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ITALICHE

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CAZION I ROMAN E

CAZION I ROMAN E

varo no il loro centro in una rocca ... sono ... il punto di partenza della storia italiana.

Ma dove tali distretti si formassero nel Lazio non si potrà mai stabilire con certezza... [la] catena dei monti Albani ... senza dubbio fu occupata subito dai popoli sopravvenuti. "(1 1 > In particolare fra i 200 ed i 400 m di quota: " ... attorno alla campagna romana corre la linea dei Castelli Romani , [dove] si annidano i vecchi oppida che costeggiano sui monti Volsci la frangia deserta ... delle Paludi Pontine ... L'orto ne è il primo piano, la montagna grigia lo sfondo. Gli oppida, vecchie cinte fortificate, si annidano sugli speroni, nelle parti non coltivabili. Non vi è vita urbana, bensì una vita cantonale abbastanza potente " <12>

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Quale fu, in effetti, la connotazione insediativa in cui tale popolamento della dorsale appenninica, dall'Emilia allo Stretto di Me ssina, si sviluppò?

Per la menzionata caratteristica di frammentazione demografica non attinse mai l'entità minima necessaria per la formazione di città propriamente dette, bloccandosi alla fase del villaggio. Pertanto l'insediamento:

" ... italico nelle zone appenniniche si articola nelle forme caratteristiche di una struttura soc io-economica pre-urbana, di tipo paganico-vica no. Gli insediamenti che gradualmente acquisiscono consistenza urbana, a partire dal IV sec. a. C. e specialmente durante il III, rimangono sempre nelle condizioni di entità costitutive dello stato, la touta, nella sua dimensione etnico-tribale, e non si evolvono sul modello della poli.\Jurbs, a differenza delle città sannitiche della Campania. I modelli istituzionali sono noti su vasta scala, dalle regioni sabelliche settentrionali a quelle irpine e campane, anche attraverso quanto di essi è stato mantenuto , per funzionalità amministrativa, nella prima fase della romanizzazione e che poi in parte è perdurato in età imperiale.

La struttura insediativa diffusa sul territorio come unità produttiva è il vicus: «gen us aedificiorum» rurale, secondo Festo , esso assomma alle funzioni produt- tive (agrico le, di allevamento, artigianali) quelle di scambio, ed è sede di poteri amministrativi nella sfera civile e religiosa. Il vicus si contrappone all'unità produttiva della villa, che ha funzioni specializzate e che si afferma nell'ambito di società urbanizzate La formazione spontanea di un vicus presuppone un sito aperto, vallivo, pedemontano o collinare, facilmente accessibile, la cui scelta viene determinata, attraverso un processo di convergenza, dalla sua capacità di assonunare funzione diverse " <13 > _

E, sempre per la stessa frammentazione demografica la connotazione aggregativa non superò mai la fase tribale propriamente detta , e quella di una società divisa per clan con nuclei chiusi e statici, gelosi custodi della propria autonomia, anarchicamente indipendenti . Ed esattamente come in tutte le società del genere, la conflittualità intertribale ed endotribale costituì piuttosto la norma che l'eccezione, ruotando attorno al furto del bestiame. Etnologicamente la tribù è definita: " come « un gruppo autonomo dotato di coesione politica e sociale, occupante un dato territorio o avente diritti s u di esso >>.

Tale definizione minima si applica anche alla grande comunità che noi designarne di soli to con il nome di popolo ... Il concetto di base rimane il medesimo , e include la nozione di un certo grado di omogeneità razziale ... Ma vi sono anche gmppi etnici compatti sotto il profilo territoriale e molto numerosi, che conducono vita sedentaria e abitano zone geograficamente ben delimitate, e che tuttavia mancano di un ordinamento politico ... lla cui finalità] ridotta ai suoi minimi termini ... consiste nel garantire, quanto meno all'interno del gruppo etnico cui si appartiene, il rispetto di alcuni diritti essenziali, cioè la sicurezza della vita umana e della proprietà. Nessuna società conosciuta può fare a meno di questo minimo... [nonostante ciò l esistono unità etniche ... le quali proprio sul piano politico sono suddivise in sotto-unità distinte e in lotta fra loro ...

É probabile che appunto quest ' ultima connotazione sia stata il contesto esistenziale degli arcaici insediamenti appenninici italici, ed è significativo che in alcune delle più remote fortificazioni sannite, fatte rimontare: " stando al Maiuri, [non più in là del] settimo secolo a.e., i manufatti si spingano oltre. [Tra questi] tre punte di selce levigata... [dell'] epoca neolitica... " <15>. Logico, pertanto, ravvisare nella preesistenza di simili, e non eccezionali, reperti alle più remote fortificazioni la conferma della belligeranza intertribale ed endotribale, normale contesto esistenziale degli italici primordiali.

Del resto più in generale: " ... un antagonismo fra gruppi che spesso agiscono di iniziativa propria, senza essere mandatari della comunità di origine, non implica affatto un vero e proprio stato di guerra fra le comunità in questione: su altri piani può coniugarsi perfettamente con il mantenimento di alcune relazioni che a loro volta non avranno come contropartita, la regolarità e la stabilità tipiche di un autentico s tato di pace " ' 16 i

Ne deriva, in conclusione, un arcipelago di piccoli villaggi, distanziati fra loro, abbarbicati alle pendici montane dalle quali traggono sicurezza e sostentamento . Ques ta paiticolare forma insediativa, frutto più del provvisorio che della sedentarietà irreversibile, non può ovviamente trovare stretta corrispondenza con le fortificazioni, che per contro suppongono certezze e inamovibilità secolari. Pertanto, inizialmente: " ... i centri fortificati sorgono nel territorio con funzione specifica e senza necessità di coincidenza con entità vicane. La loro utilizzazione diviene più intensiva nei momenti di maggiore instabilità civile ... [successivamente] il prevalere di esigenze difen s ive ha determinato l'introduzione di modelli nuovi: costituzione di vici nell'ambito di aree fortificate, ovvero fortificazioni di nuclei abitati preesistenti , senza tuttavia incidere nel1'assetto strutturale produttivo nè nel quadro istituzionale. Gli insediamenti vicani mal si prestavano nel loro complesso per un potenziamento diretto , ad essere cioè muniti di mura, sia per la loro ubicazione prevalentemente esposta e non arroccata , s ia per la loro diffu sione eccessivamente sporadica. Il luogo fortificato è in effetti non una pertinenza del vicus, anche nei casi in cui vi s ia coincidenza topografica, ben sì della comunità intera. Questa , a differenza di una comunità urbanizzata, si identifica con un ambito territoriale e non con un s ito abitato. " (111 • fJ quadro appena tracciato, anche se risponde necessariamente al criterio, peraltro già più volte ribadito , della massima schematicità, riesce tuttavia a spiegare con s ufficiente chiarezza la ragione del proliferare degli insedian1enti italici appenninici, in antitesi, so tto tutti i punti di vista con il processo di urbanizzazione avviatosi con la colonizzazione greca. Spiega pure la ragione della sostanziale identità concettuale e strutturale degli stessi , e delle loro fortificazioni, a prima vista inconciliabile con la pletora di etnie fautrici, di certo scarsament e differenziate fra loro ma altrettanto sic uramente in costante conflittualità. E che tutte quelle innumerevoli s tirpi , tribù e clan fossero, in ultima analisi, filiazioni di una comune matrice lo dimo s tra ancora ]a s ingolare tecnica con cui eressero tali difese nel lungo intervallo compreso fra l'VIII ed il ITI sec . a.e.

Criteri d ' impianto

Tipici e maggiori rappresentanti del variegato arcipelago di etnie contigue , e comunque derivate dal comune crogiolo della civiltà appenninica, furono senza dubbio gli Etruschi a nord ed i Sanniti a s ud , che giunsero a contendere per quasi un secolo l'egemonia peninsulare ai Romani. Nessuna meraviglia, quindi, che entrambi, ed i Sanniti in particolare, producessero uno sterminato repertorio di fortificazioni dalle caratteristiche indubbiamente peculiai·i, ma non per questo del tutto inedite , nel bacino mediterraneo. Alcune soluzioni ricorrenti , alcune impostazi oni canoniche, a1cune tecniche edificatorie, alcune logiche d'impianto, infatti, sembrano rifarsi a più remoti archetipi ittiti e micenei al di là di una riproposizione fortuita determinata dall'invarianza della funzione. Caso emblematico, al riguardo, Ja costruzione di una cerchia apicale in opera megalitica, probabile cittadella, sovrastante un'analoga cerchia più bassa ed ampia, eretta nella medesima maniera e destinata, forse, a protezione di un abitato. Parimenti significativa è la non adozione delle torri, di sicuro note, ma non reputate congrue alla precipua dinamica difensiva. Pertanto la: '' ... somiglianza di queste fortezze italiche con le forme più arcaiche della città greca è sorprendente; c'è da chiedersi se non si possa considerare le une e le altre come tappe corrispondenti in due processi evolutivi analoghi seppure sfasati nel tempo: lo stesso sviluppo che ha po11ato l'abitato dei centri micenei a staccarsi gradualmente dall'acropoli per scendere in piano sarebbe rimasto incompiuto in Italia dove la conquista romana ha precocemente troncato l ' evoluzione spontanea dei centri indigeni ... " m i _

Al pari dei toponimi liviani che hanno dato luogo ad una fioritura di localizzazioni, più o meno condivisibili, l'interpretazione delle fortificazioni italiche ha innescato una miriade di descrizioni formali, dissertazioni stilistiche e distinzioni tipologiche. in gran parte anacronistiche ed improprie. L'equivoco più comune è consistito nel volerle invariabilmente leggere in chiave meramente architettonica, statica , senza mai tentare un approccio funzionale. Pertanto si è disquisito di fortificazioni perimetrali , cerchie o cinte, supponenti immancabilmente al loro interno cittadine o cittadelle, munite di improbabilissimi baluardi , o peggio bastioni , porte compartimentate. opere a tenaglia, torrioni, spalti e ridotti avanzati, il tutto condito dati' onnipresente compito d'avvistamento. Più in generale, è stata ravvi- sata una concezione informatrice comprensiva non solo dell'intero repertorio architettonico militare romano, ma persino di quello castellologico medievale e, in non rari casi, di quello fortificatorio rinascimentale, in una sorta di miscuglio dosato a orecchio.

Che alcuni degli espedienti difensivi citati ali' epoca fossero pienamente recepiti e frequentemente applicati, è indubbio, e lo abbiamo brevemente ricordato, ma non per questo la loro adozione si può reputare universale e contemporanea per ogni ci viltà. Nè ciascun popolo 1i cooptò acriticamente, prescindendo dalla sua modalità precipua di combattimento e dalle sue potenzial ità tecnologiche. Senza contare, infine, che le presunte attribuzioni fortificatorie presupponevano, nella stragrande maggioranza dei casi, contesti urbani in assenza dei quali non potevano trovare congrua adozione. M eno che mai poi si rinvengono nel repertorio delle fortificazioni campali, alle quali molte delle opere italiche sembrano potersi ascrivere, con l'unica, e certamente non insignificante, anomalia della valenza permanente.

Circa la funzione d'avvistamento, della quale nessuna fortificazione appenninica è graziata, prescindendo dal fatto che non è mai esistita sul nostro pianeta un'opera difensiva di qualsiasi entità da cui non si sorvagliasse continuamente il territorio circostante, è credibile che per la sua espletazione fosse necessario erigere cerchie in opera megalitica sulle pendici o sulla sommità di alture? Non sarebbe stato più semplice, meno costoso, e soprattutto meno visibile, e quindi più efficace, dislocare nei medesimi siti prominenti sentinelle appollaiate sug li alberi o sui pinnacoli rocciosi?

Va, inoltre, osservato che, pur parlandosi correntemente di cerchie e di mura perimetrali le fortificazioni erette in opera poligonale non hanno, in realtà, una stretta affinità con le cerchie urbiche propriamente dette, quali si erigeranno nell'architettura greca e romana, nè dal punto di vista strutturale nè dà quello militare. La loro principale diversificazione è nella mancanza di un intradosso, essendo, nella stragrande maggioranza dei casi , del tutto simili a mura di sostegno, o di terrazzamento. L'apporto difensivo, per conseguenza, si organizza sfruttando un ostacolo verticale.

Tramite un procedimento astrattivo è però possibile estrapolare dalle diverse centinaia di fortificazioni italiche in condizioni di sufficiente leggibilità, etrusche , volsce, sannite, tanto per limitarci alle principali etnie, le effettive logiche d'impianto e le concezioni informatrici secondo le quali vennero erette, evitando le menzionate elucubrazioni interpretative.

Riguardo all'impianto occorre, innanzitutto, osservare che una prima diversificazione si origina dalla quota, non assoluta ma relativa, dell'altura su cui s'insediarono. Dal che derivano opere apicali , per lo più cerchie continue, ed opere di pendice, simili a lunghi terrazzamenti. Le prime formavano una sorta di anello, che inglobava al suo interno la cima stessa, vagamente spianata, occupata in molti casi dal nucleo residenziale. Non mancano, sempre in tale tipologia, cerchie plurime, approssimativamente concentriche, a quote decrescenti, in alcuni casi appena sfalsate in maniera tale che il piede della superiore coincida, altimetricamente, con la sommità dell'inferiore, lasciando fra loro una sorta di ballatoio più o meno pianeggiante, largo al massimo una decina di metri, simile ad uno spalto. Siffatta configurazione trova frequente applicazione nelle principali fo rt ificazioni sannite, costituendo perciò una precisa opzione etnica, probabilmente connessa ad una altrettanto precisa tattica difensiva(19 > _ Sempre in merito a siffatte cerchie, va ancora precisato che la loro muraglia poligonale, normalmente, non eccedeva l'altezza massima di una decina di metri e che di solito insisteva con precisione sulla stessa curva di livello, di cui seguiva, ovviamente, il contorno. Pertanto l'andamento è convesso, privo di spigoli, con vistose concavità in corrispondenze delle incisioni torrentizie<20) , in sostanza molto vicino alla concenzione

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