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MOTO RI ELASTICI A TORSIO~E
li motore ideale per una macchina da lancio avrebbe dovuto essere potente e piccolo: stando alle fonti qualcosa del genere comparve intorno alla metà del IV secolo a.C. Lo suggerì forse il torchio a torsione, da millenni usato in Egitto per la spremitura di essenze vegetali, o la molto più recente sega a telaio con tenditore a fune e listello. Difficile onnai assodarlo: di certo proprio a quel periodo rimontano le prime artiglierie a torsione che, in pochi decenni, soppiantarono quelle a flessione 55 l
Da l punto di vista costruttivo un motore a torsione constava di un robusto telaio quadrato di legno, rinforzato da bandelle di ferro o di bronzo ribattute, suddiviso in tre scomparti Quello centrale si riservò all'innesto col fusto dell'arma, mentre i laterali a due matasse di corde attorcigliate. Al loro interno i bracci ai quali era fissata la corda, come ai comi dell'arco.
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A differenza delle gomene tradizionali, le matasse non erano corde ottenute da fibre vegetali ritorte ma corde di tendini bovini, crini di cavallo o capelli femminili filati. Il 1icorso a fom1azioni cheratinose va attribuito alla loro superiore resistenza, ottimale per motori elastici funzionanti con reiterati cicli di torsioni esasperate e ritorni istantanei. Essendo la potenza cinetica dell'arma funzione del diamet r o delle matasse, questo ne divenne il modulo dimensionale, così come lo è il calibro nelle odierne artiglierie. Unica e non irrilevante deficienza dei motori a torsione la natura fortemente igroscopica delle matasse, che ne provocava una drastica perdita di potenza a contatto con l'acqua o in ambiente umido. Una pioggia o anche soltanto una esposizione prolungata alla rugiada notturna o alle nebbie esalate da un grande fiume, ne decurtavano drasticamente le potenzialità. Quando si vollero impiegare la artiglierie a torsione in cl imi nordici o in ambito navale, fu necessario proteggerne accuratame nte i motori, con appositi contenitori stagni.
L'approntamento a l tiro veniva effettuato caricando le matasse con una torsione iniziale, impa1iita con apposite leve, fin quasi allo snervamento. A quel punto, effettuando un 'ulteriore rotazione di circa 50°-60° non più con le leve ma tramite i bracci dell'arma, fatti ruotare tirandone la corda con il verricello, si immagazzinava nelle stesse una grande quantità di energia potenziale elastica. Al lancio, rimosso il ritegno, le matasse ruotavano fulmineamente al contrario, h·ascinando con estrema vio lenza i bracci che, tramite la corda, scagliavano il proietto.
I 90. Motopropulsore di catapu lta romana, di età imperiale. capitulum , rinvenuto a Xantcn , Gem1ania.
191. Ricostruzione virtuale dcli 'intera catapulta secondo i dati di Vitruvio.
192 La componentistica esplosa del motopropulsore e di una s ua matassa c lastica.
Motori Elast Ici A Flessione Metallica
Dal punto di vista meccanico. la molla in generale e quella a balestra in pa1tic0Jare. sono un elemento meccanico di scarsa valenza tecnologica, oggi come ieri. Diversa la realtà, trattandosi del primo sistema elastico reversibile in metallo. Dal punto di vista etimologico il termine balestra sembra derivare dalla notissima arma medievale: proviene, invece, dalla misconosciuta voce verbale greca ballein= scagliare la pietra, passando attraverso i vocaboli ha/lista, balista, ba!listra, balestra. La sua invenzione è attribuita a Ctesibio, che la elaborò, ovviamente, per una macchina da lancio insensibile all'acqua. Nella fattispecie, essendocene pervenuto il dettag liato resoconto, redatto da Filone di Bisanzio, sappiano che l'approntamento fu avviato dalla preparazione delle foglie di bronzo, che lui chiamò squame.
Alquante allusioni lasciano dedurre che Ctesibio limitò le sue molle di bronzo a due sole foglie. Di esse, quella maestra la fissò ad una simmetrica opposta con due perni passanti, collocando poi sull'estradosso di entrambe le seconde foglie, lasciate libere all'estremità. Uniformi. per tutte, la cwvatma e le dimensioni , soprattutto lo spessore, pari a circa IO mm a foglia. La connotazione risultante, quindi, comprendeva due foglie sovrapposte per ognuno dei due archi contrapposti: un in s ieme che ricorda molto da vicino le balestre ellittiche dei calessi o delle carrozze ferroviarie, definite attualmente molle composte a.foglie, o più semplicemente ba/estre.S6i
Le foglie non erano, perché non ancora disponibile, di acciaio, ma di una pa11icolarissima lega di bronzo, composta per 97 parti di rame con 3 di stag no, titolo perfettamente uguale a quello impiegato ancora oggi per realizzare molle di bronzo. Un minimo sca110 fra le quantità dei due metalli, una loro minima impurità e l'elasticità sareb be scomparsa! Per equipaggiarne tale catapulta Ctesibio si avvalse di due supporti di ferro a fom1a di foglia d'edera, ovvero di due piastre lobate, inserendo in ciascuna una molla a balestra Un perno delle piastre fungeva da fulcro per i 1ispettivi bracci, ai quali era fissata la corda. Soluzione abbastanza simile ad un moderno cavatappi a bracci mobili!
Messo a punto i I congegno, tirando la corda arciera si imprimeva una rotazione ai bracci che, a loro volta, tramite un eccentrico comprimevano le balestre. Queste, perciò, si appiattivano, schiacciandosi contro un fermo della piastra adiacente al telaio. A quel punto il caricamento dell 'arma era terminato, provvedendo una robusta ruota ad arpioni d'arresto retrogrado a bloccarla in sicurezza, come in tutte le altre artiglierie Liberato con un grilletto il ritegno. le molle riassumevano istantaneamente la loro curvatura oliginale, spingendo con estrema violenza i bracci che. tramite la corda, trasmettevano lo stesso moto al dardo, nella medesima maniera che avverrà, quindici secoli dopo, nelle balestre medievali ad arco d'acciaio. La catapulta di Ctesibio forse non si rivelò un'arma di notevole efficace, ma la balestra che ne costituiva il motore conobbe un paio di millenni più tardi una impensabile diffusione, dal momento che sostiene tutti i nostri veicoli!
193. Ricostruzioni virt uali della catapulta a molle di bronzo di Ctesibio, secondo la dcscri1.ione di Filone di Bisanz io L'immagine ce ntra le è relativa al supporto ajòglie d 'edera delle molle a ba lestra.
194. Rilievi µlanimctril:i ortogona l i della catapulta a mol le di bronzo.
PrcCOLI MOTORI A MOLLA
Se la metallurgia romana stentava a forgiare lame di acciaio di qualità, riusciva però correntemente a produrre piccoli listelli acciaiosi di elevata elasticità. Infatti , si costruivano in grande quantità molle di acciaio temprato, impiegate come antagoniste o di rinvio in alcuni dispositivi a scatto, quali serrature e lucchetti. Che si trattasse di produzioni di tecnologia più avanzata lo dimostra che erano effettuate non dal solito volgare fabbro ferraio, ma da un magister clavarius, da un tecnico specializzato.57 l
In una società capitalista la serratura costituiva un bene necessario in ogni sua variante, da quelle diffusissime ai portoni delle abitazioni, alle più complesse applicate ai forzieri e alle casseforti, senza contare poi l'ampia gamma dei lucchetti di qualsiasi dimensione e resistenza. Per le une come per gli altri. due i fattori comuni: la manovra attraverso una chiave e la presenza di molle di rinvio o antagoniste.
Serrature E L Ucchettc
la se1ntura romana di età imperiale per antonomasia è quella cosiddetta con chiave a traslazione. Sotto il profi lo meccanico non garantiva granché, né poteva ritenersi una novità esistendo già da secoli Non a caso sono affiorate in gran numero nell'area mediterranea, soprattu tto a Pompei. Il funzionamento è abbastanza semplice: su una piastra di ferro è fissata una molla di acciaio, che esercita una forte spinta su dei contropemi mobili. Questi hanno una precipua sagoma, detta anche cifra, che rende unica la serratura e la relativa chiave di apertura . La stessa sagoma, ma traforata, è ricavata nel catenaccio: grazie alla molla i contropemi possono entrare nella cifra del catenaccio, quando però vi corri-
195. Cerniere da po11a Ercolano. I96. Bassorilievo di fabbro costruttore di serratu re. Aqu il eia. Museo Naziona le. 197 Urna funebre a forma di scr igno con borch ie d i serrat ure. Isernia. Museo Arc heologico.
198. Resti di se rrature in bronzo rinvenute ad Ercolano.
199. Piastrnechiavedisenatw-a. Ercolano. 200. Piastre in ferro ed in bronzo di serrature. Erco lano spendano esattamente, ovvero alla fine della sua corsa. fra i lucchetti ve ne fu uno definito pompeiano, per intuibili ragioni. I numerosi esemplari ritrovati ostentano un guscio di feno, più raramente di bronzo, con una toppa centrale e con ali "interno una serratura vera e propria. Con la chiave si liberava un lungo catenaccio, aprendo perciò il battente. Questo lucchetto si impiegava nei serramenti meno importanti, quali ad esempio dei depositi agricoli.
201. Vari catenacc i con cifre in bro nzo. Ercolano.
La serratura così è bloccata e per aprirla bisogna agire con la chiave. La chiave, foggiata con la medes ima cifra dei controperni, inserita nella toppa viene portata ad entrare anch'essa nel catenaccio ma dal la to opposto dei contropemi che. infatti, scaccia fuori. A questo punto. tras lando la chiave nelle fessura orizzontale della toppa, si trascina il catenaccio, aprendo la sclTatura La chiave. terminata la manovra. non poteva essere estratta, per cui restava nella senatura fin quando non fosse stata di nuovo chiusa. Evidente il ruolo giocato dalla molla, senza della quale, non sarebbe in alcun modo possibile il tùnzionamento.
Vi erano ancora se rrature dette a mandata, in sostanza simili alle attuali. ln esse la chiave, con una particolare mappatura corrispondente a quella del catenaccio, entrando nella toppa e ruotando intorno a un perno centrnle, spostava il catenaccio, aprendo e chiudendo perciò la seITatura. Jn molti esemplari il foro della toppa veniva sagomato in modo da impedire l'ingresso a chiavi non adeguate.
Anche in queste serratme una molla serv iva ad impedire qualsiasi oscillazione al catenaccio, confermandosi basilare per il funzionamento.
I Romani, come tutti i popoli che viaggiano spesso e si spostano sistematicamente, si servivano di un gran numero di minuscole serrat ure portatili, più note come lucchetti. Al riguardo, la loro produzione giunse a una varietà e validità assolutamente eccezionale e ineguagliata fin quasi ai nostri giorni. Diversamente dalle abituali serrature, il lucchetto non 1ichiede un'anta a cui applicarsi: gli basta una catena . Al pari della serratura, però, è azionato da una chiave con il concorso di una molla: a volte la prima era sostituita da uno stiletto, sagomato in modo da entrare attraverso un apposito foro e 1imuovere il ritegno dell'occhjello o del catenaccio.
Alhi tipi di lucchetti appaiono del tutto simili agli attuali con chiusura ad occhiello. In essi facendo girare la chiave s i sb locca va il ritegno dell'occhiello che, a secondo dei modelli , poteva sollevarsi o motare, aprendo in ogni caso l'occhiello. Anche per questi una molla garantiva la stabilità delta chiusura.
202. Chiave roma na in ferro a gambo corto per ridurne l'ingombro ed il peso. La grandezza dclrocchicllo, inYcce, è tale per consentire l'inserimento del pollice
203. Borchia di se rratura in bronzo. con bloccaggio di sicurezza testimoniato dalla seconda feritoia. Ercolano. 204. Ricost1117ionc virnaale di serratura con catenaccio cifrato e doppia molla di rinvio.
205. Chiave di serratura romana in ferro a gambo quadrato La se7ionc quadrata rendeva più preciso lo scorrimento della chiave nella parte orizzonta le della fessura.
206 Lucchetto di tipo pompeiano. Pompei.
207. Lu cchetti ad anello con relativa chiave.
208. Varie chiavi da lu cchetto.
209. Lucchetto da incasso e vista pos teriore
21O. Lucchetti di tipo pompe iano per depos it o agricolo . Pompei.
2 J 1. Ricostruzione virtuale di lucch ett o con pseudo chiave.
212. Reperto dello SICSSO
213. Ricostruzione virtuale di lucchetto ad anello con dcllag lio de l mecca ni s mo.
2 J 4. Reperto dello stesso