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Andrea Panaccione

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Luciano Pellicani

Luciano Pellicani

Andrea Panaccione

Sotto gli occhi dell’Occidente

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Il centenario del 1917 può essere motivo di imbarazzo nella Russia attuale, e in particolare negli ambienti che la governano, per un duplice ordine di considerazioni. Prima di tutto perché ha costituito una grande e permanente lacerazione nella società di quello che era allora l’impero russo, in contrasto con i valori di unità e concordia nazionale sui quali soprattutto insiste l’attuale direzione politica del paese: il centenario potrebbe addirittura riproporre alcune preoccupanti considerazioni sulla storia russa e sul carattere nazionale russo, che l’attuale Presidente aveva espresso nella campagna elettorale per la sua ultima rielezione a proposito della «aspirazione […] alla lacerazione, alla rivoluzione, invece che a uno sviluppo coerente»1. Ma un secondo elemento, almeno inattuale nella congiuntura dei rapporti tra Russia ed Europa degli ultimi anni, è la forte appartenenza di tutto il processo rivoluzionario russo del 1917 alla storia europea, la conferma di una vocazione europea della Russia anche nei suoi momenti più traumatici e decisivi.

La rottura di un ordine sociale e politico legata alla congiuntura della prima guerra mondiale, in un grande paese che era tra i protagonisti di quella guerra, ha fatto di ciò che è accaduto in Russia – per citare uno storico oggi non di moda – qualcosa che «ha avuto, in tutto il mondo moderno, ripercussioni più profonde e durevoli di qualsiasi altro avvenimento dei tempi moderni»2 ed è inevitabilmente qualcosa che rende il modo in cui tale avvenimento viene oggi ricordato in Russia solo un elemento, sia pure molto importante, del suo significato storico. È a questa dimensione internazionale, e in particolare europea, che intendo dedicare il mio intervento.

La guerra

Il rapporto tra la rivoluzione e la guerra è la prima conferma di quanto l’avvio del processo rivoluzionario russo che ha preso il nome di Febbraio, stesse dentro la storia dell’Eu-

1 Vladimir Putin, Rossija sosredotačivaetsja – vyzovy na kotorye my dolžny otvetit’ [La Russia si concentra – le sfide alle quali dobbiamo rispondere], “Izvestija”, 16 gennaio 2012. Anche nella conferenza stampa di fine 2016, Putin ha auspicato, con riferimento al 1917, una memoria tesa alla «riconciliazione» (primirenie) e al «riavvicinamento» (sbliženie), non alla «rottura» (razryv) e alla «alimentazione delle passioni» (nagnetanie strastej). Ma non è facile. 2 Edward H. Carr, La rivoluzione russa. Da Lenin a Stalin (1917-1929), Einaudi, Torino 1979, p. 218.

ropa. All’inizio delle sue conferenze di Oxford del 1929, poi raccolte con altri saggi in L’ére des tyrannies, Élie Halévy indicava il senso di quello che subito dopo definiva l’«intrigo» tra «le forze che, all’inizio del secolo, agivano a favore della rivoluzione» e «le forze che operavano a favore della guerra»: «Tenterò di definire le forze collettive, i sentimenti diffusi e i movimenti d’opinione pubblica che, all’inizio del XX secolo, tendevano al conflitto. Dico volutamente ‘conflitto’ e non guerra, perché la crisi mondiale del 1914-18 non fu solamente una guerra – la guerra del 1914 – ma una rivoluzione – la rivoluzione del 1917»3 .

La rivoluzione russa è dal Febbraio, per Halévy, il momento di svolta della guerra4 , che porta alla ribalta le forze favorite dal nuovo rapporto tra i movimenti socialisti e gli Stati prodotto dal conflitto, movimenti che non riescono a imporre a livello generale la volontà di mettere fine al massacro, ma provocano mobilitazioni di massa e svolte politiche in tutte le società coinvolte nella guerra e ne trasformano, con l’intervento americano e lo wilsonismo, gli stessi caratteri ed esiti: il 1917 russo è insomma un grande evento internazionale destinato a cambiare non solo la Russia, ma il quadro europeo nel suo insieme. Nella sua prospettiva, segnata dal rapporto guerra-rivoluzione, Halévy afferma una continuità tra il Febbraio e l’Ottobre. L’affermarsi del potere bolscevico è per lui una continuazione dell’opera delle forze sociali e nazionali che si confrontano nel conflitto mondiale, che prolungano la guerra stessa oltre i primi trattati di pace e scuotono gli equilibri delle società europee:

La guerra non si concluse con la firma di tali trattati. Essa si prolungò in Russia come guerra civile fra il comunismo e gli avversari russi del comunismo o, potete definirla come più vi piace, come guerra nazionale mediante la quale la Russia sostenne la sua indipendenza contro l’intervento straniero dell’Inghilterra e della Francia. Ma una volta liberata da questo pericolo interno, la Russia tentò di trasformare la guerra difensiva in guerra offensiva di propaganda comunista, indirizzata contro la Polonia e la Germania. Questa nuova guerra scoppiò sotto i bastioni di Varsavia5 .

3 Élie Halévy, Un’interpretazione della crisi mondiale del 1914-1918, ne L’era delle tirannie, Introduzione di Gaetano Quagliarello, Ideazione, Roma 1998, pp. 246 e 248. Nella terza e conclusiva conferenza, Guerra e rivoluzione, Halévy torna sulla distinzione e sul gioco di «queste due specie di forze»: «Le une indirizzavano classe contro classe all’interno di ciascun paese, o più precisamente, dividevano ciascun paese in due, in tutta l’Europa, senza tenere conto delle nazionalità. Le altre erano esclusivamente nazionali, univano tutte le classi all’interno di ogni paese contro le classi, ugualmente unite, all’interno di ciascuno degli altri paesi. Di queste due forze, quale avrebbe prevalso? Parve, sulla base di ciò che accadde nel 1914, che le emozioni nazionali e guerriere incidessero più profondamente sullo spirito umano che le emozioni internazionali e rivoluzionarie. Ma queste ultime, per il momento latenti, non erano annientate; non tardarono a risorgere, e con un’intensità accresciuta dalle sofferenze della guerra. Le une e le altre forze giocarono così, nell’evoluzione della crisi, un ruolo di eguale importanza» (ibid., pp. 264-265). Il rapporto guerra-rivoluzione, affermato con forza da Halévy sul piano storiografico, è stato ripreso in un tentativo di definirne il quadro concettuale da Arno Mayer, Internal Causes and Purposes of War in Europe, 1870-1956: A Research Assignment, “Journal of Modern History”, Vol. 41, n. 3, September 1969, pp. 291-303. 4 «Dividerò la storia della guerra in due parti, prima e dopo la rivoluzione russa del 1917»: Élie Halévy, Un’interpretazione della crisi mondiale… cit., p. 265. 5 Ibid., p. 272.

Il legame tra il Febbraio e l’Ottobre è quindi all’interno di una continuità più lunga, che comprende gli anni che in Europa vengono chiamati del dopoguerra e che in Russia sono quelli della guerra civile. Credo che molte acquisizioni storiografiche, soprattutto degli anni che hanno accompagnato e seguito la fine dell’URSS, con le novità che hanno comportato per gli strumenti e le prospettive della ricerca, permettano di ampliare e approfondire la prospettiva tracciata da Halévy, ma ne rappresentino prima di tutto una conferma.

Se l’appartenenza della Russia alla storia sociale e culturale europea – a quella politica è anche troppo scontata – non aveva bisogno di essere rivelata dalla prima guerra mondiale – vanno almeno ricordati il posto della letteratura russa nella cultura europea dalla seconda metà dell’Ottocento e l’impatto sui movimenti democratici e socialisti della rivoluzione del 1905 – l’apertura della società russa alle influenze europee trova nella guerra la fase culminante di una grande stagione culturale, al di là dell’appartenenza all’Europa del movimento rivoluzionario russo6 e del crescente interesse in Russia, tra ’800 e ’900, per le teorie economiche e i modelli di società civile europei. La recente storiografia sulla Russia e la prima guerra mondiale – dopo un lungo periodo in cui proprio in Russia la Grande Guerra sembrava essere stata dimenticata7 – ha messo in luce il forte impatto del conflitto su un paese che era già un fattore decisivo degli equilibri europei negli anni precedenti, ma che, dopo lo scoppio della guerra, si sentirà più direttamente coinvolto nei rapporti tra gli Stati e le società europee, nei destini delle nazioni e del continente nel suo insieme, e ne riceverà una forte spinta prima di tutto sul piano del confronto tra le culture e tra le diverse proposte politiche: dalla sintesi nazionale-imperiale della “Grande Russia” (Velikaja Rossija), affermata dal liberalismo russo da Struve a Miljukov8, alle contrastanti reazioni alla guerra del movimento socialista, ma anche alle profezie catastrofiche sulla guerra come minaccia di rovesciamento dell’ordine sociale russo nel famoso memorandum del reazionario e germanofilo ex Ministro dell’Interno Pyotr Nikolayevich Durnovo9 . La guerra è inoltre un forte impulso per il pensiero filosofico russo – da Berdjaev a Il’in, Trubeckoj, ecc. – e un grande fattore di mobilitazione culturale, sul piano delle avanguardie artistiche, che trovano un loro pubblico e svolgono un loro ruolo nella mobilitazione

6 L’appartenenza della Russia all’Europa prima di tutto attraverso il suo movimento rivoluzionario è affermata da Franco Venturi nella sua grande opera sul populismo russo, dal titolo Il populismo russo, Einaudi, Torino 1972 (1952). 7 Alexandre Sumpf, La Grande Guerre oubliée. Russie 1914-1918, Perrin, Paris 2014. 8 L’articolo di Struve Velikaja Rossija i Svjataja Rossija [La Grande Russia e la Santa Russia], apparso sul n. 12 della sua rivista “Russkaja Mysl’”, nel 1914, è la piena espressione teorica di tale progetto politico e degli scopi di guerra che esso implica: l’espansione imperiale russa (Velikaja Rossija) deve fondarsi su un principio nazionale che esalti la tradizione e la vocazione slava e ortodossa – Svjataja Rossija: un fondamento nazionale russo e neo-slavo all’impero – ma sia in grado anche di superare la separazione tra il popolo e lo Stato russo, di produrre la trasformazione del popolo in nazione. Tra i diversi contributi di Giovanna Cigliano su questi temi è da vedere in particolare La “Grande Russia” tra nazionalismo e neoslavismo: l’imperialismo liberale come risposta alla crisi patriottica, “Studi Storici”, n. 3 2012, pp. 511-557. 9 Presentato a Nicola II nel febbraio 1914, è stato pubblicato come Zapiska – appunto, memorandum – dalla rivista “Krasnaja Nov’”, n. 6/10, novembre-dicembre 1922, pp. 182-199, e in inglese da Frank A. Golder, Documents of Russian History 1914-1917, Century Company, New York-London 1927, pp. 3-23.

patriottica10, come su quello della cultura popolare e di massa, che diffonde le immagini del nemico e per contrasto la rappresentazione dei propri caratteri nazionali attraverso il recupero e la modernizzazione di veicoli della cultura popolare come il lubok11. Essa conferma l’appartenenza dell’“età d’argento” russa ai grandi movimenti culturali e d’avanguardia europei: la stessa diffusione d’un asiatismo filosofico e letterario – da Vladimir Solov’ev a Blok, Belyj, Ivanov-Razumnik – nel quale è stato visto un precedente dell’eurasismo, può essere considerata un pendant russo di un motivo molto diffuso nella cultura e nel simbolismo europei.

La guerra introduce e lascerà nella coscienza collettiva dei russi una visione meno indifferenziata dell’Europa, nella quale si definiscono e si confrontano con il ruolo avuto nella storia russa le immagini dei diversi paesi e dei diversi popoli: la Francia alleata ma anche il paese della libertà e della tradizione rivoluzionaria, in cui si riconoscono allo scoppio della guerra Plechanov e Kropotkin; la Germania nemica, protesa al dominio sulla Russia anche attraverso il ruolo reazionario dei tedeschi nel sistema di governo russo e il loro prevalere nella vita sociale del paese12. Sono immagini, proprio per quanto riguarda la Francia e la Germania, destinate a trasformarsi dopo la guerra con i cambiamenti della situazione internazionale e il configurarsi dei rapporti tra i vari Stati europei, ma approfondendo comunque gli elementi di diversificazione e di contrasto sul ruolo della Russia nella difficile ricostruzione d’un equilibrio europeo.

Esaltando il ruolo della forza nella regolazione dei rapporti sociali e della vita economica13, la guerra è una grande occasione di modernizzazione degli strumenti di organizzazione e di controllo delle risorse materiali e umane, delle coscienze e delle volontà14, che

10 Aaron J. Cohen, Imagining the Unimaginable (World War, Modern Art, and the Politics of Public Culture in Russia 1914-1917), University of Nebraska Press, Lincoln 2008. 11 Hubertus F. Jahn, Patriotic Culture in Russia during World War I, Cornell University Press, Ithaca-New York-London 1996; Stephen M. Norris, A War of Images: Russian Popular Prints, Wartime Culture, and National Identity 1812-1945, Northern Illinois University Press, DeKalb (Ill.) 2006. 12 Sul contributo della letteratura russa alla costruzione dell’immagine dei tedeschi, cfr. Andrea Panaccione, Il carattere delle nazioni. Dal repertorio delle rappresentazioni durante e dopo la Prima guerra mondiale, “Il Ponte”, agosto-settembre 2014, pp. 9-37 (nello specifico, pp. 9-15). 13 Una importante testimonianza, per il problema dell’approvvigionamento alimentare e prima di tutto del pane, è l’opera di Nikolaj D. Kondrat’ev, Rynok chlebov i ego regulirovanie vo vremja vojny i revoljucii [Il mercato dei grani e la sua regolazione durante la guerra e la rivoluzione], Moskva Izd-vo “Novaja derevnja”, Moskva 1922 (nuova ed. Nauka, Moskva 1991). 14 In una letteratura molto ampia, mi limito ad indicare due saggi di Peter Holquist, “Information Is the Alpha and Omega of Our Work”: Bolshevik Surveillance in Its Pan-European Context, “The Journal of Modern History”, Vol. 69, n. 3, September 1997, pp. 415-450; nonché Id., La société contre l’État, la société conduisant l’État: la société cultivée et le pouvoir d’État en Russie, 1914-1921, “Le Mouvement Social”, n. 196, juillet-septembre 2001, pp. 21-40. In questo saggio Holquist si occupa anche del «bureau pour organiser l’esprit» organizzato in Russia nel 1915 e diretto nel 1917 dal grande psicologo sociale e teorico della propaganda politica – oltre a varie altre cose – Sergej Čachotin, il quale ricorda questa e altre esperienze analoghe durante la guerra civile nella sua importante opera su Le viol des foules par la propagande politique, Gallimard, Paris 1939 (trad. it. parziale: Tecnica della propaganda politica, a cura di Walter Marossi, Edizioni l’Ornitorinco, Milano 2012, pp. 248-252). L’attività di Čachotin in Russia sul piano della propaganda politica durante la guerra mondiale, la rivoluzione, la guerra civile, è un ulteriore elemento di convergenza con quanto stava

impone un nuovo rapporto dello Stato con la società15 e un maggior controllo sull’accesso alla cittadinanza16. Di fronte alla perdita di credibilità del sistema zarista, la guerra favorisce un’attivizzazione e una nuova capacità delle organizzazioni sociali17 e la formazione di quello che è stato definito un «complesso parastatale»18, che affianca e sostituisce quello ufficiale. La guerra è infine un importante fattore di nazionalizzazione dell’impero, sia per la nazionalità dominante che per le altre, e conferisce una particolare funzione alle categorie nazionali nella lettura e nella mappatura della società imperiale e nelle pratiche di controllo della popolazione19 .

È questo il terreno sul quale si arriva alla rottura del 1917, a una rivoluzione dal basso preceduta da progetti e velleità di rivoluzioni dall’alto, o più semplicemente di colpi di Stato, che sono la testimonianza dell’esaurimento e del ripudio generalizzato del regime zarista20 – che sarà confermato allo scoppio della rivoluzione dall’atteggiamento dei comandanti militari favorevoli all’abdicazione dello zar – e che alimenteranno le leggende sul ruolo decisivo della massoneria, espressione comunque di riferimenti culturali occidentalizzanti, o gli immaginari mistico-raccapriccianti sugli ambienti di corte, una spe-

avvenendo negli Stati europei, anche quando si svolge nel campo delle forze più tradizionaliste, come le armate “bianche”. 15 Lewis H. Siegelbaum, The Politics of Industrial Mobilization in Russia, 1914-1917: A Study of the War Industries Committees, Macmillan in association with St. Antony’s College (Oxford), London 1983; Lars T. Lih, Bread and Authority in Russia, 1914-1921, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1990; Peter Holquist, Making War, Forging Revolution: Russia’s Continuum of Crisis, 1914-1921, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 2002. In Russia vorrei segnalare un’importante pubblicazione documentaria, dedicata al rapporto del potere con la società nelle sue grandi correnti ideologiche – conservatrice, liberale, democratica – e articolata in 4 volumi curati rispettivamente da Valerij Vasil’evič Žuravlev, Aleksandr Vital’evič Repnikov, Valentin Valentinovic Šelochaev e Al’bert Pavlovič Nenarokov, direttore dell’intero progetto: Pervaja mirovaja vojna v ocenke sovremennikov: vlast’ i rossijskoe obščestvo 1914-1918 [La prima guerra mondiale nel giudizio dei contemporanei: il potere e la società russa 1914-1918], Rosspen, Moskva 2014. 16 Eric Lohr, Russian Citizenship. From Empire to Soviet Union, Harvard University Press, Cambridge (Mass.)-London 2012. 17 Anastasija S. Tumanova, Obščestvennye organizacii Rossii v gody Pervoj mirovoj vojny (1914-fevral’ 1917 g.) [Le organizzazioni sociali della Russia negli anni della Prima guerra mondiale (1914-febbraio 1917)], Rosspen, Moskva 2014; della stessa autrice si veda Voluntary Associations in Moscow and Petrograd and Their Role in Patriotic Campaigns During World War I (1914-February 1917), “Jahrbücher für Geschichte Osteuropas”, n. 3 2014, pp. 345-370. 18 Sulle origini, obiettivi, composizione, ecc. del «parastatal complex», cfr. Mark von Hagen, The First World War, 1914-1918, in Cambridge History of Russia. Vol. 3, Cambridge University Press, Cambridge 2006, pp. 92-113. Il concetto era stato già ampiamente impiegato da Peter Holquist in Making War, Forging Revolution… cit., p. 21, per indicare una utilizzazione da parte del potere statale di organismi che operavano nel sociale, ma senza un preliminare sviluppo di una società civile autonoma dallo Stato stesso ed era ricondotto alla predominanza del ruolo dello Stato nella cultura politica russa. 19 Peter Gatrell, A Whole Empire Walking: Refugees in Russia during World War I, Indiana University Press, Bloomington 1999; Eric Lohr, Nationalizing the Russian Empire. The Campaign against Enemy Aliens during World War I, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 2003. 20 Una fonte storica illuminante sono i materiali della Commissione d’indagine sulla caduta del regime zarista presentati da Aleksandr Blok ne Gli ultimi giorni del regime zarista, a cura di Igor Sibaldi, Editori Riuniti, Roma 1983 (ed. or. 1919).

cialità molto apprezzata e consumata in Occidente. In una società colta dalla guerra in un processo incompiuto di trasformazione e messa alla prova nei suoi squilibri e nelle sue arretratezze dai tre anni del conflitto21, la rivoluzione è inaspettata solo per quel tanto che tutte le rivoluzioni radicali hanno di inaspettato, come aveva osservato Tocqueville a proposito della rivoluzione francese22, ma in realtà risponde pienamente alle condizioni per cui «nascono le rivoluzioni»23: una crisi politica, sociale, economica, più una resistenza da contrastare e da abbattere24, che nel caso russo è il vecchio regime zarista ma che diventa nel 1917 il condizionamento della guerra sulla situazione del paese e la conservazione di rapporti sociali che i movimenti degli operai e dei contadini-soldati avevano messo in discussione e contro i cui beneficiari veniva genericamente applicata l’etichetta di “borghese”25 .

La rivoluzione

La rivoluzione russa del 1917 si svolge quindi in un paese trasformato e sicuramente reso più europeo dai tre anni di guerra ed è dalla situazione creata dalla guerra che ricava i suoi due principali caratteri distintivi: l’unitarietà, per cui l’Ottobre sarà una risposta alle questioni del Febbraio, e il suo costante rimanere al centro dell’attenzione di tutte le società europee. Parlare di rivoluzione russa al singolare e sottolineare che «Febbraio ha cominciato a riemergere dall’ombra di Ottobre, e così sarà per la guerra», come ha fatto Stephen Kotkin cogliendo, in una sua rassegna storiografica del 1998, il senso di uno spostamento dell’interesse verso il Febbraio26, significa mettere in discussione lo schema del Febbraio come rivoluzione borghese e tanto più la rappresentazione dello spettacolo della

21 Per il tentativo di un quadro comparativo con le altre grandi potenze europee, soprattutto sul piano economico e sociale, vedi Peter Gatrell, Russia’s First World War. A Social and Economic History, Pearson, Harlow 2005. 22 «[…] mai vi furono avvenimenti più grandi, originati da più lontano, meglio preparati e meno previsti»: Alexis de Tocqueville, L’antico regime e la rivoluzione, BUR Saggi, Milano 2006, p. 37. 23 Ernest Labrousse, Come nascono le rivoluzioni, Bollati Boringhieri, Torino 1989; in particolare il saggio 1848-1830-1789: come nascono le rivoluzioni, pp. 215-237. 24 Naturalmente questo presuppone che i nemici della rivoluzione esistano e non siano il frutto della immaginazione e della propaganda dei rivoluzionari per realizzare i loro fini malvagi. Il tema della resistenza è alla base del nesso tra rivoluzione e controrivoluzione, e dell’inevitabile ruolo della violenza, analizzati in chiave comparativa da Arno Mayer in The Furies (Violence and Terror in the French and Russian Revolution), Princeton University Press, Princeton 2000. 25 Boris Kolonitskii, Anti-Bourgeois Propaganda and Anti-‘Burzhui’ Consciousness in 1917, “The Russian Review”, n. 2 1994, pp. 183-196. Se la simbologia anti-borghese analizzata da Kolonitskij, su cui avrò occasione di tornare, è ispirata alla tradizione rivoluzionaria europea, lo spirito antiborghese è alimentato da radici contadine e religiose specificamente russe. Un altro importante specialista, Pavel V. Volobuev, ha giustamente rilevato che, nella varietà della composizione e delle coscienze delle masse popolari russe, gli «antibourgeois moods and anspirations» non potevano essere identificati come socialisti: cfr. Pavel V. Volobuev, Perestroika and the October Revolution in Soviet Historiography, “The Russian Review”, n. 4 1992, p. 573. 26 Stephen Kotkin, 1991 and the Russian Revolution: Sources, Conceptual Categories, Analytical Frameworks, “The Journal of Modern History”, Vol. 70, n. 2, June 1998, pp. 384-425 (la citazione è a p. 396).

storia offerta da Lev Trockij nella sua Storia della rivoluzione russa, in cui – combinando una parola chiave della tradizione rivoluzionaria russa, il “prologo”27, con le leggi di una concezione della storia marxista – ogni atto è il prologo di qualcosa che sarà un ulteriore prologo: il 1905 prologo – o prova generale – del 1917, il Febbraio prologo dell’Ottobre, la rivoluzione russa prologo della rivoluzione europea28 . I mesi che vanno dal Febbraio all’Ottobre vedono il consumarsi, fino al precipitare nell’anarchia sociale, d’un composito «orizzonte di aspettative»29 nel quale si riconoscono, con differenze e contrasti anche radicali, i vari protagonisti della rivoluzione: quello espresso dalle parole che nel 1917 sono ripetute ossessivamente dai bolscevichi – la pace, la terra, il controllo operaio – e quelle su cui si mobilitano altri attori della rivoluzione, ovvero una nuova unità nazionale e una nuova statualità che renda la Russia in grado di affrontare la situazione che ha travolto il vecchio regime, un nuovo rapporto tra il popolo e il potere, l’autogoverno delle nazioni o la trasformazione federalista dell’impero. Alcune di queste aspettative, che nel trascorrere dei mesi sono soggette al «continuo spostamento della visione del futuro»30 che è tipico dello svolgersi di una rivoluzione, sono più specificamente radicate nella storia russa, ma molte di esse – sul piano politico, sociale, nazionale – sono quelle su cui si confrontano le forze politiche e i movimenti dell’Europa del 1917. È per questo che la rivoluzione, la cui scena principale è la più europea delle città russe, non è una rivolta tradizionale russa – il bunt «insensato e impietoso» di cui parlava Puškin – o una riedizione del movimento di Pugačev (pugačevščina), un nuovo «tempo dei torbidi» (smutnoe vremja)31, anche quando questi caratteri e fantasmi del passato sembrano essere tornati a dominare il paese. In Russia una storiografia che, per effetto della crisi finale e della caduta dell’URSS, aveva potuto o dovuto liberarsi della tendenza a vedere tutto quello che era accaduto nel 1917 come una premessa obbligata della “grande rivoluzione socialista” dell’Ottobre – ma

27 Il riferimento è al romanzo Prolog [Il prologo] di Nikolaj Černyševskij, scritto in Siberia e pubblicato per la prima volta a Londra nel 1877. La prima parte del romanzo aveva il titolo Prolog prologa [Il prologo del prologo]: il primo era la lotta per l’emancipazione dei servi, il secondo era l’emancipazione stessa come premessa del movimento rivoluzionario successivo. 28 Lev Trotsky, Storia della rivoluzione russa, traduzione dalle edizioni francese e inglese di Livio Maitan, Mondadori, Milano 1969 (l’edizione originale russa è stata pubblicata a Berlino nel 19311933). Quello che salva in parte la Storia da un eccesso di finalismo schematico, oltre alle capacità drammaturgiche dell’autore, è la sua attenzione alla problematica dell’arretratezza e delle particolarità dello «sviluppo combinato» russo, che nel 1922 avevano provocato la sua polemica con Pokrovskij. Una particolarità a suo modo sconcertante della Storia di Trockij, e una conferma che anche i creatori di miti possono rimanere vittime delle loro creazioni, è l’assenza, anche nella rapida Conclusione, di un bilancio o almeno di una seria considerazione di che cosa era diventata l’URSS a oltre un decennio dalla rivoluzione. Questo è stato rilevato in un’opera importante sulla memorialistica del 1917, pubblicata per la prima volta a Roma in lingua russa, Revoljucija 1917 glazami ee rukovoditelej, Edizioni Aurora, Roma 1971 (trad. it. La rivoluzione russa del 1917 vista dai suoi protagonisti, Edizioni Paoline, Roma 1980) e il cui autore, David Anin, si considerava un menscevico pur non potendo esserlo: era nato nel 1913 e i menscevichi non reclutavano al partito nell’emigrazione. 29 Reinhart Koselleck, Criteri storici del moderno concetto di rivoluzione, in Id., Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, CLUEB, Bologna 2007, p. 62. 30 Ibid., p. 64. 31 A meno di non parlare, come fa Peter Holquist, Making War… cit., p. 233, di «un tempo dei torbidi dell’Europa del 1914-1921».

si sottraeva anche agli schemi dell’alternativa tra rivoluzione “democratica” e “socialista” e del passaggio o trasformazione imposta dell’una nell’altra – è stata indotta in alcuni casi a proiettare su quella anarchia sociale la vecchia immagine dei torbidi32 o a tornare sulla separazione e reciproca estraneità tra popolo e potere radicata in secoli di storia russa33. Ma un elemento più importante è stato, a mio parere, la ripresa di alcuni approcci già proposti in periodo sovietico, con maggiore o soprattutto minore fortuna per i loro autori, da quegli storici spesso indicati come gli esponenti di una «nuova tendenza» – Michail J. Gefter, Victor P. Danilov, Konstantin N. Tarnovskij, Pavel V. Volobuev – i quali hanno studiato, per usare le parole d’uno di loro, «la pluralità dei modi di produzione dell’economia russa, il ruolo dei contadini, e della loro rivoluzione, arrivando a capire come fossero possibili un’interazione e una sovrapposizione di diverse epoche sociali, in un unico scorcio storico»34 .

È sulla base di queste indicazioni che diventa possibile approfondire gli intrecci e le divaricazioni tra i vari tipi di rivoluzione – dei soldati, degli operai, dei contadini; delle regioni centrali e di quelle periferiche e delle diverse nazionalità – distinguendoli per i contenuti e le forme in cui si sviluppano i diversi movimenti35 e non sulla base di una successione, progressiva o regressiva, di periodi connotati ideologicamente, democratico o socialista. È ancora su questa base che si può porre in modo non eccessivamente scolastico il tema, così presente nella coscienza dei contemporanei, delle analogie con la storia delle rivoluzioni europee36, come anche quello – che è stato particolarmente approfondito sul piano storiografico e documentario – di una rivoluzione contadina intesa come reazione al modo in cui si erano realizzati in Russia alcuni processi di modernizzazione, una rivo-

32 È il caso – fin dal titolo – dell’opera, comunque importante soprattutto per la innovativa metodologia di psicologia sociale, di Vladimir Buldakov, Krasnaja smuta. Priroda i posledstvija revolucionnogo nasilija [I torbidi rossi. Natura e conseguenze della violenza rivoluzionaria], Rosspen, Moskva 1997. 33 Grigorij Gerasimenko, Narod I vlast’ 1917 [Il popolo e il potere 1917], Voskresen’e, Moskva 1995. È importante, anche in altri contributi di questo autore, l’allargamento dell’interesse e della base documentaria al di là della situazione delle grandi città e in particolare di Pietrogrado. 34 Victor P. Danilov, Genesi e dissoluzione del sistema sovietico, “Il Passaggio”, n. 3, maggio-giugno 1992, p. 14. 35 Un elemento caratteristico è, spesso, la coloritura socialista assunta da diversi movimenti nazionali, tra i quali è significativo il caso del Dashnaktsuthiun armeno, un partito prevalentemente nazionalista che aveva aderito alla Seconda Internazionale riconoscendo nel socialismo un «passaporto verso la modernità europea»: è la formulazione di Charles Urjewicz e Claudie Weill in un paper inedito e non datato che riprende il loro seminario alla École des Hautes Études en Sciences Sociales dal 1982 al 1986, Les socialismes nationaux de Russie des origines à 1917. D’altro canto Ronald Suny ha sottolineato in varie occasioni gli intrecci tra appartenenze di classe e nazionali nelle periferie dell’Impero: cfr. Roland G. Suny, Nationalism and class in the Russian revolution: a comparative discussion, in Revolution in Russia. Reassessments of 1917, a cura di Edith Rogovin Frankel-Jonathan Frankel-Baruch Knei Paz-Israel Getzler, Cambridge University Press, Cambridge-New York 1992, pp. 219-246; nonché Id., Classe e nazionalità nella Rivoluzione russa, “Passato e Presente”, n. 30, settembre-dicembre 1993, pp. 35-52. 36 Più in generale, la Russia è condannata alle analogie dal suo carattere di mnogoukladnost’, la coesistenza di diverse formazioni sociali che hanno potuto di volta in volta essere comparate con il dispotismo orientale, la civiltà bizantina, lo Stato assoluto europeo, la via prussiana all’industrializzazione, l’epoca delle rivoluzioni borghesi – e poi proletarie.

luzione che passa attraverso la rivitalizzazione della obščina o una «rivoluzione in nome dell’obščina» (obščinnaja revoljucija37): un tema che sembra richiamare la lontana lettura di uno strano luogotenente della missione militare francese a Pietrogrado, che si occupava soprattutto di anima russa, Pierre Pascal, sul significato morale, comunitario, religioso della rivoluzione russa – «[…] il popolo è rivoluzionario perché è cristiano»38 – proprio per le sue basi nella civiltà contadina39, e che ha potuto avvalersi delle successive analisi d’un altro grande storico non russo, Moshe Lewin, sui processi di “arcaicizzazione” e consolidamento del mondo patriarcale della campagna russa nella congiuntura della guerra, della rivoluzione, della guerra civile.

Credo che il recupero e la valorizzazione di queste indicazioni e innovazioni metodologiche siano state importanti in anni – a partire dalla perestrojka, ma non solo in Russia – che per molti versi appaiono segnati da una involuzione della storiografia legata a un eccesso di attese o a una vera vertigine documentaria: la «improvvisa passione collettiva per i documenti di archivio, dai quali si attendevano rivelazioni sensazionali sul passato»40. Proprio per questo sono tanto più importanti le pubblicazioni documentarie – in primo luogo grazie all’apertura degli archivi ex sovietici – che sono effettivamente legate a un rinnovamento e a un approfondimento delle ricerche, come la raccolta dedicata ai menscevichi nel 1917 a cura d’un gruppo di studiosi russi e americani diretto da Ziva Galili, Leopold Haimson e Al’bert Nenarokov41. La pubblicazione offre nel suo insieme un punto di vista non pregiudicato da alcun finalismo precostituito non solo su un partito che ha svolto in quei mesi un ruolo centrale di governo a livello centrale e locale, ma su come in esso, nelle sue divisioni interne, nel rapporto con gli altri partiti, nella resa dei conti d’una radicata cultura politica con lo sviluppo accelerato e incontrollabile degli avvenimenti, si riflettessero processi che riguardavano sia la società russa sia la crisi internazionale del movimento socialista.

37 Per questa definizione, ma anche per alcune considerazioni precedenti cfr. Pavel V. Volobuev-Vladimir P. Buldakov, Oktjabr’skaja revoljucija: novye podchody k izučeiju [La rivoluzione d’Ottobre: nuovi approcci di ricerca], “Voprosy istorii”, n. 5/6 1996, pp. 28-38. L’idea d’una lunga rivoluzione contadina in Russia, che relativizzava anche la data del 1917, era stata sostenuta già nell’opera di Teodor Shanin, The Awkward Class. Political Sociology of Peasantry in a Developing Society: Russia 1910-1925, Clarendon Press, Oxford 1972. 38 Pierre Pascal, Mon journal de Russie. 1. À la mission militaire française: 1916-1918, L’âge d’homme, Lausanne 1975, p. 278. Le basi della lettura religiosa della rivoluzione di Pascal e l’elemento del vivere nel futuro da lui rilevato – «[…] la Russia non è il paese che rappresentano i giornali: essa è prima di tutto la speranza dell’avvenire», ibid., p. 273 – non possono comunque essere considerati esclusivi della situazione russa: le rivoluzioni moderne si legittimano nel futuro – vedi Reinhart Koselleck, Criteri storici… cit. – e in esse si può sempre constatare «la presenza e l’azione di altri fattori oltre quelli economici» – Ernest Labrousse, Come nascono… cit., p. 236. 39 Si tenga presente il commento di Franco Venturi al saggio di Pascal su La commune paysanne après la révolution pubblicato ne “La révolution prolétarienne” del 1928 e poi raccolto con altri in Civilisation paysanne en Russie. Six esquisses, Editions de l’Age d’Homme, Lausanne 1969: «Sentiamo l’obščina contadina pulsare ancora e sopravvivere tenace negli anni che precedettero immediatamente la collettivizzazione staliniana» – Introduzione a Il populismo russo, cit., p. XLVI. 40 Fabio Bettanin, La fabbrica del mito (Storia e politica nell’Urss staliniana), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1996, p. 249. 41 Men’ševiki v 1917 godu, 3 voll. (il 3° volume è in due parti), Rosspen, Moskva 1994-1997.

Il confronto tra le diverse culture politiche russe e la sintonia con le questioni del mondo socialista internazionale, o di come l’Europa sarebbe uscita dalla guerra, sono il maggior contributo d’un classico come le Cronache della rivoluzione russa di Nikolaj Suchanov, tornate a circolare in Russia in una nuova edizione negli anni Novanta42. Le vicende raccontate da Suchanov non sono quasi mai azioni di massa, si svolgono prevalentemente in ambienti chiusi – le grandi sale dei congressi e delle conferenze, le stanze per le riunioni di comitati e commissioni, le abitazioni private compresa quella dell’autore, menscevico internazionalista, nella quale in sua assenza, ma complice la moglie, viene decisa dal Comitato Centrale bolscevico l’insurrezione dell’Ottobre43 – ma nei quali circola la coscienza d’essere al centro di un’attenzione europea, che ha fatto tornare in Russia gli emigrati rivoluzionari e affluire ministri e socialisti degli altri paesi, venuti soprattutto per perorare la causa della partecipazione alla guerra; ambienti dai quali si rivolgono appelli ai popoli e ai proletari del mondo intero. Il riapparire in Russia di diverse generazioni d’emigrati politici e il succedersi di ritorni segnati da diversi progetti e destini – chi torna in Russia per morirvi e chi per prendere il potere – è un elemento caratteristico della tensione tra nazionale e internazionale nel corso della rivoluzione. Ne troviamo un’eco nella diffidenza manifestata dai ricordi del menscevico Jurij Denike al momento del ritorno di Martov: «Fu uno spettacolo degno di nota l’apparizione di Martov, circondato da una schiera rumorosa di individui sempre agitati, isterici. Erano tutti emigrati del tipo ‘bohème’ e non avevano la minima idea della realtà russa»44 .

L’atmosfera delle cronache di Suchanov è anche quella nella quale si respira un continuo confrontarsi con la rivoluzione francese45, un elemento della cultura politica europea di molti protagonisti della rivoluzione russa, che troverà un puntuale riscontro in Francia in alcune prese di posizione di due dei maggiori storici della Grande Rivoluzione46. Per questo entrambi – e indipendentemente dalle differenze tra i due – saranno giudicati mol-

42 Nikolaj N. Suchanov, Zapiski o revoljucii, 3 voll., Izdatel’stvo političeskoj literatury, Moskva 1991 i primi due volumi e Izdatel’stvo “Respublika”, Moskva 1992 il terzo. Per la traduzione italiana dell’opera, originariamente pubblicata in lingua russa a Berlino nel 1922-1923, vedi Cronache della rivoluzione russa, 2 voll., Editori Riuniti, Roma 1967. È da segnalare anche la ripubblicazione d’un altro classico, come i ricordi di Aleksandr Šljapnikov, il principale dirigente bolscevico a Pietrogrado nel febbraio-marzo 1917, redatti negli anni Venti e rimasti per decenni chiusi nei reparti di «conservazione speciale» (specchrany) delle biblioteche sovietiche: Kanun semnadcatogo goda. Semnadcatyj god [La vigilia del ’17. Il ’17], 3 voll., Izdatel’stvo političeskoj literatury-Izd. “Respublika”, Moskva 1992. 43 «[…] mia moglie si informò esattamente delle mie intenzioni e mi diede l’amichevole e disinteressato consiglio di non affaticarmi, dopo il lavoro, con una lunga passeggiata»: Nikolaj Suchanov, Cronache… cit., p. 804. 44 Georg Denicke, Erinnerungen und Aufsätze eines Menschewiken und Sozialdemokraten, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn 1980, p. 118. Dal canto suo, Denicke avrebbe dimostrato di non avere certo una vocazione alla chiusura nazionale, divenendo negli anni della emigrazione politica nella Germania di Weimar – con il nome di Georg Decker – uno dei più noti pubblicisti della socialdemocrazia tedesca e stretto collaboratore di Rudolf Hilferding. 45 Il tema è stato molto studiato negli ultimi anni, a partire dal libro di Tamara Kondratieva, Bolcheviks et Jacobins, Payot, Paris 1989. 46 In particolare Alphonse Aulard, La revolution française et la révolution russe. Lettre aux citoyens de la libre Russie, Payot, Lausanne 1917 e Albert Mathiez, Le Bolchevisme et le Jacobinisme, Librairie du Parti Socialiste et de l’Humanité, Paris 1920.

to severamente da François Furet: il primo «sembra come obnubilato dall’analogia con la Rivoluzione francese» e il secondo avrebbe riletto la rivoluzione francese alla luce di quella russa e avrebbe usato l’analogia per esaltare in entrambi i casi i processi di radicalizzazione – il 1789 cancellato dal 1793 come il Febbraio dall’Ottobre: «una storia della Rivoluzione francese passata attraverso il filtro della dittatura sovietica»47 . Condizionati da questo «andirivieni» di cui parla con una certa insofferenza Furet, sono anche i linguaggi e i simboli rivoluzionari48, dei quali la Russia del 1917 rivela la grande penetrazione fra le masse urbane e che sono una conferma della continuità tra il Febbraio e l’Ottobre:

Una volta distrutti il vecchio regime e il suo sistema di simboli, coloro che si contendevano il potere lottavano per controllare il sistema simbolico del sottosuolo rivoluzionario, che dominava la cultura politica della Rivoluzione di Febbraio. La Russia può essere stata nel 1917 una democrazia pluralista, davvero il “paese più libero del mondo”, ma il linguaggio simbolico dei socialisti aveva un monopolio assoluto. Nessuno dubitava per un istante che i simboli del movimento rivoluzionario sarebbero diventati gli emblemi del futuro stato. […] Tutti i socialisti condividevano un linguaggio politico e una tradizione simbolica ereditati dal movimento rivoluzionario europeo e dalla propria comune sub-cultura del sottosuolo. I bolscevichi non facevano eccezione e anche il sistema simbolico che essi svilupparono dopo l’Ottobre era largamente basato su questa tradizione socialista comune49 .

Una vera dichiarazione di europeismo era la decisione del soviet di Pietrogrado di far coincidere la data della celebrazione del 1° maggio – 18 aprile secondo il calendario ortodosso – con quella delle manifestazioni in Europa: solo con la caduta dello zarismo,

47 François Furet, Le due rivoluzioni (Dalla Francia del 1789 alla Russia del 1917), UTET, Torino 2002 (ed. or. Paris 1999). Le citazioni sono dal capitolo 1789-1917: andata e ritorno, in particolare alle pp. 104-105. 48 Boris I. Kolonickii, Sinvoly vlasti i bor’ba za vlast’. K izučeniju političeskoj kul’tury rossijskoj revoljucii 1917 goda [Simboli del potere e lotta per il potere. Per lo studio della cultura politica della rivoluzione russa del 1917], Dmitrij Bulanin, S. Petersburg 2001. L’elemento della spettacolarizzazione della rivoluzione è una delle poche cose che il molto citato ambasciatore francese Paléologue riesce a cogliere tempestivamente, anche se lo attribuisce all’anima slava: «Da quando è cominciata la rivoluzione non c’è stato un giorno senza cerimonie, cortei, processioni e parate; è un continuo succedersi di dimostrazioni trionfali, di protesta, commemorative, inaugurali, espiatorie, funebri, ecc. L’anima slava, con la sua sensibilità ardente e indefinita, col suo istinto profondo della folla, con la sua viva passione per l’emozione estetica e pittoresca, prova, in queste manifestazioni, compiacimento e diletto» – Maurizio Paléologue, La Russia degli zar durante la grande guerra, Salani, Firenze 1930. 49 Orlando Figes-Boris Kolonitskii, Interpreting the Russian Revolution: The Language and Symbols of 1917, Yale University Press, New Haven 1999, pp. 187 e 188. Un’attenzione alla simbologia e al ritualismo rivoluzionario è espressa, anche con un certo contagio emotivo, dalle note del diario di Ariadna Tyrkova-Williams – esponente di spicco del partito costituzional-democratico ma molto critica verso la linea del partito nello sviluppo degli avvenimenti – la quale nel «quinto giorno della rivoluzione russa» riporta sia le scritte inneggianti alla «Repubblica democratica», sia quelle legate all’eredità populista della Zemlja i Volja (Terra e Libertà): cfr. Petrogradskij dnevnik [Diario di Pietrogrado], “Zven’ja: Istoričeskij al’manach”, Vyp. 2 1992, p. 331.

affermava l’editoriale dell’organo del soviet, «è diventato finalmente possibile annullare la differenza tra il 1° maggio russo e quello europeo»50 .

La nazione

Il giorno in cui viene resa nota l’abdicazione di Nicola II – 3 marzo 1917 secondo il calendario russo del tempo – si uccide a Mosca con un colpo di rivoltella Sergej V. Zubatov, il famoso capo della polizia politica sostenitore d’una monarchia sociale da realizzare con i metodi del “socialismo poliziesco”, che popolarizzava l’immagine dello zar giusto e protettore d’un «ceto operaio» (rabočee soslovie) ancora legato alla Russia patriarcale e contadina: gli stessi «sindacati» organizzati da Zubatov erano visti come forme preparatorie d’un modello di «comuni operaie» (rabočie obščiny) ispirate all’esempio e al mito della comune contadina51. Zubatov era stato allontanato dalla sua carica già nel 1903, ma aveva svolto negli anni successivi un’attività pubblicistica e conservato per un certo tempo una notevole influenza – un suo seguace può essere considerato il famoso padre Gapon, organizzatore della manifestazione popolare che aveva dato origine alla “domenica di sangue” del gennaio 1905 – e la decisione di togliersi la vita era la presa d’atto della fine d’un progetto nazionale di unione tra zar e popolo, eccentrico già quando era nato rispetto ai principali Stati europei e al quale gli anni della guerra avevano tolto qualsiasi credibilità.

Il 1917 russo è però anche una messa alla prova di progetti nazionali moderni, che avrebbero dovuto dare un nuovo fondamento allo Stato russo, ma nei cui autori le immagini dei “torbidi” (smuta) e del bunt tornavano a più riprese, e sempre più insistenti. Sono quei politici e intellettuali che, a partire da tali progetti, seguono con crescenti preoccupazioni lo sviluppo degli avvenimenti ed esprimono con queste immagini la perdita di aspettative che la guerra e anche lo scoppio della rivoluzione avevano inizialmente alimentato, e la crescente sfiducia nella vera nascita d’una nazione russa di tipo europeo.

Ho già accennato al progetto nazionale-imperiale di Petr Struve, ormai su posizioni nettamente conservatrici anche rispetto al partito costituzional-democratico, ma importante punto di riferimento per il dibattito in esso sulla questione nazionale52. Struve, che subito

50 1-e maja (18-e aprelja) [1° maggio (18 aprile)], “Izvestija Petrogradskogo Soveta Rabočich i Soldatskich Deputatov”, n. 36, 9 aprile 1917. 51 Sulla figura e l’opera di Zubatov esiste un’ampia letteratura già dagli anni Venti, con i lavori di un importante storico russo come Boris P. Koz’min; nella storiografia occidentale un classico è Jeremiah Schneiderman, Sergei Zubatov and Revolutionary Marxism: the Struggle for the Working Class in Tsarist Russia, Cornell University Press, Ithaca-New York-London 1976. Nella Russia post-sovietica sono stati pubblicati anche molti materiali documentari, in particolare del fondo Zubatov dell’Archivio di Stato della Federazione Russa (Garf), tra i quali va citata la serie “Chmuryj” policejskij. Kar’era S.V. Zubatova [Il poliziotto “incupito”. La carriera di S.V. Zubatov], a cura di Jurij F. Ovčenko, “Voprosy istorii”, nn. 4 (pp. 3-17), 5 (pp. 3-23), 6 (pp. 3-26), 7 (pp. 3-30), 8 (pp. 3-12) 2009. 52 Vale la pena di ricordare che l’importanza del tema della nazione per il liberalismo russo era già presente – come un lascito significativo per l’evoluzione di alcune personalità di matrice liberale nel periodo sovietico, in particolare Nikolaj Ustrjalov – già nei lavori degli anni Ottanta di Michail Agurskij sul nazional-bolscevismo – cfr. Ideologija nacional-bol’ševizma, Ymca Press, Paris 1980 e La terza Roma. Il nazionalbolscevismo in Unione Sovietica, il Mulino, Bologna 1989 – e sarebbe

dopo il Febbraio aveva salutato la «Russia liberata» sulla sua rivista “Russkaja Mysl’”, è fra i primi a registrare, sul settimanale “Russkaja Svoboda” da lui fondato nell’aprile 1917, l’ondata anti-patriottica che è fomentata a suo parere dalla sempre più demonizzata intelligencja e dai socialisti, e che compromette l’obiettivo espresso dallo slogan della «guerra fino alla sua fine vittoriosa». Nell’articolo apparso nell’ultimo numero di “Russkaja Mysl’” del 1917, tutto lo sviluppo dei mesi precedenti è descritto come una «controrivoluzione» che ha rovesciato il processo di rivoluzione costituzionale avviato in Russia dai primi anni del secolo e che ha assunto le forme del «bunt dei soldati» e del «pogrom panrusso»; e la guerra si è ormai trasformata nel fattore scatenante i peggiori istinti antistatali del popolo e della intelligencija russi53 .

L’idea della nuova nazione nel socialismo russo – che dopo il Febbraio trova in Iraklij Cereteli il suo maggior protagonista politico – ha un forte riscontro nei numerosi interventi di Aleksandr Potresov sul quotidiano “Den’” e sul quindicinale e poi settimanale “Delo”54, ma dentro una visione pessimistica del peso della realtà e del passato russi, che Potresov non avrebbe aspettato il Febbraio e tanto meno l’Ottobre per manifestare. Rispetto all’acquisizione da parte del movimento operaio europeo d’un senso della nazione che è il frutto di una lunga «scuola di cittadinanza» e che realizza un «patriottismo del cittadino» (patriotizm graždanina), Potresov, in un articolo del 1916, avverte nei comportamenti del proletariato russo – e nella linea della maggioranza delle forze socialiste, compresa quella menscevica a cui storicamente apparteneva – i segni d’una immaturità e d’una regressione alle vecchie illusioni slavofile, contro le quali rievoca l’ironia di Saltykov-Ščedrin sulla provincia russa: «Io non credo all’internazionalismo orientale, il quale sarebbe fiorito per salvare l’onore del socialismo quando l’Occidente era appassito e sprofondato nel peccato. Io guardo con sospetto a questi giusti dell’Oriente che portano oggi la luce che nasce dalla loro mente al peccaminoso mondo europeo e ricordo ostinatamente che non è la prima

stata confermata da uno dei più attenti studiosi russi della tendenza costituzional-democratica, Valentin V. Šelochaev, in un’opera apparsa subito prima del crollo dell’Unione Sovietica, Ideologija i političeskaja organizacija liberal’noj buržuazii [Ideologia e organizzazione politica della borghesia liberale], Nauka, Moskva 1991 e che, pur facendo ancora in tempo ad adottare in extremis un titolo di stampo prettamente sovietico – Buržuaznyj nacionalizm protiv proletarskogo internacionalizma [Il nazionalismo borghese contro l’internazionalismo proletario] – dedicava un intero accurato capitolo a questo tema come ad uno dei più rilevanti di quella tradizione politica. Su Struve e sulla sua evoluzione politica sono tuttora indispensabili gli studi di Richard Pipes, Struve. Liberal on the Left, 1870-1905, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1970 e Id., Struve. Liberal on the Right, 1905-1944, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1980. 53 Petr B. Struve, V čem revoljucija i kontrrevoljucija? [In cosa consistono la rivoluzione e la controrivoluzione?], in Id., Izbrannye sočinenija [Opere scelte], Rosspen, Moskva 1999, pp. 253257. Il rapporto, in questo senso, tra guerra e rivoluzione è centrale nelle conferenze da lui pronunciate nel novembre 1919 nel campo delle Armate bianche e pubblicate su “Russkaja Mysl’” nel 1921: vedi Razmyšenija o russkoj revoljucii, ibid., pp. 258-288, in cui torna tutto il repertorio della pugačevščina e della russkaja smuta e la guerra fa tutt’uno con la rivoluzione, fino all’affermazione che la guerra continua fino a che la rivoluzione non sarà abbattuta – «La rivoluzione russa è un episodio della guerra mondiale. Dato che non si è ancora compiuto il superamento della rivoluzione, per noi la guerra mondiale non è ancora finita», ibid., p. 272. 54 Un’ampia raccolta degli articoli di Potresov è presente in Rubikon 1917-1918. Publicistika, Sbornik Statej [Rubicone 1917-1918. Pubblicistica, Raccolta di articoli], Rosspen, Moskva 2016.

volta che Pošechon’e salva l’Europa»55. Nel giugno 1917, egli vede ormai il compiuto ritorno sulla scena sociale e politica russa delle eredità del passato: una «sfera pubblica senza Stato» (bezgosudarstvennaja obščestvennost’), lo «spirito del villaggio» (derevenščina) e, finalmente, il buntarstvo, la «varietà propriamente russa del ribellismo anarchico»56 .

La denuncia dell’anarchia dilagante e dei rischi di «oclocrazia», dopo un iniziale entusiasmo per il valore liberatorio del Febbraio, e ancora il rilievo d’una slavofilia di ritorno nelle pretese della democrazia russa di «salvare il mondo dalla guerra» e di «ristabilire l’Internazionale», ricorrono negli articoli di Pitirim Sorokin del 1917 sugli organi di stampa socialisti-rivoluzionari “Delo naroda” e “Volja naroda”, articoli che possono essere considerati la registrazione di esperienza vissuta sulla base della quale si svilupperà la sua sociologia delle guerre e delle rivoluzioni57. Sorokin dimostra anche una particolare sensibilità, insofferente e sospettosa, per il linguaggio della rivoluzione e quello che definisce il «feticismo delle parole» (slovesnyj fetišizm): è un tema del quale Kolonickij, senza farsi troppo coinvolgere nelle polemiche sul linguistic turn, ha reso evidente l’importanza con i suoi lavori, ma che era stato subito al centro dell’interesse d’un importante slavista francese che, dagli anni precedenti la prima guerra mondiale a tutto il 1918, aveva avuto varie occasioni di frequentare la Russia, dai suoi ambienti intellettuali e accademici alle sue prigioni58 .

Ma l’esempio politicamente più rilevante in questo campo credo che sia quello di Nikolaj Ustrjalov, il maggior esponente, di lì a qualche anno, del noto movimento di «cambio delle pietre miliari» (Smena vech). Ustrjalov vive nel 1917 un processo – analogo a quello di Struve – di distacco e opposizione a una rivoluzione alla quale aveva aderito inizialmente in nome della possibilità di rafforzare l’unità nazionale nella conduzione della guerra. Nel settembre 1917, dedica un articolo alla crescente diffusione nella società russa del termine «compagno» (tovarišč) al posto di «cittadino» (graždanin) e vede in questo «qualcosa di triste e spiacevole», anche se molto russo e antico: un rifiuto dell’«Occidente borghese», che ha preso il posto del «marcio Occidente» degli slavofili, per respingere un’idea moderna di cittadinanza59. «Cittadino», spiega Ustrjalov, è una categoria giuridica che implica una responsabilità e richiede un ordine, una disciplina, rispetto alla totalità politica di cui si fa parte; «compagno» è una categoria morale, che si fonda su un vincolo d’amore e su un ideale massimalistico, che toglie responsabilità e diritti: «Noi stavamo in basso, all’ultimo gradino. Eravamo sudditi, schiavi. Abbiamo voluto diventare non dei cittadini di uno Stato

55 L’articolo Patriotizm I meždunarodnost’ [Patriottismo e internazionalità], dal quale sono tratte le formulazioni e il passo citati, è parzialmente riprodotto in Aleksandr N. Potresov, Izbrannoe [Scritti scelti], Mosgorarchiv, Moskva 2002, pp. 176 e 177. Il riferimento è al romanzo di Michail Saltykov-Ščedrin, Fatti d’altri tempi nel distretto di Pošechon’je, trad. it. di Gigliola Venturi, Quodlibet, Macerata 2013 (Einaudi, Torino 1962). 56 Aleksandr N. Potresov, Rokovye protivorečija russkoj revoljucii [Le contraddizioni fatali della rivoluzione russa], in Izbrannoe, cit., p. 193. 57 La raccolta di questi articoli in Pitirim A. Sorokin, Zametki sociologa. Sociologičeskaja publicistika [Note di un sociologo. Pubblicistica sociologica], Aletejja, Sankt-Peterburg 2000. 58 André Mazon, Lexique de la guerre et de la révolution en Russie (1914-1918), Champion, Paris 1920. Sui rapporti di Mazon con la Russia e le sue vicissitudini nel paese, varie informazioni nel numero della “Revue des études slaves”, n. 1 2011, dedicato ad André Mazon et les études slaves. 59 Nikolaj A. Ustrjalov, “Tovarišč” I “graždanin”, in Id., Izbrannye trudy [Opere scelte], Rosspen, Moskva 2010, p. 82.

libero, ma immediatamente dei compagni, fratelli di una fratellanza universale. E come risultato siamo rimasti schiavi. Soltanto rivoltosi. Questo è il nostro destino»60 .

Il «tempo dei torbidi» dà il titolo – non deciso formalmente dall’autore ma rispondente pienamente ai suoi contenuti – del diario moscovita di Jurij V. Got’e, pervenuto abbastanza avventurosamente negli Stati Uniti grazie ai viaggi ripetuti, dalla guerra agli anni Venti, di Frank A. Golder61. Una caratteristica abbastanza eccezionale del diario di Jurij V. Got’e è quella d’essere «un vero diario», come nota lo studioso che ne ha introdotto l’edizione americana62, una registrazione delle proprie reazioni allo svolgersi degli avvenimenti e non una ricostruzione successiva in forma di memorie, autobiografia, cronaca. Un elemento particolarmente intrigante è che Got’e era uno storico di professione, un importante storico della Russia moderna, che nutriva tutte le diffidenze e le cautele del caso verso il tipo di fonte che aveva deciso di produrre63 .

Il diario di Got’e non esprime polemicamente il fallimento del progetto nazionale di un uomo impegnato in politica64, ma semplicemente prende atto della fine d’una nazione: Finis Russiae è l’incipit del diario nel luglio 1917. Got’e legge il corso della rivoluzione come il

60 Ivi. 61 Frank A. Golder, War, revolution and peace in Russia: the passages of Frank Golder, 19141927, a cura di Terence Emmons et al., Hoover Institutions-Stanford University, Stanford 1992. 62 Terence Emmons, Got’e and His Diary, Introduzione a Jurij Got’e, The Time of the Troubles. The Diary of Jurii Vladimirovich Got’e, Moscow, July 8, 1917 to July, 23, Princeton University Press, Princeton 1988, p. 6; per il testo russo vedi Jurij V. Got’e, Moi zametki [Le mie note], Terra, Moskva 1997. Gli esempi di “veri diari” non sono molti, rispetto alla sovrabbondanza d’una memorialistica a fini più o meno apologetici o giustificativi, benchè la disponibilità di archivi anche familiari ne abbia accresciuto negli ultimi anni la quantità. Vorrei segnalare quelli di due donne di grande intelligenza e fascino: il diario di Zinaida Gippius, che ha una storia molto complicata di recuperi e ritrovamenti ma del quale esiste una parziale edizione italiana, e le brevi note di Ariadna Tyrkova-Williams già citate. Quello della Gippius era un punto di osservazione straordinario sulla politica e sull’intelligencija di Pietrogrado durante la guerra e la rivoluzione: per la collocazione della sua residenza – «[…] abitavamo vicino alla Duma, accanto alla cancellata del giardino di Tauride»: Zinaida Nikolaevna Gippius, Diari pietroburghesi, Voland, Roma 1999, p. 24 – e per la quantità e qualità dei personaggi che la frequentavano. Vanno inoltre indicati i diversi volumi del journal di Pierre Pascal, anche se “lavorato” da considerazioni e inserti documentari successivi, dei quali è però evidenziata la distinzione rispetto alle note originarie dei carnets tenuti dall’autore: il 1° volume – Pierre Pascal, Mon journal de Russie. 1… cit. – è sugli anni della guerra e della rivoluzione. Il journal di Albert Thomas, il più impegnato dei socialisti dell’Intesa nel sostenere la partecipazione russa alla guerra, è soprattutto un promemoria d’interventi, rapporti, documenti vari legati alla sua missione, ma non mancano impressioni sugli incontri avuti e qualche ritorno di fiamma della sua coscienza socialista: Journal de Russie d’Albert Thomas, document inédit présenté et annoté par I. Sinanoglou, “Cahiers du monde russe et soviétique”, n. 1-2 1973, pp. 86-204. 63 «[…] io, un uomo che ha avuto un’educazione e la sfortuna di scegliere come sua specialità scientifica la storia del suo paese natale, mi sento obbligato a registrare le mie impressioni e in tal modo a creare una molto imperfetta, molto soggettiva, ma comunque una fonte storica, che può essere usata da qualcuno in futuro. Lo faccio in contrasto con tutte le mie opinioni precedenti a questo riguardo. In modo specifico, non volevo scrivere ricordi o riflessioni, né un diario, perché ho sempre pensato che di tale robaccia ne fosse stata scritta abbastanza senza di me»: Jurij Got’e, The Time of the Troubles… cit., p. 28. 64 Got’e stesso nel diario accenna alla brevità della sua esperienza nel partito costituzional-democratico – un partito molto frequentato dagli storici dove però, egli afferma, Miljukov e Kizevetter

prodotto di una «decomposizione centenaria del vecchio regime», quindi come «un risultato di cause interne, non esterne»65, ma segnato dagli effetti della guerra e dal prevalere delle forze distruttive – indicate come «i rivoluzionari, gli emigrati, gli ex terroristi» – su quelle costruttive, cioè «le unioni degli zemstva e delle città, i comitati militari-industriali»66. In questo quadro, Got’e individua una caratteristica “plebea” della rivoluzione – anche se non ricorre a questo termine, che è stato usato con intenti diversi da storici venuti dopo, come Moshe Lewin o Ettore Cinnella – nella estromissione di una «intelligencija russa orientata al servizio»: «Chiunque fosse a un livello culturale più alto delle masse ignoranti e della semi-intelligencija completamente disorientata era dichiarato nemico del popolo, borghese»67 .

Un motivo d’interesse del diario è anche quello di seguire il dopo-Ottobre attraverso i principali eventi interni – l’affermarsi della dittatura bolscevica, la guerra civile, il comunismo di guerra – e internazionali – la pace di Brest-Litovsk, la guerra russo-polacca e la battaglia di Varsavia, la pace di Riga – e d’indicare alcuni problemi di quegli anni che per Got’e sono prioritari: la mancanza d’un patriottismo pan-russo e il rafforzarsi dei patriottismi regionali, in particolare dell’odiato nazionalismo ucraino68. La conclusione del diario a cinque anni dalla rivoluzione registra come ancora irrisolta la ricostruzione economica, sociale, nazionale della Russia e lascia aperta la questione di cosa avverrà d’un Paese nel quale l’autore sembra comunque aver ritrovato una sua normalità professionale, come attestano le ultime righe, nelle quali si dichiara onorato per la reazione negativa di Pokrovskij alla pubblicazione a Pietrogrado, nel 1921, della sua opera, questa volta storica, sullo Smutnoe vremja69 .

L’Europa

Dopo l’Ottobre i russi diventano “compagni” e non “cittadini”, e non sotto un governo di unione di tutte le forze socialiste che, dopo l’abbattimento del Governo provvisorio, sembrava la prospettiva più probabile e coerente con la parola d’ordine “Tutto il potere ai soviet”, ma sotto la dittatura d’un partito che si era affermato nella maggioranza delle grandi città come l’unica alternativa alla situazione prodotta dalla guerra e al vuoto d’iniziativa politica delle forze ascese al potere nel Febbraio. Poteva sembrare l’esito d’una situazione senza vie d’uscita, la fine d’una nazione nella quale avevano prevalso le forze distruttive presenti al suo interno, ma si trattava principalmente di una storia europea negli anni della prima guerra mondiale, sulla quale buona parte delle società europee – e poi anche al di là dell’Europa – avevano investito le loro emozioni e alla quale avevano affidato le loro speranze. E continueranno a farlo anche

non avevano trovato «nulla da fare per me» – dopo la quale egli sarebbe rimasto un «isolato» – o un «senza partito» secondo la classificazione sovietica – per il resto della sua vita: ibid., pp. 33 e 34. 65 Ibid., pp. 27 e 28. 66 Ibid., p. 41. 67 Ibid., p. 35. 68 Alcuni spunti antisemiti sul prevalere degli ebrei nel nuovo potere e alcune note ucrainofobe abbastanza tradizionali nel liberalismo russo, sono il prezzo che Got’e paga al suo personale obščerossijskij patriotizm. 69 Ibid., p. 461.

dopo l’Ottobre per quello che quel regime rappresentava per la volontà d’uscire dalla guerra e cambiare i rapporti sociali. I russi hanno affascinato il mondo70, o hanno avuto un impatto su di esso, non per quello che hanno fatto, ma per la consonanza con quello che hanno tentato e che volevano fare molti milioni di loro contemporanei71 .

Il successo internazionale – dalla prima edizione americana72, ma anche in Europa e nella Russia sovietica – di un libro come Dieci giorni che sconvolsero il mondo di John Reed, oggi può essere difficile da spiegare, se non per il suo prestarsi – come lo stesso autore – a fortunate trasposizioni cinematografiche: opera d’un giornalista emotivamente molto partecipe e nel cuore della vicenda ma che non sapeva il russo, scritta a distanza d’un anno dagli avvenimenti sulla base degli appunti e dei ricordi ma anche dei suggerimenti e sotto il controllo dei vincitori, tesa a glorificare insieme a Lenin soprattutto colui che sarebbe stato il grande perdente degli sviluppi post-rivoluzionari – tanto che la pubblicazione della casa editrice del PCdI, nel 193073, lasciando i riferimenti a Trockij del resto difficili da espungere data la loro quantità, può essere considerata a suo modo un atto di coraggio. Sicuramente è un buon pezzo di giornalismo – di guerra o di rivoluzione – che sa intrecciare i grandi eventi e la vita quotidiana – non si può parlare di vita normale nella Pietrogrado del 1917 – e cioè la violenza diffusa, il freddo, la fame, il sonno, le mense, i trasporti, la difficoltà a capire che cosa stava succedendo. Ma, soprattutto, rispondeva a un bisogno d’identificarsi con la rivoluzione russa diffuso in molte parti del mondo e condiviso – per citare un testimone ormai insospettabile – «da tutti coloro che vedevano allora la Russia e, dietro di lei, il mondo volgere le spalle a un passato di guerre e di miserie»74 . Negli anni che seguono la fine della guerra mondiale si misura, nella situazione interna ai vari Stati europei e nel quadro geopolitico, come era cambiata l’Europa e come era cambiata la posizione della Russia nel mondo. L’Europa che esce dalla guerra mondiale porta su di sé i segni di ciò che dalla guerra – e anche contro la guerra – è stato generato: gli stessi trattati di pace sono un’eredità e una continuazione della guerra, come avrebbe spiegato tempestivamente Keynes, così come segnati dalla guerra sono i nuovi movimenti sociali descritti da Martov75, che mostravano comunque – nella reazione rappresentata dal

70 Moshe Lewin, Pourquoi l’Union soviétique a fasciné le monde, “Le monde diplomatique”, novembre 1997, pp. 16-17: un articolo che aiuta a capire il paradosso del fascino esercitato da un paese sempre in lotta con la propria arretratezza relativa. 71 La questione dell’“impatto”, che ha dato il titolo a varie ricerche, è complicata appunto perché richiede una comprensione sia di chi l’impatto lo esercita sia di chi lo subisce, di chi è disposto a recepire un messaggio perché vi cerca una risposta ai propri problemi. 72 John Reed, Ten Days That Shook the World, Boni and Liverlight, New York 1919. 73 John Reed, Dieci giorni che sconvolsero il mondo, Edizioni di Cultura Sociale, Paris 1930. 74 Boris Souvarine, Pierre Pascal et le sphinx, in Souvenirs, Editions Gérard Lebovici, Paris 1985, p. 130. In tutto questo, secondo Souvarine, non c’era «traccia di marxismo» (ivi), ma nemmeno bisogno di spiegazioni particolarmente complicate o di teorie cospirative: «L’interminabile guerra, in effetti, spiega abbastanza l’ascesa del bolscevismo in Russia e l’ascendente del comunismo sul movimento sociale nel mondo senza che vi sia bisogno di cercare macchinazioni tenebrose o pseudo-rivelazioni romanzesche» (ibid., p. 128). 75 Julij Martov, Bolscevismo mondiale, Introduzione di Vittorio Strada, Torino, Einaudi 1980. Si trattava d’una serie di articoli apparsi tra l’aprile e il luglio 1919 sulla rivista di Char’kov, “Mysl’”, e pubblicati in volume a Berlino nel 1923. Martov sintetizzava «le caratteristiche fondamentali del bolscevismo come fenomeno mondiale» in tre gruppi di fattori: «il massimalismo, il desiderio di ottene-

bolscevismo al “socialismo di guerra” dei grandi partiti della Seconda Internazionale – le ragioni del forte richiamo della Russia sovietica e una situazione del movimento operaio europeo ancora non cristallizzata nei campi separati degli anni successivi. L’intervento in Russia di alcuni grandi Stati europei, e non solo, è stato considerato in seguito un mito fondativo del regime sovietico – l’accerchiamento – ma è in questi anni una realtà contro la quale si schiera gran parte di quel movimento e non solo gli aderenti al bolscevismo. Dal punto di vista geopolitico, la fine degli imperi aveva portato alla formazione di una nuova Europa orientale. Nell’editoriale del primo numero della rivista della Gesellschaft für das Studium Russlands, “Osteuropa”76, che si proponeva di concentrare l’attenzione sulla Russia ma nel quadro di tutta l’Europa orientale, il suo direttore Otto Hoetzsch partiva proprio dal passaggio da una visione unitaria dell’impero russo alla presa d’atto d’una configurazione che da quella matrice aveva visto nascere, oltre alla Russia sovietica, i nuovi Stati periferici (Randstaaten) che si erano staccati da essa: Finlandia, Stati baltici, Polonia. Riconoscendo un certo ritardo per un paese come la Germania, i cui rapporti storici con la Russia erano rivitalizzati e drammatizzati nel presente dall’essere «compagni di sofferenze» (Genossen im Leid)77, Hoetzsch accennava alle grandi riviste che erano sorte negli anni di guerra negli altri paesi europei e che avevano tutte un orientamento non solo russo, ma europeo-orientale o slavo78, prendendo così implicitamente atto di quanto la questione russa incidesse sull’Europa orientale e impegnasse a ripensarne i rapporti e gli equilibri. Nel suo articolo, Hoetzsch sviluppava anche alcune considerazioni generali sulla posizione della Russia tra Europa e Asia, riprendendo alcuni importanti contributi nel mondo dell’emigrazione russa a affermando la prevalente appartenenza della Russia all’Europa, malgrado le direzioni indicate sia dalla corrente eurasiatica di Nikolaj Trubeckoj, sia dall’orientamento bolscevico alla rivoluzione mondiale «passando per l’Asia»79 . Alla configurazione geopolitica determinata dall’esistenza del nuovo Stato russo si aggiungeva, ancora nell’articolo di Hoetzsch, la realtà di un’«altra Russia» in Europa, che

re risultati immediati massimi nella realizzazione di miglioramenti sociali, trascurando le condizioni oggettive»; «l’assenza di un serio interesse per le necessità della produzione sociale, la prevalenza – come tra i soldati – del punto di vista del consumatore su quello del produttore»; «la propensione a risolvere tutti i problemi della lotta politica, della lotta per il potere, con l’uso immediato della forza armata, persino nei rapporti tra singole parti del proletariato» (ibid., pp. 6-7). 76 Otto Hoetzsch, Deutschland und Russland (Ein Wort zur Einführung), “Osteuropa”, n. 1 1925, pp. 1-8. Il sottotitolo della rivista era «Zeitschrift für die gesamten Fragen des europäischen Ostens». 77 Ibid., p. 2. 78 Hoetzsch citava per la Francia “Le Monde Slave” dell’Institut d’Etudes Slaves, per l’Inghilterra “The Slavonic Review” – dal 1928 “The Slavonic and East European Review” – della School of Slavonic Studies, per l’Italia “L’Europa Orientale” dell’Istituto per l’Europa Orientale. Si potrebbero almeno aggiungere, per la Francia, la “Revue des études slaves” e, per l’Italia, “Russia”, poi divenuta “Rivista di letterature slave”. Gli animatori di queste riviste –Pares, Mazon, Lo Gatto e altri – insieme allo stesso Hoetzsch, sono figure chiave per i rapporti culturali col mondo russo e slavo nell’Europa tra le due guerre. 79 Ibid., p. 4. Sulle oscillazioni – con riferimento all’opinione pubblica e alle classi dirigenti italiane del ’900 – nel rapporto Russia-Europa-Asia, vedi Giorgio Petracchi, La Russie: Orient ou “finistère” de l’Europe?, “Matériaux pour l’histoire de notre temps”, n. 76, Octobre-Décembre 2004, pp. 13-19.

aveva una dimensione «quale mai finora una emigrazione ha avuto»80. La rivoluzione e i suoi sviluppi lasciavano di fronte all’Europa una doppia presenza russa, due Russie ostili ma non separate, con aspri confronti politici e ideologici che naturalmente riguardavano l’interpretazione del 191781, ma anche con movimenti frequenti di andata e ritorno, con questioni di cittadinanza e di rappresentanza a lungo aperte, che avevano entrambe di fronte a sé una storia di rapporti ricchi e difficili con i diversi paesi europei.

L’impatto della nuova Russia, che esce dalla rivoluzione e dalla guerra civile, sulle società e sugli Stati europei si esplica attraverso strumenti diversi, che possono entrare in contraddizione fra loro, ma è in entrambi i casi un impatto molto forte, che condizionerà tutto il quadro europeo dopo la prima guerra mondiale e imporrà un nuovo rapporto tra politica interna e politica estera. Sotto gli occhi dell’Occidente non c’erano più solo spie, déracinés, personalità disturbate, ma signori dalle buonissime maniere e rivoluzionari internazionali trasformatisi in diplomatici – come Čičerin o Krasin, Litvinov o Rakovskij – e movimenti di massa che guardavano alla Russia come a un’altra patria.

Ma quelli delle due Russie – e della Russia come un’altra patria – sono nuovi capitoli, dei quali la rivoluzione del 1917 è solo l’inizio.

80 Otto Hoetzsch, Deutschland und Russland… cit., p. 2. 81 Per le interpretazioni storiograficamente rilevanti del 1917 russo nell’emigrazione, sono almeno da ricordare, negli anni Venti, l’opera di Pavel Miljukov, tornato in veste di storico, Istorija vtoroj russkoj revoljucii [Storia della seconda rivoluzione russa], in più volumi, Rossijsko-borgarskoe knigoizdatel’stvo, Sofija 1921-1923 e poi riedita da Rosspen, Moskva 2001; nonché quella di Sergej Ol’denburg, Le Coup d’état bolchéviste, Payot, Paris 1929.

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