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L'ARIA COMPRESSA
PER LA QUOTIDIANA ESPER1ENZA LA SUA PRODUZIONE OLTRE CHE RECENTISSIMA SEMBRA DEL TUTTO
PRIVA DI TMPLICANZE: AL PIÙ SI GONFIANO l PNEUMATICI DELL'AUTOVETTURA! LA REALTA FU BEN DIVERSA: OTRl GONF!ATl ERANO OTTlMJ GALLEGGIANTI, COME LE CAROGNE PORTATE DALLA CORRENTE
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AVEVAJ"!O INSEGNATO; MANTICI DI PELLE POTEVANO
ATTIZZARE LL FUOCO E CACC IARE L'ACQUA; MA SE
REALIZZATI CON I CILINDRJ DI CTES1BIO GLI IMPIEGHI
ERANO ANCORA MAGGIORI: POTEVANO INFATTT FAR
FUNZIONARE DELLE MICIDIALI ARTIGLLERJE NAVALI!
Tra i più importanti impieghi dell'aria compressa vi fu l'alimentazione del forno fusorio e della forgia. Si sapeva da tempo, infatti, che insufflando aria sulla brace questa sviluppava una maggiore temperatura, manifestata anche dalla maggiore luminosità attinta dalla fiamma. Nel paragrafo destinato al ponte pneumatico, I' Anomimo ci tramanda un chiaro riferimento al mantice, dal quale si evince che non differiva gran che dal moderno, ancora di uso domestico. Alla stessa conclusione inducono pure alquante fonti iconiche, più o meno esplicite di epoca romana.
La produzione dell'aria compressa può avvenire, ora come allora, soltanto facendo diminuire il volume del contenitore: la soluzione più semplice consisteva nello schiacciare un otre o una vescica di adeguate dimensioni. Per continuare, però, si doveva poter ripetere l 'azione, ovviamente dopo aver riportato il contenitore alla fonna iniziale: operazione semp re laboriosa. Si giunse, pertanto, ad una razionale conclusione per la quale la fase di compressione doveva risultare simmet rica di quella di aspirazione. Un contenitore dal volume variabile, che veniva allargato e ristretto del la stessa quantità e in modo molto semplice. invertendo la manovra, esattamente come si faceva con una tenaglia. La soluzione fu trovata accoppiando ermeticamente, con una fascia di pelle, due guance di legno munite di manici e di due aperture. La prima, ampia e al centro di una di esse, la seconda minuta e conica in corrispondenza della cerniera. Per entrambe due sottili lingue mobili fungevano da valvole: divaricando le guance si chiudeva quella dell'apertura conica e si apriva quella centrale, consentendo perciò all'aria di entrare; serrando le guance si chiudeva quest'ultima e s'apriva la precedente, costringendo l'aria a uscire con una discreta pressione.
369- 372 -373. Stampe rinascimental i raffiguranti dei grossi mantici a soffie tt o.
370 Dettag lio de l mantice dall'illustrazione de l Dl' Rebus Bellicis
371. Un moderno m ant ice a soffietto.
Quel modesto congegno, prodotto in tutte le fogge e in tutte le grandezze, trovò innumerevoli ulteriori impieghi: se ne realizzarono di minuscoli per il focolare domestico e di enormi per i forni fusori: alcuni servirono per attizzare le fiamme, altri per ricambiare l'aria. Vi era però, specie nell'uso metallurgico e minerario, un grave inconveniente: la mancata emissione durante la fase di aspirazione. L'aria compressa ostentava, perciò, un regime pulsante deleterio alla corretta alimentazione della combustione. La soluzione escogitata fu mutuata dal lanciafiamme navale descritto da Tucidite, più avanti ricordato, consistente nell'accoppiare due mantici, mantenendo unico l'ugello di uscita, in modo di farli funzionare in maniera alternati va, fornendo perciò un flusso pulsante ma continuo. E' probabile che per evitare sfasamenti durante la manovra si fissassero le opposte estremità dei manici ad un bilanciere, per cui quando il primo si sollevava il secondo si abbassava.
Mantici A Stantuffo
Il vero limite del mantice a soffietto derivava dalla necessità di incrementarne notevolmente le dimensioni per una maggiore produzione d'aria compressa. Si spiega forse così il perché dell 'adozione nell'organo ad acqua, di gran lunga più piccolo di quello medievale, di una pompa a doppio effetto, un compressore a cilindri e sta ntuffi Questo, infatti, non solo poteva fornire molta più aria a parità d'ingombro, ma farlo in due modi diversi incrementando la corsa degli stantuffi o il loro diametro. Il vantaggio, pertanto, nelle attività industriali fu subito evidente, tant'è che Polibio in un suo brano, ricorda il diffondersi di un mantice diverso dal tradizionale 19 l, alludendo quasi certamente al suddetto.
Una verifica in tal senso, del resto, si può cogliere nell'attività siderurgica svolta in alcune tribù primitive, dove l'aria necessaria alla forgia è insufflata tramite un mantice costituito da due canne di bambù o di legno, munite dj stantuffi sempre dì legno, le cui bielle rigide sono alzate ed abbassate con entrambe le mani, in modo ritmico ad orecchio, mancando un raccordo qualsiasi fra le due. Dispo sit ivo che ricorda, sia pure in modo rozzo, la pompa di Ctesibìo che se ne discosta non tanto per l'essere di bronzo. quanto per montare coppie di valvole automatiche e, soprattutto, il bilanciere.
374. Mantice a doppia vescica manovra ta da due aste Va considerato un ra~saggio intermedio tra il mantice a soffietto e quello a stantuffo
375. Bassoriclivo indiano raffigurante 1·impiego del mantice a doppio stantuffo. 376-377. Rudimentali mantici a doppio stan tuffo in uso presso alcune popolazion i primirvc del sud est asiatico.
ARMI PJ\Ev.MATICHE
Per assurdo che possa sembrare, la più remota modalità balistica adottata per scagliare proietti implicava l'impiego dell'aria compressa. Prima ancora della roteante fionda, del tlessibilc arco semplice e, forse, persino della zagaglia, la specie umana, e non solo lei, imparò a colpire un bersaglio ravvicinato con un getto di saliva o con un leggero nocciolo, espellendoli con un violento sbuffo d'a1;a dalle labbra
Un principio infonnatore estremamente semplice, nella sua essenzialità, ma estremamente complesso da sfruttare in modo efficace, da trasfonnare cioè in un'arma o in un utensile . ln un contesto storico imprecisabile alcune etnie ci riuscirono, realizzando un propulsore, sofisticatissimo nella sua apparente ingenuità, perfettamente congrno al contesto d'impiego. Per uscire dal generico si tratta della cerbottana, una sottile canna dalla quale viene espulso un piccolissimo dardo, tramite un violento sbuffo emesso dai polmoni del tiratore. Quanto sia complessa lo suggerisce la linearità della canna lunga circa 3 m; la perfetta tenuta del dardo, conseguita con esili guarnizioni e, non ultimo, la sua letalità immediata, ricava dal curaro. Ad eccezione di quest'ultima peculiaiità, nella cerbottana sono presenti tutti i criteri dell'arma da fuoco: un gas che si espande istantaneamente in una canna, un proietto aderente alla sua anima che viene accelerato, e una punteria per traguardo. L'espansione, tuttavia, non essendo esito di una istantanea combustione, come per la polvere pirica, non consente di includerla fra le anni da fuoco ma soltanto fra quella ad aria compressa. 20l
Dal punto di vista etnologico la cerbottana si reputa il più recente congegno di lancio individuale ma non un'arma da lancio, essendo la letalità del suo proietto, peraltro l'arma propriamente detta, esito non dell'energia residua dell'impatto ma del veleno di cui è intriso. Il che obbliga a posticipare l'avvento di un'anna funzionante ad aria compressa fin quasi all'età moderna, per l'esattezza alla prima metà del XVll secolo, nonostante sia esistita e abbia funzionato una balista azionata dalla spinta dell'aria compressa.
BALISTA A MOLLE D'ARI A
L'etichetta di balista a molle d'aria calza ottimamente ad una singo lare macchina da lancio, inventata e costruita da Ctesibio, dal momento che non può considerarsi una vera arma ad aria compressa, in quanto non v'era alcuna emissione di aria. In altri termini, l'aria certamente si espandeva ma non nella canna dell 'a rma, né peraltro veniva a contatto, in qualsiasi modo. con il proietto, né, infine, era aspirata dal1'esterno prima della compressione, per esservi scaricata subito dopo l'espansione. In quanto tale l ' arma sarebbe da definirsi adiabatica. piiva cioè di scambi gassosi con l 'estemo: e che tale fosse lo dimostra la totale assenza del boato che, altrimenti, si sarebbe dovuto manifestare all'istante del lancio. Nessuna menzione di un qualunque botto o scoppio, effetti acustici che se mai prodotti, per l'epoca, sarebbero risultati persino più temficanti del tiro stesso. 211
378-3 79. Costnizionc cd utili zzo del la cerbottana presso alcune popolazioni del sud-est asiat ico.
380. Fucile ad aria compressa detto 'a vento' del XVIII sec.
38 1 Stampa ottocentesca raffigurante le prove di tiro di un cannone ad aria compressa.
L'aiia che agiva nel motore dell'anna, compressa o espansa che fosse, era sempre la stessa già immagazzinata nei cilindri inizialmente. Forse veniva reintegrata, di tanto in tanto, ma durante l'uso variava soltanto il suo volume di prima e dopo del lancio , esattamente come varia quello di una molla elicoidale ali' interno di un respingente ferroviario, prima o dopo dell'urto!
Perfettamente consapevole di ciò Filone di Bisanzio, nel II secolo a.C. 22 i , descrivendo l'anna nella sua opera Belopoica, la definì balista a molle d 'aria, conoscendone il funzionamento della coppia di cilindri muniti di stantuffi , ulteriore conferma delle ampie potenzialità d'impiego che l'invenzione di Ctesibio permetteva. Dopo la pompa a doppio effetto, il sifone antincendio e l'organo, infatti, è la volta di un'arma: minjme le modifiche al solito congegno cilindro-stantuffo.
Tn pratica resi ciechi i cilindri, eliminando qualsiasi foro di sfogo, e solidali fra loro gli stantuffi fissandoli insieme, il propulsore della balista era pronto. Per la verità sarebbe bastato anche un solo cilindro, ma in tal caso per attingere il giusto vo lume, avrebbe dovuto avere un diametro e una corsa alquanto maggiori, difficile all'epoca da realizzare con analoga precisione. Crite1io informatore dell'arma, la certezza della assoluta elasticità dell'aria, che venne esposta con la logica e la tem1inologia vigente. Pertanto se l'aria è definita come ::,piri/o, il suo vo lume iniziale è ricordato come grandezza del vaso, e la fase di espansione successiva alla compressione, si ricorda quale desiderio dello stato originario!
Arcaicismi e approssimazioni che non contribuiscono alla facile interpretazione della descrizione, senza però impedirla una volta presa confidenza con il gergario. Si comprende così il riferimento a due coppie di cilindrici di bronzo coassiali, nelle quali il diametro interno del maggiore coincide con quello esterno del minore, per una lunghezza sostanzialmente simi le. In pratica , due cilindri con due stantuffi di uguale lunghezza, tutti fusi da una accurata matrice di cera.
382. Ricostruzione virmale del gruppo motore della ba lista pne umati ca di Ctes ib io.
383. Rilievi planimetrici ortogonali della balista di Ctcsib io realizzati in b ase alla descrizione fattane da Filone di Bisanzio.
384. Ricos1ruzionc virtua le della bal ista ad aria co mp re ssa.
Filone precisa che i cilindri propriamente detti. vennero dapprima martellati esternamente per esaltarne la resistenza e quindi alesati internamente, col trapano, e lucid ati. Quanto agli stantuffi ne ricorda la precisione geometrica garantita dal tornio esaltata dalla lucidatura. Dal momento che per quanto minime siano le tolleranze non bastano a impedire perdite di compressione, il ricorso ad apposite guarnizioni è inevitabile: Filone ne ricorda, infatti, due, una collocata sulla bocca dei cilindii ed una sulle teste degli stantuffi, in modo da bloccare qualunque fuga d'aria. Erano ottenute con un abbondante strato di colla di pesce, che manteneva un'elasticità gommosa anche da secca.
Proseguendo nell'esposizione Filone ricorda che durante le prove Ctesibio, con un vigoroso colpo di mazzo la , fece scendere di scatto lo stantuffo nel cilindro. Fattolo uscire osservò stupito che la sua guarnizione interna aveva preso fuoco! Né lui, né i suoi epigoni, fin quasi ali 'ingegner Rudolf Diesel, potevano sapere che un gas sottopos to ad una rapida compressione si riscaldava così fortemente. Nessuno nel II secolo a.C., pertanto, aveva sufficienti nozioni per descrivere un prodigio simile senza averlo personalmente visto! Che poi tale effetto fosse congruo alle potenzialità tecnologiche dell'epoca lo si evince dall'esistenza, presso alcune etnie primitive del sud est asiatico, di un singolare accia1ino pneumatico. Formato da una canna di legno nella quale penetra una sorta di stantuffo, anch'esso di legno, al quale viene fissata un'esca, abbassandolo di scatto lo si estrae con l'esca in fiamme. 23 ) La violenta compressione ba provocato la combustione! Impossibile accertare, oggi, se tra le due macchine vi sia stato nel remoto passato un qualche tramite culturale.
Dal fenomeno, pertanto, se ne ricava la veridicità del racconto, la probabile pressione che attingeva l'aria nei cilindri e, implicitamente, le loro dimensioni. Che con le ovvie ri serve, infatti, lasciano supporre per i cilindri un diametro d'una decina di centimetri per circa mezzo metro di lunghezza. Quanto alla conformazione, sappiamo da Filone che vennero fusi uniti alla base, in modo che formando un unico corpo fossero solidali alle sollecitazioni.
Completatene la la vorazione, i due cilindri siamesi con i rispettivi stantuffi, furono fissati sotto il fusto della balista, tramite delle cerchiature di ferro. La disposizione accennata sembra trovare una sua convalida nell'osservazione di Filone, circa la notevole somiglianza di siffatta balista con un organo. Un giunto, ve - rosimilmcnte dentato, venne applicato al piede d'entrambi gli stantuffi. non a caso ricordato come ::occolo. Quale che fosse consentiva ai due bracci dell 'anna, simili per grande approssimazione a quelli della catapulta a molle di bronzo, di farli entrare nei cilindri. Inev itabile il solito ven-icello di caiicamcnto, con il solito scatto ad arpione oscillante: Filone non lo ricorda minimamente confennando perciò la conclusione!
Forse per la sua complessità, forse per la sua improba manutenzione, forse per il suo costo eccessivo non iisu ita che la balista pneumatica abbia riscosso vasto successo. Trovò probabile adozione sulle navi da guerra, graz ie alla sua assoluta immunità all'acqua; non può, però. escludersi che rimase una semplice cmiosilà tecnolo gica.24 \ Discorso antitetico in ambito scientifico: quella strana balista, infatti, suscitò sin dal debutto una vas ta curiosità che, col tempo, lungi dall'esaurirsi fuù per trasfo1marla in una sorta di leggenda.
L'ARIA COME SUPPORTO: LE TELECOMUNICAZIONI
MISENO ERA IL TROMBETTIERE D EL LA NAVE DI ENEA,MA NON ERA UN MUSICISTA COME, DEL RESTO, NON LO ERANO NEMMENO I TA.J'HI SUONATORI DI CO RNO, DI TUBA EDI BUCCINE DELLE LEGIONI ROMANE SJ TRATTAVA 1N TUTTI I CASI DI SEGNALATORI, DI MILITARI c1ot PREPOSTI ALLA TRASMISSIONE DAPPRlMA FRA NAVE E NAVE E POT SUL CAMPO D I BATTAGLIA IN SEGUlTO JL SISTEMA VENNE PARZIALMENTE ADOTTATO ANCHE IN ABITO CIVlLE.
Nel regno animale i rappo1ti tra viventi sono spesso sanciti da suoni, versi caratteristici e co n venz ionali, emessi dalle varie s peci e. Nel caso dell'uomo assunsero lentamente la forma di parole, dapprima poche quindi sempre più numerose per descrivere quanto cadeva e accadeva sotto i sensi, o elaborava il cervello. La comunicazione, pertanto, ebbe subito come suo 1igido limite il ristretto raggio di percezione di quei suonj: i1malzandone il volume lo si poteva ampliare, ma di molto poco e comunque mai, e nella migliore delle ipotesi, oltre il breve orizzonte visivo. Il ricorso a strumenti sonori capaci di emissio ni acustiche notevolmente maggiori fu presto utilizzato, dai più semplici ai più sofisticati: iJ comune criterio informatore fu che fossero in grado di far vibrare l'aria, ovvero di produn-e rumo1i o suoni di gran lunga più inten si di quelli umaiù.
Le vie prescelte appaiono diverse, ma possono, sia pure per ampia schematizzazione, ridursi a un paio: stmmenti a percussione, in cui remi s sione s caturisce dalla battitura di vari elementi lignei o metallici, quali il gong, il tamburo o il tam-tam; strumenti aerofoni nei quali , invece, s caturisce dalresaltazione della vibrazione prodotta dalla espansione dell'a1ia in apposite cavità, quali ad esempio comi, conchiglie e tubi metallici, da cui comi e trombe.
Ovviamente se la portata si incrementava sensibilmente la intelligibilità si 1iduceva persino di più: un suono capace di percorrere chilometri non si prestava ad essere modulato come le parole. Il rullare dei tamburi, dei tam tam o il rimbombo dei comi, risultava in sostanza unifonne , per cui I' infom,azione da trasmettersi dove va inevitabilmente essere binaria: affem1ativa se si udiva il suono negativa nel silenzio: ben povero il messaggio! Dosando emissioni e pause tornava possibile aggiungere significati ulteriore fra quelli di una 1istretta gamma. li vertice delle potenzialità delle trasmissioni acustiche sembra, ed il condizionale è d'obbligo, che sia stato attinto da Alessandro il Macedone. con un singolare corno, il cui suono era percepito tino a 20 km di distanza! 2si a C.
Forse una leggenda, forse un esito straordinario ottenuto in condizioni ambientali ultra propizie, diffici le accertarlo mancandoci soprattutto il silenzioso contesto ambientale. Del tutto impossibile, invece , anche il so lo tentare di capire in cosa potesse consistere il progetto, propostogli da un abitante di Sidone, per realizzare un sistema di comunicazioni rapido , capace di allacciare per intero il suo immenso impero. Per la velocità prospettata della diffusione dei segnali non fu creduto e la vicenda finì lì.
Le segnalazioni acustiche non scomparvero ma restarono in uso, sia pure con entità ridotte , proprio presso gli eserciti essendo le uniche in grado di essere percepite da moltitudini in qualsiasi circostanza, vuoi nel corso della battaglia, vuoi durante la notte maga1i nel sonno Basti pensare al riguardo che definiamo ancora oggi un segnale che svegli la nostra attenzione a/fanne, ovvero con il grido di correre alle armi , che seguiva l'antico segnale acustico. Lo stesso mit ico Faro di Alessandria era munito di ante s ignane sirene azionate dal vento, che lo rendevano anche udibile a distanza sul mare.
L'esercito romano istituì degli appositi specialisti e un minuzioso codice per il sistematico impiego dei segnali acustici emessi con trombe e buccine. Da quei repa1ti derivarono col tempo i complessi musicali militari , che ogni grande unità si pregia di avere.
Simile per mol t i versi l'impiego dei segnali ottici, che verosimilmente derivò concettualmente dai predetti. Anche con essi si poteva trasmettere un semplice segnale w1ifo1me la cui variabilità era data dal l 'esserci o meno.
385.
386- 390. Suo natori di corno e tromba s u bassoril ievi d i età imperia le
387. Gong.
388 Dettag li di tro mbe militar i romane. tuhae.
389 11 co rn o d i A lessandro in un antica stampa.
Di notte con il fuoco e di giorno con il fumo: molto maggiore la portata ma sostanzialmente identica la limitazione e per conseguenza la necessità d'una sia pur rozza codificazione. Sappim110, ad esempio, che Agamcm10ne trasmise da Troia, appena espugnata, un segnale a fuoco che, rilanciato nella notte da ben tredici postazioni intermedie, notificò alla moglie a Micene, il positivo esito nel giro di poche ore, innescando così la sua feroce vendetta Omero, ne tramanda l'episodio ed Eschilo ci fornisce nella tragedia Agamennone. l'esatta collocazione geografica di tutti quegli antesignani ripetitori. 261
Col tempo, tuttavia, si studiarono molti espedienti e varie soluzioni per incrementare la portata dei segnali.
I Romani raggiunsero risultati talmente ragguardevoli che alcuni studiosi suppongono che: "/ "olganizzazione militare riuscì a realizzare, mediante torri di segnala::ione, la più importante rete di comunicazione di tutta l'antichità. Roma riusciva a comunicare, grazie a queste torri, con altre 1200 città e presidi della penisola italiana. con altrettanti centri strategici della Gallia, con 300 città nella penisola iberica e con 500 in Asia attraverso una rete il cui sviluppo complessivo raggiungeva hen 60.000 Km".m I ruderi di tali torri sono ancora abbastanza numerosi da garantire, se non altro, la verosimiglianza della ipotesi.
Esaminiamo, secondo il solito criterio della successiva ampia adozione in età contemporanea, alctme delle miglio1i soluzioni escogitate ed impiegate, nelle telecomunicazioni in aria del mondo antico.
Torrette Semaforiche
Plinio, trattando della forma e delle dimensioni della terra, descrive anche la relatività dell'orario. In altr i termini anticipa la concezione dei fusi orari e la dimostra servendosi della lunga linea di to1Terte semaforiche. turris Hannibalis, funzionanti lungo la costa iberica. Osservava, infatti, che un breve dispaccio lanciato loro tramite verso ponente, e che correva in sostanza lungo un parallelo, raggiungeva il capolinea con un tempo notevolmente minore di quanto impiegava nel ve rso opposto! Assodato che le velocità erano uguali al pari delle distanze, la sola spiegazione implicava una diversità dell'orario locale, causata dalla apparente rotazione apparente del sole. Ed essendo la differenza in questione di circa 12 ore, quali che fossero stat i i tempi di rilancio di ciascuna torre, la linea doveva attingere una ragguardevole estens ione , anomala per un mero dispositivo di difesa costiera.28l
391-393. Ricos truzioni di torrette semaforiche romane lungo i limes.
392. Roma Cole>nna Traiana , dettaglio della raffigurazione delle torrette semaforiche lungo il Danubio. Il sec. d C. 394. Modello di epoca romana di torretta ~cmaforica interessante. inoltre, osservare che nella definizione di turris Hannibalis non si deve leggere l'inventore del sistema, di scarsa reputazione per la mentalità romana, ma il fruitore, ovvero il nome dell'autorità che ne aveva deciso l'impianto o che se ne avvaleva, nella fattispecie i I condottiero cartaginese. Dal momento che per i Romani la definizione di t11rris si applicava ad ogni struttura a prevalente sviluppo verticale, d'impiego militare o civile, non possiamo di stabilire con certezza le connotazioni precipue di tali torri. Plausibile che essendone il criterio informatore analogo a quello adottato lungo il limes del Danubio, anche le torrette fossero simili a quelle scolpite sulla Colonna Traiana di cui, l'archeologia ha recuperato le dimensioni di base, circa 5x5 m, nonché gli interassi, fra i 600 ed i 1000 m. Se così fosse ne sapremmo pure la modalità di trasmissione, poiché in diversi pannelli della Colonna, se ne coglie, magari implicitamente, il funzionamento.
Dal punto di vista operativo, infatti, l'adozione d'una balconata che, al primo piano, gira su tre lati della torre ma è accessibile da un unico vano sul lato volto verso l'interno del limes, ci suggerisce una interpretazione del loro impiego. 291 Dunque la torcia che sta sistematicamente raffigurata davanti al s uddetto vano, può essere spostata lungo la balconata a destra o a sinistra della stessa torre. Frapponendosi però il suo corpo, quando a sinistra non può essere vista da destra e quando a destra da sini stra . In pratica la torcia che in posizione di riposo era visibile da entrambe le direzioni. improvvisamente scompariva per una di esse, notificando così l'avvio della trasmissione nel senso opposto. In altri termini. il segnale di una torre poteva viaggiare in una precisa direzione, per un limitato numero di torri fino a quella reputata capolinea, destinataria del segnale e collegata con le forze di pronto contrasto. Si spiega così il perché dell'utilizzo del primo piano e non di una terrazza in copertura. più alta e più visibile.
La polarizzazione del segnale. e la sua duplice natura diurna e n otturna, confermata da covoni di paglia per il fumo e dalle cataste dì legna per il fuoco, è la prova della esistenza d'una rete telegrafica militare d'ampia estensione e complessità, nonostante la rozzezza del segnale. Sappiamo tuttavia di altri sistemi di trasmissione, forse impiegati insieme al suddetto, di uno dei quali, almeno, abbiamo una laconica descrizione e una allusiva immagine.