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[Verbale A]: Appunti a matita presi da Luigi Federzoni durante l’ultima seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943

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nelle ore gravi e difficili, dei blocchi inscindibili che non permettono il “distinguo saepe” delle discussioni in tempi di bonaccia. Nelle ore drammatiche della storia è puerile di pensare di dosare e sceverare le proprie dalle altrui responsabilità. Siamo tutti fascisti, lo fummo, lo siamo e lo saremo nella buona e nella cattiva fortuna. Questa è l’ora delle responsabilità collettive, ed è appunto per questo che abbiamo insistito per la convocazione del Gran Consiglio e che insistiamo perché il Gran Consiglio, organo supremo del Fascismo prenda stasera deliberazioni gravi e definitive che dovranno impegnarci tutti, dal Capo all’ultimo gregario. Non si tratta di salvare noi stessi, le nostre persone, e neppure il regime o il partito. Si tratta di salvare l’Italia e di salvare in pari tempo gli ideali che animarono la nostra giovinezza fascista e la nostra generazione, ideali che non potranno giammai morire anche se provvisoriamente soffocati dalla ostilità avversaria, dalla deviazione ideologica, dall’interpretazione o applicazione errata, dalla crudeltà degli eventi. Guai se il Gran Consiglio dovesse stasera uscire da questa riunione discorde e diviso. Qualunque saranno per essere le nostre deliberazioni, ad esse obbediremo. Giunti a questo punto taluno potrà domandare: sta bene: accettiamo per un momento la vostra diagnosi di malattia mortale: credete forse di rimediare a questa malattia con la medicina di un ordine del giorno?

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Che cosa significa il nostro ordine del giorno? Significa che il Gran Consiglio, organo supremo del Fascismo delibera decaduto il regime di dittatura, perché esso ha compromesso i vitali interessi della Nazione, ha portato l’Italia sull’orlo della sconfitta militare, ha tarlato e corroso nel tronco la rivoluzione e il fascismo medesimo. Il Gran Consiglio delibera nello stesso tempo che siano ripristinati (sic) nella loro autorità e responsabilità insostituibile tutte le funzioni statali alle quali la Dittatura si era una dopo l’altra sostituita, attribuendo anzitutto alla Corona, al Gran Consiglio, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie costituzionali. Alla Corona anzitutto, restituendo ad essa le prerogative e le responsabilità di comando, di iniziativa, di decisione suprema che lo Statuto alla Corona attribuisce nelle ore in cui è in gioco il destino della Nazione. La Corona, privata delle sue alte prerogative e responsabilità altro non è oggi se non un ostaggio in prigionia

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della dittatura. Il Duce ci ha testé rivelato la parte determinante che il Maresciallo Badoglio Capo di Stato Maggiore Generale insieme con gli altri capi militari hanno svolto alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia per strappare al Sovrano le prerogative costituzionali di Comandante effettivo delle nostre Forze Armate, rendendo così inefficaci la lettera e lo spirito dell’art. 5 dello Statuto, al trasferire proprio essi, i custodi della tradizione militare del Risorgimento, alla Dittatura le prerogative e i poteri che lo Statuto affidava esclusivamente alla persona del Capo dello Stato. Questa attitudine di servilità alla Dittatura da parte degli alti capi militari dell’esercito rimarrà a loro perenne vergogna per tutta la storia avvenire. Attorno al Re soldato, simbolo di umiltà e di concordia nazionale potranno raccogliersi in quest’ora suprema di cimento nazionale, tutti gli italiani senza distinzione di fede politica, fascisti e antifascisti, non più separati dalle odiose discriminazioni che la dittatu

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ra ha operato, animati nell’ora del pericolo da un solo sentimento, quello di salvare la Nazione. Le nostre Forze Armate, oggi sfiduciate e compresse dalla angusta prigionia di una guerra di partito ritroveranno sotto il comando del Re la fiducia e il coraggio di cui diedero già prova sul Piave, di fronte al nemico incalzante sul territorio Nazionale, le armate della nostra passata guerra vittoriosa. Non è la prima volta che un Principe, un Re di Casa Savoia, da Emanuele Filiberto a Vittorio Amedeo II, da Carlo Alberto a Vittorio Emanuele II, a Vittorio Emanuele III, in testa alle loro truppe e sorretti dalla concorde fiducia dei cittadini e dal coraggio dei soldati, hanno sfidato e piegato il destino delle armi avverse. Le lagrime delle madri sui figli caduti non hanno un colore politico. Tutti i cittadini sono uguali nel sacrificio della vita e degli averi per la Patria. Occorre ritornare allo Statuto, alla Costituzione, alle Leggi dello Stato mai pienamente osservate. Le leggi corporative e la mancata funzionalità della Camera Corporativa forniscono l’esempio tipico dell’inosservanza delle leggi da parte della Dittatura che le ha promosse. L’ordinamento corporativo per funzionare e per svilupparsi aveva come presupposto insostituibile la libertà politica, ma dappoiché la libertà era in contrasto con la dittatura si è preferito anemizzare a poco a poco l’ordinamento corporativo, privarlo delle sue attribuzioni essenziali, ridurlo ad un mero organo burocratico e strumento d’arbitrio nelle mani del Partito.

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Occorre restituire al Consiglio dei Ministri le funzioni di organo supremo esecutivo collegiale incaricato di dirigere effettivamente la politica dello Stato e non più, come purtroppo è og gi ridotto, un inter mediario tra lo strapotere della burocrazia e lo strapotere della dittatura, entrambe dirette alla soppressione definitiva delle nostre libertà costituzionali e del residuo controllo del Parlamento. Il Parlamento soprattutto deve tornare ad essere quello che fu dall’Unità d’Italia in poi, strumento libero e consapevole del potere legislativo entro i limiti e l’armonia dei poteri sanciti dalla Costi

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tuzione, espressione permanente attraverso libere elezioni dalla effettiva volontà popolare, controllore e coadiuvatore del potere esecutivo. Reggeranno i tessuti connettivi della Nazione all’inevitabile contraccolpo che il trapasso dalla dittatura alla Costituzione potrà determinare? Dobbiamo sperarlo, confidando nel coraggio e nella saggezza del nostro Re, nel coraggio e nel patriottismo di tutti gli italiani. Non abbiamo peraltro alternativa o scelta. Il ripristino della libertà nel quadro della autorità e della responsabilità costituzionale, appare come l’estremo tentativo e ancora di salvezza. Non abbiamo scelta, col nemico che ha invaso il territorio nazionale, coll’esercito che ha perduto la fiducia nei suoi capi, col popolo che ha condannato la dittatura e domanda di essere governato e guidato a salvamento al di là del pericoloso e difficile guado. Nell’ormai lontano 1924, Mussolini, parlando dal balcone di Palazzo Chigi al popolo di Roma acclamante per i risultati plebiscitari delle elezioni generali politiche del 1924, insorgeva contro coloro che pretendevano vedere in quelle elezioni una mancanza di libertà ed una coartazione della coscienza del popolo italiano. Mussolini disse: “periscano tutte le fazioni! Anche la nostra. Purchè si salvi la nostra Patria. Questo è il comandamento del dovere.” E’ questa l’ora di tener fede alla promessa di allora! Non è mai troppo tardi per compiere il proprio dovere verso il Re e verso la Patria!

seCondo intervento di grandi*3

Desidero riprendere la parola perché ritengo necessario ristabilire ordine nella discussione la quale ha deviato per viottoli ciechi i quali non possono portare ad alcuna conclusione, rischiando di fare smarrire quello che invece deve rimanere il problema centrale della nostra discussione. Mi oppongo risolutamente alla proposta di rinvio di questa nostra discussione la quale dura già da dieci ore ininterrottamente e che non può concludersi con un rinvio, né con soluzioni di carattere ambiguo. Mentre noi qui si discute, in Sicilia si muore. La Nazione non può attendere oltre le decisioni del Gran Consiglio. Ho domandato l’appello nominale sul mio ordine del giorno ed insisto su questa domanda che è conferma della prassi consuetudinaria di tutte le Assemblee. Dacché esistono Assemblee politiche non si è mai trovato, infatti, alcun sostitutivo alla procedura del voto, il solo che possa esprimere l’opinione e la volontà dei membri di una Assemblea politica. Respingo l’ordine del giorno presentato dal Segretario del Partito e non accetto la proposta del camerata Suardo diretta a far confluire in un solo ordine del giorno il mio e quello del Segretario del Partito, che sono in palese contraddizione nelle premesse e nelle conclusioni. Carlo Scorza ci ha detto testé, intervenendo per la prima volta nella discussione, nella illusione di concluderla, che egli parlando porta qui stasera la voce e la volontà del Partito. Contesto questa sua affermazione. Egli non è il Partito. Egli è semplicemente il Segretario del Partito, ed un membro del Gran Consiglio. Non gli riconosco il diritto di parlare a nome del Partito, il quale non è un uomo e neppure un gruppo di uomini, bensì un complesso di spiriti, di attività, di forze, di energie nazionali, di istituti fissati dalle leggi. Il Partito stasera anzitutto è il Gran Consiglio, definito dalla

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legge – giova ancora ripeterlo – “organo supremo del Fascismo”. La voce del Partito oggi altro non può e non deve essere che la voce della Nazione. Sono contrario alla proposta fatta di invitare il Capo dello Stato Maggiore Generale

* Testo dattiloscritto di pp. 6 numerate a partire da p. 2.

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ad intervenire alla nostra discussione per avere da lui dirette informazioni sulla situazione della guerra. Il Capo del Governo e Presidente del Gran Consiglio è anche il Comandante supremo delle Forme Armate e responsabile pertanto della condotta militare e politica della guerra. Inutile e superflua è quindi la presenza del Capo di Stato Maggiore che è agli ordini del Capo del Governo e che, secondo la legge, dipende dal Capo del Governo. D’altra parte il Gran Consiglio non è chiamato a discutere o ad esaminare questioni militari. Questi sono problemi che escono dalla competenza del Gran Consiglio. Essi appartengono, a mente dell’art. 5 dello Statuto del Regno, all’alta responsabilità del Capo dello Stato e del suo Governo. Il camerata Biggini ci ha detto che è improprio parlare oggi di Parlamento, ed ha aggiunto che lo Statuto del Regno è ormai superato, sorpassato, sostituito dalle leggi posteriori emanate dal Fascismo. Non è vero. Dico che tutto ciò non è vero. Il Parlamento esiste, per quanto il suo funzionamento sia ridotto e costretto nei limiti in cui la dittatura lo ha posto. Ma esiste, ed appunto perché costretto ed impedito dalla dittatura non può esprimersi, come certamente farebbe. A sostituire la volontà delle Assemblee legislative è chiamato stasera il Gran Consiglio, che è il Parlamento del Fascismo, è la suprema Assemblea politica del Regime, alla quale è giocoforza domandare stasera quello che alla Camera ed al Senato appare impossibile nelle attuali circostanze. La dittatura non si può opporre a che il Gran Consiglio, organo creato dalla dittatura medesima, esprima la sua volontà, il suo giudizio, ed anche il suo voto di fiducia o di sfiducia. Siamo si tornati

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ad una situazione tipicamente parlamentare ed è questo che noi vogliamo. Mussolini stesso nel 1922 fece sboccare la Marcia di Roma in una soluzione costituzionale. Domandiamo oggi che si ripeta lo stesso cammino. Se l’ordine del giorno che ho presentato sarà respinto, ebbene, noi avremo perduto, e ciò significherà che la maggioranza del Gran Consiglio ha dato un voto di fiducia alla Dittatura; se l’ordine del giorno da me presentato avrà, invece, la maggioranza, ciò significa che il Gran Consiglio ha espresso il suo voto di sfiducia alla Dittatura. E non si dica che lo Statuto del Regno è morto perché sorpassato e sostituito dalle leggi fasciste. E’ falso. E ciò può essere detto soltanto da coloro che con la lettura della nostra costituzione, emanata il 4 marzo del 1848 non hanno familiarità o dimestichezza.

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Lo Statuto del Regno, per quanto corroso è tuttora vivo nei suoi pilastri basilari. Le leggi emanate dal Fascismo hanno integrato, aggiunto, completato lo Statuto, ma non si sono ad esse sovrapposte. La stessa legge del primo Ministro, emanata nel 1926 non è in contrasto con lo Statuto del Regno. Il meccanismo della formazione delle leggi non è stato modificato formalmente nei suoi congegni costituzionali, bensì soltanto piegato, storto, fatto deviare dalla volontà e dalla prassi della dittatura. Non occorrono nuove leggi per tornare nella Costituzione! Basta applicare quelle che vi sono. Il Re è tuttora, secondo la lettera della legge, Capo dello Stato. Esiste formalmente un Consiglio dei Ministri, con Ministri responsabili verso il Re. Lo Statuto li definisce Ministri del Re e tali sono di diritto con la responsabilità non solo amministrativa ma altresì politica che deriva dalla loro qualità di componenti il più alto consesso dello Stato. Respingo, ho detto, l’ordine del giorno Scorza, ed insisto perché

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sia messo in votazione per appello nominale l’ordine del giorno da me presentato, senza modificazioni di sorta. L’ordine del giorno Scorza domanda nuove riforme, nuovi ordinamenti. Basta con questa inflazione nella attività legislativa! La decadenza dei regimi si rivela soprattutto nelle troppe leggi, cui fa necessariamente rispondenza la materiale impossibilità di applicarle. Perché, o Signori, fare le leggi è assai facile, come assai facile è quello di fecondare per creare la vita: difficile e pesante è formare e educare. Pesante, difficile, paziente è il lavoro dei governanti nell’applicare le leggi che essi hanno creato. Basta con riforme, basta con nuove leggi. Il Capo del Governo ha testé pronunziato parole molto gravi alle quali io non posso fare a meno di rispondere con rispetto ma altresì con cruda lealtà. Egli ha detto: “Vi siete mai domandati, o Signori, quali possono essere le conseguenze dell’ordine del giorno presentato dal camerata Grandi? Supponiamo, per ipotesi, che esso raccolga la maggioranza dei voti del Gran Consiglio, e supponiamo che io porti domattina al Sovrano questi risultati. I casi allora sono due: il Sovrano può dirmi – e credo che così mi dirà “caro Mussolini io ho fiducia in Voi; rimanete al vostro posto, e continuate a dirigere le sorti della guerra e le sorti del paese. Se i vostri vi abbandonano, il Re vi rimane vicino”. Questo sono certo che il Re mi dirà. Ed allora, o Signori, quale sarà il giudizio che spetterà ai firmatari

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dell’ordine del giorno Grandi? Oppure il Re mi dirà: di fronte alla nuova situazione determinatasi col voto di sfiducia che il Gran Consiglio ha pronunciato contro di voi, Capo del Governo, io, quale Capo dello Stato, ritiro la delega con cui vi avevo ceduto all’inizio della guerra il Comando Supremo delle Forze Armate, lasciandovi soltanto nelle vostre funzioni di Primo Ministro”. In questo caso o Signori, anch’io ho la mia dignità, la mia suscettibilità. Del resto ho già sessant’anni. Questi venti

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anni sono stati per me una cosa bellissima, ma a queste condizioni di minoranza io, Maestà, non posso rimanere. Avete voi, Signori del Gran Consiglio, pensato a tutto questo?”. Queste sono le parole testuali che il Capo del Governo ha pronunciato. Ed a seguito di queste parole io vedo che lo spirito di alcuni camerati, qui presenti, sta vacillando. Ebbene, io non esito a pronunziare parole gravi: queste parole di Mussolini sono una minaccia e un ricatto per il Gran Consiglio. Si, le tue parole, Presidente, ci arrivano col sapore di ricatto e di minaccia. In quest’ora così grave per le sorti della Patria, mentre migliaia di giovani muoiono offrendo la loro vita in olocausto alla Patria, nessuno, senza venir meno ai propri doveri verso la Patria, può sentirsi captato da sentimenti suscettibili di fare dimenticare i doveri che a noi membri del Gran Consiglio incombono in questa ora dura e le responsabilità che noi abbiamo assunto ed intendiamo assumere fino in fondo. Nessun’altra alternativa io vedo possibile.

Si è parlato anche di tradimento e di infedeltà. Noi saremmo, dunque, i traditori e gli infedeli. Taluno ha anche detto che noi siamo sempre gli stessi del Congresso dell’Augusteo del 1921. Ed è vero. Noi siamo sempre gli stessi. Ma a proposito di fedeltà e di tradimento non posso non ricordarmi in questo momento di quello che mi disse alcuni mesi or sono un pezzo grosso del nazismo tedesco, al quale io cercavo di spiegare la profonda differenza tra Nazismo e Fascismo, differenze che erano rappresentate, del resto, dalla direzione opposta dei fiumi, in Germania e in Italia che, nati dagli stessi ghiacciai alpini si dirigono gli uni verso i mari ghiacciati del nord gli altri verso i mari caldi del nostro Mediterraneo. È vero – egli rispondeva – deve essere vero che noi siamo molto diversi, ed anche le nostre due rivoluzioni. Vi sono tuttavia alcune

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cose che noi tedeschi non comprendiamo soprattutto nel funzionamento dello Stato Maggiore del Partito e del Regime Fascista. Non crediate che il vostro battere i tacchi alla tedesca davanti al Duce e che questa vostra obbedienza “perinde ac cadaver” al vostro Capo sia da noi considerata come un fattore di forza! I rapporti tra noi e il Fuhrer sono completamente diversi dai rapporti tra voi e il Duce. Fra noi e il Fuhrer c’è un contratto di fedeltà che è il vecchio patto nibelungico della razza tedesca; noi siamo fedeli a lui nella stessa misura in cui egli è fedele a noi. È Mussolini altrettanto fedele a voi quanto voi siete a lui? Gli risposi: Vedete, voi non conoscete né la storia del nostro popolo, né le virtù della nostra razza. Quando voi eravate i tedeschi descritti da Tacito e da Svetonio, l’Italia era già da qualche secolo governata dal diritto romano e dall’arte di Stato del Senato romano: poi venne la Chiesa e poi i Comuni e poi il Rinascimento: le borgate del Quattrocento, giammai superate se non dalla borghesia dell’Ottocento, le borghesie che hanno fatto le rivoluzioni del Risorgimento e dato all’Italia la libertà, l’unità e l’indipendenza. Ora noi italiani non abbiamo bisogno di contratto di fedeltà col nostro Capo, perché la nostra fedeltà verso Mussolini non è in funzione di un giuramento, quello che Achille Starace ha inserito nello Statuto del partito e che è subordinato al giuramento che Mussolini e noi tutti abbiamo fatto al nostro Re. La nostra fedeltà a Mussolini è stata sempre determinata dalla intima persuasione che egli era il primo servitore fedele del Re e della Patria e che, obbedendo a lui, noi obbedivamo al Re ed alla Patria. Questo, Duce, è il momento di dimostrare che noi possiamo rimanerti ancora fedeli. A te solo spetta di darci questa dimostrazione e questa possibilità.

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