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[Verbale A]: Appunti a matita presi da Luigi Federzoni durante l’ultima seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943

Dino Grandi, gli altri e quel rebus del 25 luglio 143

una volta a Berlino il proprio fastidio al riguardo97, Farinacci era personalmente favorevole ad affidare il fronte italiano a un comandante germanico, previa costituzione di un comando unificato italo-tedesco, nella speranza di risolvere così la crisi militare e di ottenere dall’alleato i rinforzi e gli aiuti più volte invocati98 . Era – quello del ras cremonese – un linguaggio più radicale persino del lessico di Scorza, ma la sostanza programmatica alla fine non cambiava un granché.

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3. Proviamo dunque a risolvere il rebus

Mi pare ora che le posizioni dei proponenti dei tre ordini del giorno siano chiare. Quanto a Mussolini, è necessario preliminarmente ricordare il colloquio da lui avuto il 22 con il re99. Quest’ultimo aveva già saputo da Ambrosio, il 20, del negativo esito del convegno di Feltre e che il Duce aveva evitato di parlar chiaro al Führer nonostante le reiterate sollecitazioni di Ambrosio, di Bastianini e dell’ambasciatore a Berlino Alfieri (Mussolini – chiarisco – si era limitato ad ascoltare e rassicurare Hitler onde ottenere da lui la promessa di maggiori aiuti)100. Non solo:

97 g. Pardini, Roberto Farinacci … cit., pp. 406-407, 412-415, 422-423, 432-433. 98 Accompagnato da Cavallero, di questo e altri temi, comando unico incluso, Farinacci parlò con l’ambasciatore tedesco Mackensen il 21 luglio, f.W. deakin, Storia della repubblica di Salò … cit., pp. 566-568. Nota l’A. (p. 568): «Mackensen si fece un’idea singolare della crisi romana: un gruppo energico, rappresentato da Farinacci nelle alte gerarchie del partito e in lega con Cavallero, aveva imposto la convocazione del Gran Consiglio, per propugnare in quella sede le stesse riforme militari ed amministrative di fondo sulle quali Hitler aveva insistito a Feltre. Tale azione sarebbe stata, nei prossimi giorni, l’elemento decisivo, e se tutto andava liscio, avrebbe potuto costituire la controparte politica delle misure militari che lo Stato maggiore generale tedesco aveva appena stabilito di prendere». Il corsivo è, ovviamente, mio. Le misure prevedevano che: lo scacchiere militare italiano venisse affidato a un comando tedesco, sia pure formalmente subordinato al Duce; le unità italiane provvedessero alla difesa dell’Italia meridionale, trasferendovi anche uomini e mezzi dall’Italia settentrionale, al solo scopo di ritardare l’avanzata degli anglo-americani; la difesa del Nord Italia, l’unica che interessava ai tedeschi, fosse demandata alle truppe germaniche già presenti e a quelle di rinforzo da fare affluire, Ibid., pp. 539-542 e 568-569. Nel Memoriale precedentemente citato Cavallero negò recisamente di essersi dichiarato favorevole al comando unico in mano tedesca; al massimo – precisò – possibilista sull’idea di aggregare al comando italiano un comando germanico «in sottordine». Ibid., p. 568, nota 1. Sulla questione del comando, dei rinforzi, della strategia tedeschi, si veda in P. nello, Il 25 luglio visto da Palazzo Chigi … cit., pp. 72-73 anche quanto riportato nel proprio diario da Pietromarchi in data 16 luglio 1943. 99 P. Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III … cit., p. 142 (22 luglio 1943). 100 Ricordo che solo Hitler impedì la formalizzazione a Feltre della richiesta dei propri vertici militari, che egli peraltro non considerava certo immotivata, di assumere il comando operativo sul fronte italiano. La convocazione del Gran Consiglio tornò utile al Duce» anche nell’intento di dimostrare al Führer, naturalmente edotto dei lavorii di varia origine all’interno del regime, di potersi mantenere ancora saldo in sella senza bisogno di ingombranti «padrini» esterni, r. de feliCe, Mussolini l’alleato 1940-1945. I…cit., pp. 1310 e seguenti. Segnalo che Alfieri aveva inviato prima di Feltre una lettera

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avendo il Duce garantito ad Ambrosio, la sera dello stesso 20, che avrebbe scritto a Hitler per prospettargli l’eventualità di un nostro sganciamento in assenza di un mutamento di strategia e di afflussi tedeschi risolutivi, il capo di stato maggiore generale si era irritato per la reazione a scoppio ritardato dell’interlocutore (o ne aveva temuto le conseguenze sulle decisioni del re) ed aveva presentato le proprie dimissioni (onde Duce e/o re capissero finalmente il suo latino), peraltro subito respinte da chi gli stava di fronte101. Nel corso del colloquio del 22 Vittorio Emanuele III non poté dunque esimersi dal chiedere a Mussolini se non ritenesse giunto il tempo di dimettersi102. Del resto aveva già fatto intendere a Badoglio, il 15, che sarebbe eventualmente toccata a lui la successione e Ambrosio aveva pronto il piano militare che sarebbe diventato operativo il 25103. Corro e sintetizzo al massimo perché il susseguirsi di questi eventi è storia nota e io ho abusato anche troppo dello spazio concessomi104. Il 22 re e Duce convennero infine di consentire al secondo di tentare l’ardua, se non impossibile, impresa di uno sganciamento italiano concordato con la Germania. Dunque, alla vigilia del Gran Consiglio, Mussolini aveva ottenuto un rinnovo pro tempore (stando a Badoglio un paio di mesi) della fiducia del sovrano con l’incarico esplicito di provare a trovare il modo di uscire dalla guerra105 .

a Bastianini chiarendo che la Germania «non può impegnarsi a fondo contro gli anglo-americani in Italia perché vuole riservare il suo sforzo principale contro la Russia (…) si direbbe che intenda per contro alimentare la eroica resistenza italiana con limitata concessione di mezzi (…)» per far sfogare e usurare gli Alleati nella penisola, tenendoli il più possibile lontani dal territorio tedesco, f.W. deakin, Storia della repubblica di Salò … cit., p. 504. 101 g. Castellano, Come firmai l’armistizio di Cassibile, Milano, Mondadori, 1945, pp. 56 e seguenti. 102 Così Puntoni descrisse lo stato d’animo del re dopo il colloquio: «scuro in volto e accigliato. Sul principio sembra restio a parlare, poi alla fine, come per liberarsi di un peso che lo angustia dice: “Ho tentato di far capire al Duce che ormai soltanto la sua persona, bersagliata dalla propaganda nemica e presa di mira dalla pubblica opinione, ostacola la ripresa interna e si frappone a una definizione netta della nostra situazione militare. È come se avessi parlato al vento…”». Supra, nota 99. Dato che, a mio avviso, il sovrano cercò sì di indurre il Duce alle dimissioni, ma senza imporgliele, non vedo contrasti, anche al lordo dei sottintesi, fra questa versione del colloquio e quella in b. mussolini, Il tempo del bastone e della carota … cit., p. 48, secondo cui il re avrebbe affermato: «Situazione tesa, (…) non può più a lungo durare. La Sicilia è ormai andata. I Tedeschi ci giocheranno un colpo mancino. La disciplina delle truppe è scaduta. (…) La storia della “città santa” è finita. Bisogna porre il dilemma ai Tedeschi…». 103 P. Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III … cit., p. 140 (15 luglio 1943). Quanto al piano militare, cfr. supra, nota 85. 104 Oltre ai testi più volte citati, e, naturalmente, a l. federzoni, Italia di ieri per la storia di domani, Milano, Mondadori, 1967, pp. 192 e seguenti, nonché Id., Memorie di un condannato a morte, Firenze, Le Lettere, 2013, oggetto della trattazione di altri nel presente volume, si vedano ulteriori riferimenti in P. nello, Dino Grandi … cit., p. 323, nota 1. Ai quali aggiungo A. de stefani, Gran Consiglio ultima seduta. 24-25 luglio 1943, Firenze, le Lettere, 2013, oltreché e. gentile, 25 luglio 1943, Roma-Bari, Laterza, 2018. 105 r. zangrandi, 1943: 25 luglio-8 settembre, Milano, Feltrinelli, 1964, p. 1058, in riferimento a quanto detto da Badoglio il 18 ottobre 1943 a San Giorgio Ionico durante un rapporto ufficiali del regio esercito (con alcune centinaia di presenti).

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È evidente che, in quest’ottica, nessuno dei tre ordini del giorno poteva soddisfare il Duce. Dunque la strada ottimale da battere sarebbe stata per lui quella di evitarne la messa ai voti. Nella logica del «durare», prendendo tempo nella speranza di superare in qualche modo la crisi senza traumi irreversibili, contando soprattutto sulle divisioni tra i convocati e/o sulla loro «atrofia politica», nonché sulla fiducia ancora accordatagli dal sovrano (che egli riteneva il proprio vero jolly), ed escludendo categoricamente l’ipotesi di minacciare o richiedere un intervento tedesco a suo sostegno (Hitler gli avrebbe presentato il conto), Mussolini puntò, nella seduta del 24-25 luglio, a pilotare la discussione in direzione dell’usuale puro e semplice rimettersi a lui per la drammatica ricerca di una qualche soluzione. Del resto, per il Duce: o i tedeschi si sarebbero decisi a cambiare spartito liquidando finalmente l’affaire russo (l’avrebbero dovuto fare da un pezzo, ma rimaneva alquanto improbabile che si ricredessero); o non sarebbe stato assolutamente accettabile che pretendessero di condannare l’Italia a fungere unicamente da bastione periferico meridionale del Terzo Reich con la sola prospettiva della resistenza ad oltranza per ritardare il più possibile l’attacco diretto alla fortezza germanica. Quanto alle armi segrete tanto vantate da Hitler, si chiedeva Mussolini: sarebbero mai state pronte all’uso prima della fatale debellatio italiana? Perché – sempre per il Duce – Farinacci doveva capirla: la guerra in atto non era mai stata, né era mai divenuta solo un cozzo ideologico, uno scontro di civiltà; rimaneva anche – anzi, dal punto di vista italiano, prevalentemente – un conflitto di potenza. «Non belligeranza», nonché intervento e «guerra parallela» prima, guerra comune dell’Asse e gioco tripartitico di sponda col Giappone dopo: tutto ciò era stato pensato da Mussolini, oltre che per ragioni, appunto, di potenza, per evitare una paventatissima vittoria esclusivamente tedesca e dunque un’Europa a trazione malauguratamente teutonica.

È noto che nella tempestosa seduta del 24-25 luglio il Duce arrivò a un passo dall’ottenere il risultato voluto, evocando la questione personale (il «ricatto sentimentale» l’ha definito Grandi), contando sul proprio appeal specie sui gerarchi non di prima schiera (la cosiddetta «palude», secondo l’azzeccata espressione defeliciana)106, giocando non poco sull’affanno interpretativo di un’assemblea da tempo non più av vezza al dibattito politico, radicalizzando il quesito «guerra o pace?» in «guerra o capitolazione?» onde suscitare dubbi e paure in chi, i più, voleva sì lo sganciamento, ma non a prezzo della resa a discrezione. E però fu Scorza a mettersi di traverso (la veemente reazione di Grandi, sostenuto lancia in resta da Bottai, non sarebbe bastata), nonostante le insistite raccomandazioni del Duce durante l’inter vallo della seduta, nella fallace convinzione di poter forzare finalmente la situazione nella direzione voluta

106 Sul punto: r. de feliCe, Mussolini l’alleato 1940-1945. I… cit., p. 1380.

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e già ricordata. A quel punto, suo malgrado, Mussolini preferì mettere ai voti l’ordine del giorno Grandi, che gli par ve certamente assai pericoloso, ma sempre meno pericoloso degli ordini del giorno Scorza e Farinacci, di sicuro inaccettabili per il re. Avendo puntato sulla carta Vittorio Emanuele III, escludendo le carte tedesca e del partito ( per non legarsi irrevocabilmente le mani, anzi per non rassegnarsi, nel primo caso, a una definitiva orbita puramente satellitare, nel secondo, a una sorta di riduzione a Duce emerito del fascismo), Mussolini non poteva fare molto altro.

Tentò comunque di correre ai ripari presentandosi al re con le proposte di nomina dei nuovi ministri, al posto suo, di guerra, marina, aeronautica (tutti militari: rispettivamente Sorice, Legnani, K linger) e dei nuovi capi di stato maggiore (oltre a Roatta, capo di stato maggiore generale, De Stefanis, De Courten, Cappa, rispettivamente per esercito, marina, aeronautica), chiedendo anzi al sovrano se non preferisse indicare lui personalmente il titolare della guerra. Qualora Vittorio Emanuele III avesse proceduto con le nomine, il Duce avrebbe ottenuto il risultato politico di un chiaro esporsi del re in suo favore. Non solo: provò invano a offrire a Grandi la titolarità del Ministero degli affari esteri (invano perché Grandi non si rese volutamente reperibile)107. Infine, prima della visita al re, Mussolini convocò d’urgenza a Palazzo Venezia l’ambasciatore giapponese Hidaka per comunicargli che intendeva porre l’aut aut a Berlino: o il «pied’arm!» coi russi, o l’Italia fuori dal conflitto. Il Duce chiedeva al governo di Tokio di sostenere con forza il suo passo; e naturalmente Hidaka rassicurò Mussolini, ricordandogli che da tempo il Giappone, non in guerra con l’Unione sovietica, premeva per un componimento fra l’Asse e l’Urss108 .

Fu naturalmente tutto inutile. E tutto inutile perché il sovrano venne costretto proprio dal voto del Gran Consiglio ad abbandonare la via intrapresa il 22 luglio: quella della proroga pro tempore della fiducia a Mussolini. Ormai la decisione sulla sorte del Duce non poteva più essere rinviata: o il re si schierava apertamente con lui, magari prendendo per buono il suo argomento del carattere esclusivamente consultivo delle deliberazioni del Gran Consiglio, vincolandosi così per il futuro; o il re approfittava della situazione creatasi col voto e licenziava Mussolini seduta stante. Il dado doveva a quel punto essere tratto e fu tratto nel modo che sappiamo. Un modo, e concludo, che deluse parecchio l’estensore dell’ordine del giorno vincente, e non solo109. La palla passò a Badoglio e ai militari con le successive traversie e gli esiti che conosciamo. Il PNF non si mosse, la M ilizia nemmeno. Mussolini, agli arresti, si dichiarò fe-

107 P. nello, Dino Grandi … cit., p. 230. 108 r. de feliCe, Mussolini l’alleato 1940-1945. I…cit., pp. 1387-1388. 109 P. nello, Dino Grandi … cit., pp. 230-234; id., Le Forze Armate e la Guerra di Liberazione … cit., pp. 9 e seguenti.

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dele al nuovo governo, di cui scrisse di apprezzare la decisione di continuare la guerra110. Perché – aveva detto a Scorza prima della seduta del Gran Consiglio – resistere sarebbe stato certo necessario «almeno sino a quando sarà possibile, o le cose non giungeranno a tale grado di maturazione da potere affrontare – con il minor danno possibile – le conseguenze, facilmente prevedibili, di un mutamento radicale»111 .

110 f.W. deakin, Storia della repubblica di Salò … cit., pp. 718-719. 111 C. sCorza, La notte del Gran Consiglio … cit., p. 129.

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