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Stefano Garzonio
Stefano Garzonio
La letteratura russa in Italia negli anni della Rivoluzione. Il ruolo degli emigrati
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Sulla seconda pagina del settimanale “La Russia nuova” di martedì 13 agosto 1918 troviamo, a firma M. Starowierow, un articolo intitolato semplicemente Massimo Gorki. L’autore del testo, lo scrittore emigrato Michail Pervuchin (1870-1928)1, intendeva mettere in risalto l’atteggiamento ambiguo del grande scrittore nei confronti della patria, dei suoi destini, della guerra e del socialismo. Lo faceva riportando brani d’una lettera ricevuta dallo scrittore «mistico-russo», Aleksej Zolotarëv, anche costui all’epoca esule in Italia e strettamente legato all’impresa della «Biblioteca russa» di Umberto Zanotti-Bianco2. Nella sua lettera a Pervuchin, ampiamente citata nell’articolo e risalente al 1916, Zolotarëv si sfogava del comportamento di Gor’kij ancora nei primi anni della Grande Guerra, un comportamento che avrebbe messo in evidenza le «divergenze profondissime ed insanabili tra il Gorki-individuo, Gorki-russo, ed il Gorki l’uomo del partito»3 .
Il nostro così concludeva la sua missiva: «Gorki l’individuo, Gorki il russo, desidera la vittoria russa. Gorki lo schiavo della dottrina falsa, lo schiavo del partito, egli desidera la disfatta russa. Ed io non posso restare più suo amico». Pervuchin, anche sulla base dei dispacci pubblicati da Virginio Gayda sulla “Stampa”, constata che Gor’kij, tornato in patria, è ora osteggiato dai bolscevichi per l’orientamento del suo giornale “Novaja Žizn’”, ma allo stesso tempo ritiene che il grande scrittore, «se egli è ancora tra i vivi», sta pagando
1 Su questa figura si veda L’Italia sui giornali e i periodici dell’emigrazione russa in Lettonia (Le corrispondenze da Roma di Michail Pervuchin), “Res Balticae. Miscellanea Italiana di Studi Baltistici”, II (1996), pp. 201-218; S.M. Gučkov, Pervuchin Michail Konstantinovič, in Russkie pisateli (1800-1917) Biografičeskij slovar’ [Scrittori russi (1800-1917). Dizionario biografico]. t. 4, Izdat. Sovetskaja Ėnciklopedija, Moskva 1999, pp. 554-556; infine Stefano Garzonio-Bianca Sulpasso, Oskolki russkoj Italii. Issledovanija i materialy. Kniga 1 [Schegge dell’Italia russa. Ricerche e materiali. Libro I], Russkij Put’, Moskva 2013, pp. 82-86. 2 Cfr. Angelo Tamborra, Esuli russi in Italia dal 1905 al 1917, Laterza, Roma-Bari 1977, pp. 87-101; nonché le tante lettere presenti in Umberto Zanotti-Bianco, Carteggio 1906-1918, a cura di Valeriana Carinci, Laterza, Roma-Bari 1987. 3 M. Starowierow, Massimo Gorki, “La Russia Nuova”, 13 agosto 1918, p. 2. Sul complesso atteggiamento di Gor’kij nei confronti della prima guerra mondiale si veda il recente saggio di Lidija A. Spiridonova, Byl li Gor’kij poražencem? [Era Gor’kij un disfattista?], in Russkaja publicistika i periodika epochi pervoj mirovoj vojny. Politika i poetika. Issledovanija i materialy [La pubblicistica e i periodici russi dell’epoca della prima guerra mondiale. Politica e Poetica. Studi e materiali], a cura di Vadim Vladimirovič Polonskij et al., IMLI RAN, Moskva 2013, pp. 145-168.
un castigo «ben meritato, l’espiazione dei peccati». Non seguiremo oltre il ragionamento di Pervuchin, che nel prosieguo dell’articolo criticava Gor’kij per il suo disfattismo bellico fortemente legato alla linea del bolscevismo. Per tutto questo Gor’kij, secondo Pervuchin, portava «sulle sue spalle la responsabilità dell’accaduto in Russia…».
Questo breve saggio verrà di lì a poco sviluppato da Pervuchin in un ampio capitolo del volume I Bolsceviki, Zanichelli, Bologna 1918, nel quale i tratti contradittori della personalità letteraria e politica di Gor’kij venivano ulteriormente calcati:
Ci sono veramente due Gorki: il Gorki numero uno e il Gorki numero due. Il Gorki gigante e il Gorki pigmeo. Il Gorki numero uno è il romanziere, lo scrittore dalla forza meravigliosa, degno d’essere messo accanto a Dostojewski, a Tolstoi. Il Gorki numero due è l’uomo politico, l’uomo di partito, il socialista democratico, il quale si trova sempre in contrasto, in conflitto col Gorki numero uno, perché quel “numero due” è tanto piccolo, quanto il “numero uno” è grande4 .
È interessante notare come l’atteggiamento nei confronti di Gor’kij fosse mutato fortemente anche in Italia. Tra i numerosi esempi basta citare l’articolo di Ettore Moschino sul “Giornale d’Italia” del 29 luglio 1917, Il tramonto della gloria di Massimo Gorki. Proprio l’atteggiamento di Maksim Gor’kij nei confronti della guerra contro gli Imperi centrali – come non ricordare il celebre opuscolo di Lenin e Zinov’ev a proposito della guerra imperialistica – costituisce un antecedente della futura ricezione dell’Ottobre nella cultura italiana di stampo liberale e conservatore, ma non solo. Sarà forse un caso, ma negli anni della Grande Guerra e in quelli della guerra civile in Russia la pubblicazione delle opere di Gor’kij segnò un improvviso calo per poi riprendere, anche se non con la stessa frequenza degli anni prebellici, negli anni Venti, quando il grande scrittore tornò a vivere nel nostro paese5. Nel 1915, di Gor’kij, era apparso Bassi fondi sociali: Caino e Artemio, uno strano compagno..., dell’editore Bideri di Napoli, mentre nel 1920 uscì La rivolta degli schiavi pubblicata dalle Edizioni dell’Avanti!, che svolsero un ruolo di primo piano nella diffusione d’opere russe di contenuto rivoluzionario nel biennio rosso prima dell’avvento del fascismo.
Come mostra il succitato intervento di Michail Pervuchin, gli emigrati russi furono di grande aiuto al pubblico italiano nel districarsi tra le confuse notizie d’ordine letterario e culturale che provenivano dalla Russia in fiamme. All’indomani della rivoluzione d’Otto-
4 Mikhail Perwoukhine, I Bolsceviki… cit., p. 88. Il volume, con una Prefazione dello storico Evgenij Šmurlo, era stato pubblicato con finanziamenti dell’ambasciata russa. Sull’atteggiamento di Pervuchin nei confronti di Gor’kij si veda il saggio di Marina Arias, Odisseja Maksima Gor’kogo na “ostrove siren”: “Russkij Kapri” kak socio-kul’turnaja problema [L’Odissea di Maksim Gor’kij sull’“isola delle sirene”: “La Capri russa” come problema socio-culturale], “Toronto Slavic Quarterly”, n. 17 Summer 2006, http://sites.utoronto.ca/tsq/17/arias17.shtml. 5 Scriverà nel 1926 Ugo Ojetti: «Ho pranzato coi Valli e coi Papini qui alla Casina di Villa Borghese. Folla immensa, ben vestita, felice. Eleganza, anche della trattoria e del caffè all’aperto, quasi parigina. Orchestrina. Lumi rossi e blu tra le fronde degli alberi. Tramonto languido tra i pini. All’improvviso tra la folla anonima, alto, scheletrico, giallo, malinconico appare, seguito da due o tre russe, Massimo Gorki. E la folla mi s’appiattisce in un formicolio vano. Non lo saluto, non mi faccio riconoscere, la politica di questi dodici anni ci ha divisi. Ma degli scrittori, dei pochi scrittori ancora vivi, egli è dei tre o quattro che fanno vetta e che sono sicuri di non morire», in Ugo Ojetti, I taccuini (1914-1943), Sansoni, Firenze 1954, pp. 228-229.
bre, accanto a un più ampio dibattito politico e giornalistico, si andò sviluppando in Italia anche un variegato dibattito letterario, e più generalmente culturale, sulla rivoluzione, che fin da subito – come mostrano i succitati testi di Pervuchin – fu alimentato da numerose pubblicazioni dovute alla penna di scrittori, pensatori e politici appartenenti alla diaspora russa. In una complessa sinergia e talvolta contrapposizione col mondo letterario italiano, questi autori orientarono il lettore nostrano sia attraverso interventi pubblicistici e critico-letterari – il già ricordato Pervuchin6, Evgenij Anan’in, Boris Jakovenko, Anna Kolpinskaja, Evgenij Zabugin, Mark Slonim e altri – sia attraverso una vasta opera di traduzione – Ol’ga Resnevič-Signorelli, Eva Kühn Amendola, Raissa Ol’kienickaja Naldi, Nina Romanovsky, ecc. – sia infine attraverso opere letterarie proprie originali – sarà il caso di Aleksandr Amfiteatrov, Ossip Felyne (pseudonimo di Osip Blinderman), Lia Neanova, Rinaldo Küfferle e altri7 . L’ampia schiera d’intellettuali russi o russo-italiani – penso ad Andrea Caffi, Giovanni Bergamasco8 e al già citato Küfferle – attivi in Italia negli anni successivi alla rivoluzione, fornirono un contributo significativo alla diffusione della cultura russa in Italia e, allo stesso tempo, svolsero un ruolo di primo piano nell’atteggiamento che la cultura italiana andò via via formando verso la nuova realtà politica, culturale e letteraria sovietica, atteggiamento che nei diversi campi politici ora fu di critica, ora d’entusiastica accettazione. Molti profughi russi si troveranno poi in sintonia con la nuova cultura del periodo fascista – Pervuchin, Michail Semënov, Vladimir Frenkel’, Nikolaj Ževachov – mentre altri non nasconderanno la loro avversione per il regime mussoliniano ed emigreranno dall’Italia fascista – ad esempio Mark Slonim, Anna Kolpinskaja, Boris Jakovenko e Karl Veidemiller; molti si dedicheranno al nostalgico vagheggiamento della perduta Russia imperiale d’antan nel più ampio quadro della vita delle colonie russe in Europa tra le due guerre, confidando talvolta in un ruolo attivo di lotta al bolscevismo e di liberazione della Russia da parte di Mussolini.
In molti scritti dell’epoca non troviamo diretti riferimenti alla coeva vita letteraria in Russia, anche per le oggettive difficoltà di comunicazione e informazione, ma, ciononostante, molti interventi più generalmente dedicati alla letteratura russa, ai suoi tratti storici e ai suoi destini, parteciparono alla formazione del complessivo atteggiamento della cultura e della letteratura italiane, degli scrittori, nei confronti della rivoluzione e delle sue prospettive in ambito letterario e artistico.
6 Lo scrittore che contemporaneamente collaborava con molte testate dell’emigrazione russa, dedicò un romanzo alla rivoluzione d’Ottobre – Pugačëv-Pobeditel’ [Pugačëv il Vincitore], Mědnyj Vsadnik, Berlin 1924 – ma curiosamente non si adoperò per una sua traduzione e pubblicazione in Italia. 7 Su tutti questi personaggi, oltre alle voci biografiche presenti sul sito www.russinitalia.it, si vedano i rispettivi paragrafi del volume di Stefano Garzonio-Bianca Sulpasso, Oskolki russkoj Italii… cit. 8 Su Andrea Caffi si veda Marco Bresciani, La rivoluzione perduta: Andrea Caffi nell’Europa del Novecento, Il Mulino, Bologna 2009 e Daniela Rizzi, “L’amicizia non è una vana parola”. Lettere di Andrea Caffi a Olga Signorelli, “Europa Orientalis”, Vol. IV 2009, pp. 347-402. Su Giovanni (Ivan) Bergamasco, cfr. invece Liceo Classico Statale A. Pansini di Napoli, Storie di antifascisti napoletani. Giovanni Bergamasco, Enrico Russo, docenti coordinatori Giuseppe Aragno e Arianna Anziano, s.e., anno scolastico 2001-2002; nonché Giuseppe Aragno, Antifascismo e potere. Storia di storie, Bastogi, Foggia 2012.
Voglio brevemente riportare qualche esempio. Nel suo volume I precursori della Rivoluzione Russa, pubblicato presso la società anonima editrice La Voce di Roma nel 1919, Anna Kolpinskaja9 ricostruisce la storia dell’intelligencija russa con particolare attenzione al pensiero e all’opera dei grandi scrittori del XIX secolo, ma anche del primo Novecento, riportando spesso in traduzione brani delle loro opere. Lo scritto è preceduto da un saggio di Nikolaj Berdjaev, L’anima della Russia, che ben risponde a quell’ampio interesse per la specificità della storia spirituale russa che fu assai diffuso in quegli anni tra gli intellettuali italiani. Ovviamente la Kolpinskaja intende per rivoluzione russa il Febbraio, fornendo un giudizio negativo sul colpo di Stato bolscevico, posizione questa che era strettamente legata a quella del giornale “La Russia Nuova”, al quale costei collaborava. In appendice al volume troviamo un lungo intervento di Umberto Zanotti Bianco su La Russia e il principio di nazionalità, che peraltro ben inquadrava la posizione del volume nell’ambito del dibattito sulle nazionalità e sulla continuazione della guerra contro gli Imperi centrali, e non a caso Zanotti Bianco annota: «Per le varie nazionalità infatti il Bolscevismo è apparso un pericolo non meno grave dello Zarismo»10. Nel saggio viene perciò citata per intero una lirica di Valerij Brjusov dedicata alla fraternità russo-polacca11 .
Più direttamente legato all’attualità e alle questioni della letteratura negli anni della guerra civile, risulta un interessante paragrafo del volume di Mark Slonim, Il bolscevismo visto da un russo, Le Monnier, Firenze 1920. Slonim, letterato e critico di grande valore, ma anche personaggio politico di rilievo nel blocco antibolscevico della guerra civile12, offre al lettore italiano una breve rassegna di quanto sta avvenendo nella letteratura russa nei primi anni della dittatura proletaria. Dopo aver ricordato la meritoria iniziativa di Lunačarskij di ripubblicare i classici della letteratura, Slonim afferma in modo assai lapidario: «Il bilancio letterario della rivoluzione bolscevica si riduce appena appena a un piccolo poema di A. Blok Dodici, dove, sotto la forma di 12 guardie rosse, macchiate di delitti e di sangue, il poeta vorrebbe rappresentare i dodici apostoli del nuovo verbo socialista che, malgrado la loro mala vita, diventano gli araldi della società futura»13. Subito dopo Slonim pone in risalto l’appoggio offerto dai bolscevichi alle arti figurative e, in particolare, ai futuristi. Infine conclude: «Certo sarebbe un errore attribuire ai bolscevichi l’odio contro l’arte e la scienza. Tutt’altro: essi tendono verso uno sviluppo artistico ed intellettuale della nazione e lavorano moltissimo a questo scopo. Ma non riescono e non riusciranno a creare
9 Sulla Kolpinskaja si veda Stefano Gardzonio, Stat’ja A.N. Kolpinskoj o Ju. Baltrušajtise v žurnale “Rassegna Contemporanea” [Il saggio di A.N. Kolpinskaja su Ju. Baltrušajtis sulla rivista “Rassegna Contemporanea”], in Na rubeže dvuch stoletij [Al confine di due secoli], a cura di Vsevolod E. Bagno et al., NLO, Moskva 2009, pp. 120-125. 10 Umberto Zanotti Bianco, La Russia e il principio di nazionalità, in Anna Kolpinskaja, I precursori della Rivoluzione Russa, cit., p. 247. 11 Ibid., pp. 227-228. 12 Su Mark Slonim si veda Antonello Venturi, L’emigrazione russa nel dopoguerra europeo: Mark Slonim, il nazionalismo rivoluzionario e il fascismo (1914-1923), in Emigrazione russa in Italia: periodici, editoria e archivi (1900-1940) [Russkaja emigracija v Italii: žurnaly, izdanija i archivy, 1900-1940], a cura di Stefano Garzonio e Bianca Sulpasso, Europa Orientalis, Salerno 2015, pp. 131-152. 13 Mark Slonim, Il bolscevismo visto da un russo, cit., p. 161.
molto: perché la scienza e l’arte non possono fiorire senza quell’elemento primo che manca alla Repubblica sovietista: la libertà»14 .
Sempre Pervuchin, nella Prefazione al suo secondo volume di saggi dedicati alla rivoluzione russa – La Sfinge bolscevica, ancora pubblicato da Zanichelli, Bologna 1920 – Prefazione che significativamente è intitolata La prefazione che manca, perché sarebbe stata promessa allo scrittore da Leonid Andreev che proprio nel 1919 perì per effetto d’un bombardamento bolscevico in Finlandia, presenta al lettore italiano un testo centrale della resistenza degli intellettuali russi d’orientamento socialista alla rivoluzione bolscevica. Mi riferisco a S.O.S. “Al soccorso”, che costituisce una sorta di appello al mondo per la salvezza della Russia. Proprio l’attenzione assai ampia della cultura italiana per l’opera di Andreev si andrà rafforzando per l’immagine internazionale che lo scrittore assunse nella lotta per la libertà della Russia e della sua letteratura. In questo senso, particolarmente meritoria sarà l’opera del traduttore e curatore di molti testi di Andreev, il socialista Cesare Castelli, già legato alla colonia russa di Capri15, il quale si dedicherà anche alla diffusione in Italia delle opere di Maksim Gor’kij e George Bernard Shaw16. Di particolare interesse, in relazione ai fatti dell’Ottobre, risulta il volumetto apparso nel 1918 nella Biblioteca Universale Sonzogno – nella traduzione e con Prefazione di Castelli – di Leonid Andreev, La rivoluzione (Così fu): romanzo.
Nella sua Prefazione, Cesare Castelli presenta il testo di Andreev risalente al 1907 come un’opera di «profetica chiaroveggenza» e lo scrittore come «il profeta della rivoluzione». Certo, nel presentare il testo di Andreev il Castelli tende a distinguere nettamente la rivoluzione russa dal «colpo di Stato» bolscevico. Scrive infatti:
Purtroppo la rivoluzione russa ha avuto un arresto, nel caos bolsceviko, il quale appunto può considerarsi come la forma concreta di quel tale intervento straniero che la veggente penna di Andreyeff avea descritto; e la storia di quel rivolgimento non può dirsi finita, anzi si innesta in un’altra storia che pure Andreyeff ha antiveduto col suo dramma Re fame: la sollevazione dei paria, l’anarchia degli istinti brutali, la vendetta degli affamati17 .
Negli anni della rivoluzione e della guerra civile, la cultura letteraria italiana è fortemente ancorata ai nomi degli scrittori del tardo realismo e del decadentismo russi e d’altra parte anche in Russia non si era ancora formata una nuova letteratura d’orientamento
14 Ibid., pp. 163-164. 15 Angelo Tamborra, Esuli russi in Italia dal 1905 al 1917… cit., pp. 13, 21. 16 Cesare Castelli fu il più prolifico traduttore di Leonid Andreev: vedi Laurent Béghin, Da Gobetti a Ginzburg. Diffusione e ricezione della cultura russa nella Torino del primo dopoguerra, Istituto Storico Belga di Roma, Bruxelles-Roma 2007, p. 70. Di Gor’kij, tra l’altro, egli tradusse il celebre romanzo La madre e il dramma I figli del sole. Pubblicò anche la traduzione del dramma di Evgenij Čirikov, Gli ebrei, Voghera Ed., Roma 1908 e per Sonzogno una traduzione dello scrittore contadino Stepan Skitalec, Mio padre: romanzo per la gioventù, Sonzogno, Milano 1921. Interessante notare come Ettore Lo Gatto critichi il Castelli per le sue traduzioni che, a suo parere, sarebbero state realizzate non dall’originale, ma dalla traduzione tedesca: cfr. Ettore Lo Gatto, recensione a Leonida Andreyeff. Padre Vassili, “L’Italia che scrive”, n. 11 1922, p. 206. Castelli fu rappresentante in Italia della casa editrice russa berlinese Ladyžnikov: si veda Chiara Mazzucchelli, L’editoria milanese e le traduzioni dal russo, “Archivio Russo Italiano”, V 2009, p. 284. 17 Cesare Castelli, Prefazione a Leonid Andreyeff, La Rivoluzione (così fu)… cit., p. 6.
sovietico e nel caos regnante le diverse voci s’intrecciavano in modo confuso e contraddittorio, come confuse e contraddittorie erano le notizie provenienti dall’Impero russo in disfacimento. Noteremo inoltre che l’Italia era stata approdo e comunque fertile campo di dialogo letterario e culturale già a partire dalla rivoluzione del 1905 e gli autori, le opere, i temi letterari legati a quella stagione storico-politica erano ancora al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica italiana.
In questo senso il teatro e la prosa di Andreev, come peraltro molte opere di Gor’kij, per non parlare dell’ultimo Tolstoj e della sua produzione pubblicistica, condizionavano fortemente l’approccio della cultura italiana alla Russia e anzi avevano, per così dire, favorito un vero e proprio orientamento culturale verso la tradizione letteraria del grande realismo russo – penso a Federigo Verdinois, Matilde Serao, Giovanni Gandolfi, Gian Pietro Lucini, Innocenzo Cappa, Luigi Conforti, ma anche al Pascoli dei poemetti su Tolstoj e su Gor’kij18 . Fu grazie a Innocenzo Cappa – che visitò la Russia nel giugno-luglio 1917 in una missione dell’Intesa con Arturo Labriola, Giovanni Lerda e Orazio Raimondo – che Castelli poté conoscere la posizione di Andreev sulla rivoluzione e fu proprio questa consonanza di giudizi che probabilmente lo spinse a presentare il testo d’Andreev in questo frangente19. Il racconto di Andreev narrava d’una sollevazione cruenta del popolo contro il proprio re, il «Ventesimo», e si concentrava sulla figura d’un orologiaio monocolo che dalla torre del suo grande orologio osservava le miserie e le violenze del mondo e ascoltava il pendolo ripetere in maniera monotona: «Così fu, così sarà». Dell’importanza dell’opera d’Andreev per la cultura italiana alla fine degli anni Dieci e poi negli anni Venti, è chiara testimonianza l’interesse manifestato per la sua opera da Piero Gobetti che scrisse di lui a più riprese e ne tradusse vari testi coadiuvato da Ada Prospero20. Fu ancora Pervuchin a presentare al pubblico italiano il poema I dodici di Aleksandr Blok. Nel capitolo Il giardino cinese, incluso nel già ricordato volume La Sfinge bolscevica, Pervuchin per primo riportò ampi brani del celebre poema blokiano e ne fornì un commento profondamente negativo in sintonia con le tante reazioni di sdegno che si erano levate nei circoli dell’emigrazione russa del tempo. Il giudizio di Pervuchin sull’opera di Blok è in generale lapidario, come poteva esserlo quello d’un sostenitore del tardo realismo d’orientamento vagamente populista, ma quello che colpisce è il tono violento e le esplicite accuse di collaborazionismo con il regime bolscevico mosse al grande poeta.
18 Cfr. Cesare G. De Michelis, Il “testo russo” nella narrativa italiana del XX secolo, “Toronto Slavic Quarterly”, n. 17 Summer 2006, https://www.utoronto.ca/tsq/17/michelis17.shtml. 19 Il Castelli rimanda all’articolo di Leonid Andreev dal titolo Dove andiamo a finire? e alla convinzione dello scrittore che «a furia di esperienze utopiche» la Russia, dopo l’ebbrezza della libertà quasi anarchica, sarebbe precipitata nella dissoluzione e caduta in balia completa dei nemici: vedi Cesare Castelli, Prefazione… cit., p. 7. 20 Mi riferisco ai saggi Leonida Andreiev in Italia , “Energie Nove”, serie II, n. 8 1919, pp. 166168; nonché Andreiev, Prefazione alla traduzione del Figlio dell’uomo, Sonzogno, Milano 1919, pp. 3-30; inoltre Savva, Prefazione alla traduzione di Savva (Ignis sanat), Taddei & Figli, Ferrara 1921, pp. 6-15; e ancora “Anfissa” di L. Andreiev e “Maschere nere”. Dramma di L. Andreiev, pubblicati entrambi su “L’Ordine nuovo” rispettivamente dell’8 Novembre e del 6 dicembre 1921. Come è noto Gobetti con la futura moglie Ada Prospero studiò il russo dall’autunno 1918 sotto la guida dell’emigrata russo-ebrea Rachele Gutman, moglie del noto traduttore Alfredo Polledro: cfr. Laurent Béghin, Da Gobetti a Ginzburg… cit., pp. 138-140; Bruno Bongiovanni, Piero Gobetti e la Russia, “Studi storici”, n. 3 1996, p. 727.
Leggiamo tra l’altro:
Dopo l’avvento al potere dei bolsceviki, Alessandro Block, uno dei pochi intellettuali e uno tra i pochissimi scrittori russi che hanno riconosciuto il dominio dei leninisti, passò al servizio dei bolsceviki e in ricompensa ebbe da essi il titolo onorifico di “poeta della rivoluzione proletaria”, il diritto di pubblicare le sue poesie sui fogli ufficiali e… il razionamento consentito solamente ai lavoratori utili per la Repubblica dei Sowiet degli operai, dei contadini e dei soldati21 .
Pervuchin, nel riportare alcuni frammenti del testo – e questa fu certamente opera altamente meritoria, anche in considerazione della precisione e della fedeltà della traduzione – tese ad evidenziare il carattere blasfemo del testo blokiano e a condannare l’esaltazione della crudeltà e della violenza gratuita che guidano le dodici guardie rosse, apostoli della nuova religione. La traduzione parziale del poema presentata da Pervuchin anticipa di pochissimo quella dell’Anonimo uscita per i tipi di Quintieri: Canti bolscevichi, R. Quintieri Editore, Milano 1920; quella di Telesio Interlandi e Giorgio Bomstein in Poesia e arte bolscevica, Casa Editrice Rassegna Internazionale, Pistoia 1920, in una bella edizione con illustrazioni di Natalija Gončarova e Michail Larionov; infine quella parziale di Ettore Lo Gatto, basata su un testo giunto manoscritto – sic! – e apparsa sul primo numero di “Russia” del 1920 alle pp. 49-54.
La prima, com’è noto, ripubblicata nel 1986 da Scheiwiller, è stata attribuita a Clemente Rebora, anche se poi si è dovuto riconoscere tale attribuzione assai improbabile; la seconda fu realizzata dal futuro direttore de “La Difesa della razza”, Telesio Interlandi, in collaborazione con l’emigrato russo Bomstein22; la terza da Ettore Lo Gatto, agli esordi della sua prestigiosa carriera di studioso e promotore della letteratura e della cultura russe in Italia. Il fatto che Interlandi avesse collaborato con un emigrato russo, Giorgio Bomstein, conferma il ruolo centrale svolto dagli esuli nella diffusione delle nuove tendenze della letteratura rivoluzionaria russa. Lo stesso caso dell’Anonimo o falso Rebora23, aveva fatto sollevare l’ipotesi d’una collaborazione del poeta con la pianista russa Lydia Natus che era stata sua amante e alla quale il poeta aveva dedicato il suo ciclo poetico Dieci poesie per una lucciola24. A questo proposito De Michelis brevemente chiarisce:
21 Mikhail Perwoukhine, La Sfinge bolscevica… cit., p. 153. 22 Gregorio Bomstein, emigrato dalla Russia, tradusse in italiano anche Le ombre di Vladimir Korolenko – con Luigi Orsini su “Nuova Antologia”, Vol. 195, 1918, pp. 121-138 – e, sempre con Interlandi, Il Vendicatore di Čechov, Casa Editrice Urbis, Roma 1921. Tra il 1919 e il 1920 Gregorio Bomstein pubblicò sulla “Rassegna internazionale” un lungo saggio dedicato alla cultura letteraria della Russia bolscevica, nel quale forniva un quadro approfondito della letteratura russa negli anni della rivoluzione e della guerra civile. In particolare, si soffermava sui poeti, con riferimenti a Blok, Brjusov, Majakovskij, Severjanin, Dem’jan Bednyj, Andrej Belyj: cfr. Gregorio Bomstein, Il pensiero e le sue espressioni nella Russia Bolscevica, “Rassegna internazionale”, suppl. mensile della “Rassegna nazionale”, a. I, n. 9 1919, pp. 593-597. Egli è anche autore del saggio La Russia e le civiltà orientale e occidentale, ibid., n. 3 1919, pp. 198-207. 23 Cfr. Giuseppe Ghini-S. Amico Roxas, “Dodici” senza Rebora. Expertise sulla traduzione dei “Dodici” di Blok attribuita a C. Rebora, “Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Messina”, n. 12 1994, pp. 15-35. 24 Si veda Angela Donna, Il poeta e la sua lucciola. La storia d’amore di Lydia Natus e Clemente Rebora, Stampa Alternativa-Nuovi Equilibri, Viterbo 2013.
L’ipotesi era stata avanzata già nel 1960 da Giovanni Giudici; e allora Scheiwiller scrisse a Lidia Natus (la Lidusa a cui è dedicata la traduzione reboriana di Lazzaro di Andreev, 1919), la quale escluse d’aver lavorato con Rebora anche alla versione blokiana, ma informò che nel 1917-18 Rebora aveva avuto modo di leggere in traduzione delle poesie di Blok, che lo avevano molto interessato. Confortato dal parere di altri, tra cui Giovanni Raboni (che ci metterebbe la mano sul fuoco), convinto che certe asprezze di linguaggio fanno ricordare quelle di Rebora e che l’anonimato stesso è nello stile del poeta dei Canti anonimi, Scheiwiller ipotizza che forse Clemente Rebora si avvalse di altre versioni letterali25 .
Quali siano queste «altre versioni letterali» non è stato ancora chiarito, come anche le poesie di Blok delle quali la Natus scrisse a Scheiwiller ma, credo, bisogna tener conto dell’ambiente della “Voce”, dell’amicizia tra la Natus e Giovanni Boine26, e anche dei legami con altri emigrati russi: penso, ad esempio, a Eva Kühn-Amendola traduttrice di Juris Baltrušajtis, al salotto della Resnevič-Signorelli e ancora a Raissa Naldi27 .
Altrettanto non chiara risulta la provenienza del “manoscritto” utilizzato da Ettore Lo Gatto. La comparsa di queste tre traduzioni – Anonimo, Interlandi-Bomstein e Lo Gatto – segna un atteggiamento diverso in Italia verso la nuova cultura sovietica dopo alcuni anni d’indubbio caos tra la consonanza con la tradizione letteraria della prima rivoluzione russa d’orientamento socialista e più moderato, e il rifiuto delle nuove tendenze che, peraltro, ancora non si erano chiaramente manifestate nella stessa letteratura russa degli anni della guerra civile. Tra l’altro in questi anni la diaspora russa, specie nella Berlino a cavaliere dei due decenni, risultava assai più variegata e articolata, con molti dei rappresentanti di quella che sarà la letteratura sovietica degli anni Venti momentaneamente lontani dalla patria. E così la pubblicazione quasi contemporanea di tre traduzioni de I dodici segna un evidente cambiamento di direzione, mentre lo scritto di Pervuchin ci ricorda come la frattura tra le due letterature, quella sovietica e quella dell’emigrazione, è già un dato di fatto.
Delle traduzioni de I dodici, tra l’altro, ebbe a scrivere Piero Gobetti su “Ordine Nuovo” del 6 marzo 1921. Egli così annotava: «Ne conosciamo tre edizioni italiane. La prima in ordine di tempo è di Ettore Lo Gatto e fu stampata nel fascicolo di ottobre (1920) della rivista “Russia”. L’edizione Quintieri (Milano 1920) è la prima che contenga tradotto per intero il canto I dodici. La versione (anonima) è un po’ incerta, rozza, con qualche errore piuttosto
25 Cesare G. De Michelis, Chi ha tradotto i Canti Bolscevichi?, “la Repubblica”, 27 marzo 1987. Sulla traduzione dell’Anonimo si veda anche Id., Nota sulle traduzioni italiane de “I dodici”, in Aleksandr Aleksandrovič Blok, I dodici, Marsilio, Venezia 1995, pp. 31-32. 26 Cfr. Giovanni Boine, Carteggio. Vol. IV. Giovanni Boine, amici della Voce, vari: 1904-1917, a cura di Margherita Marchione e Samuel Eugene Scalia, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1979, p. X. 27 Su Eva Kühn-Amendola traduttrice di Baltrušajtis si veda Stefano Gardzonio, Nekotorye zamečanija ob ital’janskich perevodach iz poezii Ju. Baltrušajtisa [Alcune note sulle traduzioni italiane della poesia di Ju. Baltrušajtis], in Puti iskusstva: Simvolizm i evropejskaja kul’tura XX veka [Le vie dell’arte: il Simbolismo e la cultura europea del XX secolo], a cura di Dimitrij Michajlovič Segal et al., Vodolej Publishers, Moskva 2008, pp. 308-316. Circa il ruolo di Ol’ga Resnevič-Signorelli, vedi invece Elda Garetto-Daniela Rizzi (a cura di), Archivio russo-italiano. Vol. VI. Olga Signorelli e la cultura del suo tempo, Europa Orientalis, Salerno 2010; e, per i suoi rapporti con Papini, Raffaella Vassena (a cura di), L’epistolario di Giovanni Papini e Olga Signorelli, ibid., pp. 129-148, nonché il Carteggio Papini-Signorelli, Quaderni dell’Osservatore, Milano 1979.
grave»28. Più oltre il Gobetti analizza il poema blokiano basandosi sulla traduzione d’Interlandi e Bomstein, e tende ad individuare gli elementi di novità in senso realistico del poema in opposizione alla produzione poetica prerivoluzionaria di stampo marcatamente «individualistico».
Il volume d’Interlandi e Bomstein fu recensito anche da Corrado Pavolini, che volle individuare nella poesia rivoluzionaria di Blok una commistione tra la maniera di Aldo Palazzeschi e la poesia del crepuscolare Mario Mariani: «un mistico invasato di ferocia, un pargoleggiante che vuol tagliar la testa ai borghesi». Da notare come Pavolini critichi la stessa traduzione del testo: «Le due versioni sono abbastanza libere: in ispecial modo la seconda, dove parecchie lucciole bambinesche son prese per i soliti lanternoni delle ronde notturne»29 .
A latere potremmo notare come risulti almeno curiosa l’attività d’Interlandi traduttore dal russo e per di più in collaborazione con un emigrato ebreo. Da notare come l’Interlandi negli stessi anni tradusse dal russo due testi di Andreev, il primo ancora in collaborazione con Bomstein, il secondo sempre con un emigrato d’origine ebraica: Boris Gurevič30 .
Nel 1923 Ettore Lo Gatto dà alle stampe l’opuscolo Poesia russa della Rivoluzione, Alberto Stock Editore, Roma 1923, nel quale – come peraltro sulle pagine della rivista da lui diretta, “Russia” – il grande slavista offre un panorama critico e di testi assai più ampio ed esaustivo della nuova poesia russa: da Blok e Belyj fino a Majakovskij, appunto. Per quanto riguarda il giudizio su Blok, ma non solo, risulta importante per l’approccio scelto da Lo Gatto il contributo La poesia russa contemporanea dello scrittore emigrato Boris Zajcev, il quale, per iniziativa dell’Istituto per l’Europa Orientale, era venuto a Roma nel 1923 nell’ambito d’un ciclo di lezioni organizzate dal Comitato di sostegno all’intelligencija russa. L’intervento di Zajcev era stato pubblicato su “Russia”31 .
Nel 1924, Raissa Naldi Olkienizkaia dava alle stampe presso i Fratelli Treves di Milano il volume Antologia dei poeti russi del XX secolo, nel quale troviamo opere di tutti i maggiori rappresentanti del cosiddetto “Secolo d’Argento” – tra Decadentismo e Acmeismo. Molti di quegli autori si trovavano adesso nell’emigrazione – da Konstantin Bal’mont a Dmitrij Merežkovskij, da Zinaida Gippius a Ivan Bunin, da Igor’ Severjanin a Marina Cvetaeva – e di molti autori si presentavano opere appartenenti all’epoca prerivoluzionaria, ma proprio in questa prospettiva risaltavano per contrasto, tra gli altri, un lungo fram-
28 Piero Gobetti, Paradosso dello spirito russo e altri scritti sulla letteratura russa, Einaudi, Torino 1976, pp. 88-89. 29 Corrado Pavolini, rubrica Letterature straniere in Italia, “L’Italia che scrive”, n. 7 1921, p. 144. Sulla fortuna di Blok in Italia si veda il saggio di Michaela Boehmig, Blok v Italii. 1920-1930-e gody [Blok in Italia. Anni 1920-1930], in Aleksandr Blok: Novye materialy i issledovanija [Aleksandr Blok: materiali e ricerche], Literaturnoe nasledstvo, t. 92. kn. 5 [L’eredità letteraria. Tomo 92. Vol. 5], Nauka, Moskva 1993, pp. 551-563. 30 Mi riferisco a Leonid Andreieff, Il cieco. Dramma in quattro atti, La rivista letteraria, Roma 1920 e a Id., Diario di Satana, Apollo, Bologna 1922. Con Boris Gurevič, Interlandi tradusse anche Girotondo di Arthur Schnitzler. Molti anni più tardi, mosse una critica al passato «ebraizzante» d’Interlandi, Filippo Tommaso Marinetti, come risulta dal resoconto di Cornelio di Marzio sulla manifestazione al Teatro delle Arti del 3 dicembre 1938: cfr. Nunzio Dell’Erba, L’eco della storia. Saggi di critica storica: massoneria, anarchia, fascismo e comunismo, Universitas Studiorum, Mantova 2013, p. 141. 31 Boris Zajcev, La letteratura russa contemporanea (Uomini e movimenti), “Russia”, n. 3-4 1923, pp. 474-504.
mento ancora de I dodici di Blok e tre testi di Vladimir Majakovskij, inseriti in una sezione dedicata ai «poeti bolscevichi»32 .
Che il tema della rivoluzione fosse comunque presente alla curatrice e traduttrice dell’antologia, risulta evidente nella scelta di alcuni dei testi tradotti, che quasi stanno in contrapposizione tra loro. Di Marina Cvetaeva viene proposto Il sogno della rivoluzione del novembre 1920, breve lirica che offre una visione apocalittica e terribile fondata sul rifiuto dei tragici eventi dell’Ottobre e della guerra civile: «In ogni finestra un ribollire di bandiere. / Una finestra è chiusa»33 .
Segue, come accennato, una sezione dedicata alla nuova poesia sovietica. La sezione è introdotta da una breve nota intitolata I poeti bolsceviki. In essa la Naldi affermava:
La poesia non è morta nella Russia bolscevica. Nei primi anni della rivoluzione anche i maggiori poeti della “vecchia guardia”, Briussov, Blok, Bielyj e gli altri trassero dalla propria lira dei nuovi accordi. Gli altri, più giovani, esorditi prima della guerra, maturarono e crebbero sotto la tempesta; altri ancora arrivarono in folla un po’ caotica, ma non priva di cantori di schietta vena. Do in questa Antologia qualche saggio della musa ribelle, scegliendo le poesie che mi sembrano più forti, originali e caratteristiche dell’epoca34 .
Nell’antologia, la Naldi inserisce due poeti contadini, Nikolaj Kljuev e Sergej Esenin, e poi si concentra su Majakovskij, del quale nella nota già inserisce la traduzione dell’Ordine all’Esercito dell’arte: «Basta con le verità da soldino: / cancella dal cuore il passato, / Le strade sono i nostri pennelli, / Le piazze le nostre palette! / Nel libro dei tempi, / dai mille fogli, / i giorni della rivoluzione / non furono cantati. / Fuori, fuori, futuristi, / Tamburini e poeti»35. Più oltre, la Naldi riporta i nomi di altri poeti attivi nei primi anni del potere dei Soviet, la cui personalità ritiene «meno originale o meno espressa», pur riconoscendone il «talento e la vena poetica». Nell’elenco troviamo, tra gli altri, Boris Pasternak, Vasilij Kazin, Rjurik Ivnev e Vasilij Kamenskij.
Di Majakovskij, la Naldi presenta La nostra marcia, Poeta operaio e A se stesso – amato – queste righe l’Autore dedica. Quando compaiono in versione italiana questi testi di Majakovskij, il nome del poeta della rivoluzione russa è già ben noto in Italia e anche in questo caso il contributo degli emigrati russi o d’intellettuali russofoni è sostanziale. In particolare, un ruolo di primo piano fu svolto dall’artista d’avanguardia, architetto, fotografo, pittore e scrittore Vinicio Paladini, anch’egli italo-russo, nato a Mosca nel 1902 da padre italiano e madre russa. Costui, ben vicino alle istanze dell’avanguardia sovietica, tese a combinare le tecniche futuriste al pensiero marxista di Gramsci, in una serie d’articoli apparsi su “Avanguardia” nel 1922, vale a dire nel momento più vivo del dibattito comunista su Marinetti e il futurismo, riconducibile alle note dichiarazioni di Lunačarskij, alla lettera di Gramsci a Trockij e anche alla nascita del “Proletkult” di Torino36. Legato alla
32 Raissa Naldi Olkienizkaia in Antologia dei poeti russi del XX secolo, Fratelli Treves Editori, Milano 1924, pp. 209-234. 33 Ibid., p. 193. 34 Ibid., p. 209. 35 Ivi. 36 Da notare che su “Avanguardia” pubblicò, a proposito di futurismo russo e rivoluzione, anche Duilio Remondino. Sull’“Avanguardia” del 16 gennaio 1921 apparve la lirica di Jaroslavskij La pre-
celebre Casa d’Arte Bragaglia, nel 1925 Paladini pubblicò Arte nella Russia dei Soviets: il padiglione dell’U.R.S.S. a Venezia, La bilancia, Roma 1925 e nel 1927, sul primo numero de “La ruota dentata”, presentò il manifesto Prima rivelazione dell’immaginismo37 .
Se andiamo a vedere il gruppo di giovani intellettuali raccolti intorno a Paladini nel movimento immaginista, il legame con la cultura russa risulta ancora più evidente: Paolo Flores, socialista di orientamenti anarchici, fu traduttore di Blok38; Dino Terra fu letterato d’orientamento futurista e vicino al Teatro degli Indipendenti di Bragaglia; Umberto Barbaro sarà poi traduttore di Bulgakov, Neverov e Dostoevskij; infine Elena Ferrari – in realtà Ol’ga Fedorovna Golubovskaja (1889-1938) – fu poetessa e spia sovietica, che poi perirà nel corso delle purghe staliniane. La Golubovskaja fu una figura misteriosa della cultura letteraria russa, frequentò Gor’kij, Chodasevič, ma anche Šklovskij e Il’ja Zdanevič. Nel 1923 aveva pubblicato una raccolta di versi dal titolo Erifilli a Berlino e, giunta poi in Italia come Elena Ferrari, dette alle stampe la raccolta di versi in italiano Prinkipo, dedicati alla sua permanenza a Costantinopoli39. I versi furono volti in lingua italiana con l’ausilio appunto d’Umberto Barbaro, che aveva già inserito alcuni di quei testi nella sua rivista “La Bilancia” e che, come scrive Umberto Carpi, «verosimilmente riprendeva, data la speciale passione di Barbaro per la cultura russa, quello della rivista primonovecentesca dei “decadenti” Balmont, Briussov e Ivanov»40. Da notare che la Ferrari conosceva l’italiano anche prima della sua permanenza in Italia e il 4 maggio 1923, presso la Casa delle Arti di Berlino, si era esibita in una serata poetica in coppia con Ruggero Vasari, noto esponente del secondo futurismo italiano41 . Un tema del tutto specifico è quello relativo alla produzione letteraria originale in lingua italiana di scrittori d’origine russa. Alcuni di loro, in primo luogo Aleksandr Amfiteatrov e Osip Felyne, godettero d’un indubbio successo in Italia tra le due guerre. Il secondo, oggi in pratica dimenticato come autore in lingua italiana, svolse un ruolo di primo piano nella letteratura di consumo e nella commedia di genere. Nei testi di tutti questi autori il
ghiera della terra, introdotta dall’affermazione: «Noi futuristi siamo con voi. Il futurismo non è più il giocattolo della borghesia. La rivoluzione nell’arte è soltanto il preannunzio della grandiosa creazione del proletariato nella vita. Lasciate che i parassiti e i sazi corrano nel campo dei ricchi, lasciate pure che essi, per far loro piacere, deflorino la Grande Principessa Fantasia. Noi futuristi siamo con voi. Io e i miei grandi confratelli: il cosmico Whitman, il geniale Marínetti (oh!), il saggio Clebnikov, lo splendido Majakovskij e l’enigmatico cantore della morte Venedict Mart siamo col proletariato». 37 Su Paladini e poi sul movimento immaginista si veda Umberto Carpi, Bolscevismo immaginista. Comunismo e avanguardie artistiche nell’Italia degli anni Venti, Liguori, Napoli 1981; Cesare G. De Michelis, L’avanguardia trasversale. Il futurismo tra Italia e Russia, Marsilio, Venezia 2009, pp. 43 sg.; Antonella d’Amelia, Russko-ital’janskij chudožnik na scene: Viničio Paladini [Un artista russo-italiano sulla scena: Vinicio Paladini], in “Bezpokojnye muzy”: K istorii russko-ital’janskich otnošenij [“Le muse inquietanti”. Per una storia dei rapporti russo-italiani nei secoli XVIII-XX], Europa Orientalis, Salerno 2011, pp. 227-252; Christina Brungardt, On the Fringe of Italian Fascism: An Examination of the Relationship between Vinicio Paladini and the Soviet Avant-Garde, Ph.D. City University of New York 2015. 38 Pubblicò sul giornale “Vita”, n. 2 1925, pp. 5-8, il dialogo di Blok L’amore, la poesia e lo stato. 39 Sulla Golubovskaja-Ferrari si veda Lazar Flejšman, Poetessa-terroristka [La poetessa-terrorista], in Elena Ferrari, Erifilli, Vodolej, Moskva 2009, pp. 29-71. 40 Umberto Carpi, Bolscevismo immaginista… cit., p. 26. 41 Ibid., p. 39.
tema della rivoluzione, della guerra civile, dell’esilio dalla patria, svolse ora un ruolo di primo piano, ora di scontato sottofondo. Queste opere sono caratterizzate da una ricezione negativa, tragica, della rivoluzione e del suo mito che poi, come vedremo più avanti, nel più ampio ambito della letteratura russa della diaspora si ricollegherà alla riproposizione mitica del concetto di Santa Russia. Di questo, tra l’altro, sarà testimonianza la grande fortuna ottenuta in Italia dalle traduzioni dei romanzi del generale “bianco” Pëtr Krasnov, ampiamente diffusi dalla casa editrice fiorentina Salani. Di Krasnov scrisse in quegli anni Amfiteatrov: «Io mi sono permesso di trattenere la vostra attenzione sulla figura letteraria del generale Krasnov, perché essa riunisce in sé tutte le qualità e tutti i difetti di quella parte degli emigrati e di profughi che io definisco di “borghesia militante”»42 .
Lo scrittore Ettore Cozzani, responsabile della celebre casa editrice L’Eroica di Milano, presentò nel 1921 lo scritto memorialistico Negli artigli dei Sovieti di Ilaria Amfiteatroff, moglie dello scrittore Aleksandr, il quale aggiunse anch’egli una Piccola prefazione al testo. In essa egli definiva l’opera una serie di schizzi «fatti con pennellate sincere, rapide e, come il lettore vedrà da sé, molto sobrie»43. Cozzani ricostruisce la vita degli Amfiteatrov in patria e nei vari esili, ricorda i loro incontri a Fezzano e la frequentazione con i tanti esuli russi, offrendo un quadro vivo e variegato delle esperienze di arte e di vita della coppia. Il testo d’Ilaria Amfiteatrov – che, sia detto per inciso, è dedicato alla memoria di Olga Lundt, fucilata dai bolscevichi44 – non è semplicemente un resoconto di stampo giornalistico dei fatti, ma un’opera d’indubbio spessore letterario.
Come accennato, Ossip Felyne ha svolto un ruolo d’un certo rilievo nella vita letteraria e teatrale, nonché editoriale, tra le due guerre. Apparentemente il tema della rivoluzione rimane lontano dai suoi interessi, quasi volesse esorcizzarlo – tale tendenza è presente anche in altri autori italo-russi del tempo. Eppure le tante storie narrate in romanzi e racconti e dedicate al mondo russo-italiano hanno come sottotesto inespresso il riferimento alla rivoluzione e alla patria lontana, quasi nel tentativo d’affermare un narrato legato alla contemporaneità e alla vita dopo la Russia45 .
Anche la moglie di Felyne, Lia Neanova, si dedicò alla narrativa in lingua italiana con una serie di romanzi di tematica russo-italiana. Tra le sue prime opere troviamo un racconto intitolato Quando i bolscevichi entravano in città, nel quale si narra della morte d’un uomo solitario e da tutti abbandonato nei giorni della rivoluzione. Il testo apparve sulla “Nuova Antologia”, n. 298, il 16 settembre 1921. La sua produzione successiva sembra quasi voler evitare il tema della rivoluzione. Il noto scrittore e critico Luciano Zuccoli, nella Prefazione al romanzo della Neanova Immortalità, constatava: «Sulla Russia non v’ha più da contare, specialmente da quelli che hanno dovuto abbandonarla prima o dopo la rivoluzione. E l’Italia è abbastanza sana e forte per adottare un artista che lo meriti e per compensarlo degnamente delle sue fatiche»46 .
42 Alessandro Amfiteatroff, Una letteratura in esilio, “Le opere e i giorni”, giugno 1930, p. 7. 43 Aleksandr Amfiteatroff, Piccola prefazione, in Ilaria Amfiteatroff, Negli artigli dei Sovieti, L’Eroica, Milano 1921, p. 31. 44 Si tratta di Ol’ga Sergeevna Lund di Odessa, fucilata a Pietrogrado il 26 agosto 1921 insieme a Nikolaj Gumilëv in relazione al cosiddetto “complotto Tagančev”. 45 Su Felyne si veda Stefano Garzonio-Bianca Sulpasso, Oskolki russkoj Italii… cit., pp. 86-90. 46 Luciano Zuccoli, Prefazione a Lia Neanova, Immortalità, Traduzione dal russo di Federigo Verdinois, Casa Editrice Alberto Stock, Roma 1925, p. 12. Su Lia Neanova si veda Stefano Garzonio-Bianca Sulpasso, Oskolki russkoj Italii… cit., pp. 90-92.
In effetti, il tema della rivoluzione bolscevica viene spesso sottaciuto, quasi si avesse timore di evocarlo. Nella letteratura l’anti-mito si realizza solitamente con un’esaltazione totalizzante e artificiale della Santa Russia ortodossa e imperiale. Allo stesso tempo, troviamo ricostruzioni nostalgiche della Russia prerivoluzionaria oppure crude descrizioni della vita della diaspora russa. Proprio a questo ultimo tema è dedicato il romanzo di Rinaldo Küfferle Ex russi, pubblicato nel 1935, nel quale si evidenzia la disperata condizione dello sradicamento. Una delle protagoniste a un certo punto afferma:
Siamo noi una “porcheria”, come si è degnato di esprimersi a proposito dell’emigrazione russa in un opuscolo polemico Alessandro Amfitheatrov, o qualcosa di peggio? A Mosca non rimane pietra su pietra della Madonna d’Iberia e sulla tomba di Cechov le lavandaie sovietiche sciorinano la biancheria, mentre qui falsi marchesi si baloccano coi versi, adornano di sé i five o’clock delle signore isteriche47 .
Tra i molti pubblicisti d’origine russa attivi anche nella stampa quotidiana, vale la pena ricordare Vladimir Frenkel’, autore di numerosi interventi polemici sulla rivoluzione e l’ebraismo. In molti casi egli tende a sviluppare l’intervento polemico-pubblicistico in forme propriamente letterarie, ora narrative, ora drammaturgiche. È suo La rivoluzione russa: dialoghetto, Tip. dell’Unione Ed., Roma 1917, nel quale si sviluppa un serrato confronto sulla Russia e la sua storia tra un russo e un tedesco. Proprio negli anni della guerra civile, il nostro pubblicò il volumetto Finis Russiae? Profeti e profezie. Giganti e ostetrici. Gracchi e “vraki”. Piaghe d’Egitto. Zar e zarismo, Tipografia dell’Unione, Roma 1918, nel quale affrontava con vena polemica i temi del patriottismo russo, del pangermanesimo e dell’ebraismo. Ma in prospettiva letteraria risultano più interessanti i due volumetti pubblicati successivamente: Amore e bolscevismo. Talmud e Khamstvo, Officina Poligrafica “La Rapida”, Roma 1922 e Russi ed ebrei. Pensando a te…, Industrie Grafiche Italia Meridionale, Napoli 1923.
Nel primo volume si registra la presenza d’un racconto su Konstantin Mošennikov, membro della delegazione dei Soviet in Italia guidata da Vaclav Vorovskij. Il racconto che narra dei dubbi, degli amori, del complesso rapporto con bolscevismo ed ebraismo dell’eroe e della sua amata, la contessa Potockaja, e che si sviluppa poi a Napoli tra amori e crisi esistenziali, si conclude col suicidio dell’eroe che si getta dalla rupe di Tiberio a Capri. Anche il secondo libro combina testi polemico-pubblicistici e narrativi incentrati sul tema dell’ebraismo in Russia. Tre esodi, Pogrom e Denunzia trattano il tema dell’antisemitismo in Russia, mentre il racconto Morbus saucer narra d’una giovane ebrea russa che giunge a Roma e scopre che la città non conosce l’antisemitismo.
I libri di Frenkel’ furono violentemente criticati da Gobetti su “La Rivoluzione Liberale”:
Gli esuli russi ci ripagano dell’ospitalità di cui godono con una miserabile produzione libraria di politicanti. Solo un rinnegato meno che mediocre quale Vladimiro Frenkel poteva scrivere un opuscolo come Amore e bolscevismo. Talmud e Khamstvo […], dove si profana la Russia e si pretende dare giudizi politici discorrendo di oscenità. In W. Frenkel c’è l’incultura di un intellettuale con una incoscienza plebea e con la meschinità di un diffamatore. Il curioso è che questi traditori della patria, che chiacchierano all’estero mentre i veri russi si sforzano con ogni sacrificio di costruire il loro Stato,
diventano in Italia amici e ammiratori dell’“Idea Nazionale” (pag. 70): essi poi sono così analfabeti delle cose loro che vedono dei “profondi conoscitori della Russia” in Napoleone Colaianni e in Armando Zanetti! Ma neanche i lettori dell’“Idea Nazionale” leggeranno le spiritosità sgrammaticate di uno sciocco come W. Frenkel48 .
Sempre su questa linea, tra gli autori che maggiormente si dedicarono al tema della Santa Russia, anche con riferimento all’opera del già ricordato generale Krasnov, ampiamente diffusa non solo nell’ambito degli emigrati russi, ma fino alla fine degli anni Venti ben conosciuta e apprezzata anche dal lettore italiano, il nome dell’italo-russo Lino Cappuccio-Treskovskij è forse quello più significativo.
Editore della rivista “Viva la Santa Russia!”, portavoce del movimento nuovo-futurista italiano49, Cappuccio pubblicò il romanzo L’esagramma (1932-33), incentrato sul tema del complotto “giudaico-massonico” e la Rivoluzione bolscevica50. Il romanzo, ambientato alla vigilia dell’Ottobre, s’incentra sull’idea che la rivoluzione sia espressione d’un attacco degli ebrei al Cristianesimo. La complessa trama, tra Russia e Svizzera, si sviluppa tra colpi di scena, rapimenti e riferimenti alla storia politica del tempo, ai Protocolli dei Savi di Sion, intorno alle malefatte della «setta dell’esagramma», con la partecipazione, accanto a personaggi d’invenzione, di figure storiche quali Lenin e Trockij.
In quest’ampia rassegna dedicata al mito e all’anti-mito della rivoluzione russa del 1917 in Italia, non sono presenti gli importanti dati relativi al mondo dell’arte, del teatro e della musica. Qui il ruolo degli emigrati russi, a mio avviso, fu ancor più significativo, vista l’assenza di vere e proprie barriere linguistiche, pur persistendo, ovviamente, quelle culturali e di mentalità. Gli studi più recenti sull’attività d’artisti, registi e musicisti russi in Italia nel periodo qui preso in esame hanno mostrato tutta la complessità e la radicata articolazione di quelle esperienze nella cultura italiana51. Nel nostro contributo abbiamo cercato di porre un primo tassello affrontando l’aspetto forse più complesso e contraddittorio, quello della letteratura. Sono sicuro che nell’ampia produzione saggistica e storico-critica dedicata al centenario dell’Ottobre non mancheranno i contributi relativi a questi altri decisivi momenti dello scambio interculturale tra Italia e Russia.
48 “La Rivoluzione Liberale”, anno 1, n. 24 1922. 49 Cfr. Federica Millefiorini, “Bisogna creare” di Lino Cappuccio, portavoce del movimento nuovo-futurista italiano, “Rivista di letteratura italiana”, n. 3 2009, pp. 175-183. 50 Cesare G. De Michelis, Ital’janskij cenitel’ “Protokolov” Lino Kappucco [Lino Cappuccio estimatore italiano dei “Protocolli”], in Istorija. Kul’tura. Literatura. K 65-letiju S.Ju. Dudakova [Cultura. Letteratura. Per i 65 anni di S. Ju. Dudakov], Hebrew University of Jerusalem-Center for Slavic languages and literatures, Ierusalim 2004; Vincenzo Pinto, La terra ritrovata. Ebreo e nazione nel romanzo italiano del Novecento, La Giuntina, Firenze 2012, pp. 58 sg. 51 Si vedano, ad esempio, il lungo saggio di Antonella D’Amelia, Artisti russi a Roma all’inizio del Novecento tra Esposizione internazionale e avanguardia. Esposizione Internazionale. Roma 1911. Il padiglione russo. Esposizione Artisti e Amatori russi residenti a Roma, 1917, “Archivio russo-italiano”, V 2009, pp. 13-96 e ancora i saggi presenti in questo medesimo volume, dedicati all’attività di artisti, coreografi, musicisti, attori e ballerini russi in Italia tra anni Dieci e Venti.