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ITALICHE

ITALICHE

alcune cinte preesistenti di città della Campania, come Teano e Pompei ... " <(,(,> .

Da alcuni stud iosi si è ravvisata in tal e peculiare connotazione l a conseguenza di una vo lula scelta progettu a le. Essa sarebbe stata, in altre parole, un preciso suppo rto tattico alla l oro 01iginale modalità di combattimento, che era non già queJla di sottrarsi pavidamente alla battaglia, ma di affrontare arditamente g li attaccanti; questo giudizio sembra per parecchi aspetti convincente e condivisibile. Per i Sanniti c iò sarebbe equivalso alla " ... possibilità di sc hierar si su due file ... [D i certo] è possibile che nei cas i di pericolo dei difensori si schierassero contemporaneamente su ambedue l e cinte, per aumentare verosimilmen t e l a possibilità di offesa delle armi da lancio (di cu i peraltro se si escludono i giavellotti, non abbiamo molt e testimonianze per quanto riguarda i Sanni t i ) ma per questo in fondo poteva essere sufficien te la costruzione di un doppio gradino dove maggiore era da aspettarsi la concentrazione degli attaccanti ... inoltre la larghezza delle terrazze doveva ridurre notevolmente la portata dei lanci dei difensori posti più in alto. C'è piuttosto da pensare che al cinta esterna serv isse per le prime operaz ioni di difesa, mentre quella più int e rna cost i tuisse l a vera roccaforte degli assediati. In ogni caso è chiara la maggiore complessità del sis tema di fortificazioni a grado ni che dimo stra una co noscenza abbastanza avanzata degli elementi della tecnica fortificatoria. Quanto ala larg h ezza delle terrazze, essa va dai m 3,50 di Saepinum ai m 6-11 di Monte S. Croce, ai 15 di Piedimonte d ' Alife. La maggiore ampiezza di alcune terrazze può forse essere g iustifi cata , o ltre che dalla diversa conformazione orografica dall'opportunità che offriva agli assediati di spostarsi più agevolmen t e ... " <61 > L ' intenelazio ne fra le fortificazioni gradonate e le armi da lanc io , appare subito ev id e nte: l e rappresentazioni di arcieri s anniti sono però est re mamente rare, mentre i giavellotti s i rinvengono con relativa fre- quenza nelle tombe.

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In realtà va osservato che presso tutte le società pastora] i si ravvisa sempre una propensione alJ'impiego di armi da lancio elementari , quali la fionda od il giavel lotto. É perciò probabile che l'adattamento di alcune peculiarità dell'una sull'altro abbia 01iginato un particolarissimo tipo, di g ia vellotto, di notevole efficacia, c he sembra appartenere contemporaneamente anche alla cu ltura tradizionale dei Greci arcaici, dei Celti, dei Galli, degli Etruschi e che sar à adottalo anche dai Romani in virtù della sua acclarata rispondcnza<68 i La caratteristica preminente di tale giavellotto consisteva nel suo propulsore flessibile , I' amentum , una correggia di cuoio arrotol ata intorno alla sua asta'69l, per mezzo della quale veniva scagliato, con un rapidissimo strappo. La sollecitazione così impressagli constava di due componenti, una equivalente alla tipica traslativa e l'altra, assolutamente inedita. rotativa. Mediante quest'ultima veniva somministrata a li ' arma quello che negli attuali proietti si definisce 'effetto giroscopico' , ovvero la rotazione intorno all'asse maggiore, col conseguente vistosiss im o incremento della stabi li tà nella traiettoria e soprattutto del s uo allungamento, ollre il 50%P 0> Tn tal modo i lanciatori erano messi in cond izione di colpire il nemico, pur ritrovando si pienamente fuori tiro. I Sanniti, pertanto, si sc hi erava no lun go il ciglio delle loro fortificazioni in duplice ordine. o , ne ll e meno comp lesse, in singolo, e nel preciso is tante in cui gli attaccanti penetravano all'interno della gitta ta , la fila più bassa scagl ia va una salva di dardi mortiferi, replicata dopo pochi istanti dai combattenti della fila sovrastante, che compl etava la strage. Di siffatta tattica, però, non abbiamo esplicita menzione negli storici romani, che scrissero seco li dopo l' epico confronto, ma l a modifica dell'ordinanza legionaria nel corso delle guerre sannite11 1l, resasi necessaria per ridurre le perdite, ne è una impli c ita testimonianza. Analoga conferma proviene dalla descrizione dell'assedio di Saepinum, rarissimo esempio di conquista di una cittadina sa nnita archeologicamente identificata.

SAEPlNUM

La Sepino sa nnita sorgeva sulle propaggini orientali del massiccio del Matese , ad una quota di m 953. La sua ubicazione deve essere posta in relazione con il contro llo del sottostante tratturo per la Puglia. Dal punto di vista strutturale l'insediamento appare fac ilme nte identifi cabi l e per la sua cerchia po li gonale, dalla pianta vagamente trapezoidale. In dettaglio: " ... le mura sembrano descrive re un circuito continuo, senza cesure o salti, neppure in corr ispo nd e nza di s peroni di roccia o strapiombi , per una lunghezza di circa l .500 metri; so no cos tituite da una doppia cortina terrapienata in opera poligo nale: l a cortina supe riore risulta arretrata di 3 m etri rispetto a quella inferiore. Al loro interno, nella zona nord ovest, sul culmine dell 'a ltura, è da collocare 1'arx. Tre le aperture identificate: s ul lato s ud-ovest, in corris po nd enza della via d 'accesso dal val ico di quota 934, si apre la 'pos tierla d e l Matese'; una vera e port a carregg ia ta, si schiu de sul la to no rd ovest, l a ' po1ta dell ' Acropoli', diretta a Bo vianum La terza porta, forse la più importante, la 'po rta del tratturo' , si apre nell 'ango lo es t dell e mura... "mi _ In s intes i s i tratta della tipica c ittadina itali ca, se nza alcuna peculiarità distinti- va , ad eccezione della s ua cerchia poligonale gradonata. Nel 293 a.C., i legionari romani investirono quelle rozze fortificazio ni e Livio così ricordò l'episodio:

·•... non era un vero assedio, ma piuttosto un combattere a parità di condizioni, perchè i Sanniti più che difendere se stessi dietro le mura , difendevano queste con uomini e con armi ... Perciò presa la città, il furore portò ad una strage mag giore: settemila e quattrocento furono gli uccisi, meno di tremila i pri g ionieri "m•

I Sanniti. quindi, s tand o alle parole di Livio, volgevano le spalle alla loro fort ifi caz io ne , ma tale comportamento non può asc1iversi ad uno sterile quanto temerario erois mo . Qual ora atte ndibil e, infatti, presuppoITebbe l'idiozia congenita della dirigenza militare, che dopo aver imp osto la costruzione di una colossale cerc hi a, a prezzo di jmmani fatiche, e costi e levati, poi tranquillamente la ignora e si fa massacrare al lo scoperto! In rea lt à ]o sc hi erarsi all'esterno delle mura era prop ri o la migliore maniera di combatte re sui descritti gradoni, volgendo così, ovviamen te, le spalle all a muraglia più alta mentre si scagl iav a no i giave llotti dall a sommità della più b assa, contro i nemici i n avvicinamento. Nessun sannita stava dietro le mura, c he peraltro no n disponevano di una faccia posteriore, ma tutti erano schierati dav a nti, quas i protesi alla loro difesa! Qu e llo che però Livio non poteva ormai sapere, essendosene perduta completamente la memoria, non lo ig noravan o invece i legionari, assuefatti e consapevoli alla tremenda, quanto ingenua, tattica e co n accorte manovre ne vanificaro no le offese. La c ittà s ul tratturo finì così e, tranne una bre vi ss ima parentisi di riutilizzo altomedievale , l e sue deserte mu ra sos te nn ero da quel momento so ltanto l'assedio del bosco, lento quanto inesorabile, fino a mezzo seco lo fa. J vincitori, po c hi anni dopo ne fondarono una nuo va a valle, chiamandola Altilia , impo sta dall ' immutat a esigenza del controllo de] vitale percorso delle g reggi, che du e volte l'anno deflui vano lun go il s uo decumano.

Note Capitolo Terzo

1 Precisa G. CHJAUZZI, Africa se11entrio11ale, Novara 1982. p. 26. circa la distinzione fra società nomadi e seminomadi che: "la differenza... non è determinata solo dalle maggiori o minori distanze percorse dai nomadi, nè dai più lunghi periodi di sosta dei seminomadi: in realtà dipende dal diverso spazio che gli uni e gli altri assegnano alla coltivazione quale attività economica complementare a ll'alle vamento. I nomadi si dedicano all'agricoltura so lo sporadicamen te, limitandosi a seminare alcuni cereali nei greti dei fiumi e mietendo il poco che è nato al loro ritorno. Oppure, anche se possiedono oas i e terreni coltivabili, li affidano ai sedentari, un tempo g ià da ess i conquistat i o comunque soggetti alla loro protezione. li vero nomade non coltiva... disdegna la fatica dell'ag1icoltore, so litam e nt e in erme e da lui vinto Per contro il seminomade coltiva cercali (quale genere di sostentamento complementare dei prodotti animali) facendo affidamento sulle piogge per l'irrigazione, ma cercando di intervenire sul territorio costruendo adeguati sistemi di sfruttamen to e distribuzione delle acque Ma, a sotto lin eare quanto i gruppi possano essere condizionati da ll e situazioni ambientali, i nomadi, c ui sia consentita l'opportunità, tendono al seminomadismo... ; i seminomadi... tendono alla Lransumanza, con la quale si avv iano gradualmente a forme di vita sedentaria. nelle quali l'agricoltura occupa spazio sempre maggiore accanto a l preesistente allevamento ... " .

2 Da F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Medi1erraneo 11ell'e1à di Filippo Il. Torino 1976, voi. r, p. 53. Cfr. M R. DE LA BLA NCHERE La malaria de Rome et le drainage anrique. in Mélunges d'Arc/1. el d'His1., a cura dell ' Ecole française di Roma . ll, 1882, pp, 94 e sgg.

; Da J. A. MARINO, L'economia pastorale nel Regno di Napoli, Napoli I992, pp. 33-34.

4 Cfr. J. A. MARINO, L 'econom ia ... , cit., pp. 112- 122.

i Da J. A. MARINO. L'economia cit., p. 107.

6 Da F. BRAUDEL, Civil1à ... , cit., voi. I , p. 76.

' Da L. Qu1uc1, Roma primitiva e le origini della civiltà laziale, Roma 1979, p. 44.

8 Cfr. U. SPRENGEL, La pastorizia transumume nell'l!alia centromeridionale, in Annali del Mezzogiorno, XV. 1975, p. 294.

9 Da F. BRAUDEL. Civi/Jù , cit., voi. L p. 37.

'

0 Da T. MOMMSEN , Storia di Roma antica, ediz. ital. 1857, lib. I, p. 41.

11 Da T. MOMMSEN, Storia di Roma an1ica, Bologna 1979, lib. l. pp. 50-5 I.

12 Da F. BRAUDEL, Civil1à , cit., voi. I , p. 42.

1 ' Da A. LA REGINA, Dalle guerre sanni1iche alla romanizzazione, in Sannio-Pentri e Frentani dal VI al I sec. u. C. , Roma 1982, p. 37.

14 Da V. L. GROTIARELLI, L'ordinamento politico, in Ethonologica. L'uomo e la civ iltà, Milano 1966. voi. lll, pp. 191-195.

15 Da D. B. MARROCCO, Piedimonte Matese, Napo li 1980, pp. 36-37.

16 Da Y. GARLAN, Guerra e società nel mondo antico, Bologna 1985, pp. 2 1-22

17 Da A. LA R EG INA, Dalle guerre , c it. , p. 38.

18 Da M. A. BOCCHINI VARANI, L'insediamento som111itale appenninico e insediamento vallivo alpino. Le origini, in Rivi.Ha Geografica Italiana, LXXXII, n. 2, 1975, pp. 181-182. La citazione è tratta da L. SANTORO, Fort(fica-;,ioni della Campania antica, Salerno l 979, p. 52, no ta n 27.

19 Al riguardo cfr. F. R usso, Dai Sanniti all'Esercito Italiano, Roma 1991, pp. 35-43.

2° Cfr. G. CONTA H ALLER, Ricerche su alcuni cen11·i for1ifica1i in opera poligonale in area campano sann itica, Napo li 1978, pp. 73-86.

21 Cfr. S. P. 0 AKLEY, The hi/Ljorts of the Samnites, in Archaeological monographs of the brilish school at Rome n IO, Cambridge 1995, pp. 129-1 38.

22 Da D. B. MARROCCO, Piedimonte ... , cit., p. 36.

23 Da G. GUADAGNO, Ce111osessan1a anni di ricerche e studi sugli insediamenti megalitici: un /entativo di sintesi, in Ani I sem inario nazionale di studi sulle mura poligonali , Alatri 2. J O. 1988, p. 18.

24 B. RUDOFSKY, Le meraviglie delf'architettura sponlanea, Bari 1979, pp. 89-90, così riporta lo sba lordimento provato da un conquistatore spagnolo, Garcilaso de la Vega, al la v ista delle muraglie poligonali peruviane della fortezza di Sacsahuarnan: " chi l'abbia veduta. e l'abbia studiata con attenzione, non so ltanto dovrà immaginare, ma dovrà credere che venisse eretta per incanto: da dèmoni e non da uom.iiù, in ragione del num ero, e della dimensione dei massi posati nelle tre serie di mura , p iù rupi che mura. e che è impossibile credere venissero tratti dalle cave, poichè gli indiani non possedevano nè fc1To nè acciaio con cui estrarli e sbozzarli ".

" Da G. G UADAGNO . I seminario , cit., p. 14.

26 Da G. G UADAG NO, I seminario , cit.., p. 15.

Italic He

27 Cfr. O GERHARD, Mura dette ciclopiche, in Annali dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica, Roma 1831.

28 Cfr. E. DODWELL, Views and description rl Cyclopian, or, Pelasgic remains, in Greece and /taly, London 1834.

:?9 C. PROMI S, Le antichità di Alba Fucens, Roma 1836, pp. 114-115.

30 La citazione è tratta da G. LUGU , La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio, Roma 1957, p. 60.

3 1 Cfr. L. POLE1Tl, Delle genti e delle arri primitive d'Italia, in Dissertazioni della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, VTTT, Roma 1838.

u Da G. LUGLI, La tecnica , cit.. p. 61.

"Cfr. G. B. GIOVENALE, / monumenti preromani del Lazio, in Dissertazioni della Pontificia , cit., s. IT , VIT, Roma 1900.

,. Per l'esattezza la Scuola Archeologica Italiana, diretta dal prof. Luigi Pigorini , stimolè> l'a llora Ministero della Istruzione Pubblica ad intraprendere una serie di scavi in diverse loca lità fortificate italiche al fine di accertarne il grado di derivazione e dipendenza dalle cittadelle micenee In pratica si prescelse allo scopo Norba e le ricerche vennero affidate a Luigi Savignoni e Rani ero Mengarelli. Le campagne di scavo si attuarono nel 1901 e nel 1902, ed i risultati furono pubblicati a partire dall'anno seguente.

35 La citazione è tratta da G. LUGLI, La tecnica cit., pp. 63 -65, che a sua volta l'attinse dalle «Notizie Scavi» del 1903 , p. 265, in cui gli esiti degli scavi di Norba vennero pubblicati originariamente.

36 Da G. L UGLI, La tecnica , cit., p. 64.

37 Da G. L UGLI, La tecnica ... , cit., p. 70

38 Da G. LUGLI, la tecnica cit., p. 73.

39 Da Y. GARLA N, Recherches de poliorcétique grecque, Parigi 1974, p. 138. Il testo originale è in francese, la traduzione invece è dell ' A.

40 Da G. LUGLI, la tecnica , cit., p. 76.

4 1 Da G. LUGLI , la tecnica ., cit., p. 81.

42 Da G. LUGLI, la tecni ca , cit., p. 70, nota n 1.

43 Un perfetto esempio di tale resi stenza è fornito da ampie tratte delle mura dell'acropoli di Montecassino, reali zza te in terza maniera , sopravvissute sostanzialmente intatte ai pesantissimi e scriteriati bombardamenti aerei, e terrestri, alleati nel corso del II conflitto mondiale. In merito cfr. A. PANTONI, l'acropoli di Montecassino e il primo monastero di San Bendetto, Montecassino 1980, pp. 29-50 il Cfr. G. M. DE Rossi, La z io meridionale, Roma I 980, pp. 115-120. E anche cfr. G. SCHMIEDT, Atlante aereofotografico delle sedi umane in Italia , parte terza, Firenze I 964, alla scheda 'Norba'.

44 Cfr. A. MONDINI, Dalla preistoria all'anno Mille, in Storia della Tecnica, Torino 1973, pp. 334-337. Ed anche cfr, V. W. VON HAGEN, Le strade imperiali di Roma , Roma 1978 , pp.7-20.

45 Cfr. E. T. SALMON, Il Sannio e i Sanniti, Torino 1985, pp. 207 e sgg.

411 Cfr. J. B. WARD-PERKINS, Architettura romana, in Storia universale dell'architettura, diretla da P. L. Nervi, Venezia 1974, pp. 133-142. ln particolare, l'autore a p. 134, precisa che:"... a quell'epoca s i poteva dare per scontata la resistenza dell'impasto cementizio. Descrivendo la cupola [del Pantheon] come un monolito artificiale, Choisy cog li e l'esse nza di tutla questa architettura ".

" Più in dettaglio la 'cupola' del mausoleo di Teodorico a Ravenna , fu ricavata da un unico blocco di circa m 11 di lato, per conseguire un diametro di m 10, 76. li peso raggiunge le 230 t., e, probabilmente, le dodici anse a squadro che ne ornano l'estrados so servivano per agevolorne la manovra .

8 Cfr. P. MURRAY, Architettura del Rinascimento, in Storia universale , cit., pp.202-222. Ed anche L. BENEVOLO, Storia dell'architettura del Rinascimento, Bari 1973, pp. 346-360.

49 Da G. LUGLI, La tecnica , cit., pp. 83-84.

50 Da G. LUGLI , La tecnica ... , cit., p. 86.

5 1 La citaz io ne è tratta da L. SANTORO, Fortifica zioni , cit., p. 11 5.

53 Cfr. J. RIPOSTELLI, H. MARU CC I, La Via Appia, à l 'époque romaine et de nos jour;histoire et description, Roma 1908.

54 G. M. DE Rossi, Lazio cit., p. 120, tuttavia suppone che la struttura in questione sia: " identificabile con una torre, più di segnalazione, vista la s ua posizione affacciata sull'entrote1Ta di Norba e in direzione di Cori e Segni, che di difesa vera e prop1ia. É cos truita in opera poligonale con blocchi di notevole grandezza. Lo spessore delle pareti è alla base di circa 4 m: l'interno era accessibi le so lo dalla patte della città, mediante una porticina larga m 1, 50." É difficile però credere che per un compito del genere perfettamente assolvibile dalle contigue mura, di pari a lt ezza od appena più basse, si rendesse necessaria una costruzione così complessa e massiccia.

55 Cfr. F. BOl1AN l, M. CATALDI, M. PASQ UINUCCI, le città etrusche, Verona 1973, pp. 110-115. E anche cfr. G. SCHMIEDT, Atlante aereofotografi co , cit., alla scheda 'Roseli e·.

1<> Cfr. G. SCHMIEDT, Ai/ante aereclotografico ... , cit., alla scheda 'Cosa'.

11 Così in merito in 'Vitruvio e Raffaello·, il 'De Archirertura ·di Vitruvìo nella tradu z ione in edita dì Fabio Calvo Ravennate , a cura di V. FONTANA, P. MORACHIELLO, Roma 1975, pp. 89-90.

<g Cfr. S. MOSCATI, Italia archeologica, Novara 1980, p. 265.

" Cfr. G. M. DE Rossi, La zio , cit. , pp. 87- 105 f'I Cfr. V. L. GROTIARELLI, Etnologica , cit., voi. Il, pp. 170- 173.

''° Cfr. G. SCHMIEDT, Atlante a ereo.fotografico , cit. all a scheda 'Anxur-Tcrracina'.

61 Cfr. G. StLVESTRELLI, Ciltà castelli e terre della regione romana, II edizio ne, Roma 1970, pp. 36-42.

62 Sulla vicenda del 'Pesco Montano' cfr. F. Russo, La difesa costiera dello Stato Pontificio dal XVI al X IX secolo. Roma 1999, pp. 209 -215.

6 J Per un 'idea sulla quantità di fortificazioni sann it e cfr. S. P. 0AKLEY. The hill-forts , cit., pp. 18- 12 1.

64 É singo lare che un a interpretezione del genere a carico del Massiccio del Matese sia stat a form ul ata per la prima vol ta dal sacerdote G. V. CIARLANTI, Memorie Historiche del Sannio, Isern ia 1644, p. 25, molto tempo prima, quindi. della teorizzazione delle regioni militari propriamente dette, con le seg uenti motivazioni: " E' da notare che negli ant ichi tempi furono intorno à questo Monte quattro p rinci pal i Città fondate in quattro parti poco men. che in ugual distanza, e grandezza rendessero più forte detto Monte, e gli habitatori di q uello, e forse essere potrebbero, che dalli primi habitatori di queste parti per tale effetto fossero state edificate ".

6 Cfr. A.M. LIBERATI, F. SILVERIO, Legio. Storia dei soldati di Roma, Roma 1992, pp. 11-17.

"" Da G. CONTA H ALLER, Ricerche s u alcuni , cit., p. 79.

67 Da G. CONTA H ALLER, Ricerche su alcuni... , cit., p. 80.

"" Cfr. F. Russo, Dai Sanniti cit. , pp. 35 -43. A. LA REGINA, La lancia e il toro, in La cultura della transumanza, a cura di E. NARCISO, Napoli 1991, p. 60, ric orda, a proposito del giave ll otto sanni ta, la samnia , che i:" Sanniti hanno il loro eroe eponimo in Sabus, che ha dato il nome al popolo dei Sabini Alle loro più remote orig ini si risa le dunque attraverso la leggenda sab ina [Del resto alle l comu ni o ri gi ni riconducono poi i due simbo li che accompagna no i Sanniti nel corso della loro storia, fino al s uo ep il ogo:il toro della p1imavera sacra sabina, che consente l'interpretazione miti ca della fondazione di B ovian um. e l'asta sabina, che istituisce i legami ideali con il mondo greco attraverso il saunion, e co n il mondo romano attraverso Quirino: Curis in sabino è la lancia, donde Romo lo è detto Quirino perchè la portava ".

7° Cfr. Y. GARLAN. Guerra e società nel mondo antico, Imola. 1985, p. J52.

7 1 Cfr. R. PRESTO N. S. F. WJSE, Storia sociale della guerra . Verona 1973, p. 47.

71 A. CHIAPPINI. Terravecchia, in Sepino archeologia e continuità, Campobasso 1979, p. 7.

'' Da T. Lrv10 , Storia di Roma, lib. X, 45.

Capitolo Quarto

Le Fortificazioni Italiote

Le causali della colonizzazione greca

Nel precedente capitolo è apparsa evidente la notevole sproporzione fra l'ampiezza territoriale su cui proliferarono gli insediamenti italici, praticamente l'intera dorsale appenninica con le relative pendici, e l'inconsistenza demografica delle s ingole stirpi. Come pure la loro comune genesi che soltanto: " ... nel corso del VI e V secolo, tra i diversi nuclei tribali si traduce in forme di identità etnica. Nel secolo successivo le singole popolazioni sabelliche hanno già assunto il nomen che manterranno poi definitivamente per tutta l'antichità. "(l) Fu certamente la più vistosa conseguenza dell 'eco nomia pastorale, che trova una puntuale eco storica nelle famose 'primavere sacre', allorquando una intera generazione, di una precisa tribù, sciamava verso una nuova regione. Stando a Strabone(2>, sostanziai mente concorde con tutte le altre fonti, ali' origine del rituale vi fu una tragica carestia nel corso della quale i Sabini consacrarono a Marte i nati del periodo. Nella circostanza si stabilì pure che gli stessi, appena raggiunta l 'età adulta, avrebbero dovuto emigrare, seguendo un toro, stabilendosi laddove l'animale s i fosse fermato. Innegabile pertanto che: " il ver sacrum sabino è un rito di fondazione di un nuovo popolo, di una nuova colonia, di una nuova città. Mentre la migrazione ne è l'esito naturale, è la consacrazione, il suo atto costitutivo, in conseguenza di un voto formulato nei confronti delle di vità con finalità propiziatorie ... " m .

Così si originarono i Sanniti , e sempre nella medesima maniera, con altre primavere sacre, le loro tante tribù. Di tali remotissime vicende sopravvivono nel1' attuale toponomastica italiana inconfondibili riscon- tri: il gruppo che adottò un lupo - hirpus - per guida si radicò nella regione che da allora sarà l'Irpinia, quello che seguì un picchio-picus-nel Picentino, ecc. É sintomatico che lo stesso nome Italia derivi da Viteliù, indubbia reminiscenza di un'ancor più remota ver sacrum, al seguito di un vitello.

La procedura, che da un determinato momento s i ist ituzionalizzò in un dettagliato rituale politico-religioso con cadenze più o meno regolar i, conferma implicitamente l 'inc remento di popolazione derivato dal maggior benessere prodotto dall'economia agro-pastorale e, sopra ttutto , l'insufficienza del territorio a sostenere insediamenti appena più consistenti. Alle spa lle pertanto delle primavere sacre la necessità, inderogabile, di mantere la densità demografica sempre allo stesso livello e se mpre di scarsa rilevanza(41 • Al riguardo anche la più evoluta civiltà ellenica non differì sostanzialmente dall'italica, tranne che per un anticipo attuativo di alcuni secoli. Tra le cause della penuria di risorse, innanzitutto, la connotazione geomorfologica della Grecia. Infatti: " ... una terra così povera è un incentivo al saccheggio e alla pirateria, alla colonizzazione e alla guerra Le scorrerie di frontiera alla conquista di pecore e capre, degeneranti a volte in vera e propria guerriglia estiva, erano, in questi primi sec oli, incidenti comuni quanto la razzia di una nave di pirati o la più legittima conquista della ricchezza coi pacifici metodi del commercio ... L'uomo doveva mangiare per vivere. Se i raccolti non bastavano, era costretto a rubare, combattere o emigrare ... I primi coloni, tra nomadi e agricoltori, abitavano in villaggi sparsi, ma , gradatamente, la comodità e il bisogno di difesa li costrinse a raggrupparsi.

Si costruirono città ... e con le città, sorse e si svi- luppò una coscienza politica così forte e intensa che il mondo non potè dimenticarla. La città-stato della Grecia doveva molto a favorevoli circostanze climatiche e geografiche . Po sta in un cerchio di colline, poteva vivere appartata dai vicini, creare le proprie istituzioni e acquistare caratteristiche così decise che, nonostante i comuni legami di lingua e di religione, uno spartano, un ateniese e un tebano non potevano essere confusi tra loro." < 5' Ma nessuna di esse, spartana, ateniese o tebana che fosse potè evitare l'allontanamento periodico di tanti suoi membri!

Sebbene la colonizzazione, nella pienezza del significato demografico, si avviò soltanto a partire dall'VIII secolo a. C., non ebbe però, neppure agli inizi, una estrinsecazione equiparabile a quella della emigrazione, antica o moderna, propriamente detta, pur mantendendo una ragione di fondo assolutamente identica. Una colonia greca, infatti, costituiva una decisione dello stato stesso e non già di singoli cittadini disperati. Certamente lo stato che prendeva tal.e decisione lo faceva sotto lo st imolo primario di alleggerirsi dai gravami socia li , altrimenti insostenibili, ma non per questo abbandonava i coloni al loro destino, come invece sembra avvenire nelle migrazioni italiche. In pratica, la città madre organizzava la colonizzazione indicando non so lo dove dirigersi, attraverso una particolare sentenza dell'oracolo di Delfo, di tipo approvativa, ma riconosceva la pienezza di appartenenza dei membri in partenza ad una città derivata, con tutta la so lennità del caso. La componente religiosa anche in questo caso serviva a sancire meglio la sacralità della decisione e l a sua buona probabilità di successo essendo affidata e posta sotto la protezione di Apollo. É significativo che il nume tutelare dei co lonj greci fosse lo stesso delle primavere sacre storicamente meglio co no sc iute, come quella dei Mamertini, intorno al 288 a. C. , allorquando:

" ... essendosi diffuso per lutto il Sannio un grave morbo , Stennio Mettio, il capo di quella gente ... riferì di aver sognalo che Apollo, ordinava, se volevano essere liberati dal male di far voto di una primavera sacra "' 61 •

É probabile, pertanto, che: " ... il rnolo centrale di Apollo, divinità solare, abbia innanzitutto una motivazione nel fatto che le sped izioni marinare in oriente potevano trovare una allegorizzazione nel percorso del Sole Il più greco di tutti gli Dei va inteso infatti come «spirito della conoscenza contemplante» e dei misteriosi distacchi ... Apollo influiva direttamente sulle legislazioni che soprattutto in ambito coloniale, permettevano un accordo fra le classi ... La fondazione di ogni colonia va riferita non soltanto genericamente a una «nuova nascita» ma, più precisamente, al simbolismo della rigenerazione ... LÉ emblematico] che una causa (più s ign ificativa di quanto non sia frequente) di fondazione coloniale sia data proprio dalla partenza verso le nuove terre di persone cadute in disgrazia o addirittura di c riminali: per citare un esemp io, Archia, fondatore di Siracusa, era stato es ili ato dopo aver causato la morte del giov in etto di cui si era invaghito e il su icidio del padre " 0 >

In conclusione, come le comunità italiche anche quelle greche antiche insistevano su equilibri demografici delicatissimi quanto rigidissimi. Le città dell'Ellade, per l'accennato anticipo evolutivo, già con l'avvento del I mmennio a.C., a causa della crescente popolazione, iniziarono a tradire evidenti sintomi di carenze di risorse, innescando il fenomeno della colonizzazione. Ma se le primavere sacre guidate da mitici animali, o più verosimilmente dalle greggi, ostentarono un dipanarsi in ev itabilmente terrestre, le migrazioni dei Greci, per la naturale propensione verso il liquido elemento degli abitanti delle frastagliatissime coste dell'Egeo e dei suoi innumerevoli arcipelaghi, impeg narono le rotte mediterranee. Non a caso: " ... tutto in Grecia invi ta al mare: il poco nutrimento che s i può ricavare dalle colline arse dal sole e dalle brevi pianure orizzontali, l'abbondanza di piccoli porti ben riparati, le costellazioni di isole che sembrano quasi formare un sentiero tra la Grecia e l'Asia Minore. E i Greci si diedero alla vita del mare, attraversarono l'Egeo e fondarono colonie sulla sponda opposta, s'insinuarono lungo le bocche dell'Ellesponto, sfidando, quando fosse necessario, i popoli dell 'Asia anteriore ... " <81 •

Ovviamente la scelta dei siti da colonizzare rispondeva ad indicazioni preliminari di accorti esploratori e magari di mercanti che, pratici dei luoghi e delle genti, fornivano tutte le informazioni basilari indispensabili per il buon esito dell'impresa. Nè può escludersi che, spesso, in tali individuazioni si celassero prevalenti interessi strategici finalizzati al controllo di aree, sempre più vaste e sempre più lontane , per le loro acclarate potenzialità economiche, agricole e minerarie. Infatti: " gruppi di cittadini greci erano spediti in ogni parte del Mediterraneo e delle coste del Ponto.

Mileto, con la sua collana di colonie, sfruttava gli opimi campi di grano della Russia meridionale e le ricchezze dei commercianti di pellicce e dei cercatori d'oro dell'interno. Cirene era la chiave dell'Africa settentrionale, Marsiglia apri va la via ai mercanti della Gallia, un gruppo di prosperose colonie, quali Siracusa di Corinto, Gela di Rodi , Selino di Megara segnavano la via alla copiosa fertilità delle valli siciliane. Verso la metà del sesto secolo una collana di città greche circondava dall ' Ebro al Dnieper, le coste del Mediterraneo e del Ponto " < 9 >

Paradossalmente, quindi, la colonizzazione greca, in maniera ancora più stridente della migrazione italica, deve ascriversi all'esigenza di mantenere inalterati, e magari accrescere, i livelli di benessere lentamente attinti. Al riguardo, sono state ripetutamente: " ... fino dall'antichità, analizzate le cause della spinta alla colonizzazione, individuate in un concorso di circostanze economiche, sociali, politiche. A parte spiegazioni di tipo universalistico che vedono nella colonizzazione un effetto primario o secondario delle grandi migrazioni dei popoli, o viceversa un fenomeno naturale di ere- scita organica (principio degli «sciami»), la teoria più diffusa è quella relativa alla incapacità di autarchia economica da parte di poleis in cui la terra era in sufficiente e povera e in cui era addirittura una necessità vitale la ricerca di mercati lontani per la vendita di vino, olio e manufatti contro l'acquisto di cereali e materie prime. Tutt'altro che infrequenti erano poi motivazioni socio-politiche legate a contrasti interni e a lotte intestine, con le conseguenti crisi di rigetto di nuclei cittadini che avrebbero potuto minacciare la sussistenza delle poleis."' 10 )

Più in dettaglio: " ... la crescita demografica e lo sviluppo delle tecniche e del commercio verso l'Oriente avevano saturato le disponibilità di sussistenza e fatto aumentare i bisogni: così che le classi che non trovavano soddisfatte le proprie richieste, e che d'altro canto fornivano lavoro, prodotti e possibilità di commerci, si riversarono fuori dai luoghi originari. Alla ricerca di terra che li alimentasse, alla costruzione di una rete di rapporti commerciali che sostenesse le «fabbriche» della madrepatria, per fornire quest'ultime delle materie prime necessarie. Delle attività economiche che così si s tabilirono trassero però vantaggio precipuo le nuove città coloniali, più che le vecchie madripatrie. Ma che queste e le colonie costituissero punti di uno stesso sistema, con zone di int1uenza delimitate, nel quale doveva regnare l'equilibrio perchè fosse produttivo al massimo, è dimostrato dalJ'opera di mediazione raffinata ed accorta, esercitata dall'oracolo di Delfi. A questo si rivolgevano i coloni sul punto di partire: e venivano indirizzati con precisione in zone stabilite, a complemento di attività già iniziate, ma senza troppo pressanti concorrenze " c 11i

Nella citazione è ribadita l'ipotizzata pianificazione della colonizzazione, secondo preci se direttrici di espansione e di occupazione, a loro volta funzione di ben determinati interessi commerciali e strategici. La tesi, certamente suggestiva e per molti aspetti innegabile, è però almeno per la fase iniziale del fenomeno difficilmente dimostrabile, tanto più che gli stessi fautori ignoravano completamente l'effettiva rispondenza dei siti prescelti, non potendo in alcun modo prefigurarne la remuneratività nè, meno che mai, la longevità dell'iniziati va a fronte delle perfettamente risapute ostilità indigene e concorrenze straniere. Logico, pertanto, che: " uno dei più ardui problemi storiografici è l'esistenza o meno di un piano di colonizzazione. Certo gli insediamenti veri e propri dovettero essere preceduti da campagne esplorative, e anche le prime colonie in assoluto (Pitecusa, oggi Ischia, e Cuma, fondate tra il 775 e il 760) non sono da ritenere imprese individuali e incoerenti, ma frutto di una accurata preparazione ... llnfatti] sembra che la sequenza stessa delle colonie non rappresenti un capriccio nè un fatto casuale; se la prima colonia fondata in Magna Grecia è anche la più lontana, ciò significa che la metropoli (nel caso specifico, Calcide d'Eubea) doveva avere programmato ben chiaramente le fasi della s ua espansione economico-commerciale; in ogni caso i considerevoli rischi dovevano essere compensati da congrui profitti in una prospettiva non lunga.

Il primo episodio contiene in nuce molte caratteristiche della politica coloniale greca. L' insediamento su un'isola (Ischia) ab basta piccola da essere difesa e abbastanza ricca dal punto di vista agricolo, doveva servire come base per ispezionare il continente ed entrare in contatto con i barbari ... La fondazione di Cuma fa parte probabilmente di una strategia a più ampio respiro territoriale: la scelta stessa del luogo, su una altura ben difendibile ma senza attrezzature portuali, fa sospettare che i Pitecusini dovessero contare sulla conquista della regione circostante per garantirsi lo sbocco portuale di Capo Miseno. In effetti, Cuma si impadronirà di vasti territori prima della fondazione etrusca di Capua (600 circa)C1 2> , e insieme a Pitecusa costituirà la testa di ponte del commercio e della diffusione della civiltà greca in Campania, Lazio, Etruria. Il golfo partenopeo (Napoli stessa è una sub-colonia cumana) si chiamava allora golfo cumano. La tappa successiva della colonizzazione calcidese fu la fondazione di Zancle (il primo scalo ri sa le al 757 circa) e poi di Reggio sui due lati dello stretto di Messina, come basi logistiche per il controllo della più importante via di accesso alle colonie campane, nell'ambito di una «politica degli stretti» seguita dalle varie popolazioni greche nel Mediterraneo e nel Mar Nero." <13)

Pertanto mentre i nuovi insediamenti degli Italici continuarono ad abbarbicarsi alle penedici appenniniche le colonie dei Greci s'impiantarono sempre a strettissimo contatto con il mare, in prossimità di riparate insenature, altrettanti scali naturali, o con le foci dei fiumi, in prima approssimazione porti-canali. Emerge, a questo punto, una seconda significati va affinità tra il fenomeno della migrazione greca ed italica: la rilevante frammentazione etnica dei protagonisti pur nel)' ambito della derivazione da un comune ceppo originario. Come il rituale delle primavere sacre coinvolse ogni stirpe peninsulare , romana compresa, la colonizzazione che per semplicità continuiamo a definire 'greca ' riguardò, in effetti, tutte quelle dell'Ellade, all'epoca nettamente distinte tra loro. Non a caso la mitologia rivendicava per i Greci un unico antenato , Elleno, i cui suoi quattro figli Acheo, Doro, Eolo e Ione sarebbero divenuti i capostipiti di altrettanti popoli. Questi, a loro volta, si sarebbero insediati in diverse regioni della Grecia , innescando ulteriori suddivisioni e ripartizioni. É questa forse la spiegazione, o la giustificazione, del perchè la Grecia antica non divenne mai uno stato, cioè una entità politica dotata di un minimo di unità amministrativa e di compattezza territoriale , restando , invece, sempre un coacervo di città-stato, completamente indipendenti, spesso in conflitto fra loro, senza per questo però perdere la consapevolezza della propria consanguineità. In tale frammentazione insisteva, del resto, la sua forza e purtroppo anche la sua debolezza. La prima poichè l'assenza di un potere centralizzato consentiva una inusitata vivacità d'iniziative autonome, non a caso poste alla base dell'odierna civiltà. La seconda poichè, per lo stesso motivo, le discordie e le conflittualità fratricide finirono col renderla una facile preda e dell'effimera epopea macedone e della duratura conquista romana. Unici elementi coagulanti di quel burrascoso arcipelago etnico rimasero sempre la religione ed alcune ricoITenze , quali ad esempio i famosissimi giochi di Olimpia.

Democra zia e colonie

Sempre a causa dello straordinariamente propizio isolamento delle città greche, spesso molto relativo in termini chilometrici, i legami fra gli abitanti di ciascuna di esse conobbero intensità e coesioni, prive di equivalenze covee o successive. Ne derivò, oltre alla rimarcata vivacità di rapporti sociali, l' istaursi di un sistema dirigenziale, che poi sarà definito 'democrazia', certamente non confrontabile con l'omonima attuale , ma di sicuro più vicino ad essa di qualsia s i altra soluzione. Cronologicamente fu l'ultimo stadio della pur rapida evoluzione politica, passata dalla monarchia all'aristocrazia, poi alla plutocrazia e quindi alla tirannide, per concludersi appunto con la democrazia. La sua caratteristica precipua fu il prevalere della maggioranza nelle decisioni significative, principio che da allora divenne, sebbene lentissimamente , patrimonio universale.

Disgraziatamente tanta libertà comportò pure un esasperarsi del l'indipendentismo e dell'autonomismo, fattori disgreganti che entreranno inalterati, se non ulteriormente accentuati, nel patrimonio genetico delle colonie. Nessuna meraviglia, quindi, che, pur nella precariatà dei nuovi ambiti geografici, prevalessero fra le stesse le tradizionali astiosità e rivalità, acuite per giunta dalla rilevanza degli interessi commerciali inevitabilmente concomitanti e concorrenti. E non di rado la contrappos1Z1one si estese persino alle rispettive madrepatrie, senza esclusione di colpi. La conflittualità fratricida per le colonie, pertanto, non si riguardò come un evento sporadico, ed il suo sommarsi alle preventivate resistenze indigene spiega la preferenza accordata, nella fase iniziale di insediamento, alle ubicazioni naturalmente arroccate. Stando a Tucidide, infatti: " ... la colonia ha un fondatore, l 'eciste, designato per tale compito; talvolta può averne contemporaneamente due ... La presa di possesso urbano del suolo avviene con la fondazione dell'acropoli o, eccezionalmente, con la fondazione di un semplice isolato di abitazioni in terreno pianeggiante ... "• 14 ) Una significativa eccezione, tuttavia, può cogliersi nelle fondazioni più spiccatamente strategiche, che non: " sono unite alla madrepatria so lo da un legame morale, [eJ non da una concreta dipendenza politica, così che sfuggono alla s ua autorità effettiva. Le colonie ateniesi, denominate «cleurchie», sono ... risultato di una politica di espans ione imperialista per cui le città coloniali, che servono di sbocco ad una popolazione in esuberanza, conservano con la madrepatria un preciso legame di indipendenza. Le più antiche risalgono alla fine del VI secolo. Questo tipo di città colonia trae il carattere dalla sua origine: non si tratta ... di empori disseminati da un popolo di commercianti, ma... di fondazioni dello stato ateniese, rappresentato dal consiglio dei cinquecento e dall'assemblea popolare. Ogni cosa viene perciò prestabilita: il numero dei coloni, la suddi visione del terreno in base alla di visione dei geometri, la distribuzione dei lotti ... Nella riparti zio ne delle terre una parte viene assegnata agli dèi invocati dallo stato all'inizio della fondazione. L 'eciste in sostanza adempie ad una missione ufficiale; i coloni non cessano di essere cittadini ateniesi pur amministrandosi da sé secondo il modello di Atene. Esteriormente la cleurchia si presenta con la fisionomia di una città greca, ma il suo carattere l'avvicina strettamente alla colonia romana

Nonostante le molteplici peculiarità distintive delle innumerevoli colonie greche, sotto il profilo della fortificazione non si osserva alcuna significativa diversificazione fra quelle contemporanee. Le relative strutture, per lo più cerchie urbiche, appaiono, infatti, sostanzialmente omogenee e simili, tutte conformi ad una medesima matrice culturale, fenomeno, peraltro, già riscontrato in quelle italiche, indipendentemente dalla stirpe o etnia di appartenenza. In quanto erette in Italia ed in particolare nel suo meridione e nella Sicilia, per la storia la Magna Grecia, vennero definite correntemente 'italiote', denominazione che designava, senza ulteriori specificazioni, qualsiasi colonia greca: approssimazione perfettamente compatibile con la finalità della ricerca. Le vistose differenze, invece, che affiorano fra le stesse, anche ad una superficiale ricognizione, devono ascriversi alla loro divaricazione cronologica, giocando l'evoluzione tecnologica militare un ruolo . estremamente importante in tale vitale settore. Possibile perciò che mderi di colonie coeve ostentino, fortificazioni inspiegabilmente incomparabili: l'enigma, però, trae origine esclusivamente dalla mancata riqualificazione delle più arcaiche. Infatti, proptio per la rilevanza assegnata alla difesa, ogni città si faceva sistematicamente carico dell'aggiornamento del Ia propria cerchia, astenendosene soltanto per riconsciuta insignificanza ubicativa o per insormontabili carenze economiche, peraltro rispettivamente causa ed effetto di una infelice fondazione.

Sempre sotto il profilo cronologico, pur non essendo in Italia la colonizzazione greca, come a suo tempo precisato, la prima in assoluto riscontrandosene una appena più antica d'iniziativa fenicia, e quindi cartaginese, ebbe però modalità attuative e istituzionali talmente originali e radicate da divenire quella per antonomasia. Del resto gli stanziamenti fenici non pervennero mai a connotazioni urbanistiche lontanamente equiparabili a quelle delle colonie greche. Emblematico al riguardo il caso della Sicilia dove, sebbene la presenza dei Fenici si collochi fra il XII e l'VIIl secolo fu soltanto l'avvento della colonizzazione greca che: " dovette intensificare, se non proprio determinare, l'evolversi di alcuni scali commerciali in insediamenti stabili: il che trova conferma in quell'evidenza archeologica che manca ai primi stanziamenti, probabilmente «scali marittimi lungo la grande traversata, agenzie commerciali, ufficio di corrispondenza per acquisto e collocamento di merci» ... " <16> E forse da tale precarietà dipese la rapida evacuazione fenicia dell'isola, così rievocata da Tucidide:

" i Fenici abitavano qua e là per tutta la Sicilia dopo aver occupato i promontori s ul mare e le isolette adiacenti per favorire i loro commerci con i Siculi. Quando poi i Greci arrivarono dal mare in gran numero lasciata la maggior parte del territorio, si concentrarono a Mozia, Solunto e Palermo. presso gli Elimi, fiduciosi della loro alleanza e del fatto che quel punto della Sicilia distava pochi ssimo da Cartagine. "" 11

Sensato supporre che il ritiro dei Fenici non sia avvenuto a seguito di trattative meramente politiche, ma, più verosimilmente, in conseguenza dell'offensiva militare intrapresa dai sopraggiunti colonizzatori. Il dato costituirebbe una palese conferma della non pacifica acquisizione del territorio, ed implicitamente della capacità di resistenza dei nuovi arrivati, presumendosi inevitabili i contrattacchi nemici. Nuclei coloniali, quindi, sin dall'inizio perfetta sintesi di razionalità residenziale e difensiva, connotazioni precipue di quella che sarà la città moderna. Significativo, ciel resto, che proprio ai coloni greci viene fatta risalire la comparsa della città in Italia, concezione che finì, lentamente, per essere adottata dai Punici e, persino, dagli Italici che ne erano tradizionalmente avulsi, e: " ... ciò perchè gli abitanti delle «vere» città, gli Italioti, furono messi a dura prova, e spesso sconfitti, dagli Italici ... [che però] a loro volta, subirono progressivamente un processo di acqui-

N I ITALIOTE

sizione e di adattamento culturale, al quale si fa risalire anche la formazione delle «città» italiche ... " c 181 .

Dal canto loro pure i coloni acquisirono ulteriori e più avanzate concezioni urbanistiche, ma solo nel ristrettissimo ambito della fortificazione perimetrale, superando rapidamente l e originarie impostazioni. Per meglio vagliare quel considerevole salto di qualità, che influenzerà e cond i zionerà tutta la successiva produzione architettonica militare per quasi un millennio, è indi spensabile approfondirne i precedenti.

sentava il suo maggior vanto: gli Ateniesi dovranno rinunciare a fregiarsene già dalle Guerre del Peloponneso(201 , intorno al 460 a.e., mentre i loro tradizionali rivali , gli Spartani, a giusta ragione invece, lo conserveranno per un altro secolo, fino al 370-369 e forse persino oltre: di certo dopo la battaglia di Megalopoli nel 331 < 21 > persino il poeta comico Antifane lo ritiene, ormai, immeritato.

La fortificazione greca arcaica

Per quanto possa sembrare paradossale, nella fase più arcaica della fortificazione perimetrale greca, la frustrazione degli assalti nemici non ne costituiva la primaria finalità. La ragione dell'anomalia deve individuarsi in una seconda singolarità, ovvero che l 'espugnazione delle città non rappresentava, a sua volta, l' obiettivo delle operazioni militari, nè la dimostrazione per antonomasia del successo bellico.

Per la visione politica imperniata sulla costante riaffermazione dell'indipendenza la semp li ce violaz ione della sovranità territoriale, peraltro raramente eccedente il giro d'orizzonte, già equivaleva per i soccombenti alla più umiliante sconfitta e per i vincitori alla più indiscutibile vittoria. Nel che potrebbe, forse, ravvisarsi un estremo re siduo culturale della società pastorale che individuava nell'incontrastato utilizzo dei pascoli il massimo riscontro della superiorità di una particolare tribù.

Tale originalissima ed atipica concezione polemologica dovette protrarsi per molti secoli, poichè, per l'ampio conforto delle fonti, di sicuro ancora:" ... intorno alla metà del V secolo, a.C., la sca la dei valori militari greci sembra aver avuto quale fondamento strategico essenziale l'attacco e la difesa del territorio " ('91 Comprensibile, pertanto, che per qualsiasi città il non aver mai dovuto subire devastazioni limitrofe rappre-

Quanto delineato trova una puntuale conferma nelle pagine degli autori classici stando ai quali, nella stragrande maggioranza dei conflitti fra città greche, ad operazioni concluse, i vincitori sono descritti perfettamente appagati dal puro controllo del territorio nemico, per giunta raramente a lungo irreversibile. Sporadici i riferimenti ad espugnazioni, esiti, comunque, improbi ed eccessivamente lunghi da conseguire. Da un punto di vista etico tale indiscutibile inibizione potrebbe imputarsi ad una mai disconosciuta consaguineità etnica con i momentanei contendenti , già preziosi alleati contro le minacce dei barbari. Per lo stesso motivo sarebbe stato controproducente esasperare i successi, risapendosi anche per il futuro imprescindibili quelle alleanze, permanendo immutate le mire stran iere. Costringere una città alla resa per fame e per sete, accomunando alle sofferenze dei combattenti tutti i ci vili inermi, non solo ripu gnava mora lmente ma soprattutto politicamente in quanto potenzialmente foriera di sciagurate iniziative. In conclusione lo scontro tra c i ttà greche rico rd a molto un duell o fra maschi di una s tessa specie, determinati esclusivamente a ribadire il proprio presunto ruolo dominante, senza perciò mai spingers i alla soppressione dell'avversario, mettendo a repentaglio in tal caso la sopravvivenza dell'intero gruppo. Pertanto i conflitti endoetn ici in Grecia, almeno tra il V ed il III sec. a.C., si esaurivano, abitualmente, in urti campa li , spesso estremamente violenti e sanguinosi, prodromici alla devastazione del territorio degli sconfitti, ma quasi mai della loro città. Nella circostanza: " le derrate agri- cole finivano sia distrutte sul posto, sia razziate ed allontanate dagli invasori contestualmente alle truppe, agli schiavi ed ai cittadini che cadevano nelle loro mani. Le masserie erano incendiate, o almeno minuziosamente saccheggiate; il nemico a volte le privava persino dei loro migliori travi, dopo aver asportato tutti gli oggetti di ferro o di bronzo che in esse vi trovava ... La sorte riservata agli alberi da frutta è più difficile da precisare per ciò che riguarda l'Attica nel corso della prima parte della Guerra del Peloponneso siffatte devastazioni sono segnalate esplicitamente soltanto da Diodoro e da Aristofane ... " <22> .

Circa la convenienza strategica della suddetta procedura è presumibile che, per la stringente penuria derivante dalle distruzioni, l ' intera popolazione sconfitta finisse costretta, per periodi più o meno lunghi, a dedicarsi spasmodicamente alla rimessa a cultura dei campi. Dagli stessi, infatti, doveva pur sempre continuare a trarre la maggior parte degli alimenti, accantonando nel frattempo qualsiasi velleità od ambizione militare: risultato di per sè già pienamente remunerativo per i vincitori nell'ottica greca. Scendendo ulteriormente in dettaglio , dal punto di vista operativo, la devastazione del territorio nemico deve considerarsi al contempo causa ed effetto dello scontro risolutore, a secondo che si perpetrasse prima o dopo dell'urto. Causa poichè le scorrerie e le razzie tendevano a provocare l'uscita degli assediati dalle loro mura ed a battersi all'aperto. Effetto poichè le peggiori distruzioni si verificavano proprio dopo la disfatta campale, quando nessuno più poteva opporvisi in armi. La prima evenienza sembrerebbe di gran lunga la meno frequente. Infatti, quando i cittadini apprendevano, più esattamente scorgevano, la penetrazione nei propri confini di un aggressore si precipitavano in massa fuori dalla città per affrontarlo. L'atteggiamento di passiva attesa dall'alto degli spalti, in simili circostanze e per quel1' epoca, va considerato eccezionale ed aberrante. Se però, per qualsiasi ragione, si fosse verificato l' attac- cante ricorreva ad una seconda e più grave provocazione, con s istente nell'erigere a ridos s o della città s tessa, perfettamente in vista, un'opera fortificata , insediandovi all'interno una nutrita guarnigione.

L'impianto di un caposaldo a brevissima distanza da una città assediata rappresentava, nella poliorcetica greca, una efficace procedura per fiaccare la resistenza degli assediati, senza investirli direttamente.

L'espediente, che a prima vista sembrerebbe platealmente inconcludente, si dimostrava, invece, una minaccia particolarmente temuta e sconvolgente per vari motivi. Tatticamente, infatti, forniva agli attaccanti una base fissa da cui lanciare le scorrerie in assoluta sicurezza , potendovisi rapidamente rifugiare nel caso , abbastanza frequente, di sortita o di improvviso contrattacco in massa degli assediati. Tale fortificazione ricorda perciò l'accampamento Jegionaiio, del quale: " i critici moderni hanno spesso osservato che la sicurezza garantita ... non era commensurabile all'enonne s forzo nece ssario per costruirlo dopo un giorno di marcia ... Comunque , erano soprattutto le funzioni non tatti che, che rendevano l'accampamento mobile dei Romani molto più di un semplice recinto difensivo ... Con il fossato, il terrapieno e la palizzata che tenevano lontani gli sporadici indigeni e le bestie feroci, i soldati potevano [soggiornarvi] in un ' atmosfera rilassata. Questo senso di sicurezza avrebbe permesso di dormire sonni tranquilli e di essere quindi pronti per la marcia o la battaglia il giorno seguente [Non a caso infatti] il tipico scopo delle operazioni notturne è quello di impedire il sonno al nemico; pur con minimi danni, il rumore degli attacchi di sorpresa poteva provocare, notte dopo notte , un progressivo deterioramento delle condizioni fisiche e mentali delle truppe che li avevano subiti Si è talvolta affermato che l ' accampamento mobile costituiva un elemento di garanzia dal punto di vista tattico, poichè se le truppe romane venivano sconfitte sul campo di battaglia, potevano sempre rifugiarsi nell'accampamento Questo poteva accadere, però , solo se le trup-

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