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LA SCINTILLA DIVINA

COSTRUZIONE E DISTRUZIONE: TL RUOLO DEL MARE li Mediterraneo è 1itcnuto il vero catalizzatore della civiltà occidentale e della sua evoluzionetecnologica. La facilitazione che consentì gl'incontri e, soprattutto. agli scontri ne fu il presupposto: un mare ba1iccntrico, sia pure solo parzialmente. ai margini di tre continenti, assurge a loro stradainterna perantonomasia. Una trada priva di salite e di strettoie, di limiti di carico e di usura, di ostacoli e di ban-iere; una strada geometricamente più breve e fisicamente più veloce. Mezzo ideale per gli scambi e i commerci. Ma, per la tessa ragione, altrettanto ideale per le incursioni, per le razzie e. più in generale.per le guerre!· on èaffatto casuale che la nostrapiù antica composizione letteraria, I Jliade, riguardi l'assedio ad una città posta a controllo di uno stretto vitale cd una pletora di potentati marittimi: intuibili le motivazioni, al di là del romantico pretesto! Anche il mitico cavallo di legno, per restare ancora alla guerra di Troia, stando ad Omero, altro non poteva e sere che una coppia di scafi congiunti, una grossa botte formata assemblando due carene e is andole su quattro zampe. All'interno del suo fasciame, in assoluto ilenzio, un temerario equipaggio attese per un'intera giornata il momento opportuno per fuotiuscire nelle tenebre.

Già da queste chelet1iche osservazioni emerge il ruolo tecnologicamente trainante della cultura navale, specie di quella finalizzata alla guerra. Giu tamentc da più autori è tato osservato che:"a livello degli strumenti la guerra sul mare aveva nondimeno delle esigen::eproprie, irriducibili a quelledel combattimento di terra. Di qui alcune conh·addizioni fra l'originalità tecnica delle attività marittime e la loro subordinazione diprincipio alle atlil•ità ten-estri- contraddizioni che emergeranno con clziare:::!a dallo studio delle navi da guerra, delle flotte militarie delle tattichenavali."!) Tn pratica, a conti fatti, dando per scontata detta originalità tecnica se ne deve perconseguenza ravvisareun ruolo trainante in ogni comparto civile, primo fra tutti il militare. ll perché poi di tale preminenza deriva dalla tipologia precipua della guerra navale

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Adifferenzadegli scontri sullaterra, infatti, i combattimenti sul mare non furono mai una sommatoria di duelli contemporanei fa schiere di uomini: furono invece scontri fra mezzi contrapposti e fa gli stessi e le forze della natura. Acqua, fuoco, terra e aria entrarono sempre in maniera preponderante in quella epica sfidaumana: bisognavagalleggiare sulla prima, guardarsidal secondo, non perdere di vista la terza e non privarsi mai della quarta!

L'alternativa era, in sostanza, quanto si tentava di infliggere all'antagoni ta, al nemico esoprattutto alle suenavi: affondarle,incendiarleo disperderle, annegandone gli equipaggi! Per ciascuna finalità adeguati mezzi, sempre più complessi e sofisticati, perattuarla o per scongiurarla. La tecnologia si evolse dalla semplice costruzione degli scafi alloro sofisticato armamento,nell'accezioneletteraria del tenrune. Dalla cienza delle costruzioni navaliaquella delledistruzioni sulmare. nelle forme più variegate.

Perquanto 1ipugnante possa sembrare, sin dalla notte deitempi, la vera molla del progresso tecnologico è stata la guerra in ogni sua manifestazione. In particolare più che la dinamica costruttiva ad essa ce11amente connessa, e basti in merito pensare alle flotte, alle strade, alle macchine di tutti i tempi, alle massicce produzioni di equipaggiamenti e strutture. è la dinamica distruttiva che ne ha amplificato vistosamente gli sviluppi e accelerato gli avanzamenti. A voler essere ancora più precisi l'ambito precipuo di gran parte delle innovazione tecnologiche più avanzate èquello connesso con la guerra sul mare. In essa, piùche mai. per conseguire il ucce o, ieri come oggi. sono condizioni necessarie il coraggio e l'abilità ma non sufficienti. dal momento cbe senza un adeguato supporto tecnico non bastano: a conforma il ruolo del radar neJJ'ultimo conflitto.21

Anche in età classica si poteva ce11amente fare a meno dei sistemi di comunicazione a di tanza fra le navi, ma chi ne disponeva godeva di vantaggi straordinari! Si pot va ignorare l'apporto d'una razionale pompa di evacuazione, ma spesso co tava la perdita della nave! Si poteva abbordare il nemico non disponendo di artiglierie elastiche, ma se questo le aveva, avrebbe respinto I.a manovra con gravi perditc!3)

Basilari perilprogresso la muiade di derivazioni che quelle soluzioni inne carono persino in ambiti lontani. Ed è enza dubbio interessante osservare che proprio la vela, al di là del suo impiego nella navigazione, va ritenuta il più arcaico motore primario, la prima macchina che consentì all'uomo di sfruttare una fonte energetica naturale per le sue esigenze. Fonte energetica alla quale, ironia della sorte, con crescente frequenza tiamo attingendo, tentando di alleviare il nostro Ìlnmenso fabbisogno!

Una tecnologia avanzata le cui premesse sono spesso in quella remota navale. Tanto per esemplificare prima che lo ·tretto di Corinto fosse tagliato, intorno al VH ecolo quando Roma era ancora un aggregato di capanne, fu costruito il Diolkos. Si trattava di una pista basolata di circa 7 km, che unjva il mare Ionio con l'Egeo. Due profonde incisioni parallele, in sostanza un binario, correvano per la sua intera lunghezza: in es.e giravano le spesse ruote dei massicci carrelli suiquali si caricavanole navi pertrasferirle da un mare all'altro. Una strada olidis ima, che precorre di quasi quattro secoli le mitiche arterie consolari, ma soprattutto una preme sa che preconizza con quasi due millenni e mezzo d'anticipo la ferrovia!

Per la navigazione e per il suo controllo, quindi, si svilupparono e pe1fezionarono mezzi, stmmenti e congegni che sistematicam nte confluirono dapprima nella tecnologia militare propriamente detta, e successivamente nella civile. A confermarlo la stretta affinità vigente fra le artiglierie elastiche e le costruzioni navali. Paranchi e verricelli, bozzelli e funi 1it011e, arpionismi ed incast1i scorrevoli, sono tutti componenti del repertorio marittimo. competenze dei ma tri d'ascia. Nessuna meraviglia, allora, che molte lanterne a vento riaffiorate a Pompei siano identiche a quella raffigurata sulla Colonna Traiana, sospesa a poppa della nave ammiraglia. Tecnologia militare che ricompare, più o meno metamorfo ata, nei grandi edifici pubblici, nelle industrie imperiali, nelle ville ru tiche e nelle residenze civili.

Volendo approfondire il perché del ruolo traente della guerra e delle distruzioni conseguenti, le ragioni sono molteplici e variegate, tutte però riconducibili a un'unica o ervazione. Se per costruire una qualsiasi opera militare, quale un ponte o una nave, si dispone di risorse e di tempo, per distruggerla, invece, occone farlo rapidamente, con la minima spesa e con il minor nume- ro di uomini! Obiettivo in teoria estremamente facile da effettuare ma. in pratica, terribilmente complesso da conseguire persino ai più modesti livelli. Tale comunque da scatenare l'intelligenza. Posta così la questione, e trascurando l'implicito cinismo, non stup isce che il sommo tiibuto alle capacità intellettuali umane, il famosissimo premio Nobel, sia stato istituito dall'inventore della dinamite, reso ricchissimo dai pingui proventi del suo esplosivo ideale per i più svariat i usi, primo fra tutti quello militare. 4 l Né stupisce che la fusione nucleare controllata dell'idrogeno, esito perseguito come traguardo energetico dell'umanità, a livello esplosivo sia già da oltre mezzo secolo impiegata nella bomba H. 5 > Forse è proprio questo ordigno, che più di ogni altro aderisce alla delineata esigenza della massima distruzione nel minimo tempo e con il minimo coinvolgimento, più di ogni altro potrebbe fornire all'umanità un futuro! 6)

Distruggere nelle modalità accennate, perciò, si è sempre confermato la sfida primaria per la mente umana nel!' ambito della sfida spietata che è la guerra. Una sfida nella sfida 7l, di specializzazione nel la specia lizzazione da cui ne è sempre derivata la massima spinta all'evoluzione tecnologica civile e pacifica.

Dal Greci Aj Romam

Posta in questi termini la questione, per delineare una sia pur schematica descrizione dei presupposti storici della tecnologia occorre indagare presso la potenza che più di ogni altra curò l'istituzione militare: Roma. In particolare gli aspetti tecnici meno divulgati, e perciò meno noti, utilizzati dal suo esercito, in ten-a e in mare, in guerra e in pace e, soprattutto, da esso cooptato da ogni compagine con cui entrò in contatto. Pertanto, in coincidenza con l'avvento del!' Impero, la tecnologia militare romana si può, a giusta ragione, reputare la s intesi delle più avanzate nozioni scientifiche e tecnologiche concepite, elaborate e verificate in qualsiasi angolo del bacino del Mediterraneo. Patrimonio culturale destinato a rievocarsi teoricamente e a riproporsi solo larvatamente nel successivo millennio, fio quasi ali 'invenzione della polvere pitica, e che poi sarebbe diventato la premessa per la ripre sa della cultura moderna.

La ragione della precisazione va ravvisata in un precipuo aspetto della mentalità romana, evidenziato in molteplici saggi e pubblicazioni: la sua preclusione alla mera specu lazione intellettuale 8), all'indagine scientifica pura, allo studio sistematico che, invece, caratterizzò quella greca. Si tratta, ovviamente, di sco lastiche generalizza zioni ma che non vanno rigettate del tutto, cogliendo ahneno in questo caso un aspetto essenziale della questione. I Romani, infatti, e di ciò ebbero sempre non solo esatta percezione ma anche un vero compiacimento, evitarono di cimentarsi con problemi astratti e s i concentrarono, in vece, sulla più efficace risoluzione dei concreti, lasciando agli altri la formulazione delle ipotesi e delle regole che poi magari impiegavano. Non ebbero, e forse in questo insiste la spiegazione della loro grandezza, alcuna invidia verso la genialità creativa, peraltro non apprezzata nella sua essenza, al punto da riconoscerla volentier i anche alle menti servili. Non per questo, però, le reputavano meno umili, non vergognandosi di sfrnttame i vantagg iosi apporti, innanzitutto nel settore militare e poi in quello civile.

Di ce1to: ' 'i migliori ingegneri del! 'antichità fì,rono tuttavia i Romani ... [Ma} il Romano rimase sempre, nel! 'animo, wz agricoltore. Non aveva una mentalità scientijir.:a e la maggior parte della sua scienza è greca o ispirata ai Greci. Persino la Roma imperiale mostra la rozzezza e il senso pratico del contadino. I Romani disprezzavano e temevano la scienza pura, che sembrava loro una perdita di tempo [Tuttavia] i Romani si curavano almeno della scienza applicata. Erano mediocri biologi ma attenti osservatori della natura, cattivi matematici ma buoni ingegneri; non dettero alcun importante contributo all'astronomia ma riformarono il calendario.

Pe,jìno nel campo militare i Romani non fecero invenzioni importanti. La scienza era apprezzata solo quando dava risultati concreti e utili allo stato. I Romani non ebbero la pazienza degli scienziati ellenistici. che cercavano di scoprire le leggi della natura: furono invece grandi giuristi e abili politici che promossero le scienze solo in quanto fossero d'aiuto delle funzioni pubbliche". 9)

In poche parole furono degli ottimi ingegneri privi però di ogni preparazione teorica, per cui si limitarono a perfezionare e utilizzare le altrui scoperte e invenzioni, a patto che fossero rispondenti alle loro esigenze del momento. Emblematicamente: "è fuor di dubbio che i Romani ebbero ingegneri migliori dei Greci: però gli ingegneri romani non possedevano una prepara:::.ione scient(fìca, e quel poco di matematica che era necessario ali 'esercizio della loro professione poteva venire applicato nella pratica anche se mancava un 'autentica comprensione della teoria. Del resto anche tra gli stessi Greci era molto ridotta la percentuale della popolazione impegnata nella ricerca scientifìca o comunque dotata di una preparazione scientifica e raramente i Gred ~ji-uttarono a .fìni pratici le loro conoscenze scient[/ìche: l'unica ecce::ione era costituita dalle arti belliche "_IO) Volendo esemplificare quanto delineato . a nessun generale romano interessò mai di lasciare una rinomanza storica per la sua genialità tecnica dimostrata in una qualche invenzione, o per la sua capacità speculativa confennata da una qualche costruzione di fondamenta le interesse pubb lico. Anche quando ne avrebbe avuto il pieno merito ed il conseguente diritto. non reputò tale fama neppure lontanamente paragonabile a quella guadagnata sul campo di battaglia, spesso in scaramucce insignificanti. La conferma, se mai ve ne fosse bisogno. la si può cogliere nella notorietà dei singoli comandanti di ogni episodio militare, indipendentemente dalla sua rilevanza o dal suo esito. Per contro l'assoluto anonimato avvolgeva chi progettò e realizzò le superbe strade che favorivano quelle iniziative o i congegni che ne agevolavano i successi, o anche le primitive reti di te letrasmissioni che garantivano la continuità dei rapporti. Silenzio assoluto sui tantissimi arsenali e cantieri navali che approntarono e amrnrono per secoli le flotte da g uerra. Silenzio assoluto persino sui criteri e sui dùigenti della produzione standardizzata delle grandi fabbriche di a1111i in grado di equipaggiare eserciti di diverse dec ine di migliaia di uomini, tanto per menzionare un settore che di sicuro dovette coinvolgere un enorme numero di dipendenti e ingoiò per l'intera durata dell'Impero immense quantità di denaro pubblico. Buio totale nelle fo nti sia letterarie che iconiche d i qualsiasi natura ed a qualsiasi livello.

La tecnica in genera le, e quella militare e nava le in particolare. non suggestionava né coinvo lgeva il pensiero romano, per cui non innescava alcuna emulazione, né forniva alcuno spunto per gli atiisti. Dal momento che serviva andava con-servata, cioè salvata, esattamente come si faceva per i servi, conservati soltanto perché da sfruttare in ogni lavoro, non a caso definito servile. Il d ivario imperante fra libero e scbfavo si manifestava pienamente fra liberale e meccanico, fra scienza e tecnica, fra conoscenza e applicazione. Già, del resto i Greci avevano determinato una rigida separazione fra le due realtà, per cui l'applicazione pratica di una conclusione scientifica, non suscitava alcun disprezzo soltanto quando avveniva sotto forma ludica.l ll Un giocattolo molto complesso e, da l nostro punto di vista, ricco di promesse sfortunatamente tradite: fu ta le, ad esempio, la turbina a vapore di Erone, che non andò ma i oltre la mera curiosità. Con i Romani, pmtroppo, quell'atteggiamento mentale si aggravò ulteriormente saldandosi col suddetto disinteresse scientifico. Logico, allora, che: " .. .per Seneca le invenzioni contemporanee, l'uso dei vetri trasparenti, del calorifero sono tutte opera dei più vili schiavi. di menti esperte, penetranti se vogliamo. ma non certo grandi menti. di menti elevate, come d'altra parte è vile tutto ciò che può ricercare il corpo chino, lo spirito rivolto alla terra. Queste invenzioni sono opera del raziocinio, non dell'intelletto: tutta questa abbondanza d 'invenzioni superflue assoggetta /'anima al corpo. divenuto da schiavo padrone"

Ad una cosi esplicita repulsione non fece mai riscontro u n altrettanto netto rifiuto della tecnica e della tecno l ogia, come accen nato, ma anzi è facile e significativo constatare sistematicamente il contrario. Le ville romane, dotate dei più sofisticati confort, quali ad esempio i più evoluti sistemi di ri fornimento idrico o di riscaldamento, appartennero spesso a famosi generali o agli imperatori più coinvolti nelle campagne belliche. non di rado ai confini dello sterminato impero. E non certo soltanto per le loro ingenti ricchezze, ma per la loro migliore percezione di quanto tecnologicamente utile era già esistente nelle varie regioni assoggettate. Personaggi con eminenti ruoli istituzionali dai quali sarebbe stato lecito attendersi un'austerità di abitudini e che si mutarono. invece, dapprima in una sorta di collettori tecnologici e poi di esaltatori e divulgatori. Il che non modificò minimamente la viscerale disistima verso gli artefici di quelle invenzioni e la tecnica in generale, di cui peraltro non si sforzarono mai di comprendere, al di là della mera funzionalità, quanto metteva loro a disposizione.

In merito è stato giustamente osservato che la relativa letteratura: "latina rende onestamente riconoscimento all'apporto degli autori delle altre civiltà verso cui è largamente tributaria. Tecnico mediocre. il latino sente il bisogno di appoggiarsi s ugli altri almeno quanto quello di manifestare la propria erudizione Si nota qui subito il carattere del tutto particolare di questa letteratura. Si tratta , più che di una tecnologia propriamente detta, del! 'inserimento di norme tecniche in un 'organizzazione generale". 13)

Un perfetto esempio di quanto delineato si coglie nel X libro del De architectura di Vitruvio, una sorta di trattato enciclopedico sull'architettura romana. In esso il celebre autore, vissuto in età augustea ed a suo dire ingegnere nelle legioni di Cesare, si sofferma a descrivere le macchine di uso corrente in ambito civile e militare. L'enunciazione delle artiglierie elastiche, però, è talmente pedante e al contempo talmente lacunosa ed approssimata circa le loro componenti essenziali, da far motivatamente dubitare sulla sua qualifica professionale. Lacune che, solo accettando quanto esposto, si possono giustificare in un ingegnere militare che per giunta si avvale di tenninì greci per anni impiegate da oltre due secoli nell'esercito romano. Del resto è di certo emblematico constatare che in generale i Romani non fomirono:"a/cun contributo allo sviluppo della tecnologia militare fino autore del De rebus bcllicis (IV secolo d. C.J. Ancora questo autore usa solo termini greci per tutte le macchine belliche". 14 )

9 Ponte romano a tre livelli situato nel sud del la !-'"rancia nel dipartimento del Gard. Alto 111 49 e lungo 275 fa parte dell'acquedotto del Gardon e trasportava 20.000 mc al giorno. Costruito da Marco VepsianoAgrippa sotto

Augusto

I O. Interno dell'acquedotto con dimensioni di m 1,80 di altezza per 1.20 di larghezza con pendenza del lo 0.4 %o.

Giustamente diversi studiosi hanno ravvisato nei Romani gli Americani dell'antichità: discepoli scrupolosi e zelanti nell'applicare le poche nozioni apprese, praticanti so lerti e acuti nel perfezionarle in tutte le possibili applicazioni e, sopratt utto, sufficientemente ricchi per poter tollerare un eccessivo empirismo

Non a caso:"tra i loro grandi uomini, i romani non annoverano nessuno scienziato di fama, così come, per ragioni probabilmente identiche, 11011 ehhero 11ess1.m tecnico di genio ... Essi sanno curare/ 'esecuzione, se non addirittura la r(fìnitura, ma non si perdono in minu::ie e ragionano poco; e i loro successi sono una serie di successi individua/i, da cui 11011 si risale alle vere cause. Dei meccanici di Alessandria essi hanno preso le realizzazioni ma non lo spirito ... ". 15 l Attratti ce11amente dal mondo della scienza, ma non tanto da sobbarcarsi la fatica di un serio e sistematico studio, i Romani si limitarono ad accettare le conclusioni dei Greci. magari quelle più estreme e scarsamente dimostrate, ma senza dubbio le più fascinose per mentalità acritiche e infantili. peraltro, tramite riassunti e prontuari. Le vere difficoltà: "si incontrano quando si cerca di stabilire la portata effettiva del debito contralto dai Romani nei conji·onti dei Greci per quanto riguarda i vari campi della tecnologia enormemente maggiori di quelle in cui ci si imbatte quando si cerca di accertare le linee di trasmissione della scienza teorica dalla Grecia a Roma. T teorici sono intellettuali che mettono per iscritto i loro pensieri. e di conseguenza lasciano tracce inequivocabili dei loro debiti nei confronti di altri: ma agli ingegneri e ai meccanici non interessava minimamente il modo in cui aveva avuto origine, ne/l'uso quotidiano, una tecnica, uno strumento o un utensile. Sappiamo comunque che i Romani ricorrevano di Ji ·equente a tecnici greci per i lavori più complessi. come ad esempio la costruzione di macchine d'assedio o di acquedotti". 16) l'abilità nella meccanica. nelle arri e nei mestieri rispecchiassefedelmente le loro capacità intellefluali La storia della tecnologia corrispond<:! in poco o nulla a quei modelli di evolu ::.io11e graduale. di ritardi e di risvegli che siamo abituati a osservare nella storia della cultura dei primordi. del }vfedioevo e del Rinascimento". 11 l Sensato, pertanto, concludere che nonostante i ritardi di apprendimento. la limitata comprensione nei confronti della scienza pura, il disinteresse verso la teoria e per contro la forte propensione allo sfruttamento pratico di procedimenti, strumenti e uten sili, il trasferimento della tecnologia dalla società greca a quella romana avvenne in maniera netta ed ampia grazie soprattutto alresigcnze militari. In definitiva una sorta di osmosi pilotata e mirata da entrambe le parti.

Questo almeno nelle fasi d'approccio con una disciplina tecnica, salvo poi portarla ai limiti estremi delle sue potenzialità, una volta verificatane l'efficace rispondenza. Certamente i tecnici greci seppero molto prima dei romani procedere alle levate plano-altimetriche di precisione, indispensabili per la costruzione dei lunghi acquedotti. Ma furono solo i tecnici romani che da un determinato momento in poi li realizzarono sistematicamente in tutto il loro Impero, senza alcuna incertezza e con minimi costi. Ambiguità che può reputarsi anche una delle singolari peculiarità della tecnologia per cui: "è un errore ritenere che, tra i popoli del mondo antico.

DINAMICA DELLA TEC;I/OLOGIA MtUTARE

Come in precedenza più volte evidenziato, lo stimolo e la finalità primaria per l'evolversi della tecnologia furono di tipo militare e navale. Ovviamente non tutti gli studiosi concordano su questa conclusione, pur ammettendo il molo primario svolto dalla guena in generale e da quella su l mare in particolare. Per essi:"/a tecnica e/ 'ingegneria non ji(J'ono gli unici.fattori che contribuirono allo sviluppo della scienza. né la scien=a fu l'unica fonte della tecnica, a parte le esperienze pratiche. Ambedue i campi sono intimamente connessi con Ie altre attività umane, concorrono al loro progresso e insieme ne rraggono alimento, in un reciproco scambio. Ambedue possono ricevere impulso dalla guerra, ma non bisogna dimenticare che i risultati cosi acquisiti appartengono al ristreffo campo dell'arte militare e che le nuove armi, o altre invenzioni ottenute ad alti costi e con gran dispendio, avrebbero potuto essere.fatte in tempo di pace con molto minor spesa ... ". 18>

11 ragionamento esposto nella citazione, anche a voler ignorare l'invalidante avrebbero potuto esser fatte, assurdo in ambito storico, ba un errore di fondo: supporre che la tecnologia e l'ingegneria abbiano avuto un coinvolgimento con il mondo militare limitato alle sole anni o ai congegni similari. La realtà, invece, è di gran ]unga più ampia e variegata investendo l'intero apparato produttivo, in ogni suo snodo dal momento che l'istituzione militare è una sorta di piccola società completa di tutte le funzioni della maggiore. Volendo esemplificare, anche la comunissima scatoletta di cibo, è un 'invenzione stimolata e sperimentata per disporre in guerra di razioni alimentari a lunga conservazione, facili da trasportare e pronte per l'uso. In quanto tale è la logica evoluzione delle razioni di bordo studiate per le lunghe crociere oceaniche, non altrimenti effettuabili.

Certamente la relativa tecnologia sarebbe, prima o poi, pervenuta ad un identico risultato, indipendentemente dalla esigenza militare, ma fu quest'ultima a precederla come nella quasi tota I ità degli altri casi. li suo ruolo trainante poi diviene preminente, e non potrebbe essere altrimenti, nella elaborazione di nuove armi e delle tante loro strette derivazioni civili. Non a caso infatti:"da quando la scienza esiste, la tecnologia militare è sempre stata una motivazione e un 'applicazione importante. In particolare la meccanica elaborata intorno al Seicento e la meccanica ellenistica appaiono collegate con le principali applicazioni militari delle due epoche, cioè armi da jìwco e catapulte. Nel primo caso la meccanica non può intervenire su/l'energia impressa al proiettile (che dipende da una reazione chimica che sfugge alla scienza quantitativa dell'epoca) e gli scienziati s i concentrano sul moto del proiettile. E· ben noto, injàtti, che la scoperta delle leggi del moto dei gravi fu stimolata in modo essenziale dal problema di determinare le traiettorie dei proiettili. Ali 'epoca delle catapulte, invece, il proiettile è spinto da una forza di natura elastica, che può essere calcolata e mod[fìcata con i metodi scientifici del/ 'epoca. Anche se non è chiaro perché non vi.fosse un interesse a studiare la traiettoria del proiettile (ma siamo certi che non vi fosse?), la lettura delle opere ellenistiche di tecnologia militare dimostra che la meccanica archimedea aveva importanti applicazioni alle armi da getto. La rilevanza della scienza per la tecnologia militare realmente usata è provata non solo dall'efficacia delle armi progettate scientificamente, ma anche dal.fiorire della trattatistica sulla tecnologia militare. Evidentemente le conoscenze elaborate dagli scienziati non potevano essere usate dai costruttori se non attraverso l'uso di trattati specialistici. Nonostante l'evidente riservatezza di tali argomenti, sappiamo di vari trattati, in particolare sulla costruzione di armi da getto (belopoeica) e sulla costruzione di macchine per assedio (poliorcetica) " 19)

I trattati tecnici inerenti alla tecnologia militare, non mancavano nell'antichità classica, come del resto non mancano attualmente ricerche sulla storia della tecnologia militare e civile. Finora sono stati pubblicati tanti testi da poter riempire intere biblioteche: in molti casi si tratta di opere pregevolissime e di assoluta serietà, con interpreta- zioni e valutazioni spesso di rilevante spessore. Alcuni di essi, poi, basano le loro deduzioni sulle realizzazioni greco-romane, proprio sulle suddette fonti che integrano e correlano con i reperti iconografici pervenutici a vario titolo, da quel contesto storico. Procedura senza dubbio efficace ma che. purtroppo, deve destreggiarsi fra l'abituale franm1entarietà dei trattati pervenutici, per giunta privi sempre dei grafici esplicativi, e l'oggettiva difficoltà di comprendere le immagini. In me1ito agli scritti va osservalo che: fa gravità della distruzione delle opere ellenistiche è stata spesso nel passato sottovalutata. in base alla ottimistica teoria che quelle sopravvissute.fossero le migliori. Si era pensato che la civiltà classica avesse tramandato alcune operejòndamentali che erano riuscite a includere le conoscenze contenute negli scritti perduti. Purtroppo questa visione ottimistica si è rivelata destituita dijòndamento. I lavori migliori, infèitti. non possono salvarsi grazie a un meccanismo automatico di selezione naturale in presenza di un generale regresso della civiltà La selezione dei posteri ha privilegiato le compilazioni o, in ogni caso, gli scritti che usavano un linguaggio ancora comprensibile nella tarda antichità e nel medioevo, quando la civiltà era regredita al livello prescientijìco ". 20l Quanto ai rilievi dell'epoca, quale che ne sia il tipo, giustamente è stato osservato che: "devono essere considerati con cautela, in quanto vi è un problema tecnico: solitamente queste immagini soffrono l'appiattimento bidimensionale che gli artisti del! 'epoca non sapevano superare e dunque risultano difficilmente dec[frabili. Si pensi, ad esempio, alla questione delle imbarcazioni, delle quali possediamo una grande quantità di raffigurazioni, ma nessuno oggi potrebbe affermare con precisione come erano .fèitte le architetture superiori delle navi antiche; si pensi anche alla groma che, nota attraverso il rilievo fi111ebre di un agrimensore eporediese, non.fu mai compresa nella sua tipologia fino al ritrovamento, avvenuto a Pompei nel I 912, delle parti che la componevano''. 21 >

11. Particolare dell'arco di Costantino. Fregio presente sul lato settentrionale. L'arco. costruito per commemorare la vittoria di Costantino su Massen7io a Ponte M ilvio del 28 ottobre 312. l'u inaugurato nel 315 o nel 325.

12. N'avi da guen-a romane in combattimento: forse si tratta della battaglia navale di Azio. I scc. a.C. Collezione privata del Due de Medinaceli, Madrid.

Le difficoltà d'interpretazione, alle quali si sommano quelle imputabili allo scarso realismo per l'aberrazione prospettica innanzi accennata, sono ulteriormente accentuate dal soggett ivo dimensionamento delle figure; per meglio dire, dalla grandezza convenzionale assegnata alle figure, animate e inanimate, e che è fatta spesso variare nella medesima rappresentazione. Un oggetto, un congegno, un individuo non hanno nel contesto iconografico, quale che sia, un preciso rapporto rigidamente prospettico, né vagamente prospettico, ma le loro dimensioni sono fortemente discrezionali e mutano in base alla rilevanza che, a parere dell'ai1ista, svolgono nell'evento. Una gru, ad esempio. può risultare molto più piccola del carico che sta sollevando se quest'ultimo è costituito da una preziosa opera d'a11e, o da un emblematico elemento costruttivo, o da un dettaglio preminente della scena riprodotta in questione. E, solo per mera aderenza realistica, vengono inseriti alquanti particolati, più o meno completi e più o meno esatti, che per noi, non di rado, costituiscono l'aspetto fondamentale. Ma anche per le loro proporzioni sussiste la medesima convenzione, oscillando in base alla rilevanza che a giudizio dell'esecutore assolvono nel congegno. Rilevanza, sia detto per inciso, che può accrescersi per la loro recente introduzione, per la loro sperimentata efficacia o, persino, per il loro esorbitante costo, criteri comunque non necessariamente riconducibili alla preminenza meccanica che vi possiamo cogliere.

I 3 Roma. Co lonna Traiana. dettaglio delle macchine collocate davanti a ll e mura di Sarmizegerusa, capitale di Dcccbalo. A tutt'oggiditali macc h ine non è stara individuata alcuna interpretazione.

Una categoria iconica a parte, peraltro molto nutrita e variegata, è quella concernente oggetti e congegni a noi del tutto ignoti. dei quali non siamo in grado di spiegare né la funzione né la finalità . E' questo il caso ad esempio di alcune eccezionali raffigurazioni di unità navali da guerra dotate di un gran numero di enormi torri verosimilmente per artiglierie: difficile coglierne con precisione le precipue caratteristiche, ma emblematica la loro esistenza.

Non di rado questi oggetti non identificati, una sorta di UFO del passato. compaiono su monument i di straordi naria noto1ietà, mai sottratti . neppure per breve tempo, alla vista Volendo anche di ciò fornire un sign ificativo esempio, è il caso di alcune macchine belliche raffigurate su l la Colonna Traiana 22 > di cui non si dispone della benché minima allusione scritta e le cui interpretazioni sono a tutt'oggi assolutamente inefficaci e prive di fondamen to.

Per la verità, talvolta, e per circostanze meramente fortuite, si è giunti alla risoluzione di tali enigmi archeologici, ponendo termine a l mistero: ma nella maggioranza dei casi ciò non é stato possibile e vi sono scarsissime speranze di poterlo fare.

Simi le concettualmente alle immagini indefinibili, anche le tracce enigmatiche, che pervenuteci spesso in gran numero e con caratteristiche sostanzialme nte costanti, non sono state ancora decifrate in maniera soddisfacente. Tali, sempre per esemplificare, i piccoli solchi evidentemente destinati alle ruote dei carri, dei quali alcuni fra i più prec isi si trovano persino a Pompei, da non confondere, però, con le diso rdinate e casuali tracce da usura lascia te sul baso lato . Emblematica la rete d i rotaie siffatte presenti a Malta, fatte risalire al Il millennio a C. ed il cui svi luppo attinge varie centinaia d i chilometri

L E I NCONGRUENZE D EL L' ATTUA LE P UBBLI C IS TI CA

Assodato che serie ricerche sulla tecnologia antica non mancano , sembrerebbe del tutto inutile proporne una ennesima sull'argomento. Inevitabilmente finirebbe per sovrapporv isi e, per ovvia conseguenza, r iproporrebbe osservazion i già esposte. Anche restringendo l'indagine al solo settore militare, già individuato come pilota del! 'intera evoluz ione tecno logica civile. per le ragioni accennate e che verranno esaminate in seguito, i l rischio resta immutato.

Ad inficiare, però. l'obiezione apparentemente sensata, interviene un appo1to dinamico, stranamente ignorato: i tanti e continui rinvenimenti archeologici che restituiscono reperti inusual i, in particolare e per ovvie ragioni ne ll e città di Pompei e di Ercolano . non di rado incompresi o fraintesi e che potrebbero riguardarsi come la variante tridimensiona le delle raffiguraz ioni en igmatiche cui prima s i è accennato. Il loro inc rementarsi per il proliferare degli scavi, se da un lato ha ampliato la quantità di oggetti necessariamente da ricondursi alla quotidianità, dall'a ltro ha moltip licato il già vastissimo ambito di quelli misteriosi. Dal momento che ogni rea l izzazione umana, specie se comp lessa e costosa, deriva da u na s tri ngente razional ità, è innegabile che alle loro spalle vi sia stata una tecnologia a noi del tutto ignota e insospettata. Il che induce, proprio per la rilevanza di ta li rinveniment i, a un approccio più correno, a una interpretazione logica, non essendo più possibile ritener li semp re delle s ingolari ed estemporanee stranezze. E le conclusioni sovvertono, non di rado, risul tati onnai acclarati e scontati, rendendo perciò non solo auspicabile un lavoro del genere ma, persino, necessario. Utile, soprattutto, per l'elaborazione delle sintesi storiche che troppo spesso si confc1mano assurde e inattendibi l i pe r non aver tenuto nel debi to conto gli appo1ti de ll a tecnica.

Un contesto cronologico sviluppatosi e protrattosi fra il IV secolo a.C. ed il I d.C., in buona parte coincidente con l'età ellenistica, che fu per questo un periodo ricchissimo di intuizioni e di sofisticate premesse tecnic he, poi svanite nelle tenebre che avvolsero la civiltà dopo la tragi ca disso luzione dell'Jmpero occidentale Ed è per lo meno significativo osservare che, nel corso del Medioevo, fu sempre data per scontata la superiorità assoluta de lla t ecno logia di epoca classica, vera età dell'oro della scienza e de ll a meccanica. I riferimenti fin troppo esp l iciti. sebbene misteriosi, non mancano . Scriveva ad esempio Ruggero Bacone ( 12 14-1294), nella sua Epistola de secretis operibus questo significativo brano:" é possibile costruire macchine per navigare senza rematori così che le grandi navi,jluviali e marine, possano muoversi controllate da un solo uomo più velocemente che sefòssero piene di uomini. Parimenti potrebbero farsi carri non tirati da alcun animale, che procedano con incredibile velocità, come crediamo siano stati i carri falcati con i quali combattevano gli antichi. Si potrebbero poi costruire macchine per volare, nelle quali u.n uomo siede girando un congegno grazie al quale ali art{ficiali battono l'aria, come in un uccello che vola. Inoltre si potrebbero fare strumenti che siano piccoli in sé, ma che siano sufficienti a sollevare e abbassare pesi enormi. la cui utilità è insuperabile

Si potrebbe anche .facilmente realizzare una macchina con la quale un uomo solo può 1rascinare a sé mille uomini contro la loro volontà e attrarre anche altri oggetti. Si potrebbero anche costruire macchine per camminare nel mare. nei Jiumi, scendendo sul fondo senza pericolo per il co,po. Alessandro Magno le usava per vedere i segreti del mare, come racconta l'as1ro11omo Etico. Ques1e cosefurono wstruite e sono state costruite ai nostri tempi. com 'è certo,· tranne per la macchina per volare, che io non ho visto, né ho conosciu - to chi l'abbia vista; ma c onosco 11110 studioso che ha trovaLO il modo di progertare questo co11geg110" 23l Emblematico il riferimento ad Alessandro Magno. quasi un implicito riconoscimento della cultura ellenistica che, forse, sottintende qualcosa di più. Non può, infatti, essere una co incidenza il riferimento alle immersioni subacquee del mitico sovrano alunno di Aristotele, e l'esatta descrizione lasciataci da quest'ultimo della campana pneumatica usata per scendere sui fondali marini! Di quanti congegni già di impiego corrente in età ellenistica in seguito furono perse, completamente, le tracce? Quante test imonianze della loro effettiva esistenza sopravvissero fino al Medioevo, fornendo spunto agli ingegneri rinasc imentali per macchine del tutto inutili e non spiegabili? Quanto lo stesso Leonardo da Vinci testimoniò di quel passato, che finì confuso come profezia del futuro?

Negli stessi anni, intorno al 1230, Roberto Grossa testa esponeva a sua volta, nel De Iride, quest'altro brano:''/e parti principali [dell 'oLtica] sono tre . .. la terza parte [quella della r(frazione} presso noi [Latini} rimase fìnora totalmente sconosduta. Sappiamo, tutravia , che Aristotele se ne occupò , che per la sua sottigliezw è molto più difjìcile delle ultre e che per la profondità dei fenomeni considerati fu di gran lunga la più mirabile. infatti questa parte dell'ottica, se perjèttameme conosciuw, ci mostra il modo in cui possiamo Jàr apparire vicinissime le cose molto lontane, grandi le cose vicine piccolissime. e grandi a nostro piacere le cose piccole lontane ... " 24 )

Quasi superfluo ogni ulteriore commento dei due brani: a quale stimolo, infatti, vanno ascritti anche volendone minimizzare il contenuto tecnologico? Una vacua esaltazione dell'intero repertorio delle invenzio n i fantastiche o una enigmatica conclusione. dopo la lettura di antichi codici? In un caso o nell'altro ent r ambe le ci tazioni pa1Tebbero , in ultima ana lisi, scattu-ire da un antesignano romanticismo, da un eludere le asprezze del tragico e miserabile presente, rifugiandosi in un mitico passato! Ma potrebbero, a ltresì , costituire l'estremo retaggio di una memoria tecnica svanita definitivamente soltanto dopo l'avvento della rinascita. Un po' quello che accade alla p iccola fiamma di una candela all'accendersi di un faro!

De l resto l'ipotesi è condivi sa, a differenza della conclusione. dal momento che:"una tecnologia in molti casi superiore a quella disponibile medievale era realmente esisrira e l'ammirazione per tale tecnologia si riaccende soprattutto nelle epoche e negli ambienti in cui si recuperano opere classiche: è plausibile che di questa tradizione ri fosse il ricordo di antiche conoscenze. la circostanza che alcuni autori medievali potrebbero aver a1'11to accesso a opere oggi non disponibili accresce l'interesse della loro testimonian=a ma la dif!i1sa contaminazione degli eventuali elementi con base reale c011 elementi di altra natura, spesso magici, ne rende difjì.cile I 'uso". 25 )

Quale che sia stata 1'esatta origine del! 'innegabile curiosità , alla stessa sembrano obbedire pure alcuni disegni leonardeschi altrimenti inspiegabili per il loro anacronismo tecnologico. Per quale ragione, ad esempio, se non per la curiosità di verificare graficamente un antico codice, il grande artista si sarebbe impegnato a disegnare baliste e mangani , in uno scorcio storico dominato dai moderni cam10ni di Carlo VIl1? 2 6) Come supporre che la sua speculazione, abitualmente reputata presaga di un futuro remoto, di fronte a quei mostri della più avanzata tecnologia militare si sarebbe trastullata con artiglierie clastiche, di arcaica concezione? Perché escogitare un elemento tanto complesso quale la catena a maglie piane, per una funzione talmente marginale da richiederne poche maglie soltanto , se non per una malcelata emulazione di una soluzione cinematica appena riesumata da un oscuro e remoto passato? Come eseg uire tante minuziose tavole anatomiche essendo vietata la dissezione? Di una almeno sappiamo la fonte, che a sua volta fu forse di seconda mano , provenendo da qualche codice alessandrino: la celebre ta vola relativa al feto nel grembo materno è la riproduzione speculare di un 'identica raffiguraz ione tratta da un manoscritto islamico del XIII secolo! 27 >

L ' accuratezza dei disegni e la precisa assonometria non si conciliano affatto con una elaborazione progettuale e, implicitamente confermano la derivazione da ignoti codici. E sempre nella stessa direzione sembrano condurre pure alcune definizioni di magico, applicate a tecniche , strumenti e congegni sicuramente esistenti nell'antichità classica e persi nell'alto medioevo. Magiche furono le grandi muraglie megalitiche, che per la sbalorditiva enom1ità e l'inusitata preci- sione dei conci vennero attribuite a squadre di fate o a schiere di demoni: ma si trattava del faticoso risultato della prima tecnica antisismica della storia!

Magiche furono pure le rozze lenti d'ingrandimento. che i Romani ben conoscevano e coITentemcntc usavano per cauterizzare le ferite o per accendere il fuoco come ricorda acciden talmente Plinio. Fenomeno quest'ultimo che spaventava più di ogni altro i rari possessori di quei cimeli , per non parlare della loro capacità di ingrandire!

Magiche furono ancora le lanterne che proiettavano su di un muro una tenue immagine, grazie a lastre dipinte ed a lenti convesse. Pur essendo già note ai Romani, come attestano alcuni significativi reperti, per tradizione se ne attribuisce l'invenzione sul finire del XV secolo, al solito Leonardo da Vinci. Purtroppo , la riscoperta di quegli antichi manoscritti e la venerazione quasi religiosa di cui furono oggetto, non di rado ne hanno provocato la definitiva scomparsa, insieme alle nozioni in essi contenute e sopravvissute, sia pure in modo latente tino ad allora. li disgraziato evento è facile da ricostruire: quei codici, proprio per il loro intrinseco valore. vennero gelosamente custoditi insieme ai preziosi e ne seguirono la sorte nei ricon-enti saccheggi. Reputati però dalle rozze soldataglie di nessun valore , finirono nei roghi del bottino invendibile o dispersi accidentalmente. Si spiega forse così l'assurdo avvicendarsi fra il miracoloso riapparire dei trattati ellenistici, tradotti e copiati sul finire del XV secolo, e il loro successivo svan ire.

Le Incongrue Nze Delle Interpretazioni

Un discorso radicalmente diverso, va fatto circa la conservazione dei repe1ti archeologici, connessi a vario titolo alle suddette diment icate tecniche e tecnologie. Tale positivo esito, che nella grande maggioranza dei casi non restituisce che scarsi e malconci frammenti, anche così può considerarsi una sorta di miracolo. Le concause che lo determinano per l'azione distruttrice dell'uomo, sono persino più var iegate e molteplici cli quelle da cui dipende la fossilizzazione. Il che ha finito per operare una selezione alla rovescia: le pa1ti più resistenti e inerti, ovvero quelle meno ingegnose ed evolute, quando prive di evidente valore materiale e non riciclabili, sono sopravvissute e ci sono pervenute magari fortemente alterate. Le più delicate e comp lesse, in vece, si sono dissolte completamente non lasciando alcuna traccia Volendo fare un paragone paleontologico. quanto pervenutoci potrebbe equipararsi a l rin venimento delle ossa più spesse e corte di un enonne scheletro, le meno eloquenti circa le precipue caratteristiche del1'organismo di appa1tenenza. Sono appunto di questa tipologia i famosi UFO del passato i quali, dopo le suddette dispersioni, già deleterie, provocano le ancor più deleterie approssimate identificazioni. Il perché di questa ultima gamma di erTori si spiega agevolmente: molti attuali riconoscimenti risentono dell'apparente somig li anza dei reperti con odierni congegni, per lo più completamente estranei.

La sommaria procedura di identificazione determina, però, arbitrarie definizioni che spesso frustrano i necessari approfondimenti relegando, o per meglio dire, seppellendo con targhe en-ate gli strani oggetti nei depositi museali. Ma fortunatamente non sempre le cose sono andate così; lo testimonia l'esempio che segue: nel 1902 alcuni pescatori di spugne recuperarono a largo dell'isola di Antìkythera, o di Cerigotto, nel mar Egeo, dei corrosi frammenti rnetallici. 28) Alcune ruote dentate che si intravedevano fra le concrezioni , li fecero ritenere i resti ossidati di una sveglia, persa in mare anni addietro. Dopo mezzo secolo, e per un puro caso, il professor Darck de Solla Prince capì trattarsi di una macchina del II-I secolo a.C., che dopo un ventennio di studi interpretò come un calcolatore astronomico meccanico, senza dubbio il congegno più sofisticato e complesso finora ritrovato. Suo tramjte si potevano calcolare i cicli lunari, prevedendo perciò anche le maree. E, ancora una volta, il vertice archetipale della tecnica concerneva un'esigenza nautica!

R Iservatezza E Tab

TI settore che più è vittima di difficoltà e vuoti ricognitivi è quello inerente alla tecnologia militare e, per vari ordini di ragioni, sopratt utto di quella navale. Il perché della precisazione insiste sulla totale dissoluzione che gli scafi delle navi da guerra hanno subito nel mare: non avendo a bordo alcun carico, il loro fasciame affondato non ha beneficiato delle protezione passiva! Insignificanti gli apporti derivanti dall'archeologia subacquea in materia. che rende ancora più impenetrabile la congiura del silenzio nel settore. I Romani , infatti , come tutti gli altri popoli dell'antichità, nutrirono al riguardo un meticoloso riserbo, premessa del futuro segreto militare: forse scaturiva dal non vo ler condividere la gloria di una v ittoria con stupide macchine, forse dal non saper le descrivere adeguatamente. Agli scrittori, infarti, difettava la competenza tecnica e ai tecnici quella letteraria: quanto ai lettori , difettando di entrambe, neppure se ne accorgevano. Pertanto si può concludere che la:''te cnolo~ia ha sempre costituito un argomento riservato ... Nei regni ellenistici la riservatezza sui procedimenti tecnologici era.fàvorita dal controllo sulle principali produzioni esercitato dai sovrani e, nei casi del! '/;,gitto e della Mesopotamia. dal/ ·antica tradizione del controllo esercitato dalla casta sacerdotale sulle produzioni riservate ai tem- pii: 1111 sistema lasciato sopravrivere dai Tolomei 11ei co11/i·o111i delle industrie indigene. ma affiancato da sistemi diversi di conLroLlo nelle comunità greche. Non è quindi sorprendente che non si sappia quasi nulla, per esempio. sulla tecnica delle.fornaci o della tessitura o sui procedimenti usati per la produzione di profumi o di particolari qualità di vetro. ln questa situa::ione non possiamo ritenere che Tlltfa la tecnologia ellenistica rilevante sia documentata ne/Le poche fonti rimasteci".29>

Va. a questo punto. chiarita quella che può sembrare una palese contraddizione: come si concilierebbe la suddetta riservatezza, quando non vera e propria segretezza, con la redazione e la diJTusione. in discreto numero di copie. dei trattati specialistici in precedenza più volte ricordati? Se nelle loro righe viene spiegata con dovizia di particolari e di dettagli e soprattutto, con una meticolosa attenzione al dimensionamento esatto dei componenti, presupposto del loro ottimale funzionamento, come suppoITe proprio a carico degli stessi un geloso silenzio?

La 1isposta è ben nota a chiunque si sia cimentato con lo s t udio o la traduzione di tali remote fonti che, giova ripeter lo, ci sono pervenute per lo più muti le e gravemente frammentate . I rispettivi autori, pur non evitando affatto spiegazioni pro Iisse, vaname nte saccenti e, a volte, persino oziose, omettono invece basilari dettagli. In pratica non forniscono i dati esecutivi di alcune componenti essenziali, senza delle qua l i l'arma non può in a lcun modo funzionare. Vitruvio, ad esempio, nel suo leggenda1io X Libro, trattando della costruzione delle baliste e delle catapu lte, si perde in pedanti tabelle di conversione, in meticolose proporzioni relative al dimensionamento del basamento ma nulla prescrive circa il dispositivo d i scatto e il congegno di caricamento. senza dei quali era assurdo cimentarsi nel lavoro. Sappiamo perciò il numero di rego li occorrenti per l'affusto le loro esatte lunghezza, larghezza e spessore, il tipo di incastro d'adottare, dettagli non solo marginali ma anche inilevanti e ininfluenti su l funzionamento! Non abbiamo per contro la benché minima idea sulla soluzione adottata per mettere in tensione le matasse elastiche tramite la corda arciera, né di come venisse liberata al l 'istante del tiro. Essendo ridicolo presumere al riguardo

28. Ved uta di una de lle porte della ricostruzione del campo legionario di Saalburg. Gennania una dimenticanza, peraltro stranamente analoga pure in Filone di Bisan z io e in Bitone, bisogna concludere che tali informazioni fossero notificate esclus ivamente. e in maniera riservata, ai soli addetti alle fasi avan zate del montaggio, magari oralmente e s otto un rigidissimo vincolo del silenzio. Probabili, in ta l caso. due fasi lavorative ben distinte , e forse anche distanti. di cui la prima relativa all'approntamento delle componenti struttura li, in sostanza carpenteria , la seconda relativa ai gruppi motopropulsori di siffatte anni. congegni da non divulgare. Simile, peraltro, la nostra ignoranza anche nella propulsione nava le: non sappiamo , infatti, né alcun autore si è mai dilungato al riguardo, cosa intendessero per nav i quinqueremi, esaremi o po l iremi!

29. Illu s tra7ione tratta da un c odice medie vale ranigurnnle uno scontro navale con utiliZ7 0 del lanc iafiamme.

L'apice in materi a di segretezza si attingerà, e le fonti non mancano di sotto linearlo, con il cosiddetto fuoco marino. terribile miscela incendiaria. impiegata pe r almeno orto secoli dalle navi da guerra biza n tine Del piroforo non si conosce nemmeno quanto basta per poterne ve ri ficare l'esatta composi z ione: infrange re quel segreto strategico comportava la mo11e. Possibile, invece, eludere il divieto , anche per motivi d'ordine produttivo, camuffando la ricetta , infarcendola di componenti superflui e deleteri, in grado di inibi re o lim itare fortemente l'esatta reazione. E' assurdo, infatti, credere che quanti avessero dimestiche z za con quei micidiali miscugli, po tessero seriamente credere che fosse determinante la presenza di intrugli alchemici quali , tanto per 1icordarne alcuni, la coda di rospo o il sangue di drago!

Anche questo secondo sistema di segretezza. ovviamente con i debiti adattamenti, sembra aver trovato applicazione nei trattati costruttivi delle antiche macchine da guerra e artiglierie La sua percezione non appare immediata, ovvero di tipo preventivo, ma a posteriori , di tipo conclusivo. ln altre paro le si comprende a co se fatte, quando i ri s ultati deludenti lasciano intuire delle deficienze attuative. Nel testo, infatti, erano aggiunte componenti meccaniche inutili o appena sproporzionate, sebbene apparentemente co ngrue e corrette. A1 momento della verifica funzionale, la macchina non rispondeva alle aspettative fornendo prestazioni scarse e per giunta irrimediab ili. Ne conseguiva, ne l migliore de i casi, un vergognoso discredito del costruttore, sufficiente a far lo desistere dal riprovarci per l'intera es istenza!

Le Prot Es I T Ecn Olog I C H E

A coinvolgere a ttivamente l'is tituzione militare nel progresso della tecnologia contribuivano , notevolmente. due sue peculiari caratteristiche. La prima potrebbe definirsi di tipo specu lativo, essendo i corpi tecnici de ll e legioni a prendere contatto con tutte le innovazioni, nelle quali si imbattevano durante le campagne di conquista La seconda di tipo adeguat ivo, essendo proprio quelle stesse compagini a realizzare le infrastrutture delle di verse grandi bas i che suppo1iavano l'avanzamento delle conquiste.

La prassi, comunque, è scarsamente ricordata in modo esplicita: in nessun trattato militare, ad esempio, viene descritto il p rocedimento adottato dalle officine legionarie per produrre tubature di piombo o valvole di bronzo, mattoni o tegole. Né, peraltro, si ricorda in alcuna maniera che fì.l quello un impegno prima rio delle legioni, in ogni angolo dell'Impero. Solo grazie alla presenza dei rispettivi marchi cd emblemi legiona1i. impressi su ogni singolo manufatto, se ne è acq uisita contezza.

30. Alcilia, Campobasso. R1costm?ione di scorpione romano basata sul reperto rinvenuto ad AmpuriasinSpagna.

32. Frammento di mauone con impresso il nome della legione chelo produsse.

E con lei il dato più significativo di una cospicua e variegata produzione militare - industriale di avanzata tecnologia del tutto estranea al combattimento o per lo meno apparentemente tale, dal momento che essendo la guerra uno sforzo totalizzante e condotto ai limiti delle potenzialità, un qua lsiasi appo,to contribuiva al successo

Occorrevano braccia di forza prodigiosa per scagliare più lontano lance più lunghe e pesanti di quelle nemiche, gambe agilissime e instancabili per correre più velocemente e p iù a lungo di quelle de l nemico. e per raggiungerlo e per fuggirlo. E ancora servivano orecchie in grado di percepire il mi11imo bisbiglio alla massima distanza. occhi tan to acuti da scorgere al limite dell'orizzonte e voce tanto poderosa da sovrastare il clamore della mischia. ln pratica, non potenJosi mutare la fisiologia del guerriero, occorrevano adeguate protesi, ciascuna delle quali idonea a frustrare quelle limitazioni, in maniera progressivamente mig l iore. Carri, artiglierie, mani di feno, sistemi di segnalazione, ma pure accampamenti confortevoli, ospedali razionali, porti sicuri ed ancora strade, acquedotti, imbarcazioni e gru costituirono soltanto alcune delle più vistose tappe di tale spasmodico ed incessante sforzo militare, mirante a superare I 'avversa1io.

La rincorsa tecnologica fu così innescata e ai robusti guerrieri si affianca rono i pensosi tecnici che, copiando la natura, carpendone i segreti fisici, osservandone i fenomeni fornivano le suddette protesi, macchine più o meno complesse destinate ad infrangere le limitazioni natura l i. Nate per lo più per esaltare le potenzialità distruttive, rapidamente, dopo l'iniziale debutto e le successive migliorie, finirono per esaltare soprattutto le potenzialità produttive. Ideali, in ultima analisi. per attenuare la fatica brutale, per neutralizzare le barriere fisiche, per aumentare le risorse: in breve per rendere meno sofferta e preca1ia l'esistenza.

Le protesi nate per la guerra divennero presto non so l o comodissime ma anche indispensabili per mantenere la pace, per il benessere e per la civi ltà. L'ingegneria militare che stava alle loro spalle si ritagliò così un ruolo duplice. ma sempre fondamentale nella vicenda umana. Sarà senza dubbio il suo coinvolgimento che condurrà alla bomba atomica, ma sarà anche il suo coinvolgimento che eliminerà la schiavitù e la fame. almeno laddove vige.

Delle soluzioni tecnologiche archetipal i alle spalle di molte delle attuali, la ricerca che segue fornisce un quadro inedito, pur essendo condo tta in un ambito per lo piu noto sebbene sistematicamente frainteso e margina l izzato. Vo lendo a sua volta evitare suggestioni da fuorvianti somiglianze, estremamente de leterie per le sintesi storiche, si avvale di verifiche simulate al calcolatore. Le macchine. i congegni e gli strumenti che compaio n o, perciò, sicuramente esistettero e funzionarono a lungo, ragione non ultima della mancanza di loro esplicite tracce. Un doppio vaglio, qu indi, tra fonti e verifiche, tra reperti e macchine, tra ricostruzioni e funzionalità, non di rado concluse con un riscontro concreto mediante modelli in grandezza naturale concezione precipua del l 'arcbeologia sperimentale.

UN MINIMO DI CH I AREZZA: SCOPERTE ED INVENZIO~I

Giustamente è stato osse1vato che: /a storia della conquista della natura da parte de/1·uomo è la storia delle sue scoperte e invenzioni più che delle sue a::ioni politiche. La sua conoscenza della natura e la sua.fìlosojìa della vita ne hanno determinata la prassi. Progredendo nella conoscen::a di quel che oggi chiamiamo scienza applicma, egli rafforzava il suo dominio sulla natura. ili nessun campo dell 'alfività umana possiamo, con maggior proprietà parlare di evoluzione. Nel mondo dello spirito idee e dogmi sono sorti e tramontati. ma la conquista umana della natura è stata ascesa coslante".30J

A voler essere pignoli è proprio nello sfruttamento delle risorse della natura, piuttosto che nel suo dominio, utopico traguardo, risoltosi spesso in catastrofi, la vera ragione della conflitrualità in ogni epoca. Quando le fonti energetiche non erano conosciute. fu l'esigenza di braccia servili a muovere la cupidigia e prima ancora, la fertilità spontanea dei ten-eni a incentivare le conquiste. In un caso e nell'altro aggredire e resistere innescarono l'esigenza di armi e fortificazioni, e i suggerimenti si colsero proprio nella circostante natura. dai denti dei grossi carnivori, al carapace delle testuggini.3 1) Il processo, apparentemente scontato e rapido, in realtà fu estremamente complesso e duraturo, poiché anche:"i/ più semplice strumento,fatto con un ramo spezzato o una pietra scheggiata, è i/frutto di una lunga esperienza, di prove e d'errori, d'impressioni osservate. ricordate e confrontate.L'abilità perfarlo è stata acquistata mediante osservazione, ricordo ed esperimento. Può sembrare un 'esagerazione, ma è tuttavia vero che ogni sh-umento è un concretizzarsi di scienza. Perché è un 'applicazione pratica di esperienze ricordate, confrontate e raccolte, dello stesso genere di quelle che sono sistemate e riassunte nelle formule, descrizioni e regole scientifì-che".32 )

Si originavano così le invenzioni il cui continuo moltiplicarsi e costante diversificarsi fonnarono l'archivio culturale della tecnologia, presupposto di base per la sua evoluzione. Pe1tanto:· 'ogni scoperta e invenzione, ogni osservazione ed esperimento aggiungeva qualcosa al complesso del sapere. Un dato o u11a tecnica possono rimanere inutilizzati per anni e sembrare dimenticati, ma il loro ricordo rimane efà parte della sempre crescente eredità sociale" .33)

Sempre più spesso i già labili confini tra scoperta ed invenzione, tra creazione ed ideazione, tendono nella nostra odierna realtà a confondersi, a dissolversi l'uno nell'altro dando origine a qualcosa di indistinto e di ibrido. Sappiamo tutti, perfettamente, che scoprire significa letteralmente sollevare il velo che nasconde un qualcosa alt1imenti evidente nella sua concreta rea ltà . Accezione che, in maniera figmata, s uggerisce le prees istenza dell'oggetto, sia pure in man iera mimetica. Discorso antitetico a quello del! 'invenzione da invenio che, invece, definisce il trovare con l'ingegno quindi l'ideare, il generare quasi, i l dare a lla luce qualcosa fino a quel momento inesistente, sia in modo esplicito che implicito.

Tuttavia non si può negare che nel verbo inventare sussiste anche il senso di ritrovare, cioè di riconoscere qualcosa che, magari parzialmente, esiste in diverse realtà separate e distinte. L'invenzione, pertanto, sarebbe una s01ta di identikit, composto con pezzi reali e concreti, fino ad asswnere una autonoma identità. Ben diverso il caso della creazione che implica il formare dal nulla, sia in senso materiale che spiritua le, aspetto quest'ultimo simile alla elaborazione de li 'ingegno, almeno secondo il nostro standard. Per g]j antichi, invece, tale affinità non esisteva affatto: ingegno derivava certamente dal vocabolo genio, questo a sua volta da una radice che ancora è evidente in italiano; é la medesima del verbo generare o dei vocaboli origine, genealogia, genitale, ginecologia, ecc., tutti in qualche modo attinenti alla nascita fisica: de1ivano, infatti, dal sanscrito gene= partorire, mettere al mondo, dare alla vita un esser che non esiste sino a quel momento!34)

33 ( a, allo d, I ro1a in un bassorilic, o di Gandhara.

34. William-Adnlphc Rougucreau (1825-19051 H omer 1.md /,i, Guide I 874

E qui alla fine i tennini assumono la loro esarta distinzione. poiché se tecnica è a1te spinta ai limiti delle capacità manuali e protessionali. ingegneria è capacità speculati\ a. spinta al limite della creazione del nuovo. In entrambi i casi non si tratta di scienza pura ma della sua applicazione. In definitiva. è elaboraLione di conoscenze empiriche e deduttive. finalizzate o comunque utilizzate per la costruire realtà diverse e diversamente utili e proprio perciò lontanissime dalla purezza delle scienza.

MECCA ~ l CA I:: MACC lll ~E

Forse fu questa pregnante diversità che impedì. dapprima agli antichi Greci quindi ai Romani e poi ai l oro epigoni, fin quasi ai nostri giorn i, di apprezzare in pieno l'apporto dei tecnici superando ideologici disprezzi. ll preconcetto dispregia tivo con cui fu riguardata l'ingegneria, infatti, dipese daJJ'equipararc il lavoro manuale, quale che ne fosse la tipologia e la finalità. a una prestazione meramente muscolare, quindi socialmente servile. Disprezzo che ancora si manifesta nella diversa stima per il camice bianco e la tuta blu, indipendentemente dal ruolo di chi !"indossa.

Circa la meccanica è facile rintracciarne l'etimologia nel tem1ine greco mècha11é = strumento per.fare o compiere. Ma pure in questo caso la radice più antica è quella sanscrita mahate - accrescere. rendere grande, da cui anche mag' man maestà, grande=:::a. jòrza. ln altre parole un 'entità artificiale e innaturale, capace d'incrementare vistosamente la forza, la produzione, la crescita. Concetto che, per grandi linee. si attaglia perfettamente alle famose protesi. quindi alle macchine ed alla nostra meccanica in generale. Più dettagliatamentc:"prima che la mèchané intesa come disciplina che spiega le norme che determinano il.funzionamento 111ecca11ico di certi disposith·i divenga oggetto di studio. con questo termine si indicano pre,•alentemente asfli=ie e stratagemmi messi in atto per portare a buon jìne un ·a:::ione. comprese quelle in cui l'uomo ricorre alla costruzione di qualcosa o all'uso di oggetti quotidiani per conseguire deter111inati scopt'. 35) Significativamente per a lcuni autori va considerato quale vero:"111ani/es10 della tecnica costruLtiva di questo periodo l'episodio del grande cawdlo di legno che consente ai Greci di porre fine alla guerra di Troia ... E· in rela=ione di quesri techìtai che il vocabolo mèchané ·scende sulla terra· e entra nel linguaggio ad indicare l'espediente. l'azione ingegnosa e sorprendente nel suo esirofìnale. Sono questi i personaggi dotati di que/1 'astu:::ia che i Greci de.fìnisco110 métis. la facoltà di escogitare mcchanaì con cui volgere a proprio vantaggio sirua:::ioni critiche. Tutti i sig11(/ìcati positivi e negativi del termine sono già presenti nei resti 0111erici: per trasporrare il cavallo dentro la città 1·e11gono applicale delle ruote , ofio le :::ampe e il collo riene cinto da.fùni per il traino. la gigantesca cos1ru:::io11e racchiude in sé tutti i contenuti della meccanica nascente: l'assemblaggio ragionaro dei pe::::::i. la macchina. la l''IJ.an; intesa come f 'astu-:::.ia che permerte ai Greci di entrare Diversi ,eco/i più rardi, conservando tutti i significati del termine greco. il gigamesco disposiril o sarà definito machina anche dai Latini "36> Del resto ancora oggi tale accezione si coglie nel verbo italiano macchinare e più ancora in macchincdone tcnni ne che definisce un inganno, un 'astuzia, un tradimento.

35 L·lmpe ro Ro mano a l la sua mas s ima e spansione.

36. Ottaviano Augusto

Parlare perciò di tecnologia meccanica non può ridursi al mero ambito che nel!'immaginario collettivo pullula di rotismi dentati , catene cinematiche. leve , pulegge, cinghie e ferraglie variegate! Significa, invece, allargare l'indagine alle macchine elaborate dall'ingegno, ovvero ai congegni che in un determinato arco storico comparvero, si perfezionarono e si usarono per accrescere la produzione , per aumentare le risorse, per alleviare la fatica. Scopo raggiunto impiegando energie esterne naturali o razionalizzando lo sfruttamento di quelle muscolari, avvalendosi certamente di ruote dentate e catene cinematiche, ma anche di strumentazioni delicate e precise. di attrezzature sofisticate e complesse e di studi assidui e approfonditi.

Tornando ali 'ambito della ricerca e tenendo conto della sua limitazione al contesto romano, l'intervallo cronologico preso in esame spazia fra il l s ecolo a.C. ed il llI d. C. Tn pratica coincide con la fase espansi va del l'età imperiale , caratterizzata dal lungo periodo di stabilità militare. politica ed economica successivo alla mo1te di Augusto. li perché della scelta dell ' intervallo deriva da una serie di concause agevolanti , fra le quali l'abbondanza delle fonti e dei reperti archeologici. Proprio in merito a quest'ultimi è stata assolutamente determinante e preminente l'immensa mole di oggetti, strutture, raffigurazioni e procedure di cui il Vesuvio in una lontana giornata estiva del 79 d.C. si appropriò violentemente e in poche ore, restituendoceli diciassette secoli dopo. Una sorta di tragico fotofìnish di Pompei, Ercolano e Stabia nella pienezza della loro vita quotidiana, e nella ricchezza delle loro risorse materiali e tecnologiche . Opportunità del tutto priva di analogie nel corso della storia e, pertanto, basilare per indagini del genere. Basterebbe da sola per il materiale della ricerca, se non fosse che in quello stesso scorcio storico , alcune migliaia di chilometri più a nord, la realtà de ll'Impero implicava sussidi tecnici, poderosi, variegati e tipicamente militari.

Una estrinsecazione anch'essa della tecnologia romana di epoca imperiale, ma del tutto diversa: a testimoniarla i tanti bassorilievi celebrativi, le tante fortificazioni con i relativi armamenti. Una quantità di indicazioni e di reperti che due millenni di vandaliche devastazioni, di distruzioni e di degrado non sono riusciti a cancellare del tutto. Affiorano così dai vari angoli degli estesissimi limites , armi, oggetti e strumenti più o meno noti , più o meno riconoscibili, più o meno chfari: molti altri però sfuggono comp letamente alle nostre indagini tecniche.

Per i Greci tèchné definiva qualsiasi arte, intesa però non come espressione della sensibilità creativa quale noi oggi la intendiamo, ma come semplice capacità professionale o mera abilità di mestiere, accezione ana loga a quella di artigiano o tecnico. Anche in questo caso, a voler rimontare più indietro, troviamo che la radice tak, in sanscrito tak-s aveva il significato generico di fare, jàbbricare, produrre, costruire. voce di cui si trova una estrema traccia nel vocabolo architetto. dove archi, sta per arei , superiore o primario , e tetto per costruttore o tecnico: alla lettera un più assonante arcitecnico.

Posta così la questione la tecnologia altro non è se non la scienza che studia tutte le abilità professionali, tutte le capacità artigiane , tutte le potenzia1ità di mestiere; in ultima analisi

3 7 Ales sandro 'vl agno 38. L'Imp e ro rnnqu i~t a to da Ale ss andro Magn o a ll a sua mass ima es pa ns ione potrebbe definirsi la sommatoria di tutte le competenze alle spalle della produzione ottimale Patrimonio culturale che a s ua volta trae origine dalla prolungata ripetitività e affinamento precipui del lavoro artigiano. li tecni c o tù perci ò I" artefice che producendo sistematicamente un dctenninato bene . lo rese sempre migliore , più duraturo e progressivamente meno costo s o. Che a ben guardare significa r iduzione dei tempi di reali z zazione e dei quantitati v i dei materiali impiegati, cardini della rivoluzione industriale.

Cron Ol Og Ia Rel Atj Va

Come appena accennato la ve loci tà di avanzamento della evoluzione tecnologica non fu costante, né meno che mai si trattò di un processo monotòno , ravvisandosi alquanti scatti improvvisi , intervallati da lunghi periodi di s tasi , s e non addirittura di regresso . Anche sommarie correlaz ioni con la cronologia storica evidenziano il ruo lo catalizza tore, spesso persino propulsore , giocato dagli e venti bellici in qualunque epoca. Emblematica l'esperienza del secondo conflitto mondiale. quinquennio iniziato con i biplani di vimini e tela e concluso con gli aerei a reaz ione, scandito dalle fiammate delle bombe e chiuso dal lampo nucleare. Balzo che co n ferma quanto delineato, ma che per il passato è molto meno facile da riscontrarsi. La lontananza temporale , infatti. ha compresso le tappe, dissolvendone i picchi fondamentali e finendo perciò per mimetizzarle nel tradizionale progresso.

Di queste, senza alcun dubbio, quella manifestata s i in con seguenza dell'impresa di Alessandro Magno, va conside rata una delle maggiori e, nonostante la sua effimera durata, fu di gran lunga la più gravida di apporti. Un vivido bagliore esauritosi nell'arco di pochi decenni, sul finire del IV secolo a.C., ma il cui riflesso rimase per diversi secoli, non a caso definiti dalla storia come età ellenistica. 11 perché di tale fenomeno deve esse relazionato alla genesi stessa della sua nascita ovvero all'epica impresa del Macedone e alla sua concezione culturale. Non a caso già nel corso del regno paterno era stato dato un grande spaL:io allo studio delle discipline scientifiche. le sole reputate capaci di esaltare le potenzialità militari ed economiche. Non a caso era stato scelto per suo pedagogo, Aristotele che finì per infondere nel giovane allievo la sua stessa sete di conoscenza. li caso o il destino fecero poi il resto.37)

39. Il mondo secondo Eratostene.

Il ritrovarsi, a un determinato momento della sua vita, a capo di un immenso impero esteso su tre continenti e fra due oceani, a cavallo tra Occidente ed Oriente, fra le estreme propaggini della cultura cinese, indiana , egiziana e greca, costituì per Alessandro e per gli scienziati al suo seguito, un'occasione irripetibile. Quasi la totalità delle opere umane , materiali, artistiche e culhirali poterono così essere rilevate, apprese ed assimilate da quella so1ia di collettore etnico. Molte di quelle innovazioni tecnologiche si confermarono, in brevissimo volgere, imprescindibili per il controllo e la gestione dell'immenso impero e delle sue complesse articolazioni. Pertanto:"nei tre secoli che incominciano nel 330 a. C., le frontiere della civiltà furono ulteriormente portate innanzi jìnché una zona continua di Stati che conoscevano la scrittura si estese dall 'Arlantico al Pacifico. La nuova economia, .finora realizzata soltanto nel Mediterraneo orientale, giunse a dominare l'Europa atlantica e l'Asia anteriore, e al! 'ultimo trovò nel! 'impero romano espressione politica per l'unità che creò. Questo risultato fu raggiunto in due tappe principali.

Nella prima, i greci stessi, sotto al guida di Alessandro di Macedonia, ereditarono l'impero persiano come organismo e.ffìciente, estendendo l'economia della polis fino all'Indo e allo Jaxarte. Nello stesso tempo i Siracusani.fondavano un impero greco più piccolo in Occidente (sotto Gerone), mentre i Romani stavano unificando l'Italia secondo linee greche piuttosto che orientali e ampliando la sfera della nuova economia a spese dei Fenici di Cartagine. Nella seconda tappa i Romani, avendo vinto i Greci in Italia e in Sicilia, s'annetterono 1'impero cartaginese e lentamente assorbirono l'antica Grecia e i suoi nuovi appannaggi dell'Oriente, e portarono l'Europa barbarica con lafòrza delle armi nel sistema economico mediterraneo Le conquiste di Alessandro aprirono l'Asia al commercio greco e alla colonizzazione greca ... Attraverso questa nuova provincia un particolare dialetto greco fu compreso ovunque, cosicché le idee potevano circolare -e circolarono - liberamene. L'unità del mezzo di scambio. nuove strade, porti e/ari migliorati e navi più grandi.fàcilitarono relazioni e trajjìci. L'unità politica e monetaria creata da Alessandro non doveva invero sopravvivergli [non così] 1'unità culturale "38 J

Con la morte di Alessandro il tanto proficuo contatto instaurato fra i due continenti e le rispettive civiltà, mondi fra loro completamente e reciprocamente ignoti, si richiuse. Quella sorta di tunnel spazio-temporale si dissolse completamente, sopravvivendo soltanto l'esilissimo itinerario della seta, e si arrestò del tutto ogni scambio tecnologico. Si spiegano, forse, in tal modo tante singolari coincidenze tra la civiltà orientale e quella occidentale, affinità che non di rado sembrano tradire una matrice comune e un leggero sfalsamento cronologico. Occorreranno oltre quindici secoli perché un nuovo contatto, fosse lentamente riattivato.

La preziosa eredità di Alessandro, però, non scomparve altrettanto drasticamente ed irrimediabilmente a cominciare dal suo edificio statuale che si ruppe in una serie di frammenti più o meno grandi. più o meno importanti a seconda delle capacità e della sensibilità dei suoi rispettivi dinasti, ciascuno dei quali mantenne per quanto possibile le stesse impostazioni. Tra questi sp iccano per rilevanza e cultura i Tolome i, cui toccò l'Egitto e ai quali si devono la mitica biblioteca di Alessandria il Museo e l'annessa scuola, vertice del sapere scientifico dell'antichità. Simile, sebbene di entità complessiva minore anche la cultura degli Attalidi, che ebbe il suo centro di studio e di irradiamento in Pergamo e nella sua biblioteca. E se scuola alessandrina è sinon imo di sapere, quello di carta pergamena è s inonimo di codici e di libri!

Un parere parzialmente diverso ipotizza, invece, che:"i Greci che si trasjèrirono in Egirto e in Mesopotamia all'epoca delle conquiste di Alessandro vi trovarono un livello tecnologico superiore al proprio. la cosa è del resto del tutto naturale. Trattandosi, sia per la Grecia classica sia per l'Egitto e la Mesopotamia. di civiltà hz cui lo sviluppo della tecnologia avveniva essenzialmente per lenta accumulazione, i millenni durante i quali le civiltà egiziana e mesopotamica avevano accumulato conoscenze empiriche trascrivendole e tramandandole le avevano res e insuperabili. a meno di un salto di qualità metodologico.

Le tradizioni delle civiltà più antiche. con le quali da secoli erano stati in contatto, avevano sempre attirato l'interesse dei Greci. Non a caso l'inizio della matematica ellenica era attribuito a Talete e a Pitagora, di entrambi i quali s i diceva che.fossero stati in Egitto (e di Pitagora anche in Oriente). Ma ora il contatto divenne molto più stretto. I Greci trasferirisi nei nuovi regni sorti dalla conquista di Alessandro dovettero gestire e controllare economie e tecnologie più sviluppate. alle quali non erano abituati, con la guida dei raffinati metodi dianalisi razionale sviluppati negli ultimi secoli della loro tradizione culturale. In questa situazione nacque la scienza". 39 ) riuscì a mantenere in numerose realizzazioni comunque geniali. Ma anche per una concreta attua7.ione. per il pieno estrinsecarsi delle potenzialità occorse l'avvento di un altro immenso impero, quasi che la dimensione politica grandiosa. risultato di un altrettanto grandioso apparato militare, fosse la dimensione istituzionale adeguata per un vistoso progresso tecnologico. Non per questo mutò, però, la tradizionale s uperiorità del gueniero e delle sue peculiarità, in ambiti sociali appena scalfiti da quegli apporti.

L 'e llenismo incentivò il primo grande balzo culturale, evento che sembrava promettere un immediato ed ina1Testabile sa lto tecnologico e che, solo in parte.

La scienza e la tecnica restarono, e non poteva essere diversamente, un mero ausilio dell 'a1iig ianato e del tecnico la cui produzione avanzata continuò ad essere la militare. E chiunque se ne occupò a qualunque titolo, senza essere al contempo lui stesso uomo di guerra, non godette di stima né di apprezzamenti etici. Certamente ben pagato, certamente ricercato, restò però disprezzato perché lavoratore manuale , perché meccanico, perché tecnico, perché prossimo ai compiti degli schiavi, in una società dove solo la guerra costituiva l 'occupazione dignitosa del libero, restando ·servili' tutte le altre fom1e varie di attività.

DISPREZZO O SUPERFLUJT À DELLA TECNICA?

Per alquanti studiosi della storia della tecnologia, al grandioso salto che la meccanica applicata effettuò tra il IV ed il ru secolo a.C., fece seguito un rigido blocco che impedì, non so lo il prosieguo delle eccezionali premesse, ma anche il definitivo abbandono delle rispettive promesse. Al riguardo:"rutte le soluzioni eccetto qualcuna concordano. A.Aymard poneva la questione in termini semplici:<< Nel cuore de/l'antichità, in una civiltà, quella ellenistica, furto era approntato per una trasformazione progressiva e tuttavia radicale delle condizioni quotidiana Ma questa trasformazione non si è verifìcata. L'ingegnosità impiegata ad utilizzare le proprietà della materia e a dominare le grandi forze naturali, per combattere il nemico o per divenire curiosi e ingenui, ha praLicamen/e lasciato il posto ali ·indifferenza, quando questo sfruttamento e questa perizia avrebbero potuto con1ribuire a diminuire la miseria e lafaticajìsica degli uomini Così non è per ignoran za che l'antichità ha peccato. ma per rifìuto »

Così dunque si sarebbe ver(fìcato un arresto del pensiero tecnico, quando questo avrebbe avu10 a disposizione tutti gli elementi per un 'importante evoluzione . Questo blocco potrebbe essere sfato dovuto sia a una reazione negativa difronte al lavoro manuale, di fronte ad alcuni aspetti della vita materiale, sia ali 'esistenza della schiavitù .. .".40)

In breve, secondo quanto citato, parere che vanta molte adesioni, l'ampia disponibilità di mano d'opera a bassissimo costo, anzi per una bizzana credenza a costo zero, avrebbe impedito di adottare so luzioni meccaniche alternative, sia già esistenti, sia di apposita invenzione. Ragionamento solo apparentemente sensato e perciò non condivisibile in alcun modo, soprattutto per la fin troppo banale semplificazione economica. Profitti immensi a costi insignificanti, vale a dire l'ideale per qualsiasi economia: con un minimo di buon senso è facile tuttavia ristabilire la plausibilità del comparto lavorativo e comprendere che la suddetta asserzione è grossolanamente una completa idiozia. A I di là della citata rilevanza numerica degli schiavi, peraltro tutta da verificare se relativa ad uomini giovani e robusti nel pieno della vigoria fisica, non può trascurarsi il dettaglio che in una economia servile, proprio quel tipo di merce aveva un rilevante costo di acquisto e, per intuibili ragioni, un costo non irrilevante di mantenimento.41 >

Quando si effettua l'analisi del rapporto costi benefici, occorre tenere conto dd fatto che la schiavitù fu determinata dall'eccedenza di quanto prodotto dallo schiavo rispetto a quanto consumato, rapporto che in meccanica si definisce rendimento positivo. L'approccio, però, quando riferito alla epoca imperiale o quando collocato alla base dell'economia servile romana. o supposta tale. non è più tanto linearn e semplice. Occorre infatti tener conto di molti più fattori di quelli innanzi ricordati e della conco1Tenza del lavoro libero. Tentare, perciò, di ricavare parametri di rendimento e di convenienza dal lavoro coatto nell'antichità, come da quello estorto nei tanti lager, in particolare in quelli nazisti, è assolutamente fuorviante perché del tutto errato. 1 moderni aguzzini, infatti, avevano per finalità primaria l'eliminazione tramite l'e sasperata fatica fisica dei loro schiavi, che peraltro non compravano, e non ce1to rutile economico che ne derivava. Questo, se mai, andrebbe reputato una sorta di effetto collaterale, un rimborso spese dello stenninio. In quanto tale non può neppure paragonarsi allo sforzo estorto un tempo dagli animali e tratto oggi dalle macchine, essendo la loro morte o distruzione comunque un grave danno.

Se non aizzato da fanatiche motivazioni ideologiche lo sfruttame nto del lavoro servile doveva restare i1manzitutto compatibile con la sopravvivenza dello schiavo, altrimenti sarebbe comunque costato troppo per riuscire competitivo con la produzione, sia pure inferiore, che non lo massacrava. Senza contare che, a differenza dei nazisti presso i quali non esisteva un libero mercato interno dove porre in vendite le loro disgraziate vittime, ve ne erano molti nella società classica, per cui gli schiavi oltre ad un teorico valore di mercato avevano, comunque, un concreto mercato di cui tenere conto. Anche quando guerre spietate ne producevano in enorme numero, il loro costo non era affatto irrilevante, né il costo del loro mantenimento diminuiva. Significativamente molti possidenti erano pronti ad accaparrarsi i fuggiaschi, senza eccessivi scrupoli sulla loro provenienza, non di rado persino di condizione libera.42)

Pw·e trascurando questa innegabile precisazione, il lavoro servile aveva un costo affatto irrilevante anche per l'epoca, dovendosi pur sempre dar da mangiare agli schiavi, corresponsione di poco inferiore alla giornata dei libe1i lavoratori. E' certamente emblematico al riguardo che alcuni imperatori contrastarono la diffusione delle macchine ma mai quella degli schiavi, per evitare il crollo della richiesta di mano d'opera libera.

Vespasiano proibì l'istallazione di una potente gru, giustificando il rifiuto con la perdita di lavoro, e quindi di reddito, per le classi umi! i. Pertanto, lo scarso rendimento del la voro servile , il costo degli schiavi e quello del relativo mantenimento, per non parlare del loro ammortamento, finivano per renderne la prestazione persino più costosa di quella libera! Ben presto nelle miniere il lavoro tornò libero: i soli forzati erano dei condannati a mo1te, variante antica degli ebrei per i nazisti. Del re sto, con cinico ragionamento, quando un libero operaio moriva sul lavoro, il proprietario perdeva solo la frazione di giornata residua: se invece fosse stato un suo schiavo il danno era di gran lunga maggiore. Infine, se da un libero si potevano estorcere rendimenti esasperati con il miraggio della paga. nel caso degli schiavi si doveva 1iconere alle punizioni, che non potevano andare oltre un certo limite rischiando altrimenti di inabilitarli .

Ce1iamente gli oziosi patrizi disprezzavano i tecnici e si disinteressavano della tecnologia, ma non per questo non si avvalevano del loro apporto, atteggiamento in sostanza simile a quello odierno di tanti possidenti che disprezzano il denaro ma vivono di rendita. Spesso poi furono proprio gli oziosi patrizi a scrivere maggio,mcntc, come sono gli odierni possidenti a comparire più frequentemente nelle cronache mondane, dando perciò la sgradevole sensazione della loro preminen za sociale. [n entrambi i casi si tratta di minoranze, prive di seguito e consenso, in società freneticamente interessate ad incrementare rentità della produzione e dei relativi utili, migliorandone costantemente i mezzi e gli utensili. Neppure va escluso che l'ostentato disprezzo verso le rea lizzazioni tecniche fosse in realtà un atteggiamento intellettuale per apparire originali o un modo per evitare di doversi cimentare con la loro comprensione.

Se la pubblicistica scientifica e più ancora quella di argomento tecnico, quale che ne fosse il livello, ebbero una ampia produzione e diffusione nella società romana non fu per semplice curiosità o per steri le ammirazione. Meno che mai quando a farsene promotori furono gli stessi sovrani . il cui coinvolgimento scaturì sempre da concrete motivazioni. ln altre parole , dietro quelle iniziative culturali si devono, necessariamente intravedere dei vantaggi, sia in ambito economico che in quello militare.

Non meno assurdo attribuire alla mancata meccanizzazione il perdurare della schiavitù. Ritenere lo schiavo una fonte energetica primaria, un docile motore privo di alternative meccaniche, trova una palese smentita nella constata zione che furono proprio le società schiaviste quelle che di più stimolarono la produzione di macchine E' innegabile che vi furono maggiori progressi tecnici in Egitto, dove abbondava la schiavitù, che non in lsraele dove invece era rara. Come pure se ne ebbero a Roma in maniera superiore nel periodo antecedente a quello delle frequenti emancipazioni. per non parlare dei massicci affrancamenti nel corso delle invasioni barbariche, periodo di risaputo regresso. Ma forse l'esempio più probante perché meglio conosciuto è quello degli Stati Uniti d'America 43 l, dove la tratta dei neri fa da sfondo al grande progresso tecnologico. Errato, qui ndi. rapportare la meccanizzazione mancata alla schiavitù, come più in generale diminuirne la portata e la potenzialità .

La Mecca N Izzaz Ione Mancata

Assodato che da una promettente premessa sembra essere derivato soltanto un modesto sviluppo, appare sensato almeno cercare di stabilire le concrete potenzialità della tecnica che gli antich i Greci prima ed i Romani poi, non vollero o non seppero ulteriormente sviluppare. Che cosa rifiutarono realmente? Cosa li bloccò? Stranamente, anche al riguardo, esistono opposte conclusioni, ciascuna delle quali non priva di fondamento.

Un esempio illuminante è esposto a sostegno della prima, secondo il quale la famosa:"eolipila di Erone di Alessandria non poteva condurre logicamente alla macchina a vapore. Questa è nata dalla conoscenza scientifìca del vuoto. della condensazione, della pressione atnzo4èrica. tufle nozioni di ctd i greci non potevano disporre. E/orse questo è anche esempio di una cattiva interpretazione dei testi ... La mancanza di una dinamica nel sistema scientifico dei greci, del resto. os tacolò c onsiderevolmente lo sviluppo della meccanica tecnica ".44}

Tn definitiva, la tecnica greca:"non ha ancora i caratteri che defìniscono ai nostri occhi l'intelligenza tecnica, e che sono le basi del suo dinamismo. La tecnica mal si lega alla scienza. Ignora il pensiero sperimentale.

Per non avere elaborato le nozioni di legge naturale, di meccanismo .fìsico e di art(fìcio tecnico, essa non dispone del quadro concettuale che potrebbe assicurare il progresso". 4 5)

47. lllu:.trazione tratta da un codice medievale raffigurante un planetario basato sugli studi di Tolomeo.

48. Il mondo :,ccondo Tolomeo

A sostegno della tesi opposta, sì osserva e sempre in merito alla eolipila, che:·'le macchine a ,·apore moderne 11011 sono o,ffc11to indipendenti. come si è portati spesso a credere, dalle macchine ellenistiche, ma ne discendono attraverso un filo conrinuo. Le descrizioni di EroneJitrono intensamente studiare._ji-a gli altri. da Leonardo da Vinci; la possibilità di s.fi·uttare il vapore come.fòrma di energia motrice.fu poi riconsiderata da GB.Della Porta nei Pncumaticorum libri tres (1601), basati sulla Pneumatica di Erone. La prima macchina a vapore effettivamente costruita in epoca rnoderna sembra sia stata descrilla nel 1615 da Salomon de Caus e serviva ad azionare unafòntana omamentale a intermittenza: la dipendenza da Erone era evidentemente così jòrte da indicare anche l'uso di tali macchine".46\

Dal che la seconda conclusione:"si legge in genere che gli scienziati greci avevano sviluppato la statica ma non la dinamica. Essi conoscevano cioè le condizioni di equilibrio, ma 11011 le leggi del moto dei corpi. Queste qff'ermazioni lasciano l'impressione che gli antichi scienziati, grazie alla foro natura con te mplativa, si dilettassero a osservare corpi in equilibrio, guardandosi bene dallo smuoverli [ la realtàJ mal si concilia con questa impressione". 47) li blocco a questo punto diventa il classico collasso sul filo del traguardo, mito peraltro tanto caro ai Greci. I loro allievi e successori, ottimi sotto tutti i punti di vista per serietà ed applicazione ma estremamente mediocri per capacità speculative autonome. non potettero superare il diaframma. Si limitarono, si fa per dire, solo a migliorare quanto appreso e quanto compreso accenn1andone al massimo le potenzialità. Il dover amministrare e governare un impero di dimensioni inusitate agì da stimolo ma non accrebbe di molto la conoscenza complessiva, se non per successivi apporti dalle popolazioni conquistate.

Pertanto, stando alla suddetta ipotesi, che per molti aspetti appare più convincente, non esisterebbe alcun blocco tecnico ma semplicemente il ridimensionamento della ricerca, o per meglio dire della sua notorietà, dopo la conquista dei Romani. Ne seguì la sostanziale permanenza della tecnologia di base, ormai entrata nella fruizione corrente ed un più nascosto sviluppo di quella avanzata . Infatti, quello che stupisce di più, ma non sappiamo con che attendibilità, è appunto la constatazione che i livelli scientifici noti ai Romani in età augustea sembrerebbero gli stessi dell'ultimo scorcio dell'Impero, se non superiori. In pratica o ltre mezzo millennio di sostanziale stasi, tranne alcuni perfezionamenti delle a1tiglierie, peraltro sempre da ascriversi a ingegneri greci. Dando per buona l'osservazione, le ragioni del fenomeno sono senza dubbio, come per tutti i grandi eventi umani, molte e concomitanti. Sicuramente vi fu l'atteggiamento di disprezzo ve r so il la voro manuale e verso la tecnica. come del resto per ovvia simmettia verso la steri le conoscenza dei dotti di professione. Ma ciò deve attribuirsi, piuttosto, alla mancata interdipendenza fra le due fasi, teorica e pratica, intuizione ed esperienza, che finì per condannare entrambe alla ster ili tà. La tecnica da sola non ebbe la capacità di superare gli ultimi ostacoli che s i frapponevano a li' innesco di una piena meccanizzazione e la scienza non trovò interessante aiutarla a superarli e forse non ne ebbe nemmeno la capacità.

Pertanto:"si è parlalo di hloc<.:0 delle tecniche greche. Se si riprendono tutti i testi che si sono così .\pesso citati, li si potrebbero applicare ali 'epoca romana che 11011 ha conosciuto né innovazione notevole né macchinismo sviluppato e ciò anche in epoche in cui le ragioni invocate a spiegazione, schiavitù o disprezzo del lavoro manuale. non esistevano più o almeno avevano molta meno forza. Quesro, anche malgrado il miglioramento di determinate condizioni materiali (ricchezze naturali infìnitamente più abbondanti).

Occorre quindi invocare altre cause, di più difficile individuazione. Ce 11 'è una che viene subilo alla mente: in nessun modo i romani hanno fatto.fare progressi alla scienza, perlomeno alle scienze da cui poteva dipendere il progresso tecnico. Nonostante l'estensione geografica della loro civiltà. né la loro fisica, né fa loro conoscenza dei materiali andavano oltre ciò che i greci potevano sapere. La ricerca in questo campo è singolarmente ristretta e si sarebbe quasi in diritto di affermare che c'è un vero blocco, proprio come la civiltà tecnica cinese che si è bloccata. anch'essa, a partire da un dato momento. La percezione di questo arresto (il termine, ùfatti, conviene meglio di quello di blocco) sarà sempre altrettanto diffìcile da spiegare di una certa ripresa verso la metà del Xli secolo ... ". 4 8) In realtà quello che si a1restò o che venne meno , anzi per l'esattezza mai iniziò presso i Romani , fu lo stretto rapporto tra la scienza teorica e la sua applicazione pratica. Quest'ultima che innegabilmente conobbe un discreto sviluppo in età imperiale s u premesse del secolo precedente, procedeva in maniera autonoma, empirica e senza indagini teoriche. Ce1tamente anche i Romani disprezzarono il lavoro manuale, disprezzo come accennato non di rado dj maniera, ma la vera differenza rispetto ai Greci è nel mancato raccordo tra scienza e tecnica. Situazione che trova un conispettivo ancora una volta negli Stati Uniti del XlX secolo, dove la maggioranza degli invento,i, non di rado di eno1me successo sia pratico che economico, raramente aveva conoscenze pari a quelle del semplice ingegnere. La teoria era quasi superflua contando, in definitiva, la pratica e la sperimentazione. Esempio emblematico dì tale forma mentis fu la turbina costruita da Pelton, concettualmente identica a quella già utilizzata dai Romani , ma appena più grande e più sol ida. In antitesi, la turbina progettata, vagliata e infine costru ita da Francis, munita d'un gran numero di pale oblique, sulla girante e sulla chiocciola, esito di complessi ed accurati calcoli matematici. Entrambe le turbine, significativamente continuano ad essere costruite in quanto ciascuna delle due vanta un suo preciso ambito applicativo, situazione che non consente un drastico raffronto, ma una modesta riflessione fra i due modus operandi.

Il Motore

Nella quasi totalità delle pubblicazioni e delle ricerche sulla storia della tecn ica o sui livelli tecnici vigenti nell'antich ità, è ribadita l'inesistenza del motore. Il concetto, peraltro impropriamente formulato, risulta però errato pure nella giusta defini zione, che comunque implica e sottintende una più calzante definizione del motore. Secondo la meccanica greca il motore era infatti r organo destinato ad imprimere il moto a oggetti e congegni altrimenti statici e fermi. Il criterio, che sol tanto in prima approssimazione coincide con l'attuale. potrebbe rifonnularsi per noi in macchina motrice. ovvero la macchina che fornisce il lavoro meccanico. Ossia macchina capace di eseguire determinate sequenze meccaniche, traendo l'energia cinetica necessaria da altre fonti: in teoria in quantità equivalente, in pratica in quantità maggiore per sopperire alle inevitabili perdite. Dal momento che nell'antichità dette perdite non solo non erano rilevabili con precisione ma neppure costituivano un serio inconveniente, il rapporto fra energia introdotta ed energia resa, cioè il rendimento della macchina, non ebbe il benché minimo interesse. Risultava del tutto trascurabile nel più articolato rapporto costo-beneficio, fornito dalla macchina.

Dal punto di vista filologico il vocabolo motore definisce un organo, un dispositivo o un congegno anche rudimentale, capace di sviluppare un movimento, di produrre cioè uno spostamento, una variazione cinetica. In pratica, tutto ciò che fa muovere qualcosa con una sequenza logica prestabilita, sia pure per un breve istante, è equiparabile ad un motore, almeno nel senso classico della definizione. Cronologicamente, nell'accezione suddetta, la comparsa del motore ri sul ta remotissima, forse antecedente persino al neolitico, trovandosi ampiamente impiegato nelle trappole.

In realtà in quei rozzi quanto ingegnosi meccanismi si ravvisa, piuttosto. un dispositivo ibrido di motore passivo-attivo, accumulatore in fase di defom,azione e motore in fase di recupero formale. Il che implicava l'adozione di due tipologie di energ ie potenziali, quali quelle connesse con l'elasticità e la gravità, facilmente reperibili in natura. Ad attivarne il moto, per la cattura o l'uccisione della preda, era un dispositivo automatico azionato dalla stessa vittima. 4 9)

Le due tipologie di trappole sono, in definitiva, le capostipiti dell'intera gamma di tutte le successive macchine dell'antichità dotate di un motore a molla o a contrappeso, alcune del la quali con tinuano ancora a fornire la loro prestazione. Sempre nella preistoria si colloca pure un 'altra tipologia di motore, sebbene d'impiego estremamente saltuario e non esclusivamente mediterraneo. Si tratta di quello azionato dal la espansione di un gas: al di là del termine molto supponente è concettualmente il più antico dal momento che anche lo sp utare un nocciolo di ciliegia costituisce una forma di moto per espansione di gas! Quel semplice gesto, infatti, per paradossale che possa sem brare, utilizza il medesimo principio del cannone e del motore a combustione interna, non a caso definite entrambe macchine a scoppio, cioè ad espansione di gas.

Una sua applicazione è ravvisabile nella cerbottana, arma che dal punto di vista concettuale è praticamente identica ad un'odierna arma da fuoco. Nell'età classica, per quanto fino ad oggi ne sappiamo, la cerbottana non risulta impiegata o, per lo meno, di tale impiego non si trova esplicita menzione o raffigurazione. E', però, interessante osservare che qualcosa di

53. La ccrbonana. utilinata come am1a da caccia presso tribù primitvc.

54. Cannello fcn-uminatorio attualmente utilizzato nell"oreficeria artigiana le simile doveva essere impiegato come mantice per attizzare il fuoco, definito in segui to cannello ferruminatorio. ben noto agli Egizi.

Tornando al concetto di motore, appare evidente che la sua interpretazione archeologica contrasta con l'odierna, che così definisce. quasi esclusivamente, congegni capaci di produrre un moto rotatorio. Unica e significativa eccezione il motore a reazione o a razzo, non a caso definito propulsore o anche organo di spinta. Per contro molti dei dispositivi a funzionamento differito nel tempo o automatici. inventati dai Greci prima e dai Romani poi, supponevano l'adozione di un motore: ma raramente, tra le sue caratteristiche. si scorge quella della rotazione. Se per chiudere una serratura era necessario far ruotare la chiave, non per questo la mano può considerarsi un motore. Se mai lo è l'intero corpo umano che, pur non girando, è stato il principale motore della antichità, fin quasi all'inizio del '900. Va poi osservato che un gran numero di congegni fatti funzionare direttamente dalla forza umana, disponevano di piccoli moto1i secondari alimentati sempre dalla stessa energia muscolare.

Per restare alla serratu ra, pur avvenendo la rotazione tramite il motore umano, una parte di questa energia viene accumulata in una molla che. al cessare della forza, diviene a sua volta il motore meccanico che riporta il catenaccio al punto di partenza. Per noi si tratta di una banale molla di rinvio, ma è un perfetto esempio di motore secondario, per l'esattezza di accumulatore-motore, alimentato dal motore primario. Tanti congegni dell 'antich ità ebbero in abbondanza motori secondari siffatt i come del resto, mutatis mutandis, lo sono gli attuali. In una nostra autovettura, ad esempio, oltre al motore termico, il motore per antonomasia, vi so no decine di motori elettrici di tutte le dimensioni e potenze, da quello d'avviamento a quello dei tergicristalli, delle ventole, dei retrovisori, ecc. Tutti vengono alimentati con l'energia e lettrica , generata sottraendo al motore tennico una piccola frazione di energia meccanica, accumulandola in una batteria, per poterla poi impiegare anche a motore spento. Far funzionare per giorni un orologio o una balista per un istante, implica l'adozione di dispositivi capaci di essere alimentati dalle sorgenti energetiche primarie, cioè quelle disponibili in natura, trasfonnandone le varie potenzialità in lavoro, immediato o differito. Questo fu il motore meccanico nell'accezione più aderente e stringente dell'antichità, includendo, per ovvie ragioni, la forza muscolare. Posta così la questione. non è difficile trovare i riscontri e le conferme esplicite e implicite, nella letteratura e nell'iconografia, a patto di aderire alla logica degli antichi in materia.

Motori E Ambiti Naturali

Motori primari furono, quindi, le molteplici macchine alimentate dalla forza dell'acqua o del vento, dalla forza intrinseca del fuoco o da quella di gravità tetTest:re. 1n breve, da tutte le potenzialità dinamiche già presenti in natura nei quattro ambiti delle radici filosofiche! Che poi, volendo attualizzarne la definizione, quei quattro elementi, nell'ordine te1Ta, acqua, aria e fuoco, coincidono con i quattro stati di aggregazione della materia, nell'ordine solido, liquido, aerifonne e, buon ultimo, del plasma! Analogia strettissima che, se non altro, annienta i fin troppo facili sarcasmi sulla scienza antica, esito non dj rado d'abborracciate interpretazioni e clericali traduzioni! Pertanto, come i nostri motori lavorano in tutti e quattro gli stati di aggregazione della materia, anche quelli dei nostri antenati lavoravano nei corrispettivi ambiti ed a questo basilare criterio subordineremo 1'intcra ricerca. 1n particolare dato che alla generica etichetta di motore si associa, sistematicamente, la qualificazione elet- trico, idraulico, a gas, termico, ecc., circa la sua energia di alimentazione, analoga precisazione sarà applicata pure ai motori primari dell'antichità. Avremo, pe1tanto:

55. Arcaica macina a manovella.

MOTORI AD ENERG IA POTENZIALE ACCU:\ l t..:LATA NEI SOLm 1, quale deformazione elastica per motori a molla o a gravità nei motori a peso. Trattandosi comunque di energia s,·iluppata mediante una massa solida. sono ascritti allo stato solido. già della terra

.., :\IOTOR I IDRAULICI, o ad acqua. in grado di sjì·uttare l'energia cinetÌca o ponderale di una massa d ·acqua. !11 quanto tali sono ascritti allo stato liquido, già del! 'acqua

.., ."10TORl PNEUMATICI, o ad aria in grado di sfruttare l'energia cinetica conseguente al moto di una massa aeriforme. in quanto tali sono ascritti allo stato aeri.forme, già dell'aria

.., MOTO RI TERMJCI, in grado di sji-uttare l'energia data dall'innalzamento della temperatura di un corpo, per lo più fluido, mediante somministrazione di calore dal! 'esterno. In quanto tali sono ascritti allo stato del plasma, defìnizione odierna per i.fluidi luminosi ad altissime temperature.

I motori , quindi, fatta salva la suddetta precisazione, nell'antichità classica già esistevano ed erano di diversa tipologia , con varie connotazioni struttmali e funzionai i. La vera e vistosa differenza con gli odierni, causa non ultima della mancata equiparazione, consiste nel non essere trasportabili o per meglio dire, alimentabili con sorgenti traspo1tabili, quali ad esempio combustibili o batterie! Motori quindi intrinsecamente statici, non lontani perciò dal classico motore immobile!

Premesse E Promesse

momento che non ce ne hanno lascia to né una descrizione, né una inunagine. Il che è senza dubbio esatto, per quanti concepiscono l'antica manovella pressappoco simile al l'attuale: tuttavia è possibile avere manovelle tecnicamente ineccepibili di diversa connotazione!

Difficile, allora. riconoscerla nel disco di pietra munito di un foro centrale per il perno di rotazione e di uno periferico per la maniglia. rispettivamcnle il braccio di una manovella e il suo bottone, di un'arcaica macina a mano' Sostanzialmente simile anche la corona che azionava la pompa a bindolo di una delle navi di Nemi. Ancora più difficoltoso ravvisare nel mantice ricavato da due canne di bambù affiancate e munite di stantuffi, azionati alternativamente con entrambe le mani a orecchio, un compressore pneumatico bicilindrico! Poiché quel rozzo quanto ingegnoso dispositivo fu adottato persino dai fabbri romani per la sua resa, se ne ricava a loro carico una cospicua capacità di discernimento tecnologico. Quest'ultima precisazione, cioè della remuneratività di una scoperta o di un 'invenzione , non sembra tuttavia il vero discrimine per la sua adozione. li concetto, infatti, legato a questioni di gestione economica in regime di scelte fra più oppo1tunità, risulta di gran lunga più moderno. Pertanto l'adozione, se mai, andrebbe relazionata solo alla capacità di superamento di un limite, owero di rendere possibile ciò che fino a quel momento non lo era. Il che lascia supporre una ottimizzazione accidentale e spesso neppure necessaiia in assoluto: quindi una tecnologia non omogenea, ma di punta o di elite. Connotazione che oltre a complicare notevolmente la ricerca giustifica, in parte, la nostra ignoranza circa i livelli più avanzati.

Un Mito Da Sfatare

Capita spesso che descrivendo alcuni congegni, alcune macchine o alcuni dispositivi tecnologici romani s i resti stupiti per la singolare somiglianza fonnale o funzionale con gli attuali impiegati per la medesima finalità. Classico il commento: non abbiamo inventato nulla , gli antichi già sapevano tutto! Il ragionamento che sembrerebbe adombrare la certezza di una continuità d'uso fra le due realizzazioni, nota a pochi cultori della materia e da questi sfruttata, di tanto in tanto, a loro vantaggio, non è del tutto destituito di fondamento come, in seguito vedremo. Per il resto, la supponente retorica sembra insistere nell 'improbab ilità di elaborare analoghe soluzioni complesse, in periodi diversi e in maniera autonoma una dall'altra: conclusione ineccepibile quando la rosa delle possibilità si conferma rilevante. Drasticamente opposta, invece , quando risulta limitatissima: banale prevedere, dopo tre tiri d'una moneta, il ripetersi della testa o della croce' Pertanto il ricomparire a distanza di vari secoli, a volte persino di millenni, di una qualche invenzione o di un qualche congegno non de1iva necessariamente dalla continuità del suo ricordo o dal s uo uso ma, spesso, da una causa molto più semplice e, forse, persino semplice fatta di soluzioni obbligate e di prolungati abbandoni. Quanto i Greci e i Romani inventarono e scopr irono, di notevole efficacia e spesso di originalissima e complessa funzionalità, quasi mai si confermò una premessa della moderna tecnologia ma , piunosto lo si reputò tale a posteriori!

Occorre, tuttavia, osservare che la perdita tecnologica provocata dal Medioevo, costituisce senza dubbio una cesura del progresso: ma non è affatto scontato che lo sia stata in maniera assoluta. Né si può escludere che le suddette analogie e somiglianze tra alcune realizzazioni antiche e le corrispettive moderne abbiano un'altra e plausibilissima, spiegazione. I manoscritti che le descrivevano, costituivano l'impegno basilare della scuola alessandrina e della attigua mitica biblioteca. Il suo incendio, sotto molti aspetti non storicamente definito, non poté distruggere interamente gli oltre 700 .000 volumi conservati. A parere di molti studiosi un gran numero di essi scampò allo scempio e finì tra le mani di cultori arabi e bizantini 50> , che gelosamente li custodì.

11 sacco di Costantinopoli, perpetrato dai crociati nel J 204, portò in Occidente molti di quei trattati; molti altri ancora pervennero con la Reconquisw spagnola. Tanto il greco quanto l'arabo erano scarsamente compresi dai primi umanjsti, a djfferenza dei disegni esplicativi di cui quei manoscritti erano ricchi. L'antica tecnologia iniziò così a filtrare per immagini, eloquenti e comprensibili anche per i tecnici analfabeti, diffondendosi nuovamente, riannodandosi perciò esattamente dove si era interrotta, dopo una pausa di oltre mille anni!

In ogni caso l'antica tecnologia alessandrina, a giusto titolo, può considerarsi una rivoluzione dimenticata e forse anche fraintesa. Più che una sterile promessa, una feconda premessa, un prologo eccezionale seguito da una lunghissima pausa, conclusasi e risoltasi nel Rinascimento. Per i coevi fu comunque una falsa partenza, una occasione tragicamente sprec ata. Intenuzione che. oltre a comportare la necessità di dover ripercorrere un faticoso itinera1io, ha prodotto l 'abnonne protrarsi dell'abiezione della schiavitù, della riduzione del! 'uomo a motore , con un corollario di atrocità e brutalità precipue del lavoro coatto.

Il Passato Non Passato

Volendo approfondire ulteriormente 1'ipotizzato travaso culturale della scienza e della tecnologia alessandrina ed ellenistica. in quelle rinascimentali si impongono alcune considerazioni. Alla sensazione che in età classica buona patte degli odierni congegni, sia pure in maniera embrionale o parziale, era già utilizzata, se ne accompagna una seconda ancora più condivisa. Dopo una attenta osservazione dei disegni di Leonardo, infatti, si finisce per credere che ben poco della nostra civiltà meccanicistica s ia sfuggito alla sua acuta indagine ed alla sua magistrale mano. In altre parole ci si troverebbe di fronte non solo ad un artista sub lime e ad un indagatore acutissimo, ma in numerosi casi ad un precursore del futuro, una mente dotata di percezioni extra senso riali. Un medium in grado di vedere il futw-o, salvo poi tentare di rappresentarlo con le risorse tecniche allora disponibili. Freno per antonomasia delle sue macchine l'indisponibilità di un motore di tipo attuale , leggero , potente e facilmente trasportabile. Solo per questa tragica deficienza quelle macchine restarono bloccate sulla carta e i suoi velivoli inchiodati al suolo!

Le due conclusioni, accomunate dalla percezione di una tecnologia inceppatasi a ridosso dagli odierni h·aguardi, appaiono per il resto molto distinte e distanti fra loro. Gli antichi al massimo si erano spinti a pure congetture, mentre Leonardo aveva preconizzato nettamente il futuro, del quale può considerarsi il profeta. Quanto emerge, però. da indagini più accurate e meno romantiche ribalta nettamente la questione: quello che Leonardo raffigurava non era una preveggenza del futuro ma una reminiscenza del passato! Non un sommo genio che preconizza la tecnologia che sarà. ma un sommo artista che raffigura quella che era stata! Se mai vi fosse un qualche dubbio a riguardo, basterebbe a fugarlo la con- statazione dcli 'assoluta identità tra le sue macchine e quelle dei suoi immediati predecessori. quali Valturio. Kyeser. Ghiberti, Mariano di Jacopo, Francesco di Giorgio, per citarne solo alcuni. Pertanto, Leonardo e con lui tutti i tecnici artisti appena menzionati, non altrettanto abili nel disegno ma per nulla inferiori nelle elaborazioni tecnologiche, riportarono alla luce l'antica tecnologia ellenistica fiorita ad Alessandria, e in buona sostanza dimenticata.

La sfasatura temporale tra i primi autori e gli ultimi. circa un secolo. potrebbe essere dipesa dalla gradualità della diffusione dei manoscritti una volta detenninatosi un fiorente mercato per quel tipo di bene. Infatti:'"dalla metà del Trecento un .flusso di scritti greci provenienti da Costantinopoli si diresse in Italia. e da qui nel resto d'Europa, provocando quello che è detto il Rinascimento per antonomasia. li.flusso s "intens{fìcò nel primo Quaurocento. Duecentotrentotto.furo110, ad esempio, i manoscritti portati da Giovanni Aurispa nel viaggio del 1423".5 1}

In particolare:'"/ 'A urispa, oltre che do/lo. fu uno dei numerosi mercanti che a/l'inizio del Quaflrocento si dedicarono al lucroso traffico di manoscritti tra Costantinopoli e l 'Jtalia. Possiamo esser certi che una frazione dei libri allora giunti in Italia .fìni col perdersi di qualche generazione "5 2)

Del resto occorre ricordare che:"gli intellettuali rinascimentali non erano in grado di capire le teorie scientifiche ellenistiche, ma, come bambini intelligenti e curios i che entrano per la prima volta in una biblioteca, erano attratti dai singoli risultati e in particolare da quelli illustrati nei manoscritti con disegni, come le dissezioni anatomiche, la prospettiva, gli ingranaggi. le macchine pneumatiche, la fusione di grosse opere di bron::o, le macchine belliche , l'idraulica, gli automi, la ritrattistica 'psicologica', la costruzione di strumenti musicali.

Il più fàmoso tra gli intellettuali attratti da tutte queste ·novità ' è Leonardo da Vinci, che non solo si interessò a tutti gli argomenti prima elencati, ma ne fu anche indotto a tentare (.senza successo, per la verità) lo studio delle opere di Archimede. Risultati molto migliori egli li ebbe mettendo in pratica alcune delle idee contenute nelle antiche opere, soprattutto quando poteva usare le sue straordinarie doti di osservatore e pittore: per esempio tentando di recuperare l'anatomia con la dissezione di cadaveri e compiendo osservazioni nel campo

Da tempo Leonardo non ci appare più un genio isolato. ma si è riusciti a inquadrarlo come il più rilevante esponente di un ambiente in cui si condivideva110 gli stessi interessi, si guardavano gli stessi libri e si realizzavano disegni analoghi... Spesso nel passato le stesse persone che snobbavano i congegni di Erone, considerandoli inutili giocattoli. si entusiasmavano ai disegni tecnici ·avveniristici' di Leonardo, che, quando non ne erano copie, ne erano spesso fortemente ispirati, come nel caso di rorchi, demoltipliche, macchine per .fìlettare viti, magli automatici, 'ruote a vento', sifoni, .'fontane di Erone ·. apparecchi mossi dall'aria calda ascendente, livelle ad acqua ... In altri casi, come in quelli delle ca,ene di trasmissione a maglie piane e della balestra automatica, la fònte di Leonardo è Filone di Bisanzio . Molti altri appunti leonardeschi sono chiaramente basati su antiche jònti: ricordiamo per esempio, Le osservazioni di ottica, quelle sul/ 'origine di fossili marini trovati lontano dal mare, balestre seghe idrauliche, cuscinetti a sfèra La lista potrebbe continuare a lungo".53)

L'ENIGMATICO CAI\NONE A VAPORE DJ ARCHlMEDE

Dì certo quei manoscritti esistettero e si tramandarono a lungo, dal momento che descrivevano congegni fondamentali: macchine effettivamente esistite e funzionanti, esito della coeva tecnologia, della quale nel frattempo si era persa ogni cognizione. Una significativa confenna di ciò si coglie proprio a caiico di una strana invenzione che Leonardo attribuisce ad Archimede: il leggendario cannone a vapore, o architronito. Nella fattìspecie:"u11 'annotazione di Leonardo nel Codice L dell'Istituto di Francia contiene la frase «Bo rges ti farà avere Archimede del vescovo di Padova e Vitellozzo quello da il borgo a San Sepolcro».54) Alcuni libri letti da Leonardo su Archimede dovevano contenere injòrmazioni oggi non più disponibili, Leonardo descrive e disegna un cannone a vapore, che chiama architronito ... attribuendone l 'invenzione ad Archimede e mostra di conoscere notizie biografiche, riguardanti sia un soggiorno di Archimede in Spagna sia particolari sulla sua sepoltura, sui quali non siamo ù?formati". 55> lnfatti:"che Archimede, oltre a/l'Egitto. abbia visitato anche altri paesi, lo troviamo affermato da alcuni scrittori, e fra gli altri dal Torelli, uno dei principali editori delle sue opere, che scrive essersi egli di ritomo da/1 'Egitto, recato altrove ed ivi avere per qualche tempo soggiornato.

Al tempo in cui il Torelli scriveva non era ancora noto un passo di Leonardo da Vinci il quale nota d'aver «ritrovato nelle storie delli spagnioli» che Archimede Siracusano si trovava presso Eclideride, re dei Cilodastri, nel tempo in cui erano in guerra cogl 'inglesi. e, combattendosi sul mare, suggerì certa disposizione da darsi al! 'armatura delle navi per la quale poteva lanciarsi.facilmente pece infuocata che obbligava il nemico ad abbandonare il combattimento e metteva in gravi pericolo i vascelli.

In quale istoria della Spagna abbia Leonardo trovata menzione di tale jèuto nessuno.finora ha saputo dire: in capo al brano autografo si legge d'altra mano «Historia de los espagnolos antiguos». ma persone dottissime in tale materia non sono state in grado di trovare confèrma del fatto non solo, ma neppure menzione del re e del popolo presso il quale sarebbe stato Archimede, esercitando in certo qual modo le/unzioni di ingegnere militare. Sicché. a meno di trovarne COl'?ferma in altre fonti, che non sapremmo nemmeno dire quali potrebbero essere, non il solo fatto riferito da Leonardo, ma anche il soggiorno stesso di Archimede nella Spagna deve essere relegato tra le cose meno sicure che intorno alla vita di lui ci vennero tramandate". 56 )

Ciò premesso, circa la strana arma a vapore, che secoli dopo troverà effettiva costruzione ma non adozione per la sua complicata attivazione, le ragioni dell'attribuzione ad Archimede non possano relegarsi al rango di arbitraria paternità nobile. Leonardo non ebbe mai bisogno di cercare un padre illustre per una sua qualsiasi elucubrazione per evitarle la derisione. Non co1,-eva tali rischi e, comunque:"esperimemi del genere [sul vapore} portarono Leonardo, con qualche allro autore. a immaginare quell'arma da guerra che egli chiama architronito f=supertonanteJ. di cui attribuisce, non si sa bene perc'1é, la paternità ad Arc'1imede. Sembra proprio ù!fatti, che non si tratti altro che del.famoso esperimento seicentesco consistente nel.far esplodere un cannone dopo averlo riempito d ·acqua e riscaldato. Leonardo si serviva del vapore per espellere un proiettile. «Architronito è una macchina di fine rame, invenzione d'Archimede , e gitta ha/lotte di jèrro. con grande strepito e .fi,rore. E usasi in questo modo: la terza parte dello strumento sta in fra gran quantità di filOco e di carboni, e quando sarà bene da quelli infocata. serra la vite d, eh 'è sopra al vaso dell'acqua abc, e nel serrare dì sopra la vite, ei si ristopperà di sotto e tutta la sua acqua discenderà nella parte infocata dello strumento, e lì subito si convertirà in tanto fi1mo che parrà meraviglia, e massime a vedere la furia e sentire lo strepito. Questa cacciava una ballotta . che pesava uno talento. swdii 6» ".57)

Leonardo conclude il brano, ricordando che l'arma in questione riusciva a scagliare una palla del peso di circa kg 26 ad una distanza di quasi un chilometro, prest azioni non lontane da quelle dei coevi cannoni a polvere . I dati metrici, stranamente . sono espressi non secondo le unità di misura lineari e ponderali della sua epoca e neppure solo d'età romana, ma squisitamente greche, che ben difficilmente avrebbe potuto conoscere e per nessuna ragione usare. Pertan to anche ammettendo che avesse realmente costruito 1'architronito perché fornirne leprestazioni ricorrendo a misure tanto desuete per i coevi? Del n1tto logico, invec e , se le avesse tratte da un antico manoscritto alessandrino. per cui ignorandone i parametri precisi di conversione si limitava a citarle. li che confennerebbe ulterionnente la cooptazione di macchine di avveniristica concezione e fattura, provenienti però da un lonta no passato e che solo i massimi intelletti tecnici ri uscivano, alla meno peggio, a comprendere. Come spiegare altrimenti, oltre a quanto già 1icordato, non so lo l'interessamento di Leonardo ma la sua minuziosa cura posta ne l realizzare numerose tavole su ba lestre giganti, mangani a ripetizione, trab ucchi automatici e similari artiglie1ie elastiche quando negli stessi an n i quelle a polvere segnavano il vistoso balzo in avanti 58), c he le avreb b e lasciate po i imm utate per i successivi tre secoli? Possibile supporre c he una mente così protesa nel futuro, non fosse minimanate incuriosita da simili perfezionamenti e si trastullasse accrescendo a dismisura armi a molla 01111ai da secoli giubilate? E perché?

Logico allora convenire che quei disegni non e r a no dei pueriH progetti di anacronistiche macchine da guerra ma, soltanto, la riformulazione grafica meccanicamente corretta di quanto, approssimativamente, ripo rtato da vetusti codici!

A Na Lo G Ie E Diffe Re Nze

Prima di iniziare una ricerca sugli aspetti scienti fi ci meno noti della tecnologia romana occorre fare una basilare considerazione. A differenza dalla tendenza athiale, frutto della rivoluzione industria le, i prodotti della tecnologia avanzata tendono a raggiungere una popolazione sempre più ampia, e la qualità dei pro- dotti è tanto migliore quanto maggiore ne è la produzione, contrariamente al prezzo. Infatti solo ampliando il mercato si consente la ricerca e si ammortizzano i costi dei prodotti. Ne deriva un costante allargamento del primo ed una sostanziale omogeneità dei secondi. Si potrebbe perciò parlare di una diffusione orizzontale, come quella di un 'alluvione, praticamente a livello globale. Non così in epoca romana quando. pur esistendo un vasto ambito territoriale ben collegato e solidale, non si ebbe mai un mercato omogeneo e globale. Persino all'interno cli una piccola città, i dislivelli appaiono vistosi tra una classe e l'altra, tra un'area urbana e il circondario agricolo.

Pertanto il progresso tecnologico restò sempre beneficio di una ristretta minoranza di fatto isolata. In altri termini la diffusione del tecnicismo nella società fu verticale e disomogeneo, ad eccezione dell'ambito militare. Tanto più che quasi sempre fu proprio la stessa istituzione a farsene carico, sia della ricerca che della diffusione. il che rese la ricerca successiva inevitabilmente piuttosto qualitativa che quantitativa.

L'esercito romano, più ancora di quello di Alessandro grazie alla durata della sua preminenza e alla capillarità della sua presenza, nell'evoluzione tecnologica assolse un ruo lo primario. Non fu, infatti, soltanto l'unica entità in grado di comprenderne i suggerimenti e le realizzazioni in qualsiasi parte dell'Impero, ma anche l' u nica a stimolarne nuovi usi e miglioramenti. Una sorta di colossale antenna in grado di raccogliere anche i segnal i più deboli e confusi per rilanciarli, amp l ificati, in ogni direzione. fl che però non significa c he dovunque vi fossero stazioni in grado di riceverli!

La particolare prassi, injzialmente riguardante solo le armi, che i Romani si vantavano di saper apprezzare e copiare dai loro nemici, conobbe in seguito ampia adozione. Grecia, Egitto ed Anatolia furono tra i massimi ispiratori, da cui i tecn ici Jegionaii appresero conoscenze e procedure facilmente sfruttab ili in contesti e per fi na li tà similari, apportandovi utili modifiche ed efficaci adeguamenti c he risolsero prontamente come, ad esemp io, nel caso del mulino ad acqua o delle navi sotti li. Una singolare gestazione, che ebbe posit ivi riscontri per la sua razionale natura mil itare, ma anche innegabili ed evidenti limiti non essendo immediatamente fruibile fuori da que l contesto su scala ampia e socialmente omogenea. Questa precisazione apparentemente marginale potrebbe spiegare la ragione del le nto avanzamento complessivo della tecnologia nell'Impero malg rado la sua rapida not01ietà.

A rendere la diffusione delle idee più evolute aleatoria ne li 'intera comunità tecnica contribuiva una carenza, c he per rilevanza va equiparata ali 'analfabetismo nella società umana. Tanto i Greci quanto i Romani, pur disponendo di una rapprese n tazione grafica convenzionale di ciò che si vuole costru ire, sostanzialmente analoga alla nostra, basata sulle tre proiezioni 01togonali, non ne godevano la condivisione estesa anche ai più umili artigiani. Certamente conobbero il disegno in scala, come pure le s ingole proiezioni ma non giunsero mai ad un loro impiego un iversale e sistematico . D el resto molti a11 igiani che avrebbero dovuto avvalersene spesso non sapevano neppure lcggere!S9)

68. Una catapulta a torsione rafligurata sulla tomba di C. Moderato Vedennio. Musei Vaticani, I sec. d.C.

Si sa che:·'dalla metà del IV secolo a.C. in poi cominciano a circolare manuali che trattavano di agricolturu. architettura e polior<.:etica {in quel!,] destinati ad architetti e costruttori di macchine il disegno gioca un ruolo primario: consci delle di/jìc oltà di adoperare un linguaggio tecnico gli autori di questi manuali ricorrono anche alla stesura di jìgure schematiche e al linguaggio d e i segni perjèu.:ilitare la comprensione da parte del proprio pubblico e soprattutto per usare le regole della geometria ".60)

Ma quanti erano effettivamente in grado non solo di leggere quei h·attati e di comprendere quei grafici ma di procurarseli, dovendosi supporre redatti in pochissime copie peraltro molto costose? E la convenzione grafica quando si sarebbe ratificata e come si sarebbe insegna ta, prima che fosse dì uso se non comune almeno ampio? Sappiamo che:"la più celebre prova dei ricorso al disegno in pianta e al modello secondo scale prestabilite deriva dallo spettacolare lavoro di ingegneria che Euripalo di Megerajèce a Samo per la costruzione di un acquedotto che, dopo aver auraversato la montagna, doveva portare/ 'acqua aL/a città al/ 'interno della galleria {in} una grande iscrizione dipinta di oltre cinque metri il disegno i11 scala, circa !:50". 6 1l Ma che senso avrebbe avuto un disegno realizzato all'interno della struttura che rappresenta e per giunta su di una parete?

Quanto grave fosse la carenza di un vero disegno di progetto lo dimostra che, mentre in Egitto grazie alla disponibilità di un supporto cartaceo, il famoso papiro, fu possibile tracciare dei disegni di precisione geomettica, in occidente si rico1Teva a segni sulla sabbia d'infima qual ità grafica e inamovibili. Nel primo caso ne derivò uno sviluppo delle applicazioni delle conoscenze teoriche, nel secondo seguirono piuttosto elucubrazioni, vere manifestazioni di puro pensiero Non potendosi e non sapendosi disegnare in maniera precisa e convenzionale, se non sporadicamente, e non potendosi agevolmente riprodmTe quei grafici, è facile immaginare quanto fosse difficile divulgare nozioni meccaniche comp lesse, persino a breve distanza.

Anche in ambito artistico neJl'antichìtà le macchine sì raffig u ravano m olto di rado e solo se ostentavano forme, in qualche modo, gradevo l i. E. poiché l'ideale era comu n que il corpo umano, solo rifacendosi ad esso quei congeg n i potevano sperare nell'onore della riproduzione . Emblematico il caso dell'iniettore a vapore, che venne realizzato per quasi un millennio e mezzo co n la forma dì una testa umana intenta a soffiare! Inconcepibile, vigendo tanta repulsione, r icercare la raffigurazione di macchine e, sopratt u tto, dei rispe tt ivi dettagli: compaiono, infatti, rarissimamente e sommariamente soltanto sulle steli funebri, per ricordare l'attività del defunto.

Ciò premesso, il trasferimento dei progressi tecnici e dei nuovi congegni si realizzava esclusivamente tramite il trasferimento dei tecnici stessi e degli artigiani, ovvero la migrazione della memoria e delle abil ità costruttive. Emblematica al riguardo, la soluzione adottata da Dionisio il Vecchio di convocare a Siracusa, dietro larghi compensi, quanti fossero in grado di progettare e approntare armi mai viste, di qualsiasi regione fossero Nella fattispecie, il tiranno univa all'ampia disponibilità economica una forte richiesta, concause ideali e indispensabi l i per lo sviluppo tecnologico: in mancanza dell'una o de l l'altra la procedura non sarebbe neppure stata concepibile.

Un mondo tecnico senza raffigurazione grafica e senza una base matematica sembra, ai nostri occhi, u n controsenso, u n ostacolo allo sviluppo ed alla diffusione della sc ienza E un aggravio lo fu senz'altro per l'espandersi del sapere tecnico, ma, paradossalmente, minore di quanto siamo portati a credere, proprio per la sua accennata d iffusione verticale cd elitaria.

Principio Di Sussidiariet

Una situazione del genere, tuttavia, favoriva. si fa per dire. l' iniziativa privata ma non svolgeva un identico ruolo per quella pubblica , che presenta una seconda diversificazione rispetto all'attuale. Nel nostro contesto, la tecnologia impiegata per la funzione pubblica non differisce gran che da quella dei privati, se non per quantità . Una rete ferroviaria statale è l'ingrandimento di una ferrovia a sca,1arnento 1idotto impiegata in cantiere. o adibita al trasporto di persone e merci all'interno di un ampio complesso. Non di rado quest'ultima è anche più sofisticata della prima , sebbene di gran lunga più modesta. Non così nell ' antichità, dove non si osserva alcuna corrispondenza fra pubblico e privato. Per restare ai trasporti, quelli pubblici mancavano quasi del tutto, al punto che un viaggio per mare dal Nordafrica all'Italia poteva compiersi, non di rado, sulle navi militari a discrezione del loro comandante. Ed ancora la rete di distribuzione dell'acqua all'interno di una odierna villa , può ritenersi una miniatura della rete di distribuzione pubblica, alle diverse utenze. Non così nelle città romane poiché, pur avendosi la seconda, non si aveva la p1ima al di là di una fornitura discrezionale e temporanea.

Il discorso può estendersi ad altri casi, ad esempio l ' illuminazione notturna delle città, ben dotata nelle residenze private e praticamente inesistente nelle strade pubbliche; ed ancora il servizio postale efficiente per lo stato e ind isponibile per i privati; e così pure la sanità, forte di razionali e capaci ospedali militari ma del tutto a s sente per i privati. Si è di fronte, a ben guardare , a una concezione sociale che disdegna la duplicazione delle funzioni , applicazione rigida e , a volte anc he ottusa, del principio della sussidiarietà dei servizi e delle funzioni.

Pertanto ne deriva che la conoscenza di una partico lare soluzione tecnica non significa affatto, né automaticamente , la sua utilizzazione corrente. Volendo ancora esemplificare, la disponibilità di ottime chiavi d'arresto per l ' acqua non s ignifica implicitamente che vi fosse l ' acqua corrente in ogni abitazione e neppure nella maggioranza delle case, ma soltanto che tale eventualità sarebbe stata tecnicamente possibile! Certamente si conobbero e si realizzarono, come vedremo, dei miscelatori di bron z o monocomando per ottenere acqua alla temperatura desiderata in ambito domestico, ma le abitazioni dotate d ' acqua corrente furono irrimediabilmente, e sempre , un ' esigua minoranza. Ennesima dimostrazione , anche questa , della ribadita diffusione elitaria della tecnologia

Da quanto delineato consegue che la ricerca deve considerarsi , sotto molteplici aspetti, un'indagine su ll e potenzialità mancate, sulle oppottunità non sfruttate o solo marginalmente sfruttate e poi perdute nei secoli successivi, sebbene tecnicamente esatte ed ergonomicamente vantaggiose, piuttosto che un vero trattato sulla tecnologia meccanica dei Romani , che per larga massima ci è ignota. Il che non minimizza affatto il ruolo da esse sostenuto per periodi di tempo più o meno ampi. Se ne rimarca , se mai, che nonostante il loro ott imo riscontro, non divennero patrimonio culturale acquisito stabilmente e per l'eccessiva arretratezza del contesto sociale e per la sua ancora maggiore disomogeneità. Questa mancata richiesta di base divenne, perciò, la causa e l'effetto di quel mancato sviluppo. Non dovendosi provvedere ad una produzione seriale di un detenninato bene, non se ne studiò mai l'ottimizzazione produ tt iva , ovvero il modo più rapido ed economico per realizzarlo. Ciononostante gli oggetti pervenutici appaiono, quasi sempre, ben studiati e dimensionati in relazione all ' impiego, anzi persino eccessivamente. Mancò la consapevolezza che sarebbe stato più conveniente ridurne le difficoltà di costruzione al fine di contenerne i costi e incrementarne la diffusione. La finitura di una chiave d'arresto di bronzo al tornio cd alla alesatrice , ad esempio, si sarebbe facilmente potuta eseguire con modalità più dozzinali e spedite, gara ntendo comunque un 'ottima qualità al prodotto. La sua validità sarebbe stata appena decu,tata a vantaggio del suo costo, fortemente abbattuto. Ma, essendo la chiave d'arresto un articolo 1iservato alla modesta compagine di quant i avevano l'acqua corrente o alle esigenze pubbliche, il suo alto costo non fu mai un fattore os tativo al suo impiego. Per intenderci il famoso cane che si morde la coda, dal momento che la s carsità del mercato non stimola a sua volta l ' incremento di produzione, per cui la tecnologia quand'anche disponibi le resta elitaiia persino nelle potenzialità cd estrinsecazioni più elementari. Una maggiore flessibilità della produ z ione s i ebbe solo nel tempo e in seguito a mutazioni molto ampie dei co stumi e della società.

A MBITI C RO NOLOG IC I D ' I N DAG INE

Come accennato, l' ambito storico de ll a ricerca si dipana ali 'interno dell'età imperiale , in particolare nei primi due secoli della nostra era: un contesto estremamente propi z io per la ci v iltà, un intervallo di pace e di prosperità garantito da una rara parentesi di stabilità politico- militai e. 1n quello stesso periodo, inoltre, i confini dell'Impero aveva- no attinto, se non la massima espansione tenito1iale, di certo il massimo dcll'inglobamento delle popolazioni civilizzate e civilizzabili. Da essi si maturarono insegnamenti ed esperienze, di matrice non soltanto ellenistica. di straordinaria utilità. Basti al riguardo la conoscenza della siderurgia celtica, grazie alla quale si poteva produrre, ovviamente in modeste quantità, acciaio di qualità mai conosciuta prima.

Non va poi sottovalutata l'importanza degli scambi che l'affacciarsi sull'oceano Indiano. utilizzando l'antesignano del canale di Suez, tra il Mediterraneo e il mar Rosso, attivato secoli prima e all'epoca ancora efficiente.62) Si potrebbe, per molti aspetti, ravvisarvi la via marittima delle seta, con le immaginabili conseguenze s ulla evoluzione tecnologica che quel contatto innescava. Nozioni già pienamente sperimentate in Cina tùrono così conosciute anche in Occidente e, magari, anche adottate. Un flusso di idee, di improba quantizzazione, iniziò a giungere nell'area romana: qualche statuetta indjana rinvenuta a Pompei ne fa fede.

Probabile, per ovvie ragioni, anche un ' osmosi inversa, come alcune invenzioni cinesi di evidentissima ispirazione occidentale ellenistica, stanno a loro volta a testimoniare. E', ad esempio, emblematico osservare alcune raffigurazioni di catapulte cinesi alquanto rudimentali: alctmi riscontri ci inducono a ritenerle piuttosto che rozze anni in fase di perfezionamento, delle rievocazioni semplificate di quelle occidentali.

Scorrendo le pagine che seguono non mancherà di stupire la constatazione della estrema esiguità numerica dei personaggi sicuramente connessi con le numerose invenzioni e scoperte. A voler essere generosi non eccedono la dozzina e ostentano , in maggioranza, rinomanza e celebrità solo nell ' ambito della scienza pura, quasi che si vergognassero di quella applicata o della s tessa tecnica. La realtà anche in questo caso é ben diversa: certamente si incontrano i nomi di Pitagora, di Archita, di Ctesibio, di Erone, di Archimede; tuttavia ad una più accmata indagine, risulta innegabile che furono proprio le grandi deduzioni scientifiche ad essergli ascritte, più o meno acriticamente se non immeritatamente. L'esempio più eclatante riguarda il teorema di Pitagora: gli Egiziani lo conoscevano già da millenni , per cui il filosofo greco si limitò, nella migliore delle ipotesi, a riformularlo in modo più sofisticato. In molti casi. quindi , la supposta attività esclusivamente teoretica è solo una nobilitante livrea! Simile del resto il caso di Archimede che, pur disprezzando gli ingegneri per la loro manualità, in pratica, e non soltanto al momento del1'estremo bisogno, fu anche lui un ingegnere, magari a titolo gratuito!

Fatta questa premessa, che amplia in un certo senso il numero dei tecnici, la domanda è ancora più stringente: è mai possibile che tanti uomini debbano 1iconoscenza a così pochi? E da questa una seconda: è forse plausibile dal punto di vista stoiico che a promuovere l ' avanzamento della tecnologia e della scienza furono effettivamente solo quelli? Una sparuta compagine, un pugno di menti superiori e perspicaci, immerse in una società praticamente del tutto estranea alle loro elaborazioni salvo che per sfruttarle?

Nulla di più gratuito quando si inizi a scandagliare la vita quotidiana e le tradizionali risorse. Senza una premessa del genere si rischia quanto già accaduto con Leonardo: gli si attribtusce per troppa superficialità l'invenzione di tutto, perché non si sa nulla dei tecnici a lui antecedenti e contemporanei! Nella fattispecie i nomi in questione devono immaginarsi piuttosto come dei maest:Ji o, per meglio dire. dei vertici culturali ai quali venivano ascritti i risultati delle ricerche in cui a vario titolo erano coi1wolti. Quanti studiosi formassero però il gruppo di ricerca, e quanti gruppi operassero più o meno contemporaneamente ma in settori diversi , non siamo in grado di appurarlo.

In vari casi, poi , quei personaggi furono degli zelanti raccogl iteri ed analizzatori della realtà scientifica già esistente, delle tecnologie già usate: forse le migliorarono e perfezionarono , forse si limitarono solo a divulgarle. E col tempo , quando se ne fu persa la memo1ia. restò unicamente il loro nome a ricordarne l'origine. E' senza dubbio logico. ad esempio, attribuire a Ctesibio l'organo ad acqua, la pompa idraulica alternativa, il sifone a stantuffo, la balista pneumatica e persino la siringa medica. se solo si supera il p1imo smarrimento, dinanzi ali 'apparente vastità della gamma di quei congegni. Ad una più ponderata riflessione. infatti. ci si accorge che l'invenzione fu in realtà soltanto una, il cilindro munito di stantuffo: tutte la altre furono semplici derivazioni e mere applicazioni, molte della quali elaborate anche successivamente. A vo ler come al solito esemplificare. la penna stilografica. l'ammortizzatore telescopico per gli autoveicoli. lo spruzzatore dell'insetticida, i cilindri oleodinamici delle macchine per il movimento tena. i freni idraulici, gli ascensori e persino il motore a scoppio. a vapore e Diesel, tanto per citarne una minima pa1ie, sono ancora altre applicazioni della medesima remota invenzione del figlio del barbiere di Alessandria. Ctesibio è scomparso da millenni e non gli accreditiamo più queste invenzioni poiché altri, a giusta ragione, ne rivendicano la paternità. L.idea di fondo, però, è immutata per cui secondo gli antichi sarebbe doveroso ribadirne il nome. Se volessimo scandagliare ulterionnente e più attentamente l'età di Ctesibio ci renderemmo subito conto che il famoso ci lindro con stantuffo già esisteva, forse in maniera emb1ionale ed imprecisa, ma sicuramente tale per movimento e funzione. Magari era un fusto di bambù in cui veniva spinto un bastone cilindrico, più piccolo e munito di una rozza guarnizione per compensare le differenze fra i due diametii, in modo da fame uscire da un piccolo foro in basso l'aria. Di un congegno siffatto, ad esempio. etnie che ancora indugiano all'età della pietra ed assolutamente isolate dal nostrn contesto, continuano a servirsene persino come acciarino. l'ingegnoso utensile, definito propriamente pompa da fuoco, pennette di accendere un'esca applicata al suo piccolo stantuffo mediante il 1iscaldamento del)' aria compressa. Ancora una volta da una singola idea innumerevoli applicazioni: cosa inventò allora in concreto Ctesibio? O, per meglio dire, che cosa migliorò Ctesibio e quanti in seguito a lui si ispirarono?

Discorso del tutto simile può essere fatto circa la vite, attribuita ad Archita e poi ad Archimede: forse due varianti distinte di un 'unica idea, invenzione solo in apparenza oscura e umile specie se la si guarda come organo di giuntaggio. Jn realtà la vite, già per gli antichi fu innanzitutto un sistema di trasmissione cinematica. poi un congegno di sollevamento dei liquidi, quindi un amplificatore di sforzo. ln seguito da essa derivarono tutte le innumerevoli tipologie di perni destinati all'assemblaggio, i rotismi irreversibili a vite senza fine, le eliche aeree e marine, le ventole, ed ancora le trivelle. i trasportatori a coclea. il martinetto -più noto come crik- e persino il cavatappi!

Grande invenzione ma non certo originale, in quanto se mpre presente in natura e ben in vista: elica deriva dal greco eliké, lumaca! Fu infatti il guscio dei gasteropodi a sugge rire la sua idea. forse ad Archita forse a tanti altri prima di lui: Archimede forse la studiò geometricamente e la trasformò in una coclea. che ruotando riesce a sollevare l'acqua facendola scendere continuamente! Impiego che ancora oggi continua a svolgere in numero si grandi impianti.

Paternità putative in definitiva! Tnomi , pertanto, che di volta in volta verranno menzionati. non sono quelli di improbabili geni isolati da cui scaturì la tecnologica, ma dei pochi scampati all'oblio rispetto ai tanti che si occuparono di portare innanzi, passo dopo passo, la conoscenza scientifica pura e applicata. L'avanzamento in conclusione non deve immaginarsi per scatti improvvi si di cerveJlj singolari: non è mai esistito nella storia dell'umanità un urùco genio, inventore di tutto, ma una stenninata teoria di arti- giani e di ingegneri. di filosofi e di scienziati, di perfezionatori e di sperimentatori testardi che, non fem1ati dalle irummerevoli sconfitte ma esaltati dai rari successi, hatmo costrnito, giorno dopo giorno la nostra odierna comoda re,1ltà. E continuano a farlo con il medesimo entusiasmo.

CONVEI\ZI ON I GRAFIC H E

La rappresentazione grafica di macchine e di congegni antichi per evitare di cadere nel soggettivismo d ' un disegno di maniera, simile in ultima analisi a una raffigurazione aiiistica, non può esimersi dalle odierne convenzioni per la rappresentazione tecnica. Queste, però, suppongono a loro volta modalità costruttive per quanto rappresentato cli gran lunga diverse da quelle utilizzate nel passato. Qualsiasi pezz o meccanico di metallo, qualsiasi asse di legno o parte di plastica hanno in comune, ed è facile verificarlo, delle linee di contorno precise e corrette. senza approssimazioni o incertezze. Il perché deriva dall'essere eseguite mediante macchine utensili di grande precisione. funzionanti secondo cicli perfettamente ripetitivi, dai quali possono uscire soltanto pezzi assolutamente standardizzati. Non è un caso che quando si è voluto ottenere qualcosa di diverso e di volutamente meno preciso, paradossalmente. i I suo pre z zo si è dimostrato più alto: è il ben noto fatto a mano, prodotto artigianalmente, secondo le antiche lavorazioni.

A ben vedere è proprio nell'assoluta disomogeneità formale di ciascun pezzo, la principale differenza fra la produzione artigianale autentica e quella industriale. Un pezzo per essere di matrice umana deve apparire, sia pur di poco, sempre d iverso dai similari. Si sono addiritttu-a inventate delle macchine che, variando di poco e ca<,ualmente la lavorazione, imitano tale diversità, fornendo una pseudo manualità, una anacronistica produzione seria le di elementi singolrui!

Ovviamente pezzi sistematicamente diversi fra loro, pur in un ambito di tolleranze ristrette, non possono essere disegnati come tali ma soltanto come se fossero esattamente definiti. In pratica si asswne come linea di contorno il loro ingombro massimo, il poligono o il solido regolare di iscrizione. Sempre per esemplificare. un autove icolo avrà a livello formale una perfetta sinunetria fra parte destra e sinistra, con le relative ruote identiche fra loro. Questa che per noi è una condizione tassativa ed ovvia, spesso imprescindibile per il funzionamento del congegno, non trova alcun riscontro nel passato anche prossimo. Un carretto o una carrozza non avevano tanta simmetria e le loro ruote non erano affatto identiche, né per forma né per d iametro, ma solo approssimativamente uguali. Le superfici non erano affatto piane ma soltanto all'incirca piane, limite e tendenz a che iniziò a tramontare sul finire del XIX secolo. Per i Greci prima e per i Romani poi tanta identità fonnale non es isteva e non era neppure immaginabile. Una loro ruota dentata, aveva ciascun dente diverso dall ' altro, e solo la maggiore tolleranza del meccanismo ne consentiva il funzionamento. In conclusione ogni produzione meccanica, da intendersi nella più ampia accezione etimologica, ricorda molto da vicino le realizzazioni della natura, per la quale non esistono in una foresta di faggi o di querce due foglie uguali fra loro ma soltanto simili, come pw-e due granelli di sabb ia uguali in un intero deserto. E ' la condizione che ci consente l'identificazione, in biologia o in botanica e, persino, in mineralogia: analogie formali ma mai identità.

Le macchine antiche, quindi , avevano delle tollernnze non solo maggiori delle attuali ma soprattutto imprevedibili e casuali , oscillanti entro ambiti compatibili con il loro funzionamento a scapito del rendimento e della durata. Il che in una economia embrionale non costituiva un grave problema. Il problema. se mai , è nostro quando dobbiamo disegnare tali macchine, dal momento che non possiamo renderle nella loro imprecisione e nello stesso tempo appare anacronistica la attuale precisione. L'unica soluzione potrebbe essere quella accennata di disegnare meno rigidamente. come si fa a mano libera, ma otterremmo di nuovo una immagine artistica e soggettiva

Penanto, non potendosi aderire all'antica costruzione. i grafici di seguito allegati hanno per mera convenzione la definizione ed i connotati degli attuali disegni tecnici, ma sono rivestiti con i materiali originali con la lucentezza e la colorazione che natw-almente dovevano avere a lavorazione ultimata. Vanno perciò considerati come il ve1tice ideale al quale la tecnica antica puntava ma che in nessun caso mai potette raggiungere. Un po· come le geometriche gabbie di cristallo al cui interno si colloca il reperto o riginale, la cui precaria consistenza non ne consente l'autonoma statica, e se ne discosta ove più ove meno, ma sempre di pochissimo. Pertanto le tolleranze più ampie che nel moderno disegno di progetto non trovano giustificazione, essendo precipue per l'epoca in esame, implicano che se ne tenga debito conto pur nella modernità della grafica Ne deriva una immagine ibrida che, tuttavia , descrive bene l'originale, come alcuni recenti ritrovamenti di eccezionale stato di conservazione, confe1111ano. Confenna, ribadita anche dalle ricostruzioni in grandezza naturale e coi materia li e le lavorazioni tecniche assolutamente fedeli alla coeva realtà.

72 -73 . Due rapprcsc11ta7 ioni classiche tlei quattro elementi

E'. in ultima analisi, la variante gralìca della medesima convenzione adottata per la traduzione delle I ingue morte. che necessariamente tende, più che a rendere alla lettera il di~corso antico a rispettarnç lo spir ito del suo ragionamento. utilizzando anche termini ed espressioni più moderne.

I QUATTRO ELE:VIEJ\TI CLASSICI

Come già accennato, la ricerca adotta la suddivisione degli elementi di epoca classica, attualizzandola come stati di aggregazione della materia. La trattazione. pertanto. è su quattro parti. con la convenzione che 1ientrerà in ciascuna di esse, non quanto strettamente attinente alla temi o alla acqua. ad esempio, ma allo stato solido o liquido. Ovvero. quanto in maniera preminente serviva in ambito solido o liquido, o per funzionare si avvaleva di un suppmto solido, o liquido. Fe11110 restando, ovviamente, che molli congegni usati sulla teo-a implicano tassativamente l'impiego di liquidi e che nessun congegno esiste al puro stato liquido, e meno che mai di quello acrifonne.

PARTEPRl~A- T ERRA - STATOSOLIDO

PARTCSECONDA-ACQUA-STATOLIQUIDO

PARTETERZA-ARIA-STATOAERJFORME PARTEQUARTA-Fuoco-STATODELPLASMA

E' indispensabile antepoJTe alla trattazione per schede alcune considerazioni.

La prima è che, ovviamente. non può essere esposta l'intera esemplificazione di tutta la tecnologia inerente allo stato solido utilizzata dai Romani. Non la conosciamo nella sua interezza e, comunque, anche quella nota risulterebbe assolutamente eccedente lo spirito della 1icerca. Il crite1io seguito è stato quindi di operare una selezione, favorendo quella meno nota e dalla quale sono derivate applicazioni pron-attesi fino ai giorni nosni, in tutto o in parte, sempre però di straordinatia rilevanza tecnologica. Per volere esemplificare, pw· essendo le strade romane una delle più importanti realtà della storia, per la loro notorietà si è preferito trascurarle ed espotTe, in loro vece, gli strnmenti topografici che le resero possibili, insieme agli acquedotti e all'urbanistica. Così pure per le macchine destinate al so llevamento dei ca1ichi, che sostanzialmente restarono immutate fino all'awento della motore a vapore: al loro posto si è descritto il paranco a più pulegge, ancora in uso in vastissimi campi di impiego. Ed ancora si è dato risalto ad anni da lancio vuoi a molle metalliche. vuoi automatiche per le conseguenze che avranno nell'ambito delle sospensio ni dei veicoli e degli automatismi in generale. Discorso analogo a quello delle sem1ture e dei lucchetti. onnipresenti presso ogni nostro contesto esistenziale.

Il criterio adottato. pertanto, pm evidenziat1do qualche singolarità tecnologica lo fa soltanto quando la stessa nel nostro presente riveste pruticolare interesse, o dimostra di essere stata prodromica per successivi impo1tanti esiti. 11 cosiddetto calcolatore di Antikythera, ad esempio. non ha alcun equivalente in età classica, come pure in epoche successive: dimostra. tuttavia, che l'idea di w1 rotismo differenziale, oggi diffuso in ogni JX>SSibile variante anche in un qualsiasi autoveicolo. era già correttamente formulata ed attuata. Come pure la Jettma analogica su scale graduiate concent1iche mediante apposite lancette.

Un 'ultima precisazione, infine, è relativa alla ragione delle scelte tipologiche degli oggetti e delle tecniche trattate. li criterio prevede per ognuno una fonte letteraria che lo menzioni, una fonte iconografica che in qualche modo ne tramandi l'immagine, e un qualsiasi reperto archeologico che ne ce1tifichi materialmente la concreta esistenza. In pratica tre livelli concomitanti di conferme e di riscontri, per evitare la fin troppo facile e deleteria caduta nella fantarcheologia.

Note

1- Cfr. Y.GARLAN, Guerra e società nel mondo antico, Bologna 1985, p. 191.

2-Cfr. W.1-1. Mc NEILL. Caccia al porere. Tecnologia, armi. realtà sociale Mille, Varese 1984, p. 292, e anche dr. E.CECCHTNT, Tecnologia e Arte militare, Roma 1997, pp.223-227.

3-Cfr. F.RUSSO, F.RUSSO , Tormenta navafia. Le artiglierie navali romane, sup Rivista Marittima, giugno 2007.

4-n 27 novembre del 1895 Nobel redasse il suo testamento definitivo nel quale stabilì di lasciare quasi tutte le sue ingentissime proprietà alla creazione di una fondazione che con i relativi proventi avrebbe dovuto conferire un premio a eh i ne l corso dell'anno precedente si fosse dis t into ne l settore della Fisica, Chimica, Fis iologia, Medicina, Letteratura e Pace, riconoscimento que st'ult imo assegnato dal Parlamento norvegese .

5-Cfr. M.HOWARD, Lu guerra e le armi nella storia d'Europa, Bari I978, pp.267-287.

6 -Cfr F.MINI, Fissione e Jì1sio11e: una questione di «bombe)) e di «perché». in Esercito e scien:::a, Modena 1991. pp. 234 -240: sullo stesso argomento cfr. anche U.COLOMBO. La fusione nudeare in Europa. in Esercitto cit., pp. 241 - 245.

7- Cfr. G.BOUTHOUL, Trai/alo di sociologia. Le Guerre Elementi di polemologia, Milano 1961, pp.151 - 165.

8- Cfr. W.H.STAHL, La scienza dei R omani, Bari 1974, pp. 85 e sgg.

9-Da R.J.FORBES, L ·uomofa il mondo, Torino 1960, p. 82.

IO- Da W.H.STAHL La .scien::a , ci t ., p. 8.

11 -Cfr.D.A.FLOWER, I lidi della conoscenza.La storia del! 'antica hihlioteca di Alessandria, Roma 2002, pp.8586; più in particolare cfr. LR US SO, La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, M i lano 2003. pp 156-164.

12 -La citazione è tratta da B.G ILLE, Storia delle tecniche, Roma 1985, p. 197

13- Da B.GILLE, Storia delle . , cit., p. 206

14-Da L.RUSSO.La rh·oliòonedimemicata ... , cit., p. 135.

15-Da B.GILLE, Storia d elle cit., p. 209.

16- W.H.STAHL La scienza , cit., p. 9.

17-W.II.STAHL. la scienza , cii.. p. 9.

18- Da R.J.FORBES. l 'uomofa , cit., p. 22.

19-Da LRUSSO , La rivoluzione dimenticata , cit., p.136.

20 - Da L.RUSSO, La rivoluzione dimenticata , cit., p 25.

21-Da G.DJ PASQUALE, Tecnologia e meccanica. Trasmissione dei saperi tecnici da/l'età ellenis1ica al mondo moderno, Città di Castello 2004, p.11

22 - Cfr. L.ROSSJ. Ro10calchi di peh·a. Segni e disegni dei t e mpi sui monumenli trio,~fà/i Romano. Milano 1981, pp. 50- 56.

23-La citazione è tratta da L.RUSSO, La rivoluzione dimenticata , c it. , p. 165.

24-La citazione è tratta a L.RUSSO, La rivoluzione dimenticata .... cit., p. 400.

25- Da L.RUSSO, la rivoluzione dimenlicata , cit., p. 165.

26-Cfr. F.RUSSO. la mutazione aragonese di Napoli: il limite di un ·era, in Arcliiv Stor: Prov. Nap , Clii int. co l. , Napoli l 985. pp. 112 e sgg Ed ancora cfr F.RUSS O , Fortificazioni e artiglierie aragonesi, in Atti Conv.Naz. Studi Pietramelara 14-15. 06 96, Roma 1996, pp. 54-65.

27-Per l'esattezza si tratta della famosa tavola anatomica raffiguran te il feto nell'utero in posizione dal vivo. duplicata senza alcuna modifica dalla miniatura del codice arabo di lbn Nafis (1203-1288) Tratwro di ginecologia

28- Cfr W.SANDERMANN, li primo jèrro cadde dal cìelo: le grandi invenzioni degli antichi, Bo logna 1978, pp. 60 -64

29-Da L.RUSSO, La rivoluzione dimenticata , cit.. p. 164.

30- Da R.J.FORBES, L'uomo jà c it.. p. 15.

31-Cfr. F.RUSSO. L ·artiglieria delle legioni romane, Roma 2004, pp. 47-50.

32 - Cfr. Y.G.CHlLDE, li progresso , cit., p. 5.

33-Da R.J.FORBES, L'uomo.fa .... cit.. p. 15

34-Cfr. G.CERBO, F.RUSSO, Parole e pensieri. Raccolta di curiosità li11guisrico -111ilitari, Roma 2000. alle voci: genio, ingegnere.

35- Da G.Dl PASQUA LE, Tecnologiu e meccanica cit., p. 37, no ta 78.

36- Da G.D l PASQUA LE, Tecnologia e meccanica ... , <.: i L. pp.37 - 38.

37-Cfr. A M CHUGG. The lost tomb o/ Alexander the Great, Lon don 200 5

3 8 -Da V.G.CHJLDE, li progresso , cit., p. 242

39- Da L.RUSSO, La rivoluzione dimenticata cit. , p 47.

40 -Da B GIL LE, Storia delle , cit., p 195

41 -Cfr. E.CICCOTTl, li 1ra111011to della schiavitù nel mondo antico, Ba ri 1977, voi.I, pp 8 e sgg; AA.VV. la sch iavitù nel mondo anrico. a cura di M.I.F INLEY, B ari 1970, pp . l 31- 156; AA . VV, Schiavitù ant ica e moderna. Problem i Storia Istituzioni, a cura d i L. Sic hi ro ll o, Napoli 1979, pp 139 e sgg.; L.FTORE. la condizione dello schiavo nel! 'antichità classica, Teramo 1968, pp. 155 e sgg.; E M.STAERMAN M K,TROFIMOYA. La schiavitù nel! 'Italia imperiale, Pe rugia 1975 pp. L82 e sgg

42 - Cfr. K,R.BRAD LEY, Approvvigionamenti e allevamento di schiavi a Roma. in AA.VV. La schiavitù nel mondo antico , cit., pp .59 -93.

43 -Cfr. C.ROBERTAZZI AMODTO, la tratta dei negri e la schiavitù moderna. Aspetti della storiografia contemporanea, in AA.VV Schiavitù antica e moderna .. . , cit., pp. 251 -281.

44 - Da B.G TLLE, Storia delle , c it , p. 201.

45 -La c it az io ne è tratta d a D a B.GTLLE, Storia delle , cit., p. 202 .

46- Da L. R USSO, La rivoluzione dimenticata , cit., p. 47

47 -Da L.RUSSO, La rivoluz ione dimenticata , c i t., p . 44.

48 -Da B.GlLLE, Storia delle , cit., p. 233.

49- Cfr. G.TODARO, Bracconaggio e trappolaggio, Bo logna 2006, pp. 85- L62.

50 -Cfr. L.CANfORA, La biblioteca scomparsa, Pa lermo 2004. p p. 197 - 199

51 -Da L.RUS SO . La rivoluzionedimenticaw ... , cit., p. 387.

52- Da L. R USSO, La rivoluzione dimenticata , c i i., p. 3 87, nota 27

53-Da L.RUSSO, la rivoluzione di111en1icata cit pp. 388 e sgg.

54-Da L.RUSSO La rivolu::ione dimenticata , cit., p. 395.

55-Da L.RUSSO. La rivoluzione dimentica/a cii., p. 395.

56-Da A.FAVARO, Archimede, collana Projìli, 21, seconda edizione A.F. FORMIGGIANl Editore, Roma 1923 , edizione elettronica l 0.11.2006, pp. 8-9

57-La citazione è tratta da B.GlLLE, Leonardo e gli ingegneri del Rinascimento. Varese 1972. p. 226.

58-Cfr. W.H. Mc NEILL, Caccia al potere ... , cit., pp. 75-78.

59-Da G.DT PASQUALE, Tecnologia e meccanica , cit., pp.81esgg.

60-Da G.DT PASQUALE, Tecnologia e meccanica , cit.. p. 78.

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