IoArch 88 Jun-Jul 2020

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Stefano Fera Stefano Fera, architetto, ha collaborato da studente e a inizio carriera con Ignazio Gardella e Aldo Rossi, quindi col padre Cesare Fera. Attivo soprattutto nel campo del restauro architettonico e urbano, è specializzato nello studio dell’architettura premoderna e degli ordini architettonici. Sull’argomento ha curato la riedizione digitale della Regola del Vignola. Ha insegnato in varie università italiane e straniere. Ha collaborato con riviste e quotidiani su temi d’architettura e urbanistica. È stato recentemente invitato da Sergio Maifredi e Corrado d’Elia a contribuire alla rassegna online Racconti in Tempo di Peste col video Il virus, grande urbanista! Ha in corso di pubblicazione il saggio Gusto architettonico per GUP (Genoa University Press).

www.stefanofera.it

URBANITÀ DIFFUSA Le considerazioni di Stefano Fera riscoprono il fascino e l’attualità delle città storiche d’Italia di Carlo Ezechieli

Meglio evitare ormai il termine virale, anche se qualche eccezione va fatta, come per il contributo di Stefano Fera, sviluppato in ambito teatrale e rilanciato online (bit. ly/2WLqyZV) affermandosi come un positivo contagio culturale. Nel suo racconto Fera solleva importanti interrogativi sul modo in cui oggi pensiamo e sviluppiamo le città e mette in luce l’unicità del modello di ‘urbanità diffusa’, alternativo alle grandi concentrazioni metropolitane, che caratterizza profondamente il sistema insediativo italiano. Temi che abbiamo deciso di approfondire con lui in questa intervista. I capoluoghi italiani sono stati per secoli centri di cultura e arte. Negli ultimi tempi sembravano aver perso terreno rispetto alle metropoli, questo almeno finché una circostanza come il Covid-19 ha rimescolato le carte. Come vede il futuro prossimo di queste piccole capitali d’Italia?

Lo vedo bene, perché il futuro delle città italiane è legato alle loro caratteristiche storiche, del tutto uniche. Abbiamo città non [ 50 ]

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solo belle, ma anche efficienti, con una qualità della vita eccezionale, che non ha pari in molte altre parti del mondo. Penso ad esempio alle città della Pianura Padana, poste a pochi chilometri l’una dall’altra, lungo la Via Emilia. Ricordo, inoltre, che le più antiche e importanti università italiane sono in città di medie dimensioni, quali Pavia, Bologna, Padova e Pisa, non in grandi città come Milano e Roma. Abbiamo una fortuna incredibile – che in verità non credo sia stata mai compresa fino in fondo – data da quella che chiamo urbanità diffusa, cioè da una qualità della vita urbana distribuita in modo abbastanza omogeneo su tutto il territorio nazionale. Tale urbanità diffusa è stata prodotta, nell’arco di due millenni, dalla rete delle strade consolari romane, ossia il sistema infrastrutturale terrestre più antico del mondo che da sempre facilita il collegamento tra i vari centri urbani. Questo il motivo per cui in Italia non si è mai sentita la necessità di megalopoli come Parigi, Londra o Madrid. È anche vero che Francia, Spagna

e Inghilterra, a differenza dell’Italia, hanno avuto per secoli organizzazioni statali fortemente centralizzate. Ma è pure vero che l’accentramento amministrativo, culturale e politico, se da un lato esalta le città capitali, dall’altro impoverisce e rende marginali gli altri centri. Se prendiamo metropoli come Parigi, e ancor più Madrid, vediamo che al loro intorno c’è il vuoto. Da noi, al contrario, anche attorno a una grande città come Milano si ha un reticolo di piccole e antiche capitali tuttora dotate di fortissima identità sociale e culturale. Ricordiamoci che in Italia abbiamo la parola ‘campanilismo’ che è intraducibile in altre lingue, se non ricorrendo a perifrasi. I Francesi hanno inventato, invece, lo ‘sciovinismo’, che è il suo opposto. In Italia, infatti, c’è un deficit di nazionalismo, mentre sentiamo tutti un attaccamento viscerale ai nostri luoghi di origine. Per noi Italiani il rapporto con la città è, nel bene e nel male, identitario. Ciò si deve al fatto che le antichissime città italiane, nonostante le invasioni, le guerre, i terremoti e le tante


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