19 minute read

J FARI DELL' ANTJCHlTA'

Next Article
LANTERNE A VENT O

LANTERNE A VENT O

COME PER MOLTE ALTRE IN VENZIONI NON FURONO I

ROMANI A CREARE lL FARO: AD ALESSANDRIA NE

Advertisement

VENNE ERETTO IL PRIMO PER LA VOLONTÀ DEI TOLOMEI, RITENUTO UNA DELLE SETTE MERAVIGLlE DEL MONDO ANTICO. I ROMANI PERÒ SEPPERO COSA FARE

DI QUELLA SUGGESTIVA JNVENZIONE DAL MOMENTO

CHE LE LORO NAVl PERCORREVANO CONTINUAMENTE

LL MEDITERRANEO: RICAVARNE UN FONDAMENTALE

AIUTO PER T PILOTI. SEBBENE I FARI ANCORA ESISTONO E FUNZIONANO LL COMPITO DEI LORO PROGEN ITORJ ERA BEN DIVERSO.

Fuoco PER ESSERE VISTI: I FARI ROMA NI

Per quanto siamo in grado di stabilire sul finire del LV secolo d C., i fari romani ancora funzionanti lungo le coste dell'Impero, ammontavano ad oltre 400. Tutti in buona sostanza traevano origine dalla leggendaria torre eretta sull'isolotto di Pharos dinanzi Alessandria, una delle sette meraviglie del mondo antico, assurta a.faro per antonomasia. La grande costruzione, voluta da Tolomeo Sotere e terminata dal figlio Tolomeo Filadelfo sul finire del III secolo a.C., ebbe già in fase di progetto, ascritto a Sostrato di Cnido, un 'ambigua destinazione, indicando ai naviganti il porto ma anche, e soprattutto, lo splendore della dinastia. Una sorta di emblema della sapienza che si irradiava dalla sottostante e altrettanto mitica biblioteca.8l Dal punto di vista architettonico il faro alessandrino si articolava su tre sezioni, ben distinte e di dimensioni e altezze decrescenti, insistendo su un vasto zoccolo quadrato di pietra, con torri minori ai vertici. La sezione di base è ricordata a h·onco di piramidale quadrata, alta un sessanta metri per trenta di lato. Ali 'interno un corpo di fabbrica ottagonale che sovrastava il precedente di una buona metà. Fra le due una doppia rampa ad elica, forse impiegata per il trasporto della legna da ardere . Sopra il corpo ottagonale un tamburo cilindrico, alto a sua volta una decina di metri, lungo il cui bordo, svettavano le co lonne che sostenevano la copertura conica, sonnontata dalla statua di Nettuno, al cui interno stava collocato il grande braciere della lanterna.

L'enorme fiamma ardeva, perciò, fra quelle colom1e e ne fuoriusciva attizzata ed agitata dal vento, risultando ben visibile fin quasi ad una sessantina di chilometri. Secondo alcune fonti. intorno al braciere stavano collocati specchi rotanti, per orientare la luce emessa dalla fiamma, come in ultima analisi nei fari moderni. Ma il paragone fra le due similari costruzioni è corretto'? I rispettivi compiti sono effettivamente equiparabili, da l momento che la navigazione notturna era all'epoca insignificante?

1 mercantili. infatti, cabotavano senza mai perdere di vista la terra, per cui al calare delle tenebre gettavano l'ancora nella prima insenatura, per ripartirne all'alba. Certamente un faro così potente come quello di Alessandria tornava utilissimo alle navi, che varcavano il Mediterraneo facendo rotta per la città. Ma nel III sec. a.C. tali navi erano così scarse, persino d'estate, da non giustificare la colossale opera e, meno ancora, la sua onerosa gestione, a legna, ad olio o a nafta che fosse. 9 l li faro romano che, come delineato 1iuscìva scarsamente utile se non superfluo di notte tornava, invece, utilissimo e quasi indispensabile, di giorno e proprio alle navi di lungo corso che perdevano di vista la terra. In un ce1to senso, si potrebbe concludere che non fu la navigazione in alto mare a richiedere i fari quanto, piuttosto, la presenza di questi a incentivarla! La soluzione del paradosso appena ribadito è nella diversa visibilità dei fari, non mediante la fiamma ma mediante la colonna di fumo che sp1igionava! Essendo la funzione del faro quella di indicare la teITa, quando da bordo non si poteva più scorgere, e non i I porto faci le da trovare una volta guadagnata la costa, divenne sensato collocarli non alla loro imboccatura, bensì sulla maggiore altura limitrofa. 10> La nera colonna di fumo, innalzandosi per migliaia di metri, si poteva individuare a distanze non di una decina ma di un centinaio di km!

Di ciò si sono sempre resi chiaramente conto i tanti studiosi che ne hanno affrontato il funzionamento: nessuno, tuttavia, ne ha mai indagato la logica sottesa. Anzi, moltiplicandosi nei secoli analoghe strutture, sia pure di formato minore, l 'ovvietà della destinazione sembrò imporsi tacitando qualsiasi riserva. Per cui nessun dubbio che i Romanj, presa confidenza con il mare iniziassero a dotare di fari i maggiori approdi. Eppure anche i loro mercantili ben d i rado navigavano di notte lontano dal po1io, proprio per gli eccessivi rischi derivanti dalla scarsa visibilità. A cosa gli sarebbe servito un faro e soprnttutto a chi? Non certo ai pescatori che, pur uscendo spesso di notte, si allontanavano ancora meno dalla terra?

Quel che più stupisce é che i mosaici. gli affreschi, i bassorilievi e le monete che ci tramandano i fari romani nel loro contesto portuale, lo rappresentano sempre vistosamente diurno, come si deduce dal fervore del lavoro di carico e scarico delle navi, dal movimento della gente sui ponti delle navi e sulle banchine. dal fondo chiaro delle immagini nettamente diverso da que ll o dei notturni. Su tanta attività svettano le vivide fiamme dei fari: erro re sistematico degli a,tisri o, piuttosto, errore sistematico nostro ne l volerli equiparare agli odierni?

Pertanto, grazie a quel.fil di.fumo, anche i naviganti che percorrevano le famose rotte trasversali non perdevano mai di vista quell'esile traccia della terra prolungando, perciò, virtualmente il cabotaggio persino dove, per ovvie ragioni, non sarebbe stato possibile. La funzione del faro, col tempo divenne quella rimasta poi immutata fino ai nostri giorni, finendo per essere percepita anche con una valenza simbolica. Il faro che indicava nelle tenebre della tempesta la via della salvezza, divenne il simbolo della fede! Con indubbia coerenza proprio le chiese delle popolazioni che commerciavano con il vicino oriente, per tutte quelle della costa di Amalfi, iniziarono a dotarsi di campanili che erano la riproduzione in miniatura del faro di Alessandria, ancora saldamente in piedi. Quei modesti epigoni ancora si ergono a differenza del mitico archetipo crollato definitivamente nel I 323. Nel 1480 sui suoi ruderi, iJ sultano d'Egitto Quaitbay costruì un f01te, utilizzandone le pietre.

Fuoco PER RISCAT,DARE: IL RISCALDAMENTO DOMEST ICO

Chiunque visiti Pompei o Ercolano non può sottrarsi alla sensazione di trovarsi fra i ruderi di una città dal cl ima tropicale, mai raggiunta dal freddo invernale: nella cattiva stagione, tutt'al più, la temperamra si abbassava lievemente! Il che potrebbe essere stato anche vero, coincidendo il contesto storico di quelle residenze con uno dei tanti cicli caldi, avvicendatisi negli ultimi due millenni. Non così. però, in altre regioni dell'Impero, dove la stagione gelida era ben presente. Lì le finestre ebbero i vetri e le case un vero riscaldamento . persino più razionale dell ' attuale . Era in definitiva una variante domestica dell'ipocausto ampiamente adottato nelle terme. Una caldaia, funzionante a legna , produceva una grande quantità d'aria calda fatta circolare, per differenza di pressione con quella fredda, sotto i pavimenti e dietro gl ' intonaci dei muri. Allo scopo apposite colonnine e supporti , detti sospensure, mantenevano sollevato il pavimento, mentre dei mattoni forati, disposti lungo le pareti, detti parietes tubulati e collegati al vano sottostante il pavimento, permettevano al l ' aria calda di sfogare all' esterno dopo aver riscaldato anche i muri.11 >

Ovviamente la temperatura di circolazione dell'aria era relativamente bassa, ma un paio di giorni bastavano per portare l'interno dell'edificio ad un gradevole tepore. La legna non mancava, al pari della mano d'opera per mantenere la caldaia sempre in funzione. Va ancora osservato che con la medesima caldaia si riscaldava pure l'acqua delle tenne domestiche e dei bagni, sfruttandone al massimo la resa , che restava comunque estremamente bassa.

L' AC Q UA C A LD A

NON FU OVVIAMENTE UNA SCOPERTA, A DIFFERENZA

DELLA MANIERA PER SCALDAR LA IN GR.Ai'\JDI QUAN-

TITÀ, PRASSI CHE E BB E ALLE SPALLE LA SOL UZIONE DI UN GRAN NUMERO DT PROBLEMI T ECN IC I, MOLTI

D EI QUALI CONNESSJ CON IL POMPAGGIO E CON LA CONDUZIONE DELL'ACQUA

S ISTEM I DI RI SCALDAMENTO T E RMALE

Come accennato una concezione analoga alla precedente provvedeva al riscaldamento dell'acqua delle vasche e dei locali delle terme romane. Queste, al pari degli acquedotti, pur non essendo una loro precipua invenzione ne divennero una peculiarità distintiva. T Romani andavano alle tern1e non soltanto per fare il bagno e magari ginnastica, ma per passeggiare, per divertirsi , per incontrarsi, per discutere di affari, per mangiare e bere , per assistere a spettacoli e per ammirare opere d'arte. In definitiva , per vivere più intensamente in un ambiente che, come le nostre spiagge, favoriva i contatti e agevolava le confidenzc. 121 Nessuna meraviglia , pertanto che la costrnzione delle tenne, finì per divenire un preciso impegno politico e degli imperatori e dei maggiorenti locali e persino dei privati benestanti. Ed tmo dei primi impegni dei reparti del genio militare, i fabri delle legioni, quando il campo diveniva permanente. Alle spalle degli impianti si coglie un'esigenza igienica e sanitaria non altrimenti appagabile almeno nella fase arcaica. Un impianto, che ci è pervenuto sostanzialmente integro sebbene di medie dimensioni, quello delle Te1me Stabiane di Pompei . garantisce dei precisi riscontri. Sotto il profilo storico è il più antico fra i conosciuti, iisalendo al li secolo a.C.. Le tenue:"divise in due settori, uno per gli uomini e l'altro per le donne, disposti su di un unico asse longitudinale ai lati di una fornace comune. erano estese su una superficie di oltre 3500 mq. compreso l'ampio cortile, porticato su re lati, che serviva da palestra e al quale era s tata aggiunta in un secondo tempo una grande piscina con uno spogliatoio e altri ambienti, abbastanza vasti da potere essere utilizzati per gli esercizifìsici al coperto". 13l Volendo meg lio precisare gli aspetti tecnic i connessi a quei grandi impianti, ne va ricordato innanzitutto l'enonne fabbisogno d'acqua: per le sue terme Agrippa , il fondatore della marina da guerra romana, fece costruire appositamente l'Acquedotto della Vergine, che da Marino immetteva sulle alture del Pincio, circa l 00.000 mc al giorno. Prima però di essere usata l'acqua veniva racco lta in colossali cisterne, che verosimilmente ne stabilizzavano il flusso per quantità e pressione. Pertanto a partire:"da/le cisterne, attraverso un articolata rete di distribuzionefonnata da tubazioni di piombo o di terracoua, l 'acqua veniva immessa nelle vasch e per il bagno .fi-eddo e nella piscina natatoria, mentre quella che doveva essere riscaldata veniva convogliata nel settore deijòrni, donde poi raggiungevo le vasche del bagno caldo mediante tubazioni e derivatori che partivano dalle caldaie. 1/jòmo (hipocausis). che nei primi balnea era spesso sistemato al di sollo dell'unico ambiente riscaldato, era ubicato nella parie centrale de/! 'edifìcio balneare Il combustibile usuale era la legna. che veniva accantonata in speciali depos iti in quantità tali da bastare fino ad un mese Le caldaie che servivano al rL,;;caldamento erano generalmente di bronzo, oppure di bron::o nella parte ir!feriore. che era direttamente lambita dalle jìamme, e in lamina di piombo nella parte superiore. Di solito. erano poste entro una <(Camicia» in muratura che ne assicurava la stabilità e al tempo stesso limitava la di5persione del calore. Molto usato il sistema a hatteria, con/ 'impiego di due o tre caldaie nelle quali l'acqua veniva riscaldata a temperali/re diverse

Le stesse caldaie erano tra loro comunicanti per mezzo di rubiforniti di rubinetti, in modo che mano a mano che veniva erogata l'a cqua più calda contenuta nella prima caldaia, essa poteva essere rimpiazzata da quella già tiepida della calda ia vicina con grande risparmio di tempo e di combustibile

Un modo per impedire il raffi·eddamento delle vasche, o per mantenerla a temperatura costante, era quello descritto da Vitruvio che s'avvaleva de/1 'impiego della cosiddetta testudo alvei (lellera!mente 'targatura dei/a vasca '..Jl~l: un recipiente di bronzo semicilindrico, in forma di testuggine. riscaldato dal/ 'esterno, e cioè direttamente dal forno. e appoggiato sul.fondo della vasca con la parte convessa in alto, dal quale il calore passava ail 'acqua in maniera continua ed un{forme".' 5 l

Va osservato che le piscine calde o fredde che fossero erano alimentate con acqua corrente, non essendo in alctm modo possibile depurarla come nelle attuali con filtri e apposite pompe. li che detemlinava un flusso cospicuo di acqua uscente dalle terme, usata per molteplici impieghi a secondo della sua temperatura. In un caso sembra addirittura che facesse funzionare un mulino, confenna della razionalità degli impianti miranti a minimizzare le perdite e gli sprec hi non strettamente necessari.

Quanto al riscaldamento delle sale era realizzato con il sis tema di circolazione dell'aria calda innanzi descritto utilizzando l 'aria calda prodotta dalle caldaie per l'acqua. 446

447

446. Ruderi di ipocausto romano di c:poca imperiale.

447. Ercolano. lo spogliatoio femminile ùt:lle Lcrmc.

448. Il grande impianto tennale romano ùi Bath, ancora in funzione.

449. Pompei. la sala del repidarium

450. Le tem1e ùi Stabia: apodyterium. 451. Canna romana per ipocausto.

452. Vasca da bagno domestica in bronzo rinvenuta ad Ercolano. verosimilmente ùa incasso.

Il Doppio Samovar Da Sala

Un giro per le strade dell'antica Pompei porrà in evidenza i tanti locali pubblici destinati alla consumazione del vino caldo, variamente miscelato. Ovvio, pertanto, che i ceti abbienti si fossero in qualche modo organizzati per poter gustare la medesima bevanda durante i pasti. Allo scopo provvedeva una sorta di grande samovar, realizzato in bronzo artisticamente decorato e di notevole capacità. Nel corso degli scavi ne sono stati recuperati diversi, tutti in buona sostanza si mili per forma ed equivalenti per capacità. A differenza dei samovar moderni, quelli romani una volta caricati di brace nello scomparto centrale, munito sul fondo di una griglia per la fuoriuscita delle ceneri, potevano venire continuamente rabboccati, tramite un apposto imbuto laterale. La disposizione evitava che particelle di carbone o di brace finissero nella bevanda. ln pratica s i trattava di una grossa anfora di bronzo, la cui capacità deve stimarsi intorno alla quarantina di litri, munita in basso di un rubinetto a spina, analogo alle chiavi d'arresto innanzi descritte. L'estremità inferiore era dotata di tre piedi, che le consentivano di mantenersi verticalmente in modo stabi le. L'estremità superiore, poi, era completamente aperta ed immetteva nel cilindro centrale destinato alla brace con griglia sul fondo, e nella pancia dell'anfora. Un coperchio anulare chiudeva quest'ultima ma lasciava aperto il cilindro, permettendo di integrare con nuova brace quella già inceneritasi e evacuata dalla griglia sottostante

Se il vino era apprezzato tiepido, l'acqua però la si preferiva gelida, condizione che poteva essere soddisfatta soltanto ricon-endo al ghiaccio, conservato per tutto l'anno nelle cosiddette nevaie. Si trattava di va ni sottc1nnei, o anche caverne e pozzi, ubicati in montagna dove durante l'inverno veniva ammassata la neve, che si trasfonnava in ghiaccio compatto conservandosi così anche durante l'estate

Tagliato a pezzi veniva vend uto come refiigerante o come supporto per sorbetti. Nel primo caso, dei pezzi di adeguate dimensiÒni venivano introdotti in anfore del tipo di quella descritta, per abbassare la temperatura dell'acqua.

Si conosce, perché minuziosamente de scritto, un doppio samovar, fatto costruire da un generale romano per fornire ai commensali vino caldo ed acqua fredda. La scelta avveniva ruotando il supporto dei due vasi, collocato su di un perno centrale ad una mensa anulare, fino ad aver il rubinetto desiderato a portata di coppa. 161

453. Rilievo grafico eseguito in base alle ùcscr izioni per ven uteci de l doppio samovar rotante per acqua fredda e vino caldo.

454 -455. Samovar romano rinven uto in vari esemp lari a Pompei ed Ercolano. fotografato nelle s ue varie eormo taLi oni 456. Spaccato assonometrico de ll o stesso.

F uo c o PER C O MBATTE RE : SPECC HI UST ORI

Sugli specchi ustori che Archimede avrebbe messo in opera per incendiare a distanza le navi del la flotta romana. che str ingevano d'assedio Siracusa. molto si è fantasticato e, per contro, nulla si è mai riusciti a riscontrare. 11 che ha fi n ito per far re legare la vicenda nell'ambito della pura fantasia, della puerile leggenda. Tuttavia, una s toria così singolare non può inventarsi di sana pianta, mancando il presupposto tecnico indispensabi le. Nessuno né allora né dopo infatti, poteva sapere e, meno ancora per quanto detto. verificare speri menta Imente c he fosse possibile concentrando con degli specchi i raggi del sole accendere alcunché Non avendosi questa conoscenza non si poteva avere neppure la conclusione: ovvio perciò ritenere che qualcosa del genere in realtà venne compiuto. Forse non si trattò di un grande specchio diviso in scomparti esagonali m, ma piuttosto di tanti picco l i specchi, magari i semplici scudi tirati a lucido, con i quali si facevano convergere i raggi da vari punti su l la stessa nave.

E l'archeologia sperimentale questa volta ha dimostrato che. con u n sistema del genere, una nave d i l egno e la sua velatura, prendevano effettivamente fuoco alla distanza di un centinaio d i metri!

Se mai sussista al riguardo qualche perplessità viene fugata dalle modernissime centrali e l iotenniche, ne ll e quali i raggi solari vengono concentrati tramite un gran nWllero di specchi su di un 'unica caldaia, orientati non da accorti serventi ma da puntuali servomotori

Il L An Ciafiamme Navale Di Tucidide

lL FUOCO rN GUERRA FU IL CLASSICO ALLEATO DEL 1 •

FERRO CHE ENTRAVA IN SCENA PER COMPLETARE LE

DEVASTAZI0Nl rNFERTE DAL PRIMO: SUL MARE lL

RUOLO FU rNVERSO. NAVI DI LEGNO STAGlONATO E rMPREGNATO DI PECE E DI OLIO ERANO IDEALI PREDE

DELLE FlAMME, DAL CHE LO STUDI O PER AVERE DEI

SISTEMI DI LANCIO ADEGUATl. DI QUESTI QUELLO

DESCRITTO DA TUCIDIDE FU SENZA DUBBIO VALIDO, DIFFONDENDO CON IL SUO IMP[EGO [L PACIFTCO CANNELLO FERRUMTNATORIO.

Scafi di legno stagionato e frequentemente ca lafatati con pece ed olio, risultavano prede ideali per le fiamme. Logico, pertanto, l'ampio ricorso a sostanze incendiarie solide o l.ìquide neUa guerra navale, riversate sulle imbar- cazioni nemiche da appositi ordigni scagliati da macchine da lancio o da sofisticati proiettori. Tra gli archetipi di questi ultimi Tucidide ce ne descrive uno inventato dai Beoti, nella guerra del Peloponneso, per attaccare il campo trincerato ateniese di Delio. 181 Tl rudimenta le lanciafiamme constava di un tubo di legno rivestito di lamiera alla cui estremità posteriore stavano collegati dei grossi mantici ed a quella anteriore un largo braciere. ln dettaglio stando allo storico:" tagliata in due una grossa trave, la svuotarono tutta e la riadattarono come.fosse un flauto. Ad una estremità per mezzo di catene vi appesero un braciere e posero in esso un tubo di ferro che proveniva dalla trave; ed era ri11/òrzato dijèrro per gran tratto anche il resto della trave. Coi carri la accostarono alle mura da lontano, là dove esse erano costruite soprattutto con le viti e il legname. Quando la macchinafù vicina. introdotti dei grossi mantici alle estremità della trave dalla parte loro vi soflìavano. Con il sofjìo, arrivato violentemente al braciere pieno di carboni ardenti zolfò e pece. fèce sorgere una gran fiamma e diede fuoco al muro, sì che nessuno poté restarvi, ma dovettero abbandonarlo e darsi alla.fuga: in tal modo il muro fu preso ". 19 > In linea di larga massima il congegno descritto, più che un lanciafiamme propriamente detto, deve considerarsi un gigantesco cannello fenuminatorio, del tipo di quelli usati già da millenni dagli orafi egiziani. In quanto tale poteva generare una fiamma dardiforme ad alta temperatura, capace di calcinare persino le pietre delle muraglie e di incendiare, in pochi istanti, ogni struttura di legno

Per la sua semp lice, quanto terribile, efficacia trovò sicuro impiego nei combattin1enti navali, ovviamente con alcune significative ma non stravolgenti modifiche La trave cava divenne perciò una sorta di bompresso sorreggente un grosso braciere ben al di fuori della prua. per intuibili ragioni di sicurezza, che riusciva perciò ad incenerire qualsiasi battello nemico si fosse incautamente lasciato awicinare a meno di una decina cli metri.

Un eccezionale graffito, rinvenuto sulle pareti affrescate della Necropoli di Anfushi 201, presso Alessandria d'Egitto ed attribuito verosimi lmente a un soldato di Giulio Cesare, raffigura una prora di nave da guerra sormontata da una curiosa torre da combattimento. Da essa, infatti, si protende anteriormente un lungo palo che appena più innanzi della prua sorregge un recipiente , simile ad un calderone, da cui si alzano numerose lingue di fuoco. Facile rawisare, pur nell'approssimazione de l graffito, un lanciafiamme del tipo di quello innanzi descritto, debitamente modificato ed alleggerito per renderlo idoneo all'impiego navale, restando all'interno della torre il grnppo dei mantici.

458. Ipo tesi rest itutiva de l lanc iafiamme di Tucidide in configu razione terrestre.

459. Gratlìto egizia no del I sec a.C., raffigura n te il la nciafiamme d i T ucid ide a p ru a di una nave da gue rra.

460 . R icostruz ione virtua le del la n eiati a m mc nava le di Tuc idide.

La Pom Pa D I Valverde

CHE L'INV ENZIO NE Dl C TE SIBIO FOSS E ESTRE MAMENTE VE RSATIL E LO AVE VA PERF ETTAMENTE CAPITO LUl STESSO IMM EDIATA ME NTE : NON A CASO COSTRUÌ

CO N LA STE SSA UN A POMPA PER ATTIN GERE L' AC QUA, PER GETTAR LA SULL E FI AMM E, PER SUONA RE L' ORGANO , PER SCAGLIARE PALL E DI PIETRA E PERSINO PER EFF ETTUARE INI EZ IONI MEDI CHE . N ESSUNA MERAVIGLIA CH E l BIZANTINI ADOPERARONO PROPRI O

QUELLA SUA POMPA PER LA NC IAR E GETTI DI PIROFORI, FORS E BENZINA, SULLE NAVI NEMICHE

Il L Anciafiamme Di Ctesibio

Sul finire del XIX secolo nelle profondità dì una antica cd abbandonata min iera romana spagnola. ubicata a Huelva Valve rde non lontano da Barcellona, fuscoperto un incredibile reperto. Si trattava d'un s ofisticato meccanismo in bronzo, un congegno in perfetto stato di conserva z ione , costituito di due cilindri coi relativi stantuffi e valvole , di una cassetta anch ' essa cilindrica munita di due valvole e d i un lungo tubo, capace di rnotare di 360°, recante alla estremità un nebuli zzatore a contrasto meccanico , capace a sua volta di rnotare di 180° : un sistema onnidirezionale.

Dopo un'accurata pulizia il congegno, ben 26 pezzi, tutti di ottimo bronzo co n le superfici esterne riv estite di uno strato di z inco per preservarle da qualsiasi corrosione , fin ì a l Museo Archeologico Naziona le di Madrid , dove attualmente si trova in una distinta teca. Fatto salvo il curioso tubo snodato, nessun dubbio circa l ' identificaz ione: una macchina di Ctesibio.

La macchina, come si è detto, constava di due cilindri , alti circa 26 cm con un diametro interno di 8.5, di una scatola di compressione, 16 cm di diametro per 4 di altezz a, e di un tubo a snodi, lungo comple ssivamente quasi un metro e tenninante con un singolare ugello ad Y.

Quattro le valvole di due distinte tipologie; quanto ai cilind1i mostrano cort is simi risalti per il fissaggi o al supporto, come pure la scatola di compressione, tipici de lle pompe romane a s tantuffo. Che la tecnologia della pompa sia romana lo si evince da un dettaglio: l ' alloggiamento per la spina della biella è ricavato s u lla test.a degli stantuffi e non al loro interno , al pari dei pi s toni moderni. pur essendo ugualmente cavi. Straordi naria la loro p r ecisione, ottenuta al tornio con una tol leranz a di O. I mm rispetto a i cilindri.

Evidente per la scatola la funzione di stabilizzatore, per sopprimere la pulsazione del getto; altrettanto evidente per il terminale ad Y la funzione di nebulizzatore a contrasto. Un 'immagine della pompa di Ctesibio completa di bilanciere e di nebulizzatore si trova in una riedizione rinasci mentale del la sua Pneumatica. Del contenitore e del bilanciere, tuttavia, non si è rinvenuto nulla, perché dissolti dall'umidità della miniera. È comunque sensato immaginarli somigliante ad una moderna irroratrice a zaino, con la so la differenza della collocazione davanti al torace e non dietro le spalle. Molte, comunque, le interpretazioni che si scatenarono già da li 'indomani del ritrovamento. Ognuna però urtava contro la sua evidenza: il repe1to appariva troppo piccolo e troppo complicato per una pompa idrovora o antincendio; e il tubo snodato troppo sofisticato dal momento che per dirigere uno schizzetto a destra o a sinistra sarebbe bastato deviare di poco una nonnale manichetta. Perché poi assemblare due cilindri, una scatola di compensazione e quattro valvole per evacuare la stessa quantità d'acqua che un secchio avrebbe raccolto in minor tempo? Perché un rivestimento dì zinco quando il bronzo notoriamente resiste nell'acqua sa lata svariati millenni?

U na ipotesi tutt'altro che ineale potrebbe consistere nel ravvisarvi i resti di un lanciafiamme bizantino. Stando alla pagine dell'Alessiade scritto dalla principessa Anna Comnena, figlia dell'imperatore Alessio Comneno ( l 08 I - l 118), il terrificante fuoco greco veniva proiettato tramite gli strepla e per mezzo di tubi, verso qualunque punto volesse il direttore del tiro, da destra a sinistra e dall'alto in basso. Il che lascia facilmente immaginare un tubo dotato di uno snodo universale, un tubo flessibile Ed appunto col termine.flessibile viene abitualmente tradotto l'enigmatico vocabolo greco strepta Ma una simile interpretazione non fornisce alcuna spiegazione sulla pressione necessaria per la proiezione. Occorre una pompa e prima del suo ugello di lancio un nebulizzatore per esaltarne le prestazioni.

È 1isaputo che i cosiddetti mangiafuoco per mutare in una nube ardente un sorso di benzina, lo espellono a labbra serrate trasfonnandolo in un aerosol, prima di accenderlo con una torcia. Traducendo strepto come ritorto, piegato o angolato, definizione perfettamente calzante ad un ugello di espulsione angolato, si avrebbe un nebulizzatore del liquido in pressione inviatogli da una pompa a doppio effetto, cioè da un sifone. Non tutti gli studiosi ritengono che quel s ifone fosse la pompa di Ctesibio: per alcuni il vocabo lo , in greco sifonon - cmpcovrov, significa so lo tuho. L'obiezione, sensata per il greco e per i I latino decadente, non risulta tale per il latino raffinato: la denominazione usuale e specifica di tubo è quella dijìsto!a. mentre il sifone definisce la pompa a doppio effetto. Quanto al greco il vocabolo sifone indica sia il tubo che la pompa a doppio effetto. A favore di quest'ultima accezione, tuttavia, interviene la voce verbale sifonizo= aspiro come un s(fò11e, azione che nessun tubo è in grado di effettuare senza essere connesso ad una pompa! inoltre tanto Erone quanto P linio il Giovane, chiamano sffo11e una pompa antincendio a doppio effetto, stesso nome che aveva abitualmente la pompa di sentina.

La somiglianza cli un sifone lanciafiamme con un sifone di evacuazione o antincendio finisce qui 211 , proprio per l'esigenza di un nebulizzatore prima della lancia Secondo una consuetudine la denominazione di una componente finisce per definire l'intero congeg no: la presenza di un turbo compressore ha fatto chiamare iurbo l'intero motore. Nessuna meraviglia perciò che l'adozione d'un nebulizzatore angolato sia l'origine di strepto, cioè l'angolato per antonomasia.

Un Altro P Ro Bab Ile L Anciaf Iamme A P Ompa Monocilind Rica

Presso l'Antiquarium comunale di Roma è custodito un singolare reperto, del quale purtroppo si ignora sia l'epoca che il sito del ritrovamento. incerta pure la sua verosimile collocazione storica: unica certezza la sua acquis izione nel 1888 A un sommario esame l'oggetto appare costituito da due cilindri paralleli, uno maggiore e uno minore, che 1ivelano di essere i corpi rispettivamente di una pompa a stantuffi e di un serbatoio di accumulo. Quanto alla pompa, tuttavia, pur h·adendo evidenti analogie con le similari rinvenute in Spagna e in Gran Bretagna, per lo più fatte risalire al lll-IV secolo d.C., ostenta una sua singolarità che la rende notevolmente più interessante: sia il cilindro che la biella sono unici per entrambi gli stantuffi e non hanno alcun bi lanciere, essendo azionati da una sola leva.

La soluzione appare straordinariamente innovativa ed aderente a uno schema tecnico che trova un preciso riscontro sto1ico nel curioso mantice a stantuffo cinese e nel coevo lanciafiamme. realizzato verosimilmente nel medesimo scorcio cronologico, magari dagli stessi inventori.

Anche questa pompa. perciò, potrebbe essere stata ben diversa da una piccola macchina idraulica di enigmatico impiego. Del resto che la macchina di Ctesibio si prestasse ali 'adozione in sofisticate atmi lo dimostra proprio la sua balista a molle pneumatiche.

464. Roma. Musci Capitolini. reperto di origine ignota e di epoca romana rclati vo ad una pompa a cilindro unico e doppio stantuffo.

4 65 -466. Antica raffigura7ionc di utilizzo di lanciafiamme a mano durante un·a5scdio.

467. Ricostruzione virtuale della pompa monocilindrica di Roma.

This article is from: