del campionato, secondo me”. Parlare con Meri è piacevole. Spazia su tutti i fronti, dal basket alla cucina, una sua passione. Datele un piatto di pasta al ragù e la farete felice... “Il clima che si è instaurato all’interno della nostra squadra
“Il clima che si è instaurato all’interno della squadra sta facendo la differenza. Siamo davvero un bel gruppo, non è una frase buttata lì. La duttilità è la nostra arma vincente”. Meri Miccoli campionato. Stiamo mostrando grande continuità e questo è il nostro bello. E buttiamo via pochi palloni, questo è un altro aspetto fondamentale”.
La capitana A far da collante a questo gruppo, che
gruppo lo è davvero e non per finta, perché le ragazze si intendono a meraviglia anche fuori, c’è la capitana Meri Miccoli, triestina, laureata in Scienze dell’Educazione. Una che a Lucca c’era già nella passata stagione. Un metro e 82, una testa che macina non solo pallacanestro, Meri il basket lo vive da bambina, quando era alla Ginnastica Triestina con la sorella Costanza. “A tre anni credo di aver preso in mano il primo pallone da basket. Ho fatto sia Ginnastica che Pallacanestro Trieste. Poi, finita la maturità, sono andata a Orvieto. Quindi Lucca, dove, anche se non da protagonista, ho vinto il mio meraviglioso scudetto. È stato un anno importante perchè da Diamanti io ho appreso molto. Un uomo e un tecnico molto tosto, ma ho imparato. Quindi ho fatto Ragusa, la Sicilia con Gianni Recupido. E due anni a Vigarano dove ho conosciuto Andreoli e i dirigenti. Lì ho conosciuto i suoi metodi, la sua pallacanestro. Ma nella scorsa stagione sono rientrata a Lucca, una città che amo. Vivo dentro le mura con la pivot polacca e mi trovo benissimo con lei che mi fa assaggiare pure le specialità del suo paese, che avevo avuto modo di assaggiare in altri contesti. Se lo scorso campionato non ci ha dato particolari soddisfazioni (visto che la squadra non è riuscita ad
sta facendo davvero la differenza. E, finora, a parte con Schio, Venezia e Bologna, abbiamo vinto tanto e con quasi tutte. In allenamento tutte quante fanno il massimo per aiutarsi tra loro. Poi c’è la duttilità di cui parla il nostro allenatore che sicuramente è un’arma in più. A questo dobbiamo aggiungere la qualità offensiva che è la base del lavoro che facciamo. Siamo bassette, perché in squadra non ci sono certo delle giganti, ma abbiamo una squadra di buone tiratrici (se si pensa al campionato che Sara Bocchetti fece a Vigarano con Andreoli... Era l’italiana che segnava più di tutte in A1 e un campionato così non lo ha più ripetuto). E, soprattutto, non ci sono rivalità interne di nessun genere. Gilli e Natali stanno facendo molto bene e stanno tornando a essere quelle giocatrici che da ragazzine sembravano veramente la novità più bella del movimento. Il fatto che tante di noi abbiano avuto lo stesso tecnico è sicuramente importante”. Lucca gode al quarto posto. Con un rinnovato entusiasmo. Con ragazze che non guadagnano cifre elevate, ma danno l’anima per sviluppare nel migliore dei modi la propria passione. Che sta portando a risultati eccellenti. Mai fidarsi della Gesam Gas & luce nei playoff. Un passo falso potrebbe rivelarsi fatale per chi ha grandi ambizioni. Portare in Toscana la struttura organizzativa e tecnica di Vigarano è stata la mossa vincente del presidente Cavallo e del suo staff. Che va avanti spesso controcorrente e controvento, ma riuscendo a togliersi parecchie soddisfazioni.
GIULIA NATALI CLASSE 2002, DOPO LE OTTIME ANNATE A VIGARANO, HA SOFFERTO IL POCO SPAZIO A VENEZIA NELLA SCORSA STAGIONE. A LUCCA STA RITORNANDO AD AVERE MINUTI E FIDUCIA.
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speciale coppe
L’Europa sorride a Schio e Venezia DI manuel beck Schio e Venezia pescano gli assi di Coppe all’ultima mano di carte della stagione regolare di Eurolega: playoff centrati dal Famila; scende in quelli di EuroCup l’Umana, comunque brava ad agguantarli con due vittorie finali. Avversaria delle arancioni, al meglio delle 3 gare, sarà Salamanca dell’mvp delle ultime finali Wnba, Copper; si comincia l’8 marzo. Ancora da definire chi affronterà le orogranata: si attende la fine degli ottavi di EuroCup.
SCHIO Dovendo chiudere questo articolo il 23 febbraio, cioè la sera stessa di Girona-Landes decisiva per le sorti del Famila, c’eravamo portati avanti commentando l’esito più probabile. E cioè la vittoria delle catalane, che sarebbero state nuovamente fatali alle arancioni, dopo averle beffate nella “bolla” dello scorso anno (tiro-qualificazione sbagliato da Achonwa sulla sirena): stavolta, in una parità a 4 squadre dietro la capolista Fenerbahce, il 2-0 negli scontri diretti per Palau e compagne su Gruda e socie avrebbe relegato Schio al quinto posto. La squadra di Dikaioulakos poteva evitare di dipendere dagli altri se, nel caotico finale di stagione regolare, spezzettato dagli “stop and go” per Covid, avesse vinto la partita in casa con Kursk (invece persa male) oppure, dopo il successo sul Galatasaray, avesse bissato a Istanbul con il Fenerbahce, spalancando le porte dei playoff con un secondo posto di lusso. Certo, giocare una sfida decisiva nella tana di fenomeni come Iagupova, Sabally, McBride, sia pure prive di stimoli di classifica nell’occasione, non è un buon affare; inspiegabile però il tremendo 30-2 per il “Fener” dopo 11 minuti, con Schio preda di una sarabanda di tiri scentrati, palle perse e buchi difensivi. Poi un’altrettanto clamorosa rimonta, coronata col sorpasso nel terzo quarto, grazie a una fiammata di Laksa, DeShields e Sottana. Sforzo però pagato con un nuovo calo verticale che consentiva alle turche di riallungare oltre il +15. A quel punto restava solo la speranza che Girona, 4 giorni dopo, si facesse sgambettare in casa dalle francesi, già sicure di passare ai playoff di EuroCup: improbabile. E così avevamo già pronta un’analisi sui rimpianti di Schio, su una storia di campagne europee onorevoli ma senza vera gloria (nelle 10 edizioni precedenti questa, 5 qualificazioni ai playoff, mai però fra le prime 4), con il condimento, magari, di qualche banalità sul campionato italiano “poco allenante”, eccetera. Invece ecco che vince Landes, si qualifica il Famila (col terzo posto) e noi siamo contenti di riscrivere tutto e parlare di un successo anziché di un fallimento. La sorte a volte toglie, a volte regala; stavolta è andata bene. Ma non senza meriti scledensi, quelli di aver messo insieme 8 vittorie su 14 partite in un girone equilibratissimo.
VENEZIA La conquista dei playoff di EuroCup, grazie al sesto posto nel suo girone, è arrivata per la Reyer con due belle vittorie in trasferta, su MBA Mosca e Lattes-Montpellier, dopo che una striscia di 4 sconfitte, nel periodo condizionato dal Covid, sembrava compromettere il cammino della squadra di Mazzon. Che invece ci ha creduto fino in fondo e ha avuto ragione, in un gruppo dove dietro le tre dominatrici (Ekaterinburg, Praga e Salamanca) la concorrenza era abbordabile: è bastato alla Reyer un bilancio di 5 vinte-9 perse per centrare l’“obiettivo B”. Decisiva soprattutto l’impresa a Mosca: ottimo approccio iniziale, +12 a fine primo quarto; il sorpasso subìto verso fine terzo periodo non ha destabilizzato le orogranata, brave a risolvere il lungo testa-a-testa con un parziale firmato da Thornton (finale 72-75). Contro una squadra basata soprattutto sulle russe (Maiga, Glonti e la 2001 Krymova)
VENEZIA STRAPPA IL PASS PER L’EUROCUP BATTENDO IL BLMA. DECISIVA LA PRESTAZIONE DELLA CAPITANA MARTINA BESTAGNO CON 21 PUNTI.
hanno fatto la differenza le straniere di Mazzon, cioè Ndour con 19 punti, Anderson con 17 più 12 assist e Thornton con 15, ma hanno contribuito anche le italiane, tra cui un’incisiva Madera da 9 punti. Opera poi completata con un autoritario +22 in casa di Lattes, dove è spiccata una Bestagno da 21 punti con 3/4 da 3. L’auspicio è che ora Venezia saldi il conto in sospeso dalla scorsa edizione (impossibile dimenticare la beffa in finale con Valencia, per due tiri liberi all’ultimo secondo), tornando all’atto conclusivo e stavolta riportando in Italia il trofeo che manca dal 2008, quando fu Schio a conquistarlo. Digiuno lungo ma meno di quello che ci tormenta in Eurolega dal 1995, l’anno del bis della Comense. Sarebbe un’impresa enorme per il Famila interromperlo; ha più chances la Reyer; ma adesso conta solo aver messo l’Italia sulla mappa dei playoff europei 2022 in entrambe le competizioni.
MONDIALI Nell’intenso febbraio del basket internazionale anche le qualificazioni ai Mondiali in programma in Australia a fine settembre. Italia esclusa, come sappiamo, dal piazzamento mediocre negli Europei dello scorso anno. Peccato perché questa tornata era tutt’altro che impervia: in sostanza bastava arrivare tra le prime 3 (su 4) in uno dei gironi. Addirittura, nel gruppo di Osaka, il ritiro della Bielorussia (per Covid) ha qualificato automaticamente le tre superstiti, cioè Canada, Bosnia e Giappone, le quali si sono spartite una vittoria a testa (mostruosa Jonquel Jones nel successo bosniaco sulle nipponiche argento olimpico). Per il resto, si è confermata l’ascesa dell’Asia (la Cina ha dominato una Francia sottotono, e anche la Corea è passata) così come la crisi dell’America latina (out Brasile e Portorico). L’Europa, come previsto, ha qualificato tutte le sue squadre, Bielorussia a parte. Gli Usa, in lizza anche se già ammessi come campioni olimpici, non hanno schierato le migliori ma comunque un’ottima squadra. Il Covid ha messo la sua firma anche nel divieto d’accesso per la Russia al girone di Washington, per vaccinazioni non in regola secondo le norme locali, e trasferita quindi a Santo Domingo dove, in posticipo di un paio di giorni rispetto al resto della kermesse, ha battuto Portorico (nonostante 27 punti della geassina Gwathmey) assicurandosi il posto ai Mondiali. Tra le “italiane” c’erano anche Paixao di Moncalieri nel Brasile e l’altra sestese Raca nella Serbia, la quale ha ospitato e vinto il girone di Belgrado battendo soprattutto l’Australia, quest’ultima però già qualificata come organizzatrice.
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CECILIA ZANDALASINI ANCHE SE LA “ZANDA MANIA” SEMBRA ORMAI PASSATA, CECILIA CONTINUA AD ESSERE LA GIOCATRICE CON PIÙ VISIBILITÀ E PIÙ SEGUITO. SUA LA VOCE DI WHITE MAMBA NELLA VERSIONE ITALIANA DI SPACE JAM 2.
focus
IL PAESE DELLE MERAVIGLIE PERCHÉ NON VINCIAMO? PERCHÉ LE RAGAZZINE PREFERISCONO ALTRI SPORT? SONO
DECENNI ORMAI CHE CI FACCIAMO LE STESSE DOMANDE, E INTANTO IL NUMERO DELLE ISCRITTE DIMINUISCE ED OTTENERE RISULTATI SEMBRA SEMPRE PIÙ DIFFICILE. CI VOGLIONO PROPOSTE CONCRETE E DECISIONI VELOCI, NOI VI FACCIAMO LA NOSTRA
Di Eduardo Lubrano
G
eorges Coste è stato l’allenatore di rugby che ha di
fatto portato l’Italia nel Torneo più antico ed importante del mondo, facendogli addirittura cambiare nome da Cinque a Sei Nazioni. Per far questo l’allenatore di Perpignan quando iniziò il suo incarico alla Nazionale, chiese di ridurre il numero delle squadre della serie A fino ad 8. L’obiettivo era quello di rendere più interessante dal punto di vista tecnico e spettacolare il campionato ma anche di concentrare i migliori giocatori italiani o oriundi o comunque eleggibili per la maglia azzurra in poche squadre, le migliori. Anche questo servì – oltre ad una generazione di giocatori importanti – a farci entrare in quel mondo. Come stia andando dal 2000 ad oggi lo sappiamo, ma quello che conta è che siamo lì, arrivano soldi, televisioni, ecc.
Qualche anno fa la pallavolo ha deciso di sospendere le retrocessioni dalla SuperLega (ex serie A) alla serie A2 maschile per garantire alle Società qualche anno
di investimenti sicuri e valorizzazione dei giovani. Inutile ricordare proprio sulle pagine di un mensile di pallacanestro, che le cugine ed i cugini del volley non mancano – salvo disastri - un appuntamento europeo, mondiale ed olimpico, spesso conditi da medaglie. Non solo per le riforme dei campionati, ma anche. La drammatica vicenda del Covid-19 che ci ha colpiti tutti, ha messo in mostra le fragilità del mondo nel quale viviamo perché è stata qualcosa di assolutamente superiore alla nostra immaginazione - al netto di profezie, congiure, visioni e quant’altro – anche nel quotidiano di ognuno di noi. Dove trova spazio lo sport, nello specifico di Pink Basket, la pallacanestro femminile. Un movimento in sofferenza perché di fatto ha una carenza di praticanti che rende faticoso ogni sogno di gloria. Un paio di anni fa eravamo a 25 mila tesserate, oggi forse siamo scesi. Un campionato, quello di A1 che televisivamente è inesistente (non basta la tv della Lega) e che sui giornali – a parte il promo-pubblicitario
focus
settimanale comprato su Gazzetta - ha lo spazio di una breve salvo sui giornali locali, e meno male che esistono queste realtà. Tutto ciò impone una serie di riflessioni, la prima delle quali è certamente la necessità - ammesso che ce ne sia la voglia ed anche su questo bisognerebbe fare un pensiero dopo tanti anni di immobilismo – di fare reclutamento porta a porta, nelle scuole, ma anche davvero casa per casa, citofono per citofono, pianerottolo per pianerottolo. Troppe ragazze abbiamo visto scegliere altre discipline per il maggior fascino di queste ul-
time, ma anche perché la pallacanestro non c’era. Poi sarebbe utile fare una riforma molto profonda dei campionati dalla serie A2 alla serie C, e di quelli giovanili. Così come siamo non c’è nemmeno la chance di fare pubblicità: le atlete di tanti sport sono continuamente in tv o su internet per spot pubblicitari di ogni genere. Le ragazze del basket mai. Perché non vincono? Sì certo, anche. Perché non sono foto/telegeniche? Falso. Le giocatrici di basket non hanno nulla da invidiare alle colleghe, sono intelligenti, hanno personalità e sanno parlare come tut-
RAE D’ALIE DA QUEST’ANNO IN A2 A CREMA, È UNA DELLE MASSIME AMBASCIATRICI DEL 3X3 A LIVELLO MONDIALE. RECENTEMENTE È STATA OSPITE DI “STUDIO APERTO MAG” SU ITALIA 1.
te le altre se non meglio. Ci vorrebbe che qualcuno pensasse a questo aspetto: una volta si diceva che la pubblicità è l’anima del commercio, e forse è ancora vero. Dunque perché nessuno lo fa? Mancano le idee? Facciamocele venire, ora, e concrete, basta con i voli pindarici.
Quanto al campionato di A1, questo articolo ha la pre-
sunzione di suggerire una modifica dello stesso. Ed anche di suggerire un cambiamento della prospettiva secondo la quale per riformare il vertice bisogna
partire dal basso. Proviamo a fare il contrario, rendiamo il vertice “Il paese delle meraviglie”, il posto dove tutte le ragazze d’Italia vogliono assolutamente andare a giocare. Come? Quello che leggerete ha anche lo scopo di innescare decisioni dopo una “tavola rotonda” veloce – il tempo corre e le giocatrici sono sempre meno – e che non rimandi ad altri tavoli.
Riduzione delle squadre. Chi scrive ha idee un po’ radicali per cui il numero perfetto sarebbe dieci. Ma for-
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focus se è un po’ troppo dunque diciamo 12 (magari dieci può essere il numero adatto ad ogni girone della serie A2). Nella speranza più che nella convinzione che il Covid ci lasci per sempre –come dicono gli esperti non torneremo mai alla “normalità” e dovremo fare i conti con alcune conseguenze fisiche degli atleti ed atlete – si potrebbe pensare ad una pausa nel periodo natalizio e capodanno di due/tre settimane. C’è la struttura, il sistema per reggere questa corsa a dover giocare per forza ogni giorno, ogni settimana? Il mese di marzo di questo 2022 vedrà quattro turni di campionato più 14 partite di recu-
care davvero (dai 10/12 minuti in su a partita è un minutaggio sul quale costruire una Under 20 o 18, addirittura una Under 16 se ha talento e fisico). Altro?
Per esempio l’obbligo di far schierare una Under 20 duran-
te tutti e 40 i minuti della partita, come decisero di fare in Spagna venticinque anni fa con i risultati che nessuno dell’ambiente può ignorare o a relegare al fatto che abbiano avuto solo “fenomeni”. E chi non ha le Under 20? Si organizza, le allena sul serio, si occupa del suo settore giovanile anche in questa chiave. Oppure non si iscrive al campionato. A quel
Il basket femminile deve diventare un prodotto interessante per le Tv, per internet, per la pubblicità. Solo così si può pensare di attirare nuovi sponsor e di invogliare le ragazzine ad avvicinarsi al nostro sport. pero delle giornate precedenti. E ci saranno anche le gare europee di Schio e Venezia. Passi per alcune squadre attrezzate, esperte, abituate mentalmente al doppio impegno settimanale. Ma chi non lo è, cioè la stragrande maggioranza delle formazioni, come sopporterà questo sforzo? Come ne usciranno le ragazze già alle prese con la ripresa post Covid, o in qualche caso post infortuni? Perché non prevedere allora?
In questo modo sarebbe più semplice inserire un raduno
in più della Nazionale senior, e magari uno delle Nazionali giovanili. Che in questi anni hanno vinto tanto facendo gonfiare il petto ai dirigenti federali e delle Società di appartenenza delle giocatrici, ma delle quali poi salvo gli strettissimi addetti ai lavori, poco importa durante la stagione. Anche qui un ricordo dalla mia esperienza. La Grecia che nel 1987 esplose vincendo gli Europei maschili con Galis, Yannakis, Fasoulas, Kabouris e Christodoulou (solo per citare il quintetto) arrivò a quel risultato perché il coach della Nazionale, Kostas Politis, aveva preteso ed ottenuto che ogni lunedì si tenesse uno stage ad Atene dei possibili nazionali. Ero presente nella pancia del Peace and Friendship Stadium del Pireo quando Politis spiegò con giusto orgoglio di aver vinto questa battaglia con i Club. Non si tratta di copiare – tempi, atleti, situazioni diverse – ma di prendere esempio ed adattare alla nostra situazione. Gli allenatori avrebbero tempo di allenare per davvero, i viaggi per le Coppe europee alle quali dobbiamo assolutamente partecipare, sarebbero meno invasivi, le giovani avrebbero il tempo di crescere e di gio-
punto le straniere possono essere quattro per chi può, non importa più. Esagerato? Sì, decisamente. Ma in linea con i lamenti che si sentono in giro dagli stessi che partecipano al movimento e che però poco si spremono per avere delle idee attuabili.
È conseguente in questa ottica rovesciata della questione,
che insieme alla riforma della serie A1 serve mettere mano a quella, come detto, della serie A2, della B e della serie C. E forse dell’attività giovanile. Che deve essere finalizzata all’educazione di ragazze e poi donne prima di tutto, ed in secondo luogo alla costruzione di giocatrici che possano occupare un posto nei vari campionati, fungendo da traino per le giovanissime. Non tutte arrivano in A1 e non tutte sono delle campionesse. Per questo anche una revisione della valutazione di una giovane atleta non farebbe male. Le giocatrici di adesso devono avere skills complete, moderne e soprattutto uscire dal clichè della “donna disciplinata fa quello che chiede l’allenatore - che bello allenarle” e puntare da subito sulla personalità, sulla capacità degli allenatori e dell’ambiente (perchè no) di crescerle come giocatrici di personalità, ovvero autonome e fantasiose.
Insomma bisogna creare un prodotto che sia spendibile per le televisioni per internet, per la pubblicità. Così si crea visibilità, si attirano nuovi sponsor e si invogliano le ragazzine ad avvicinarsi alla pallacanestro. Sono queste le idee giuste? Forse no, non abbiamo la formula magica, ma siamo convinti che la direzione debba essere questa. Senza buttare altro tempo e chiedersi sempre: perché non vinciamo?
VITTORIA ALLIEVI CLASSE 2003, È UN’ALTRA DELLE GIOVANI SCOMMESSE DI COSTA. PER LEI QUEST’ANNO OLTRE 30 MINUTI DI MEDIA IN CAMPO.
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JASMINE KEYS VICENTINA, CLASSE 1997. HA ESORDITO IN A1 CON LE LUPE, VESTE LA MAGLIA DI SCHIO DAL 2019. FIGLIA D’ARTE, È LAUREATA IN PSICOLOGIA.
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LA KEY(S) DEL SUCCESSO LUNGA ATIPICA, IN COSTANTE MIGLIORAMENTO. È DIVENTATA UNA PEDINA
FONDAMENTALE PER IL FAMILA SCHIO E PER LA NAZIONALE. FIGLIA D’ARTE, CON UNO SPICCATO SPIRITO NAÏF, SOGNA DI CONTRIBUIRE ALLA CRESCITA DEL MOVIMENTO BASKET FEMMINILE IN ITALIA
Di Simone Fulciniti
N
elle ultime settimane il suo nome rimbalza su tutte le
pagine social specializzate. C’è un’immagine che la ritrae evidenziando la sua incontenibile simpatia, e le sue cifre illegali collezionate negli ultimi mesi. Jasmine Keys, classe 1997, interna dinamica, indossa la prestigiosa casacca orange del Famila Schio. Casacca che alterna con quella azzurra della nazionale italiana. Dopo un periodo di assestamento, i suoi numeri hanno raggiunto vette considerevoli anche in Eurolega. Laurea breve in psicologia, anima d’artista un po’ naïf, è cosciente di attraversare un momento speciale. Ma lo vive tenendo ben saldi i piedi per terra. E il profilo decisamente basso. Concentrata verso un solo obiettivo. Migliorare. Jasmine, negli ultimi mesi i tuoi numeri sono cresciuti in maniera esponenziale. C’è un segreto? «Nessun segreto. Ho la fortuna di allenarmi e giocare col Famila Schio, circondata da persone super
e grandi professioniste. In realtà sono solo al posto giusto nel momento giusto. Niente di più». Sei figlia di un giocatore importante, Randolph Keys. Un ex NBA. Quanto ha influito questa parentela nella tua decisione di abbracciare il basket? «In realtà nessuna. Lui ha sempre vissuto in America. È partito quando avevo un anno e mezzo, dopo aver giocato qualche stagione in Italia. Io ho iniziato a giocare per caso. Praticando i primi sport verso i sei anni, ma nessuno mi entusiasmava più di tanto. La scelta ricadde sulla pallacanestro semplicemente perché già ci giocava un mio amico. Feci una prova e da lì è cominciato tutto. Ad Altavilla Vicentina». Ricordi il tuo primo allenamento? «Era il secolo scorso. Tuttavia ricordo tanti palloni e un gran divertimento. Il minibasket è fatto di giochi. Perfetto per una bambina come me».
cover story E la tua prima partita? «Da piccolina ero una panchinara incallita. Rammento invece la prima da senior a Montecchio, quando ancora esisteva la serie A3. Ero emozionata. Facevo tre campionati contemporaneamente. Ero in squadra con gente più grande di me, ma stavo bene, mi avevano accolto nel migliore dei modi». Il momento in cui hai pensato che il basket sarebbe stato il tuo futuro? «Mai pensato. Neppure adesso mi rendo conto di dove sono. Da piccola guardavo il Famila giocare alla televisione. Che potesse essere una cosa seria forse l’ho intuito alla prima convocazione della nazionale giovanile. Avevo 15 anni». E lo studio? «Non l’ho mai trascurato. Dopo la laurea triennale, adesso, sto facendo la magistrale di Psicologia e devo fare tesi e tirocinio. Ho finito gli esami, vediamo se riesco». San Martino di Lupari, tappa fondamentale del tuo percorso. Che ricordi hai? «Sono stata svezzata. Ho trovato una famiglia, e con le ragazze si è creata una splendida amicizia. Ho avuto un sacco di spazio di fiducia, da parte della società e della squadra, e quello mi ha aiutato molto. Lavorano benissimo con le giovani, permettono di fare esperienza sul campo». Da dove arrivavi? «Avevo giocato un anno a Vicenza in A2, ma non era andato granché bene. Sono stata infortunata e non mi sono trovata con la Società. In precedenza c’erano stati sei anni a Montecchio Maggiore».
dopo aver lavorato in A1 e A2, mi sono conquistata il posto da titolare in prima squadra, giocando più minuti, accumulando esperienza, e sono cresciuta come giocatrice e come atteggiamento in campo. Non mi sentivo pronta per fare il passo a Schio, una realtà completamente differente». Ma quando ti hanno cercato la seconda volta... «Ho detto “o la, va o la spacca”, proviamoci». Cosa significa entrare in un club glorioso come quello scledense? «Io sono molto dura con me stessa e insicura. Spesso mi viene da pensare: “Cosa ci faccio qui con tutte queste atlete che hanno vinto scudetti, europei, medaglie olimpiche?”. Una cosa che mi ha messo in difficoltà, specie il secondo anno, ma che ho preso come stimolo per crescere e migliorare. Non è perché una arriva a Schio che il lavoro finisce. Anzi è il contrario». Due stagioni con Pierre Vincent, quella attuale con Dikaioulakos. Quali le differenze? «Due allenatori opposti, li apprezzo entrambi. Pierre, a mio giudizio, è un allenatore perfetto per giocatrici professioniste e grandi, in due anni ho imparato come stare al mondo. Lui è calmo, molta tecnica, movimenti sotto canestro, un lavoro che sentivo sulle mani, la percezione del pallone, un lavoro di tattica, spaziature, tanti step in su. Il secondo anno un po’ più difficile perché avevo tante straniere davanti e come detto non sono sicura di me stessa. Quest’anno è un gioco totalmente diverso. Molto aggressivo, di velocità. Ci sono poche lunghe, e c’è molto spazio per me e Olbis Futo Andrè. Il lavoro degli anni precedenti adesso è molto utile. Ci siamo fatte trovare pronte. Mi adatto alle situazioni, al gioco che serve».
Il passaggio più emozionante del periodo in “giallonero”? «A San Martino facevo doppio campionato A1 e A2. Tante vittorie importanti nella massima serie, ma nel cuore ho gara due dei play off in serie A2, contro Bologna: noi eravamo giovanissime inesperte, neopromosse, con tanta voglia e tanta alchimia, nonostante diverse giocatrici non si allenassero insieme. Vincemmo quella partita in casa, contro la prima della classifica, una gioia incredibile e inaspettata».
La differenza più grande tra San Martino e Schio? «Il numero delle partite. Qui ce ne sono di più, e nonostante le conseguenze siano meno allenamenti, devi essere sempre sul pezzo, tra giocatrici, scouting, tattica e schemi. A San Martino c’è più tempo e meno pressione, ci sono stimoli per battere le squadre importanti».
E cosa cancelleresti di quegli anni? «Prendo i momenti negativi con positività. Anche perché se non avessi avuto quelli, non sarei qui. Pertanto non cancellerei nulla. Ci sono alti e bassi, ma le sconfitte aiutano a crescere più delle vittorie».
Da migliorare? «Tutto il resto»
Poi la chiamata di Schio... «In realtà era arrivata già dopo il secondo anno. Ma avevo rifiutato. E col senno di poi ho fatto bene, perché la terza stagione a San Martino mi è servita molto:
Punti di forza? «La versatilità, posso provare a giocare interna e esterna».
I pregi come persona? «Sono positiva e mi faccio scivolare addosso i problemi. Non ci penso troppo» I difetti? «Parecchi, sono pigrissima. E non mi basta mai quello che faccio»
EUROLEGA IN STAGIONE È LA SECONDA MIGLIORE DELLE ORANGE PER VALUTAZIONE DIETRO A GRUDA. PRESTAZIONE DA RICORDARE VS GDYNIA A FINE GENNAIO: 19PT, 9 RIMB,38 VAL.
A Schio sono arrivati i primi trofei… «Due Supercoppe e una Coppa Italia, vinta lo scorso anno in un’annata molto difficile, tra covid, e cambi continui di straniere, ce la meritavamo. Soddisfazioni che non mi hanno cambiata». La partita più bella giocata? Impossibile rispondere. Quella che mi ricordo con maggiore trasporto, il giorno del mio compleanno, la prima partita di Eurolega contro Basket Landes, vinta di 40, col mio “career high”. C’era mia madre sugli spalti e i miei amici delle superiori. Ero felice più per loro che per me».
Come è stato l’esordio in Eurolega? «Non me ne sono resa conto subito. Ho giocato parecchio ma non ci pensavo. È una competizione molto diversa dal campionato, la palla pesa di più. Ero tesa con una tensione positiva. Il fatto che si giocasse in casa ha aiutato. Schio mi ha accolta bene, anche se qualcuno si è chiesto più volte se fossi straniera». Ti capita spesso? «Una volta alla presentazione della squadra, ero in A2, tutti pensavano che fossi la nuova americana.
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cover story Ero giovanissima. Uno sponsor si presenta, mi stringe la mano e mi fa “Piacere”. Io rispondo “Piacere, buongiorno”. Lui si gira verso un dirigente e gli dice “Però, parla bene l’italiano”. Questo è il quadro». Il bello del basket? «Non lo trovo statico come gli altri sport. Dinamico, e fino al 40esimo minuto può succedere di tutto. Ed è completo. Come diceva Bill Russell: “L’unico sport che tende al cielo”». Cosa fai nel tempo libero? «Non sto mai senza la musica e i videogiochi» Veniamo al capitolo Nazionale, che ha sempre l’atavico problema delle lunghe… «Vero, e ringrazio tutti coloro che stanno riponendo fiducia in me da questo punto di vista. Io sono una lunga atipica, preferisco giocare fronte a canestro. Sono grande e grossa ma non ho il fisico tipico del 5. Specie in Europa faccio fatica, quando affronto un’avversaria di due metri e cento chili. Ma se si volesse giocare in modo più dinamico io, e soprattutto Olbis, potremmo essere molto efficaci».
«Gruda. Ha una forza pazzesca. Non la fermi. Non la ferma nessuno». L’emozione più forte su un campo di basket? «Lo scudetto Under 19 con la Magika Castel S. Pietro. Non riuscivo a smettere di piangere. Sono rimasta scioccata. E a settembre la vittoria della Supercoppa». I tuoi hobby? «Prima disegnavo, adesso suono l’ukulele. Avessi tempo riprenderei in mano la chitarra». E i viaggi? «Quando posso prendo un aereo. E mi piacciono anche le trasferte in Eurolega, che sono molto stancanti». L’ultimo libro letto? «Un libro sulla sessualità femminile, “Vengo prima io” di Roberta Rossi». Vogliamo spendere due parole sui tuoi look, tipo l’acconciatura blu? «Cambio i capelli spessissimo. Prima che scoppiasse
Non ho mai pensato al basket come professione, neppure adesso mi rendo conto di dove sono. Sono solo al posto giusto nel momento giusto. Voglio migliorarmi e vincere, ma prendo tutto con autoironia. Come sta la squadra azzurra? «È stata rivoluzionata. Abbiamo spesso la sfortuna di affrontare nei gironi di qualificazione squadre al di sotto del nostro ranking. Vinciamo di 50, tutti “Italia fortissima”, poi andiamo all’Europeo e classica delusione. Non abbiamo, come altre Nazioni, un progetto di continuità con l’allenatore, per esempio. Basti pensare a quanto ha vinto l’annata ’99, e poi in Nazionale di loro non c’è praticamente nessuna. Serve un ponte tra giovanile e senior. Forse è questo il motivo per il quale non abbiamo ottenuto risultati negli ultimi anni». I tuoi obbiettivi da giocatrice? «Non lo so. Penso sempre in ottica di squadra. E in questo caso direi vincere». La giocatrice più forte che hai incontrato? «Gabby Williams di Sopron. L’ho marcata a Montpellier, un 3 con un fisico pazzesco, che fa di tutto. Non so quanti punti mi ha messo in testa». E la più forte con la quale hai giocato?
la pandemia mi tagliai i capelli a zero. Nel lockdown approfittai per fare esperimenti, e ho passato in rassegna praticamente tutti i colori. Alla fine per coprire andai dal parrucchiere e optai per il blu. Adesso li ho normali». La tua parola preferita? «Domanda difficile, ma dico autoironia, che è un po’ il mio stile di vita». Qual è il primo intervento da fare per la crescita del movimento basket femminile? «Renderlo uno sport professionistico, perché non è possibile che l’A1 maschile lo sia, e la femminile no. Non concepisco, mi sembra di essere nel Medioevo. Provare a raggiungere il livello mediatico, economico dei maschi, anche se so che non ce la faremo mai». Il canestro che sogni di realizzare? «Contribuire a far crescere il nostro movimento in Italia. Non so come. Ma spero di farcela in qualche modo».
AZZURRA DOPO UNA LUNGA E FORTUNATA TRAFILA CON LE GIOVANILI AZZURRE, HA ESORDITO CON LA SENIOR AD AGOSTO 2018. HA PARTECIPATO A EUROBASKET WOMEN 2021.
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COPPA ITALIA LA FAVORITA È CREMA, VINCITRICE DELLE ULTIME 4 EDIZIONI E IMBATTUTA IN CAMPIONATO CON 17 VITTORIE.
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In sette vs Crema A UDINE DAL 4 AL 6 MARZO IN PALIO LA COPPA ITALIA: FAVORITA LA 4 VOLTE
DETENTRICE, IMBATTUTA DOPO 17 GARE DI CAMPIONATO. MA LA CONCORRENZA È FORTE, A PARTIRE DALLA N°1 DEL SUD, VALDARNO. UN FEBBRAIO PIENO DI PARTITE E NOVITÀ DI MERCATO, CON DUE PANCHINE SALTATE
di manuel beck
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alla depressione per i rinvii-Covid di gennaio all’euforia per un campionato rifiorito in febbraio, attendendo un marzo che promette ancora di più. Dal 4 al 6 si assegna infatti a Udine (classica formula delle “Final Eight” con 3 turni a eliminazione diretta) la Coppa Italia, il trofeo di metà stagione che nelle ultime 4 edizioni è stata possesso esclusivo di Crema. La quale oggi, sotto la guida di Mirco Diamanti, è persino più favorita che negli anni passati. Mentre scriviamo, infatti (23 febbraio), D’Alie e compagne sono imbattute in 17 partite, con uno scarto medio di 28 punti. Individualità stellari – tra cui l’mvp in carica Nori – ma anche un collettivo in cui tutte pressano, corrono, si passano la palla senza egoismi. Ma per arrivare in fondo dovrà comunque superare 3 ostacoli “tosti” in 3 giorni. Dal Nord lanciano la sfida Brescia del talento Zanardi, Castelnuovo di Rulli, e la padrona di casa Udine, finalista uscente, che sotto la guida di Massimo Riga ha costruito una nuova identità mixando giovani come Blasigh ed esperte come Molnar.
Il Sud è capeggiato da S. Giovanni Valdarno, che con coach Matassini e i recenti rinforzi Peresson e Cvijanovic ha riformato l’asse udinese dello scorso anno; outsider ma meritevole di credito, per esperienza e profondità, è Umbertide delle varie Baldi, Giudice, Kotnis. Da notare che le 6 squadre finora nominate erano già presenti all’edizione bresciana del 2021: segno di stabilità nell’élite della categoria (mancano per ovvi motivi Moncalieri e Faenza, salite in A1). L’unica vera novità è Firenze dell’estrosa Marta Rossini; per La Spezia è un ritorno, con un organico che intorno alla “bandiera” Templari si è rinnovato con successo, nonostante la perdita della canadese Cerino. E intanto c’è un campionato che marcia a doppi turni per recuperare il tempo perduto e alimenta anche una “corsa agli armamenti” che ha visto operare sul mercato non solo chi arranca in classifica, ma pure qualcuno che sta già andando bene ma vuol fare ancora meglio.
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GIRONE NORD // Crema travolge 6 avversarie in 20 giorni e fa il vuoto sulle inseguitrici, tra le quali Udine e Brescia duellano per il 2° posto mentre arretra Castelnuovo, raggiunta da una Milano in ascesa: si è dimessa coach Zara Crema - Supera un “tour de force” di 6 partite in 20 giorni, vincendole tutte con scarti tra i 16 e i 54 (!) punti, nonostante Conte fuori per alcune gare. Ha fatto il vuoto sulle inseguitrici. Tra i tanti dati-record, segnaliamo questo: è l’unica in tutta l’A2 ad avere più recuperi che perse, testimonianza di uno spirito “operaio” a supporto della qualità superiore. A D’Alie, che viaggia a quasi 15 punti e 6 assist di media, ha dedicato un servizio tv il “magazine” di Studio Aperto (Italia 1). Udine - Rimbalza benissimo dal passo falso con Mantova, inanellando 3 vittorie tra cui quelle di assoluto valore su Alpo (61-56 con 16 di Missanelli), nel recupero con in palio il “pass” per la Coppa Italia, e su Brescia, dominata con un +25 spinto dalle folate inarrestabili di Blasigh (27) e da una difesa che tiene Zanardi a 8 punti. Strappato così il 2° posto alle bresciane. Brescia - La giornata storta a Udine le costa una posizione, ma in compenso con 4 vittorie allunga su chi sta dietro, tra cui Alpo, maltrattata con un 71-44 (Zanardi 18 punti, 12 rimbalzi e 6 assist). Buon periodo per Scarsi; appena tornata Rainis dopo 2 mesi. Attiva sul mercato: ha inserito Takrou (da Matelica) e ingaggiato la superlunga polacca Grymek, schierabile in alternanza a Turmel, la quale sta producendo il suo solito (contro Carugate 35 di valutazione). Castelnuovo - Un mese a corrente alternata. Più che le vittorie sui fanali di coda Torino e Treviso, e quella pur non banale a Mantova (con 19 di Rulli e 17 di Gatti), fanno notizia la scivolata interna con Carugate (nonostante 17 punti e 17 rimbalzi di Rulli) e la resa senza condizioni con Alpo. Ha preso un rinforzo importante come Ravelli, dall’A1 di Empoli; ma mentre scriviamo arrivano le dimissioni di coach Francesca Zara. Milano - Crescita impetuosa, con 5 vittorie (soprattutto su Vicenza e in casa di Alpo) che le hanno fatto mettere la freccia su Alpo e agganciare Castelnuovo. Fa spesso la differenza con una zona che le avversarie faticano a decifrare. Gran periodo per Guarneri; Toffali si conferma valore aggiunto rispetto all’andata. Per sostituire Vida ha preso la 20enne ala serba Popovic, per ora un po’ acerba ma con margini di crescita. Alpo - Dopo 40 giorni di stop per Covid ha giocato a ritmi forsennati (7 volte in 25 giorni) lasciando inevitabilmente qualcosa per strada; nei big match con Brescia, Udine e Milano ha pagato i pochi punti delle lunghe (ma con Vicenza protagoniste Soglia e Diene). Brillante invece la vittoria su Castelnuovo, 75-51 con 27+11 rimbalzi di Packovski e 20 di Marangoni: è salda in zona-playoff.
Mantova - Più sconfitte che vittorie nel mese, ma aveva un calendario difficile; e lo spreco con Pall. Bolzano (perso al supplementare da +11 al 33’) è ben compensato dal capolavoro a Udine (+26 con 22 di Llorente e 15 di Marchi). In crescita Bernardoni. Difficilmente farà meglio del 7° posto ma ha un buon margine sulle inseguitrici. Ponzano - La flessione di risultati dipende dal calendario, anche se 98 punti di scarto a sfavore in 3 gare con Alpo, Crema e Udine sono troppi (in ombra la torre Van der Keijl). Ma la partita “da vincere”, in casa del BC Bolzano, la porta a casa con 18 punti di Giordano. Così riparte da pari punti con Carugate nel duello per l’8° posto. Carugate - Torna alla grande dallo stop per Covid, sorprendendo Castelnuovo in trasferta (70-74 con 24+16 rimbalzi di Tulonen e 18 di Baiardo). Poco poteva fare con Crema e Brescia (si fa notare la 2002 Nespoli con 15 punti in 16’). Se la giocherà con Ponzano per i playoff; “piano B” la salvezza diretta, più che accettabile. Pall. Bolzano - Dà l’impressione di svoltare con il colpo all’overtime, in rimonta, a Mantova (80-84 con un 11/22 da 3 in coppia per Kuijt, 30 punti, e la sempre più costante 2002 Pellegrini); ma dopo le sconfitte indolori con Crema, Milano e Brescia, si fa infilzare da Treviso, fin lì a secco di vittorie: non basta una rimonta da -12 a -2 negli ultimi 3’. In rotta per i playout salvo sorprese. Vicenza - Si conferma in crescita nella gestione-Ussaggi, anche se la classifica non lo dice perché il calendario di febbraio era infernale: sconfitte quasi tutte onorevoli con Milano (Villarruel 32), Brescia (Tagliapietra 20), Alpo e Crema. Quando poi c’è l’occasione, contro Torino, non sbaglia pur dovendo sudarsela (28 di Villarruel e canestro-chiave di Chrysanthidou). BC Bolzano - Ancora poco decifrabile la sua situazione: per ora è da playout, ma con 5 recuperi da disputare può scrivere un’altra storia. Non ha però sfruttato le due occasioni casalinghe con Mantova e Ponzano, anche per la ruggine di quasi 2 mesi di stop. Treviso - Luce in fondo al tunnel: dopo aver perso ma con segnali interessanti a Milano, cancella lo zero con un +2 su Pall. Bolzano (Degiovanni 21 e canestro risolutivo), poi vola nello scontro diretto con Torino (+31). Costanti in doppia cifra Perisa e Zagni. Torino Teen - Qui invece è ancora buio: Salvini e Bevolo fanno il loro, ma non bastano, così come i nuovi arrivi, il play finlandese Jamsa (24% al tiro nelle sue prime 5 gare) e la lunga 2002 Nasraoui, ferma dalla scorsa estate per infortunio. 6 sconfitte nel mese tra cui quella gravissima con Treviso.
VITTORIA BLASIGH CLASSE 2004, NELL’ULTIMA USCITA CONTRO BRESCIA HA MESSO A SEGNO IL SUO CAREER HIGH REALIZZANDO 27 PT. QUEST’ANNO VIAGGIA A 12,4 PT DI MEDIA, UDINE È SECONDA IN CLASSIFICA.
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SARA GIANGRASSO TANTA FATICA QUEST’ANNO PER LA NICO BASKET, PENULTIMA IN CLASSIFICA, NONOSTANTE LE BUONE CIFRE DELLA GUARDIA CLASSE 2000. PER LEI 13,7 PUNTI A PARTITA.
GIRONE SUD // Valdarno batte La Spezia per il primato solitario. Ancora equilibrio e discontinuità di risultati per quasi tutte. continua l’ascesa di Battipaglia; in rialzo Capri; in flessione Savona; arrancano Nico (salta coach Nieddu) e Civitanova S.G. Valdarno - Recupera bene dal passo falso casalingo con Capri, demolendo Vigarano in trasferta (+37) e soprattutto battendo in modo convincente La Spezia nella sfida-primato: 77-63 con 20 di Cvijanovic e 15 di Milani. Poi un’altra prova offensiva di spessore a Patti, con 18 di Peresson. Sembra aver ritrovato la miglior condizione in regia Vespignani. La Spezia - Mese di grandi sfide. Respinta, come detto, nell’assalto a Valdarno per la vetta (nonostante 18 di Templari), ma si rifà subito nell’altro big match con Umbertide: 66-54 con 19 di Castellani e Templari supportate dai 18 rimbalzi della solita sostanziosa Colognesi. E in precedenza aveva battuto l’altra inseguitrice Firenze, 58-72 in trasferta (18 di Templari). Spazi interessanti per la 2006 Guzzoni, 14 punti contro la Nico. Firenze - Gli stop con Spezia (De Cassan 14) e Selargius (Poggio 13+13 rimbalzi) non le impediscono di restare terza (in duello con Umbertide), in virtù delle larghe vittorie su Savona e Nico, in entrambi i casi con “ventello” abbondante per Marta Rossini. Ha preso Boccalato da Capri. Umbertide - Perdendo a Spezia manca solo la ciliegia sulla torta di un febbraio in ascesa, soprattutto con la qualificazione alla Coppa Italia raggiunta battendo Selargius (“parzialone” di 26-9 nell’ultimo quarto) nel recupero dell’andata, con 18 punti e 17 rimbalzi di Baldi. Altre 3 vittorie nette con buoni spunti di Moriconi la solita profondità (con Civitanova 9 elementi dai 5 punti segnati in su). Selargius - Passa da 40 giorni di stop per Covid a giocare 6 partite in 3 settimane, con esatta spartizione tra vinte e perse. Dà il meglio nelle vittorie su Firenze, in volata con un 15-5 nel 4° periodo (Zitkova 18), e su Patti, un prolifico 87-77 con 20 di Zitkova e 19 di El Habbab; ma scivola in casa con Matelica e Capri, perdendo come detto lo “spareggio” per la Coppa a Umbertide per un calo nel finale. Cus Cagliari - È in zona-playoff grazie a due vittorie “da battaglia”, difensive, su Battipaglia (tripla-chiave di Cecili) e Vigarano. Incide poco la sconfitta netta a Umbertide. La buona notizia in prospettiva è che Striulli sembra ormai ben recuperata. Savona - Mese opaco sul piano dei risultati: 3 sconfitte, tutte nette, con Capri, Firenze e Matelica (nonostante 20 punti e 13 rimbalzi di Tyutyundzheva). Arretra così nel “calderone” di squadre che orbitano fra bassa fascia-playoff e zona-playout. Per riprendere quota ha preso la giovane ala Nezaj che ha lasciato Vigarano.
Vigarano - Periodo più “no” che “sì”: il rimpianto è per la sconfitta a Cagliari segnando solo 48 punti. L’impresa è invece in casa di Capri, 61-66 pur con una rotazione cortissima in assenza di Perini e di chi è partito (oltre a Nezaj, ha rescisso con Cicic; poi è arrivata la giovane De Rosa da Battipaglia): gran partita per Sorrentino (26 punti) e Sarni (19+16 rimbalzi). Battipaglia - La più migliorata da inizio stagione: era ultima, ora è a contatto con la zona-playoff. Poteva fare “en plein” nel mese senza il cedimento finale a Cagliari, ma poi batte due dirette avversarie come Matelica (21 di Gerostergiou e 17 di Potolicchio) e Civitanova, con 16 punti e i liberi della staffa per la 2004 Milani, più 14 punti e 10 rimbalzi di Logoh. Patti - La priorità è ritrovare il ritmo-partita dopo il lungo stop per Covid: ha perso due sfide equilibrate con Selargius (Verona 19, Botteghi 18) e Valdarno (Miccio 25, quasi “tripla doppia” per Verona che è la top scorer del campionato davanti a Villarruel), ma con 4 recuperi può far decollare una classifica per ora ferma a metà del guado. Ha fatto esordire la 2007 De Lise, parente d’arte. Matelica - Ha ceduto Takrou a Brescia ma sta lottando bene, con la coppia Gonzalez-Gramaccioni a produrre bottini abbondanti: battute due avversarie di spessore come Selargius e Savona. Occasione persa con Battipaglia ma il suo febbraio è di segno “più”. Capri - Si è rialzata dal fondo-classifica raggiungendo il gruppone davanti, grazie a 3 vittorie nelle ultime 4 partite: su tutte quella a Valdarno, 67-70 con 21 di Dacic e 18 di Bovenzi. La “strana coppia” (per differenza sia di stazza che di età) brilla anche nel colpo a Selargius: 22 per la torre ex-azzurra, 21 per la giovane laziale. Corsara anche a Savona mentre il neo è il passo falso in casa con Vigarano. Nico Ponte B. - Ha giocato molto ma ricavato poco: su 5 gare una sola vittoria, peraltro importantissima perché è su Civitanova, nella sfida diretta per evitare l’ultimo posto: 14 punti di Giangrasso e 9+14 rimbalzi per Bacchini. Non basta a salvare la panchina di coach Nieddu, sostituito dal vice Rastelli. Civitanova - Continua a faticare: non vince da 9 partite e non raggiunge i 60 punti da sette. La buona notizia è l’arrivo dell’esterna ceca Rylichova, che ha esordito con 14 punti nella sconfitta di misura con Battipaglia: importante per avere un’alternativa alla produzione di Bocola e Paoletti. Il tempo per rimontare dal fondo c’è.
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DÉBORA GONZÁLEZ ARGENTINA, CLASSE 1990, È ARRIVATA IN ITALIA NEL 2008 PER VESTIRE LA MAGLIA DI POZZUOLI. PER LEI UNA LUNGA CARRIERA TRA A1 E A2 NEL NOSTRO PAESE.
primo piano
PEPO LA MARCHIGIANA DÉBORA “PEPO” GONZÁLEZ HA RITROVATO L’AMORE PER IL BASKET NELLE MARCHE, CON LA THUNDER MATELICA, CHE LA SCORSA STAGIONE HA TRASCINATO IN A2.
LA NOSTRA INTERVISTA ESCLUSIVA PER CONOSCERE MEGLIO L’ESPLOSIVA PLAY ITALO-ARGENTINA E RIPERCORRERE LA SUA CARRIERA RICCA DI SUCCESSI
Di Laura Fois
S
ta viaggiando a 16 punti di media nel campionato di se-
rie A2 e oltre a essere la miglior realizzatrice della Thunder Matelica è soprattutto la sua leader e guida spirituale. L’italo-argentina Débora “Pepo” González, classe 1990, è una miniera di racconti ed esperienze. In questa intervista abbiamo ripercorso la sua carriera cestistica, andando anche oltre la sfera della pallacanestro.
Débora González, innanzitutto come nasce il tuo soprannome “Pepo”? Tutta colpa di mia sorella Carolina! Tutti in famiglia mi hanno sempre chiamata “Debo”, ma lei non riusciva a dirlo, perciò mi chiamava “Pepo”. Da quel momento è diventato il mio nomignolo e a me non dispiace! Hai scritto sul tuo account Instagram che la Thunder Matelica ti ha fatto ritrovare la voglia di giocare. Come mai? Per quanto la passione e l’amore per il basket sia enorme, avresti mai pensato che
potessi perdere entusiasmo e motivazione? Sì, è successo proprio questo. Ho attraversato un brutto momento della mia carriera qualche anno fa quando sono rimasta delusa da due società. Mi riferisco alla Dike Napoli e all’Athena Roma. È stato un colpo dietro l’altro, mi sono sentita presa in giro, non solo come giocatrice ma anche come persona. Dopo essere andata via da Roma ho anche pensato di smettere, fino a quando non ho incrociato la mia strada con quella della Thunder. Mi hanno trattato fin da subito come un membro della loro famiglia, e da lì in poi abbiamo iniziato a sognare insieme. Quando sei approdata al Matelica-Fabriano? Sono arrivata a Matelica nel 2019, allora una piccola società che disputava da due anni la serie B, e che conosceva molto poco della pallacanestro femminile! Appena arrivata abbiamo vinto fuori casa con la squadra che non aveva mai perso una partita in tutto il campionato, e penso che quello sia stato il
primo piano momento decisivo per la Società e la squadra. Per la prima volta abbiamo iniziato a pensare che se si allestiva un buon roster, si sarebbe anche potuto pensare alla promozione in A2. Nel mezzo però è arrivata la pandemia… Esatto, portando tanti dubbi e problemi economici, ma questo un po’ dappertutto. Eppure la Thunder continuava a sognare in grande, anzi proprio durante il periodo Covid la squadra si è rinforzata e si allenava il doppio. La grande soddisfazione è stata sicuramente la promozione in serie A2 l’anno scorso. Qual è il tuo ruolo in squadra e quali gli obiettivi stagionali? Sono la senior della squadra, devo dire che le mie compagne mi ascoltano tanto, nonostante a volte sia consapevole di essere pesante, ma lo faccio solo perché so qual è il potenziale di ognuna di noi! L’obiettivo è la salvezza. Il basket, alla fine, è come una relazione d’amore matura, un innamoramento perenne o un colpo di fulmine? La mia storia d’amore con la pallacanestro è bellissima, perché siamo cresciute insieme, nella buona e nella cattiva sorte. Anche se a volte ci hanno voluto
Quali sono gli altri momenti che ti porti dentro? Sicuramente avere avuto in molte occasioni tutta la mia famiglia in tribuna a tifare per me e sostenermi, con la responsabilità aggiuntiva di essere la capitana della squadra. Un’altra nota positiva del giocare per l’Argentina è stata l’opportunità di visitare tanti paesi e di giocare quattro mondiali, di cui due under e due con la Nazionale maggiore. Poi, senz’altro aver giocato contro le migliori giocatrici al mondo. Sto parlando di atlete del calibro di Diana Taurasi, Kelsey Plum, Skylar Diggins, e tante altre che sono passate per il campionato italiano. Come compagne di squadra voglio menzionare Rebekkah Brunson, Camille Little, Tamecka Dixon, Adia Barnes, Gabby Williams, Isabelle Harrison. Mentre in Italia ho avuto la fortuna di giocare con Chicca Macchi, Kathrin Ress, Chiara Consolini e Chiara Pastore, con le quali condivido tantissimi ricordi! Per quanto riguarda il palmares in maglia bianco-celeste? Nel 2009 abbiamo vinto la medaglia di bronzo al mondiale under 19 in Thailandia e nel 2018 abbiamo vinto la medaglia d’oro del Sudamericano, dopo 70 anni. In entrambe le occasioni sono stata la capitana, e penso proprio di aver portato fortuna!
La mia storia d’amore con il basket è bellissima, perché siamo cresciute insieme, nella buona e nella cattiva sorte. Anche se a volte hanno provato ad allontanarci, non potrei immaginare di vivere senza basket. far allontanare, non mi sono mai chiesta in nessun momento cosa potessi fare senza il basket. Ho dato sempre il cento per cento, anche perché ho ricevuto il cento per cento dalla pallacanestro. Mi ha insegnato tantissimo, sono cresciuta come giocatrice, come persona e come donna. Sono fortunata di nutrire ogni giorno questo amore nella mia vita. E poi grazie al basket ho conosciuto mio marito Javier.
Perché indossi il numero 13? Il numero 13 è stato scelto nel 2011 quando sono arrivata a Chieti. I numeri disponibili erano il 13, il 16 e il 18. A me i numeri pari non piacciono per niente, ma tutti mi dicevano che il 13 portava sfortuna. Invece siamo salite in A1 e sono stata premiata come migliore giocatrice della A2. Per cui, numero che vince non si cambia!
Ripercorriamo la tua esperienza con la maglia dell’Argentina? Certo, anche questo è stato un amore duraturo. Nonostante non faccia più parte della Nazionale, ricordo anche la prima volta che ho indossato la maglia della mia nazione: una sensazione indescrivibile. Nella mia testa in quel momento sono passati anni di sacrifici e duro lavoro. Ho avuto la pelle d’oca al sentire l’inno e confesso di aver sempre avvertito questa sensazione, dal primo all’ultimo torneo.
La tua carriera cestistica si è snodata tra l’A1 e l’A2, cosa ti ha lasciato ognuna delle squadre in cui hai giocato? Ogni squadra lascia esperienza, cose buone e cose non tanto buone. Per me quella più importante va oltre la pallacanestro. Ogni Società mi ha regalato amicizie e rapporti bellissimi. Sono cresciuta grazie a queste relazioni, ho potuto ricambiare l’affetto ricevuto e questo per me significa aver fatto del bene o lasciato qualcosa di bello alle persone.
SELECCION CON LA NAZIONALE DEL SUO PAESE, DI CUI È STATA ANCHE CAPITANA, PEPO HA GIOCATO 2 MONDIALI E HA VINTO 4 ARGENTI TRA CAMPIONATI AMERICANI E SUDAMERICANI. NEL 2018 IL PRESTIGIOSO ORO AI SUDAMERICANI.
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primo piano
Come mai sei sempre rimasta in Italia? Nello stivale ho voluto iniziare la gavetta cestistica. Dopo Pozzuoli ho avuto la possibilità di muovere i primi passi in A1. Il 2011 è sicuramente un anno cruciale: ho conosciuto mio marito (giocatore di pallamano, ndr), abbiamo deciso di restare in Italia e muoverci insieme in base alle offerte ricevute dai club. In Italia ci siamo trovati come a casa, e qui vorremmo rimanere. Amiamo vivere qui. In campo quali sono le cose che ti piace fare di più e quali sono i tuoi riti pre-allenamento e pre-partita? Al 100% mi piace sfruttare la mia velocità, effettuare cambi di senso, fare arresto e tiro e giocare tanto il pick
and roll. Prima degli allenamenti metto sempre deodorante, profumo e crema corpo, perché se inizio a sentire odori brutti mi viene da vomitare…! Per quanto riguarda i riti pre-gara, inizio col mettere la cumbia (musica) argentina, mi vesto, mi occupo delle fasciature, mi pettino con il gel e mi trucco. Mi dedico al pre-workout e aspetto dentro lo spogliatoio fino a che non entra il coach. In campo invece entro sempre per ultima. I tuoi sogni di quando eri bambina si sono realizzati? I miei sogni si sono realizzati, e posso dire che sono andata pure oltre. Ci ho lavorato tanto per arrivarci. E continuo a sognare e lavorare per far sì che se ne avverino altri.
THUNDER MATELICA DEBORA È ARRIVATA NELLE MARCHE NEL 2019, QUANDO LA THUNDER ERA IN SERIE B, ED È STATO SUBITO AMORE. NELLA SCORSA STAGIONE LA PROMOZIONE IN A2.
A cosa hai rinunciato per la pallacanestro e in cambio cosa ti ha dato la pallacanestro? Credo che “rinunciare” non sia la parola giusta, perché sento di aver fatto delle scelte che mi hanno fatto felice. Certo, le decisioni prese mi hanno fatto stare lontano da casa, dalla mia famiglia e dai nipoti, ma grazie alla tecnologia posso parlarci tutti i giorni e anche da lontano faccio parte della loro vita. D’altra parte, penso che tutte le persone che lavorano non stiano sempre con la loro famiglia 24 ore su 24. Ci sono stati compromessi da affrontare, ma li ho fatti col sorriso. Quali sono i tuoi progetti futuri?
I miei progetti futuri sono legati alla pallacanestro, sperando di poter lavorare in un’agenzia che aiuti le giocatrici a poter vivere di questo sport e godere anche di un’avventura che a me ha fatto tanto felice. Svelaci il tuo piatto argentino preferito e la ricetta! Posso dire che mi piace tantissimo cucinare, quando sono stressata cucino ugualmente! In particolare adoro i piatti argentini salati: in primis l’empanada (dischi di pasta sfoglia ripieni di carne, cipolla, peperoni) e poi la carne mechada che secondo la ricetta di nonna Clara consiste in una carne ripiena da cuocere per tre ore nel sugo in modo che poi, quando la si taglia, si sfilacci tutta. Provare per credere!
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orizzonti
STELLA AZZURRA A TINTE PINK Di Ufficio stampa Stella Azzurra La storica Società romana da alcuni anni ha cominciato a lavorare anche nel mondo del femminile. La prima squadra è in testa al campionato di Serie B con un roster giovane ed affamato: il sogno è la promozione in Serie A2, sfumata per un soffio la scorsa stagione
Come una rivoluzione lenta e inesorabile, la storica Società romana Stella Azzurra – famosa soprattutto per essere stata negli ultimi decenni un laboratorio di giovani talenti - ha cominciato da qualche anno il suo cammino anche nel settore femminile. La Società nerostellata si è vestita di rosa, e ora copre tutte le categorie dei campionati femminili: dall’under 14 fino alla Serie B regionale.
La finale in Serie B contro Thunder Basket della scorsa stagione è la prova del lavoro svolto in questo ambito.
Con un roster giovane ed affamato, la Stella Azzurra si ritrova prima classificata del Girone B con 11 vittorie ed una sola sconfitta. Specularmente, le Panthers di Roseto - favorite al passaggio del turno e dirette competitors della Stella - stanno guidando il Girone A, primeggiando sulle proprie avversarie. Solo due partite dividono le ragazze di via Flaminia dai Play Off, intenzionate a ribaltare ancora una volta i pronostici.
Dalla punta dell’iceberg della Serie B, la Stella Azzurra fa del reclutamento giovanile e dello sviluppo dell’at-
leta i propri marchi di fabbrica. Attraverso la propria rete di contatti in giro per il mondo, la Società negli ultimi anni è riuscita ad accogliere all’interno della propria famiglia tante delle giocatrici più ricercate e talentuose d’Europa. Ricalcando in pieno il solco già tracciato dal settore maschile, giovani giocatrici come Ilyana Georgeva e Lili Krasovec nate nell’anno 2003, la polacca classe 2005 Oliwia Pelka e il gioiellino ceco del 2006 Emilie Brzonova respirano a pieno regime l’atmosfera della Stella Azzurra Basketball Academy, vivendo il campus a trecentosessanta gradi.
La Stella Azzurra sta allargando numericamente l’attività del settore femminile. Il 2017 è stato un vero e
proprio turning year per le stelline: la squadra femminile ha partecipato, per la seconda volta consecutiva, alla prestigiosa competizione della “European Girl Basketball League”. Questa vocazione internazionale ha visto le ragazze di Via Flaminia prendere parte a tutti i tornei più importanti d’Europa, aprendo ad ottobre con la propria squadra U17 le porte dell’Alqueria di Valencia. Tra i nomi delle nerostellate “che hanno toccato con mano il futuro” annoveriamo Matea Nikolic, Camilla Angelini e Charlotte Ragnetti, rispettivamente a Kansas (College D1), Sanga Milano (A2) e Pozzuelo Madrid (A2 Liga spagnola). “Alla loro faccia tosta, alla loro furia agonistica auguriamo le stesse bellissime pagine scritte nei libri di casa nostra. Che tutto rinasca più bello ancora!!!” È questo l’augurio di Monica Grani, deus ex machina della parte femminile della Società capitolina, che con passione e dedizione ha aperto le porte ad un futuro rosa, reclutando ragazze da ogni parte d’Italia ed Europa.
SERIE B LE STELLINE DI VIA FLAMINIA SONO PRIME IN CLASSIFICA NEL GIRONE B CON 11 VITTORIE E UNA SOLA SCONFITTA.
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COMO A 25 ANNI ARRIVA A COMO, DOVE VINCE DUE SCUDETTI E CHIUDE LA STAGIONE 2003/4 COME MIGLIOR REALIZZATRICE ITALIANA CON 11.4 PUNTI DI MEDIA.
storie
Sua Maestà Cirone PER ANNI È STATA REGINA DELLE PLAY, CERVELLO, GUIDA, MA ANCHE CECCHINA TERRIBILE. RIVIVIAMO LA SUA CARRIERA FORMIDABILE, CHIUSA NEL 2010. “QUELLA SEMIFINALE CON FAENZA E LO SCUDETTO IN CASA…”
di giulia ARTURI
“A
vevo 15 anni, alla Comense ogni tanto mi allenavo
con la prima squadra. Lei, Mariangela Cirone, era play come me. Ogni tanto pensavo fosse di marmo. Mi diceva di ‘picchiarla’ in allenamento, perché doveva abituarsi alla partita. Figuriamoci, ma avete presente come giocava? Nonostante i miei sforzi le prendevo e basta. Atleticamente era un mostro. Nel famoso e temuto yo-yo test mi sembrava potesse andare avanti per sempre, dopo che tutte le altre erano già a bordo campo stremate. E che lezioni di basket!” Le parole di Mary Arnaboldi anticipano alcuni dei motivi per cui nell’Olimpo dei playmaker c’è un posto riservato a Mariangela Cirone, classe 1976. Un metro e 70, scattante, mai frenetica, in campo esprimeva una grinta quasi feroce, un agonismo insopprimibile e la capacità di capire i momenti topici delle partite e di entrarci alla grande, magari segnando in prima persona. Per fare tutto questo ci vuole una credibilità tecnica assoluta. La sua presenza magnetica l’ha resa una giocatrice emozionale: le scariche di energia che dava
in ogni partita accendevano pubblico e compagne. L’arresto e tiro era da manuale. Il tiro da 3 più che preciso. Massimo Riga, suo allenatore a Venezia, la racconta così in un’intervista rilasciata a OA Sport: “Mi ha dato la possibilità di capire che questo è un gioco straordinario, che se hai delle belle persone davanti sicuramente riuscirai a far bene. Lei era un cervello in quel ruolo: l’ho avuta alla Reyer Venezia, non dovevi che creare l’esercizio e lei faceva l’allenamento, dettava i ritmi. Era un libro stampato”. Mariangela, partiamo dai due scudetti vinti a Como, dove arrivi nel 2001, a 25 anni. Non è la Comense imbattibile dei 9 titoli di fila, ma la storia non è ancora finita. “Già, non era più quella corazzata che aveva fatto man bassa di trofei per tutti gli anni ‘90, ma comunque quando sono arrivata abbiamo vinto lo scudetto nel 2002, con Fabio Fossati in panchina, al rientro dal mio secondo grave infortunio”.
storie E non è stato l’unico. Anche la stagione 2003/04 si conclude con un tricolore. Ancora più inaspettato viste le premesse. Addirittura, era incerta la partecipazione al campionato. “Esattamente. Sembrava quasi si dovesse chiudere in estate, poi invece in realtà sono rimaste tutte le italiane, e dopo qualche tribolare con le straniere abbiamo trovato la quadra con Ujvari e Scott. Anche se quell’anno fu segnato dal grande nucleo di italiane (Macchi, Paparazzo, Masciadri, Donvito ndr). Mi ricordo la grande incertezza prima di iniziare la preparazione, un’incertezza che è durata sino a quando non abbiamo avuto le straniere definitive. Sembrava un anno senza aspettative, ma nel corso dei mesi è cresciuta in noi una consapevolezza incredibile, grazie soprattutto alla forza del gruppo. E c’era grande disponibilità nell’ascoltarsi, tra tutti. Mi ricordo che nella finale scudetto contro Parma in un time out c’era una scelta da fare in fase offensiva e diedi un suggerimento che Lambruschi accettò. Si potevano condividere le idee, Gianni era aperto ad ascoltare i consigli, poi naturalmente prendeva lui la decisione finale, però se c’era qualcosa di positivo da mettere in atto, lui era pronto a farlo”.
“Sì, a 14 anni mi sono trasferita a Bari, dove andai a vivere in una casa assieme a Rita La Rosa e Valeria Ferraretti, sotto l’occhio vigile della mia carissima nonna Maria. Eravamo tutte e tre piccoline, e quindi serviva la presenza di una persona che si prendesse cura di noi. È stato l’inizio di una bellissima esperienza”. Nonna Maria era la tua prima tifosa? “Ma certo, mia nonna era una grandissima tifosa. Una presenza fissa sugli spalti in casa, ma non era raro venisse anche in trasferta. Tutta la mia famiglia mi ha sempre seguito molto, venivano anche a vedere tutte le partite”. Ripercorriamo le tappe dopo Bari. “Sono stata a Cesena quattro anni (dove ho compiuto i 18), poi un anno a Reggio Emilia, uno a Vittuone e due a Treviglio. Proprio a Cesena ho iniziato ad entrare in un’altra dimensione del mio percorso cestistico, all’epoca era una società al top: siamo arrivate due volte in finale scudetto, abbiamo vinto la Coppa Ronchetti e anche due campionati giovanili. Livello super. Per la verità il professionismo l’avevo incontrato a Bari, già allora la squadra era in serie A con giocatrici molto forti, e là ho
L’adrenalina di quei momenti e la vita di spogliatoio sono due cose che rimangono dentro per sempre Come si tiene il timone tra queste incertezze? “Per me era un ambito naturale, come playmaker mi spettava il compito di gestire la squadra in campo in ogni situazione. E, come ti dicevo, soprattutto in quell’annata del 2003/04 la vera forza è stata il gruppo: nelle difficoltà ognuna si faceva carico di incoraggiare la compagna, di supportarla, insomma sapevamo con certezza di poter contare sull’aiuto di tutte. Una sensazione di sicurezza: se io oggi non ci sono, ci penserà qualcun’altra a dare un maggior contributo. Un’atmosfera quasi magica, uno scudetto davvero emozionante”. E da dove sei partita per arrivare al tuo primo tricolore? “Ho iniziato a sei anni e mezzo, quando la mamma mi portò con mio fratello in palestra per iniziare a fare sport, nel mio paese, Sala Consilina. E così è nata la passione, rimasta immutata fino al 2010, quando ho smesso. La pallacanestro mi ha conquistata dal primo momento. All’epoca si giocava in squadre miste, non solo maschi-femmine ma anche di età diverse, per cui ho dimostrato da subito una certa attitudine, anche rispetto a quelli più grandi di me. Nel paese dove vivevo non c’era possibilità di fare diversamente: ci si allenava tutti insieme, era un modo per iniziare a fare sport”. Per inseguire la passione ti sei dovuta spostare sin da giovanissima.
vinto un campionato cadette. È stato come essere catapultata in un altro mondo, con molta più intensità e professionalità. Ma a me quel mondo piaceva, era quello che amavo fare, non mi è mai pesato. È stato tutto un imparare dalle giocatrici più brave e più grandi. Da là è iniziato per me il vero abc della pallacanestro: bisognava crescere ed allenarsi”. In campo eri un metronomo nel gestire la squadra, ma non solo: hai chiuso un campionato come miglior realizzatrice tra le italiane. Segreti? “La dote offensiva è maturata con il tempo. In realtà agli inizi della carriera non ero una grande realizzatrice. Insieme a me sono cresciute anche le mie capacità in attacco e quindi ho cercato di mixare i due aspetti. Naturalmente nelle giornate in cui ti accorgi che la mano è calda puoi spingere di più, al contrario se vedi che c’è qualcun altro che è più in giornata di te, fai un passo indietro. È semplice dirlo, un po’ più difficile metterlo in pratica, ma è quanto ho cercato di fare negli ultimi anni della mia carriera”. Quali sono stati gli allenatori più influenti per la tua crescita? “Quelli con i quali ho vinto gli scudetti mi hanno lasciato un’impronta più profonda. Nino Molino, Fabio Fossati, Gianni Lambruschi. Molino mi reclutò a Bari, da ragaz-
NAPOLI DUE STAGIONI CON LA FORMAZIONE PARTENOPEA, DI CUI UNA CHIUSA CON UN CELEBRATISSIMO SCUDETTO, NEL 2007.
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storie zina, e poi l’ho ritrovato a Napoli, e con lui ho vinto lo scudetto. Sicuramente Fabio Fossati è stato quello che, venendo dalla pallacanestro maschile, ha portato una svolta nel modo di allenarsi, soprattutto in fase difensiva. L’ho incontrato a Treviglio, e il ricordo di quegli allenamenti è ancora vivido: un livello di agonismo e aggressività mai sperimentati prima. Cambiò completamente l’approccio da quel punto di vista. E poi Gianni Lambruschi per me è stato un grandissimo allenatore, che oltre alle innegabili competenze tecniche sapeva toccare il lato emotivo, con un quotidiano importante lavoro dal punto di vista psicologico”. Nel 2007, a Napoli arriva il tuo terzo scudetto. “La squadra era forte, e le straniere erano al top, Antibe, Holland-Corn. L’obiettivo si è un po’ modificato nel tempo, nel senso che si partiva per entrare nei play off però poi le cose sono andate in crescendo. Un ottimo gruppo, un grande amalgama sia dentro che fuori dal campo e grazie a un grande lavoro in palestra siamo arrivate a vincere lo scudetto. Nino Molino nell’occasione è stato molto bravo a gestire le situazioni e le singole giocatrici”. Come è stato vincere il titolo vicino alla tua terra? “È stato davvero speciale, anche perché il seguito della città è stato pazzesco. Ricordo il Palabarbuto sempre strapieno di tifosi che ci hanno sospinto a una grandissima vittoria. La finale fu contro Faenza, anche se la semifinale contro Venezia fu lo scoglio più difficile. Nel finale di gara3 eravamo sotto di 9 punti a 59 secondi dalla fine. Iniziammo a fare fallo sistematico, grazie ai loro errori dalla lunetta e ai nostri canestri rapidi riuscimmo a rimontare tutto lo svantaggio. Poi la chiuse Antibe con due liberi e con la sua grande esperienza. Una partita incredibile. Arrivare con una vittoria di questo tipo alla finale ti dà una carica speciale”. Adrenalina, tensione, spogliatoio, compagne, vittorie. Cosa ti manca di più? “L’adrenalina di quei momenti e la vita di spogliatoio sono due cose che rimangono dentro per sempre: continuano a mancarmi ed è difficile, se non impossibile, ritrovarle nella vita di tutti i giorni. Mi mancano poi le sensazioni del campo: la fatica, il sudore, l’attesa delle partite, la vita di spogliatoio, il sentimento di aggregazione. Quelle caratteristiche di condivisione e comunità che solo lo sport può darti: sono sensazioni che ti porti per sempre. E che ti fanno capire in altri contesti cosa significa aver fatto parte di un gruppo che lottava per raggiungere un obiettivo, con tutte le dinamiche che si instaurano: solo chi le ha sperimentate ne conosce l’importanza”. Nel tuo ruolo hai mai avuto un modello? “Non proprio nel mio ruolo. Per esempio, Mary Andrade era sicuramente un esempio di agonismo, poi la tecnica e l’eleganza di Francesca Zara e la determinazione di Betta Moro. Comunque erano anni di grande competiti-
vità, che davano origine a dei bellissimi scontri”. Hai dovuto far fronte a diversi gravi infortuni in carriera. Oltre a quelle sulle ginocchia, ti hanno lasciato qualche cicatrice? “Diciamo che mi hanno scalfito in positivo, perché ogni volta era un po’ una sfida con me stessa. In realtà dopo ogni infortunio rinascevo con qualcosa di più. Dopo che Franco Carnelli mi ha operata ho giocato altri nove anni e penso che siano stati i migliori, di grande consapevolezza, dove anche in fase offensiva sono cresciuta parecchio”. Quando hai smesso di giocare ti sei subito staccata dall’ambiente o hai ricoperto altri ruoli? “Appena chiuso con il basket giocato ho collaborato con la Comense facendo l’aiuto allenatore. Poi ho fatto anche la team manager con la Nazionale Under 20 allenata da Molino: un’esperienza molto bella, con ragazze giovani che conoscevo quasi tutte. Purtroppo è durata solo un anno, ma mi ha arricchito molto”. Hai chiuso la carriera a Venezia dove hai giocato dal 2008 al 2010, ancora da protagonista. “Sono stati due anni veramente intensi. Rimane il rammarico di non aver vinto lo scudetto, pur avendo raggiunto la finale, con una squadra costruita per vincere. Ma Taranto è stata più brava di noi. Ho chiuso che ancora ero in forma, ma il dispiacere di non aver vinto quello scudetto con Venezia è stato ancora più grande. Però nella mia vita c’erano cose che non volevo più fare aspettare, come il desiderio di maternità. Dovevo darmi una deadline: se avessi ascoltato la mia passione avrei giocato chissà per quanto tempo”. Quando hai giocato l’ultima partita eri consapevole che sarebbe stata proprio l’ultima? “E sì lo sapevo, lo sapevo…”. Sei stata protagonista in Nazionale per tanti anni, anche se durante la gestione Corno sei stata messa da parte, perché non avresti avuto il fisico per misurarti a livello internazionale. “Sì, Corno aveva in mente altri tipi di giocatrici nel mio ruolo. Anche se proprio in quella stagione ero stata la miglior realizzatrice del campionato tra le italiane. Comunque ho dei ricordi bellissimi delle mie presenze con la maglia azzurra. La mia è stata una vita da privilegiata, da persona fortunata, e in vent’anni passati tra vittorie, sconfitte, infortuni, il bilancio finale è assolutamente positivo per i successi cestistici, per le amicizie che mi sono portata dietro, per le belle persone che ho incontrato. Una vita che apprezzavo già mentre giocavo e che apprezzo ancora di più oggi. Sì, ho fatto anche tanta fatica, ma niente di paragonabile alle energie psico-fisiche che servono per fare la mamma del mio Enrico: neanche i più ‘terribili’ allenamenti di Fossati possono reggere il confronto! (risata)”.
NAZIONALE: 65 PRESENZE IN AZZURRO E UN QUINTO POSTO ALL’EUROPEO DEL 2009.
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I più forti vincono sempre?
Differenze tra obiettivi di performance e obiettivi di risultato DI ALICE BUFFONI - Centro Studi e Formazione in Psicologia dello Sport Non è sempre vero che i più forti vincono e la storia del basket insegna come ci siano state imprese contro pronostico. L’ultima è la partita di Coppa Italia Virtus Bologna – Derthona, finita nel modo più epico. Queste imprese sportive sono affascinanti poiché contengono in sé grandi insegnamenti, ci ricordano che ciò che è successo una volta può ricapitare in teoria sempre. Molto sta nell’approccio alla partita e soprattutto nell’obiettivo col quale si scende in campo. Coach Ramondino, nel pre partita, ha dichiarato: “Quando ci si trova a confrontarsi con un livello di competizione così alto, gran parte del lavoro è innanzitutto cercare di portare avanti i propri punti di forza, che per noi significa muovere la palla in attacco coinvolgendo tutti i giocatori e mantenere un certo equilibrio difensivo, ma sapere anche che una squadra come la Virtus non può essere “spenta” del tutto e quindi dovremmo fare delle scelte, definire le priorità e portarle avanti nel corso della partita”. Il focus di Derthona è concentrato su obiettivi di prestazione e di processo: su cosa fare e come farlo in ogni fase del match, mettendo anche in preventivo momenti di difficoltà, da affrontare un passo alla volta. Il raggiungimento di questo tipo di obiettivi è totalmente nelle mani dei giocatori. Gli obiettivi di risultato, invece, per la natura stessa di uno sport come il basket, non possono essere sotto il nostro completo controllo, perché dipendono anche da elementi esterni, in primis dagli avversari, che possono essere più forti. Ma se la pressione sul risultato è azzerata si crea una situazione che favorisce lo stato di Flow (come viene definita in psicologia la trance agonistica), ossia la condizione ideale per una performance eccellente. In che modo? Il Flow è un equilibrio tra sfida e capacità, presuppone mete chiare, una concentrazione totale sul compito, un senso di controllo e un coinvolgimento talmente profondo che tutto diventa automatico, semplice. Noi siamo nel gesto, noi siamo nello strumento, noi sappiamo esattamente cosa fare. Da questo punto di vista la squadra che ha fatto patire la Virtus per quaranta minuti ha seguito alla lettera il piano partita del suo coach. In campo, i giocatori hanno dato l’impressione di essere estremamente concentrati sull’esecuzione e di assaporare un momento che, per una squadra neopromossa nella massima serie, era impronosticabile. Viceversa, i giocatori della Virtus avevano ben altro obiettivo in testa, quello di battere Milano nella finale dell’indomani. Come ha poi dichiarato Scariolo, è subentrato un certo nervosismo tattico, che ha portato le V Nere ad affrettare le conclusioni, a eseguire i giochi con poca lucidità, senza mai essere nel presente, ma con lo sguardo fisso a un traguardo che si allontanava inesorabile. Due approcci alla gara molto lontani che hanno portato, il primo, ad un incremento della prestazione e il secondo ad un calo della performance. Questa rubrica è tenuta da Centro Studi e Formazione in Psicologia dello Sport, una realtà che utilizza la Positive Psychology con atleti e allenatori, dai settori giovanili all’alto livello agonistico, per rispondere alle principali criticità che si incontrano sul campo di gara e di allenamento, per migliorare performance individuali e ottimizzare il rendimento di squadra.
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