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ROMANE

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OSSIDIONALI

OSSIDIONALI

fettamente idoneo ad essere colato in casseforme che, una volta rappreso, ha la consistenza della pietra.

Più in dettaglio mentre la sabbia, o l'arena ir genere, altro non sono che una roccia meccanicamente ridotta in minutissimi frammenti dall'erosione eolica o idrica, la polvere di Pozzuoli è un sedimento vulcanico a forte componente s ili cea. E se mescolando le prime con la calce, ottenuta dalla disidratazione della pietra calcarea, si produce una sorta di calcare artificiale, lo s tesso procedimento applicato alla seconda da origine ad un composto che induritosi è di gran lunga più resis tente e coeso, idoneo a sopportare rilevantissime sollecitazioni a compressione e, peculiarità singolare, di screte trazioni, caratteristica quest'ultima non condivisa nemme no dai moderni cementi non armati. La più evidente diversità fra g l i impasti pozzolanici rispetto a quelli sabbiosi è nella loro stupefacente capacità di rapprendersi sott'acqua. Per la medesima ragione richiedono una minore quantità di calce, dettaglio affatto ininflu ente nelle grandi costruzione per il suo cospicuo costo. L'insieme delle connotazioni appena riassunte va sotto il nome di effetto pozzolanico. Ovviamente tale definizione appartiene alla nostra cultura mentre la sua scoperta a quella romana: no nostante tale innegabile ignoran za fu proprio questo processo chimico-fisico a determinare l'accennata rivoluzione. Scriveva infatti Vitruvio:

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"Esiste un tipo di polvere (pozzolana) che produce naturalmente cose meravigliose ... Si trova nei dintorni di Baia e nelle zone dei comuni intorno al Vesuvio. Questa polvere, mescolata con la calce e pietrisco, non solo rende assai solidi gli edifici in genere, ma fa sì che anche le costru zioni fatte nel mare si solidifichino sott'acqua. Sembra che la ragione sia questa: sotto quei monti vi sono molte terre calde e sorgenti d'acqua e non vi sarebbero se in profondità non vi fossero gran fuochi ardenti di zolfo, di allume e di bitume. Onde il fuoco e il vapore della fiamma, passando attraverso le fessure, rendono quella terra legge - ra, e il tufo che vi s i trova è privo di umidità. Per cui, quando tre sostanze formate in tal modo dalla violenza del fuoco si trovano mescolate insieme, assorbono prontamente l'umidità e si uniscono a formare una cosa sola, e rapidamente indurite dal liquido solidificano, e nè i flutti nè la forza dell'acqua le possono più sciogliere. " C3>

É evidente che la reazione di indurimento della malta pozzolanica sia tutt'altra cosa di quella appena citata ed im plichi, per attingere la massima so lidità, molti anni, pur fornendo già dopo pochi giorni resistenze notevolissime.

Da un punto di v ista storico, ancora una volta, è estremamente probabile che la tecnologia romana cooptò la scoperta della malta da quella della Magna Grecia, intorno al Ili secolo a. C. Una testimonianza probante, in merito, la si può cogliere nelle mura di Cosa < 91, costruite nel 273 a.C., la cui parte basamentale è in opera poligonale mentre l'elevato è in conglomerato cementizio. Nel 273, quindi, non solo si disponeva della rivoluzionaria procedura ma se ne aveva ormai una tale fiducia da utilizzarla nella fort ifi cazio ne, dettaglio emblematico per valutarne la diffusione.

Affi nchè, però, l'opera cementizia, almeno nei primi decenni, fosse concretamente utilizzabile occorreva disporre, ovviamente, della famosa pozzolana, ovvero del partico lare sedime nto c he erro neamente si suppose esclus i vo di alcune località circumvesuviane. E tale opportunità fu a disposizione dei tecnici romani so lo dopo l a conq ui sta della Campania, compiutasi, appunto, nello stesso arco di tempo. Per un lungo periodo se ne fece incetta, a nche per opere da erigersi a diverse centinaia di km di distanza, e soltanto quando s i realizzò che l'intero bacino laziale e quindi buona parte dell'Italia ce ntral e erano ricchissimi della preziosa harenafossica la tecnica del calcestr uzzo potè applicarsi senza alcuna restrizione.

Nonostante l 'i ncomp re nsione del reale processo di presa del cong l omerato pozzolanico, nessuna in certez- za permase sul suo esatto dosaggio ed, jn brevissimo volgere, ne fu perfettamente recepita la potenzialità applicati va. I progettisti romani, tuttavia, ne approfittarono gradatamente spingendosi, decennio dopo decennio, verso costruzioni sempre più complesse ed ardite, dovendo superare, paradossalmente, soprattutto le resistenze psicologiche al!' impiego di quel materiale povero in alternativa alla nobile pietra. In definitiva la: " prima parte della storia del calcestruzzo romano è dunque la storia della scoperta acc identale e della lenta esplorazione empirica delle proprietà della pozzolana come ingrediente di una malta molto più resistente di quelle fino ad allora conosciute. Alla fine della Repubblica le proprietà idrauliche del pulvis puteolanus erano ben conosciute, e si era capito che i tipi più pregiati di harena fossica romana avevano le stesse proprietà ...

Quali furono le conseguenze dell'uso del nuovo materiale nell'architettura della tarda Repubblica? La prima e la più ovvia fu il suo affermarsi come sunogato economico e spesso più efficace dei materiali tradizionali ... " <'°i .

E dove se non in una fortificazione perimetrnJe il concetto di economicità e facilità d'impiego tornava particolarmente ricercato? Poter assemblare strutture enormi tramite piccoli apporti unitari, per giunta fluidi, materializzò subito la soluzione dei tanti problemi inerenti all'edificazione delle cerchie urbiche, senza contare l'esito strutturale che garantiva la miscela. Poichè il conglomerato aveva inizialmente una consistenza fluida, ed almeno in ciò era esattamente analogo al nostro cemento, doveva necessariamente essere colato, o costipato, in apposite casseforme. Ma molto raramente quest'ultime venivano fonnate con tavoloni di legno, preferendosi sistematicamente J'adozione di due paramenti murari, che, a secondo della loro precipua natura, davano nome alla particolare tecnica. Non a caso la definizione di siffatta muratura è anche di: " opera a sacco, perchè è materiale informe che viene gettato, come in un sacco, dentro una cassaforma che può essere di legno, di pietra o di mattoni."<11 1

In pratica, perciò ebbe, designazioni diverse: quando i paramenti erano realizzati con blocchetti di pietra a contorno geometrico irregolare si chiamò opus incertum, se quadrati opus reticolatum; con i paramenti in mattoni si chiamò, invece, opus latericium. In ogni caso, al di là deJJ' immagine esteriore, peraltro spesso ce lata dall'intonaco, si trattava sempre del medesimo solidissimo calcestruzzo. L a funzione dei paramenti non si riduceva a quella di mera cassaforma in quanto fornivano un supporto statico per tutto il tempo del1' indurimento c he , come accennato, poteva risultare anche notevolmente luo go specie se relativo a masse di grande spessore. Proprio per tale motivo le colate non s i realizzavano per l'intero vo lume , ma a stra ti nel cui interno: " ... di regola il pietrame veniva posto in opera a mano, in corsi pressappoco orizzonta] i e con abbondante mjscela di malta; ed era la fusione in un blocco monolitico della malta c h e legava i di versi corsi c h e costit uiva la forza del prodotto finito. Il tempo necessario per innalzare imp alcat ure e casseforme di legno fra una fase e l'altra del lavoro creava una difficoltà

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