16 minute read

ACQUEDOTTI E CTSTEAAE

LA SUPERFICIE DI Ul\ LAGO, Prù ANCORA DI QUELLA

Dl:L MARE, DIEDE SUBITO LA PERCEZIO:--.'E DI ORIZ20"-

Advertisement

TAI F F DI ASSE~Zi\ Di CORRE'ITE. PER C01''TRO l Fll.JMl

E PIÙ ANCORA I TORRE"ITI LASCIARONO INTENDERE I O

STRFTIO RAPPORTO TRA PENDLNZA, CORREl\'TE E SPOSTAMl::NTO DELL'ACQUA. SUL LORO ESE~1PIO SI REA-

Ll77 ARONO GLI ACQUEDOTII, lN PRATICA DEI CANALI

DI ACQUA POTABILE! QUA NTO ALLE CISTERNE DJ PFR

SÉ A"ITICHTSSIME, NE DIYDII\ERO IL COMPLEMENTO

PI:R RADDOPPIAR>n': SIA PURE INDIRETTAMENTE LA PORTATA, RlEMPJENDOSl DI NOTTE QUANDO NON C'ERA

COl\SUMO E SVUOTANDOSI 01 GIOR'.>-0.

Diversamente dalle societa pastorali che conducono le mandrie dove vi è abbondanza d'acqua e quindi di pascolo, spostandosi continuamente e adattandosi al nomadismo, per le società agricole il criterio fo sempre antitetico: non potendo certo andare i campi verso l'acqua , s'imponeva che questa fosse in qualche modo canalizzata verso gli stessi. Dal che una società sedentaria, nella quale la sopravvivenza derivava dalle capacità tecniche. connesse con l'irrigazione e poi con l'urbanistica degli insediamenti stabili. Da quei remoti giorni città e acqua divennero strettamente connesse. non essendo possibile l'w1a senza l'abbondanza dell'altra.

I Romani intuirono immediatamente l'importanLa basilare che la disponibilità dell'acqua svolgeva nella vita della città. Forse dipese dall'aver fondato la loro capitale in riva a un fiume, seco nd o un impianto che sarebbe stato comune a tutte le maggiori città europee. Di sicuro una costante preoccupazione dei tecnici legionari fu quella di condurre nelle città grandi quantitativi d'acqua potabile, mediante enormi acquedotti veri fiumi artificiali pensili . Il sistema di adduzione dell'acqua adottato sistematicamente dai Romani era, in sostanza, naturale: un canale nel quale scon-eva un flusso continuo, per semplice gravità. 21 , Dal momento che il pelo dell'acqua non lambiva la copertura del canale, si definisce propr iamente a pelo libero. E' questa la maniera più semplice per condu1Te l 'acq ua in rilevanti quantità; tuttavia allorché avviene su tratte non di rado prossime al centinaio di chilometri le difficoltà divengono cospicue. Prime fra tulle la corretta determinazione delle quote di tracciato, che suppongono a loro Yolta una meticolosa levata topografica con s trumenti di assoluta precisione.

Ma occorre anc he stabi lir e le pendcn1/.c in maniera tale che l'acqua non corra troppo velocemente, an-

275. Acquedotto romano di Maro Andalusia. Spagna.

276. Dettaglio del Pont du Gard, Francia.

277. L"acqucdotto romano di Segovia

278. L'ultimo acquedotto romano'": acquedotto carolino dei Ponti alla Valle. Caserta. Italia. Fu fatto costruire nel 1750 da Lu igi Vanvitell i per a limentare le cascate artificial i della reggia di Case11a nientando troppo presto il disliYello né troppo lentamente. sedimentando nel canale fìno atl occluderlo. Lungo il tracciato :,i dovevano scavalcare gole e valli su altissime strutture. non a caso definite tecnicamente opere d'arte. e poi oltrepassare colline e rilievi in gallerie. e non di rado persino fiumi su ponti -canali. Difficoltà che il crescere delle distanze di capta7ione incrementava esponenzialmente.

Sebbene si affem,i in numerosi trattati che i Romani non conoscessero la condotta forzata 221 , in realtà non solo la conobbero ma se ne avvalsero in moltissimi casi. Ovviamente. e forse qui sta l'origine dell 'equivoco, i segmenti di tubo non erano in metallo ma in pietra: del resto anche oggi le più grandi sono realizzate con anelli di cemento am,ato. Non di rado poi la condotta forzata era abbinata alla condotta su arcate a più ordini. quando la vallata da superare era di grande profondità. Fino ad una certa altezza sopperiva la struttura e da quella alla quota di circolazione un sifone a condotta forzata. L'esito dell'abbinamento deve considerarsi ottimo. non mancando casi di utilizzo ininterrotto superiore al millennio.

Più interessante il metodo adottato dai tecnici per stabilire la po1tata di un acquedotto, diverso dall'odierno in quanto non tiene conto della velocità dell'acqua. Dal momento che la pendenza degli acquedotti era sostanzialmente sempre la medesima, la velocità dell'acqua diveniva di fatto una costante per cui la so la variabile era la sezione del canale in cui scorreva. cioè la sua larghe.aa per r alteaa del flusso, , al ore che divenne pertanto la vera unità di misura della portata_Bl

Essendo variabile la portata delle sorgenti, sarebbe variata anche quella dell'acquedotto e della rete urbana. Per compensarne le oscillazioni e, magari. incrementarne la disponibilità all'ingresso nella città si ubicarono eno1mi conserve, o cisterne.

L E Grandi C I Sterne

Una rilevante conserva d'acqua. infatti. accumulata nel corso della notte quando le esigenze erano in pratica nulle, consentiva di raddoppiare la disponibilità nel corso della giornata. Affinché ciò accadesse, la sua capacità doveva equiparare l'intera portata notturna dell'acquedotto in modo da evitare inutili sprechi. inoltre poiché le gra ndi cisterne non avevano scarichi per troppo pieno. è sensato supporre che non si riempissero mai completamente, ovvero. che avessero cubature eccedenti a ll a detta portata.

Acco1te tecniche costruttive e di impermeabilizza- zione garantivano a tali strutture assoluta saldezza. prossima al monolitismo. estrema longc\ ità e perfetta tenuta. Del resto lievi fessure ne avrebbero compromesso l'utilità. Un aspetto interessante è relativo alla loro periodica pulizia: allo scopo gli spigoli erano stati tutti arTotondati, e al centro si trovava una piccola conca di raccolta con una apposita canalizzazione di spurgo.

279-280. fralla a condotta forzata di un grande sifone di epoca romana.

281. Elemento di condotta for7ata romana.

282. Segmento di condotta forzata di un sifone su basamento in opera poligonale romana.

283 Vari clementi di condotta forzata romana in piet ra. Tale tipo di condoua era in grado di s opportare una pressione int erna del l 'ord ine delle 20 atm.

La maggioran7a delle grandi cisterne di età imperiale, non di rado ancora in servizio come quella di Albano 2~i. hanno ben evidente il foro del condotto di immissione. prossimo alla sommità, ma nessun simmetrico di prelievo che per ov,·ie ragioni auebbe dovuto trovarsi in prossimità del fondo. Nessun foro di deflusso neppure più in alto, strana anomalia che, però suggerisce una di,ersa maniera di prelievo. molto più complessa e sen7a dubbio molto più efficace. li primo fatto di cui occorre tener conto, riguarda la pressione di esercizio: dal momento che i tubi di piombo romani non resistevano gran che. bisognava evitare eccessi\C quanto inutili sollecitazioni.

Lo scarto di pressione fra la cisterna piena e vuota in caso di prelievo dal fondo, sarebbe stato di oltre I kg/ emq, valore eccedente la massima resistenza dei tubi di piombo della rete idrica, pari a circa 0.7 kg/cmq. Essendo per lo più interrate, il prelievo dall'alto evitava di sottoporre i tubi a quella pressione tino al ripartitore. posto a una quota appena inferiore. inoltre, con una disposizione del genere sarebbe stato possibile collocare le chiavi d'atTesto sulla sommità dei tubi, dove la pressione era praticamente nulla e, itando so llecitazioni alle saldature. Tra i maggiori e migliori esempi di cisterna romana spicca quella di Miseno: la cosiddetta Piscina Mirabilis. 251

La Piscina Mirab Ilis

Tra le poche infrastrutture in qualche modo connesse alla base di Miseno, sopravvivono una enorme cisterna e la base d'un alto edificio. Ubicate a poche centinaia di metri l'una dall'altro, le due costruzioni ostentano condiL:ioni di conservazione antitetiche: la prima praticamente intatta, al punto da poter essere riutilizzata in qualsiasi momento. li secondo, in\'ece, è talmente compromesso e mutilo da rendere rischio sa persino la visita e incerta l'interpretazione Uno stato di conservazione tanto di ssimile deve ascriversi alla diversa vulnerabilità sismica, ritrovandosi runa incassata nella collina e l'altro svettante su di essa; dal che la sua individuazione come faro. 26 >

284. Grande cisterna di Gerusalemme, di epoca romana

285 - 287 Piscina Mirahilis Miseno, Napoli

286. Grande cisterna romana di Costantinopo li, odierna htamblll.

Volendo dettagliare le caratteristiche della piscina, va preliminanncntc rilevato che dalla sua capacità dipendeva in ultima analisi, se non l'autonomia della base, almeno il suo benessere. Una colonia di oltre 40.000 abitanti, secondo lo standard urbanistico e igienico romano, infatti, usava quantità enonni di acqua, per impiego alimentare, agricolo e soprattutto termale. Ad esse, poi, andavano aggiunte quelle necessaiie alla flotta stessa e ai relativi cantieri, di non minore iilevanza.

A Miseno abbondava il fuoco ma difettava l'acqua, per cui occon-eva reperire una sorgente congma e addune le sue acque. La si trovò alle fonti del Serino 21l, in pieno Sannio, a quasi 100 km di distanza , ottima per qualità e abbondante ma non certo illimitata. Dal che un interminabile acquedotto, che strada facendo alimentò ptu-e la città di Pompei e le ville di Ercolano, e la necessità di una colossale cisterna. Stimando il fabbisogno individuale giornaliero pari ad un centinaio di litri pro capite, il doppio del minimo previsto dall'Onu, ed altrettanto per terme e giardini si avrebbero 8000 mc; aggiungendovi una uguale frazione per la flotta il volume dell'acqua ascenderebbe a 12.000 mc. La Piscina Mirabilis, scandita da 48 pilastri cruciformi, allineati su quattro file lunghe 70 m, larghe 25 e profonde 15, in cinque navate, ne garantiva appunto 12.000! 281

Per eventuali ispezioni e per la periodica pulizia si accedeva al suo fondo tramite due rampe di scale, una ancora praticabile. L'evacuazione dell'acqua di lavaggio avveniva da un pozzetto centrale, profondo circa un metro e munito d i tubo di scaiico. La concezione è quella tipica del pozzetto di sentina che, del resto, è ricordata pure dall'assenza del foro di prelievo. Mentre quello d'immissione dell'acqua, infatti, si scorge sulla sommità della parete prossima all'ingresso occidentale, manca del tutto quello di emissione. Probabile che i tubi evacuazione fossero innescati forse con delle piccole pompe a doppio effetto. Ne derivavano, oltre ai vantaggi ricordati, una migliore decantazione dell'acqua e una assoluta indipendenza fra le diverse diramazioni.

Tripartitore Idrico D I Pompei

Come accennato, l'acqua uscita dalla cisterna, prima di essere immessa nella rete urbana, subiva una suddivisione in funzione delle utenze principali. Essendo per i Romani la poriata proporzionale alla sezione del canale, l'organo per la ripartizione. definito genericamente caste!Lum aquae, era una costruzione divisa in diverse sezioni geometricamente uguali. La tipologia più frequente, di cui peraltro a Pompei si conscn a un esemplare in perfette condi1ionì. era a tre sezioni da cui il nome di tripartitore idrico. 291

288. Esterno del LTÌpartirore idiico. Pompei. 289-290. Interno del tripanitore.

291. lmmb~ionc ddl'acqucdoilo nel tripa1titore.

192. Tracce ddl'alloggiamento orizzontale delle saracinesche.

293. Dettaglio dei tre fori di uscita.

In e s so il flusso. fatto espandere in un 'apposita ampia e poco profonda , asca circolare. veni\'a distinto in tre correnti uguali, mediante appositi risalti in muratura. Ciascuna parte, poi. entrava in rete mediante u na propria condotta: la prima era destinata alle fontane pubbliche, la seconda alle tenne. la cern all'utenza priYata. Questa però non godeva di un criterio di allaccio simile all'attuale: la concessione era tale realmente, essendo il suo rilascio subordinato a precisi meriti, restando comunque personale e temporanea. [n qualsiasi momento poteva essere revocata o interrotta per ragioni insindacabili.

Questo almeno in teoria, in base a quanto tramandatoci da Frontino. Dal momento però che proprio nel tripartitore di Pompei si rnvvisa l'adozione di saracinesche mediante le qua li ogni si n gola sezione poteva essere chiusa in caso di necessità, vuoi per riduzione della portata a monte, vuoi per lavori a ,alle. sembrerebbe logico ritenere che da un certo momento in poi il castellwn aquae primario avesse una funzione di ripartizione alle varie parti della rete urbana. ovvero per quartieri e non più per tipologia di utenza. Gli allacci, del resto, già da molto tempo avvenivano in maniera discrez io nale e spesso abusiva, direttamente alle torrette piezometriche, per cui nessuno era capace di distinguere la tipologia e, meno che mai, di ristabilire la legalità in materia.

A questo punto, si è ricordata I' es isten.la d'una serie, più o meno numerosa secondo l'escursione altimetrica della città, di caste l/a aquae secondari, che con la terminologia odierna in base alla funzione assolta. andrebbero definiti torrette pic.wmetriche.

Press Ione E Tubat U Re

IJLCO:'\CETIO DI PRESSIONE FU CONOSCI UTO ABBASSA

PRESTO NELLA STORIA UMAl\A: GLI ASSIRI CHE SI IMMERSERO CON UN OTRE PTFNO D'ARIA COME RISERVA PER RESPIRARE, VERiflCARONO SUBITO lL SUO

SCHIACCIA\1ENTO ALL' AU\fF.NTARE DELLC PROFONDITÀ. QUANTO Al TUBI TRA I PRIMI IMPI EGHI SI RI-

SCONTRA PROPRIO QUELLO DI CONDURRE L'ARIA, SIA

NELL'ACQUA CII E NEL FuOCO, OVVERO NELLE IMM1:RS10N1 E NELLA FORGIA.

L E TORRETT E PI EZOM ETRICH E

Le caratteristiche di tali strutture accessorie della rete di distribuzione idrica che, sia detto per inciso, fu la prima rete delle tante che attualmente si dipanano nelle

294 città, sono relativamente semplici. Ne abbiamo tuttavia w1 preciso riscontro nei resti di quelle conservatesi a Pompei, in discrete condizioni per la parte mura1ia ma completamente prive della parte metallica delle tubature e delle cassette, di cui qualcuna era stata però recuperata al momento dello scavo e persino fotografata. TI piombo di cui era fatta ne stimolò forse il furto, avvenuto dopo i gravi danni subiti nel corso di un ottuso bombardamento a ll eato nella seconda guerra mondiale. 30 > l'ingegnoso dispositivo garantiva così che la pressione di eserciz io non~otesse eccedere quella provocata dalla altezza di una singola torretta, pari a circa 0.6 kg/cmq. In epoca poste1iore, allorquando la rigida normativa degli allacci era un ricordo, le tubature private furono collegate direttamente ai cassoni delle tonette, come dimostrano le loro tracce ancora ben visibili. Va infine 1icordato che ai piedi delle ton-ette, o più raramente nelle loro immediate adiacenze, stavano impiantate tutte le fontane pubbliche. La loro alimentazione era garantita da un rubo innestato sul fondo del cassone e dall'acqua che fuoriusciva dallo stesso, quando pieno, come è desumibile dalle evidenti tracce di sedimentazione calcarea. Nessuna abitazione si confem1a più distante di 50 m da una fontana.

294. Ricosm1zione vinuale di torrena piezometrica con la parte superiore e sottostante fontana sezionata. Per motivi igienici si deve suppo1Te che le torrette fossero dotate di copenura a padiglione su orditura lignea.

295. La stessa torretta allo stato attuale.

La condotta di piombo che alimentava le fontane private e pubbliche, avendo la città un dislivello di circa 50 m, avrebbe dovuto sopportare in caso di chiusura di una chiave d'arresto una pressione di 5 kg/cmq, assolutamente eccedente la già ricordata resistenza dei tubi. La grave limitazione, peraltro insormontabile per la tecnologia dell'epoca, rese necessari dei limitatori di pressione, owero delle torrette piezometriche, alte mediamente circa sei metri. Sulla loro sommità, come ricordato, stava un cassone di piombo. ape1to superionnente ma protetto da un adeguato coperchio, di circa un metro cubo. In essa sfogava la condotta di alìmentazione proveniente dal tripartitore o dalla torretta precedente, e si alimentava quella per la successiva.

300

296. Sulle torrette sono ben visibili le spesse concrezioni di calcare prodotte dal continuo stillicidio detracqua fuoriuscente dal serbatoio superiore.

297. Sempre sulla superficie delle torreue è facile distinguere r impronta lasciata dai rubi di allaccio delle va rie utenze 298-299. Foto storiche dello scavo di una torretta sulla quale è ancora installato il serbatoio di piombo. perso successivamente.

300. Ai piedi delle torrette vi era spesso una fontana pubblica, che verosimilmente utilizzava l ·acqua in eccedenza.

Tubature

Circa le tubature di piombo bisogna subito osservare che se ne costrnivano in grandi quantità e cti molteplici dimensioni, da parte di numerose fabbriche distribuite in ogni patte delr Impero. Persino le legioni ne fabbricavano correntemente come certificano i marchi sulle stesse. Dal punto di vista pratico la loro realizzazione si avviava da una striscia di lamiera di piombo, lunga sempre circa 3 m, dieci piedi, e di spessore costante per ciascw1 diametro. Mediante un tondino di ferro la striscia era 1ipiegata fino a far combaciare i suoi lati lw1ghi, ripiegandone i borcti e a volte anche ribattendoli, predisponendoli ad una saldatura eseguita per l'intera lunghezza. 31 l

La saldatura si può presumere di tipo autogeno, ottenuta cioè versando del piombo fuso su i bordi già accostati in modo di fonderli insieme. Probabile pure che il medesimo effetto fosse ottenuto passandovi sopra una spranga di rame incandescente, fuoriuscente da un braciere pieno di carbone ardente. Qualcosa del genere, del resto, si usava ancora nell'ottocento per stirare i panni: i capaci feni venivano colmati con un discreto quantitativo di brace.

Quale che fosse il sistema adottato, la saldatura in genere garantiva abbastanza bene e a lungo la tenuta del tubo, ma non consentiva di superare pressioni estremamente modeste, verosimilmente sempre infetiori ad I kg/cm2, pari ad una colonna d'acqua di dieci metri d'altezza. Non a caso le torrette piezometriche non superavano i 6 m!

Una pressione però tanto esigua provocava all'interno del tubo una bassa velocità di scorrimento e, quindi, w1a eccessiva sedimentazione cti calcare sulle pareti. La portata delle tubature di minor diametro si riduceva rapidamente, ed obbligava alla frequente sostituzione delle stesse. Va però osservato che quel!' inconveniente aveva anche i suoi pregi: il tubo rivestito dal calcare perdeva molta della sua tossicità, peraltro ai Romani ben nota:12> ln ogni caso la quantità d'acqua che raggiungeva le abitazioni allacciate restava comunque scarsa, potendosi stimare in almeno un minuto, il tempo necessmio per il deflusso di tm litro. Si deve pe1tanto immaginare che, non esistendo alcun tipo di contatore, l'utenza fosse sempre apena e dotata di una vasca-acquaio di raccolta. La chiave d'arresto pertanto pur avendone le potenzialità non fimgeva da mbinetto come nelle nostre abitazioni, se non in circostanze pa1ticolari.

Sono stati 1invenuti anche segn,enti di tubature di piombo se nza alcuna saldatura, antesignani pezzi trafilati di cui però non si trova riscontro nelle fonti. Esistevano ancora, ed erano ritenute di gran ltmga migliori dal punto di vista sanitario, tubature ricavate da travi di quercia, trapanate longitudinalmente e mw1ite di raccordi in lamiera di bronzo per consentirne l'allaccio in serie. Jnfine non di rado si utilizza vano tubature di Lem1cotta, ottenute con una lunga teOJia di singoli elementi incastrati fra loro: di basso costo e igieniche, presentavano tuttavia due gravi inconvenienti: la fragilità e la porosità.

30 l-30~-307. Tubi di piombo di varia sezione rinvenuti a Pompei ed Ercolano. Venivano fabbricati in segmemi di circa 3 m. l O piedi per cui le saldature sono piuuosto frequenti. Ben evidente sulla sommità la saldatura longitudinale. consegucn,:a d..:I procedimento di produzione per curvatura di una lastra di lamiera e non per tralìlatura.

303 Pozzetto di dcriva7ionc.

304. Tubatura ad elementi in temlcotta con incastro maschio-femmina.

305. Tubatura in tronchi dì q~ercia con giuntaggi in lamiera di ferro.

306. Sq:,rn1emo di tubatura in terracotta di epoca romana.

DI A"1ETRI E DEFINIZIONI DEI

Tubi Di Piombo

Stando al capitolo 26 del suo De aquae ductu urbis Romae. il responsabile dell'approwigionamento idrico della capitale, il senatore Sesto Giulio Frontino, in base alla esperienza acquisita nel settore sul finire del J secolo d.C., ci tramanda le grandezze standardizzate dei tubi in piombo. Non si tratta. però, del loro diametro, che non avrebbe peraltro una grande coerenza dal momento che la sezione geometrica degli stessi non era circolare ma a pera, io seguito al delineato procedimento di costruzione. Ciò premesso, va precisato che le misure rubticate da Frontino si rife1iscono alla larghezza che doveva avere il foglio di lamiera di piombo, che curvato permetteva la costruzione di quel pa1tic0Iare tubo. cui corrisponde secondo il nostro criterio un preciso diametro massimo. Circa i maggiori bisogna aggiungere che io realtà non abbiamo riscontri archeologici, non essendosene mai trovati neppure modesti frammenti. Dal che, tuttavia, non si può concludere che non vennero mai prodotti o utilizzati ma, se mai, che ebbero soltanto una più spietata distruzione, essendo maggionnente remunerativa la loro rottamazione. Questa la tabella con le misure romane espresse in dita:

Fistula quinaria tubo da 5 dita 0 1.25"= 23 mm

Fis tula senaria tubo da 6 dita 0 1.50" = 28 mm

Fistula serrenaria tubo da 7 dita 0 1.75" = 32 mm

Fistula ottonaria tubo da 8 dita 0 2.00'' = 37 mm

Fis tula denaria tubo da IO dita 0 2.50" = 46 mm

Fistula duodenaria tubo da 12 dita 0 3.00" = 55 mm n1bo da I 5 dita 0 3.75"' = 69 mm

Fistula ,·icenaria tubo da 20 dita 0 5.00" = 92 mm tubo da 25 dita 0 5.50" = 115 mm

CHIAVI D'ARRESTO

Come già accennato, 1·idraulica urbana romana utilizzava chiavi d'arresto di bronzo che venivano prodotte in serie, secondo misure standard, in ogni parte dell 'Impero. La loro stmttura si conferma estremamente semplice e al contempo di grande razionalità, constando fondamentalmente di due pa1ti rispettivamente definite maschio e fenunina, che ricordano con approssimazione le spine delle botti. Volendo meglio descriverle, la prima, definita anche maschio o rotore, era realizzata cava in forma tronco-conica. con un foro centrale passante; l'estremità superiore dopo montata, fuoriusciva dalla femmina, e presentava un alloggiamento quadrato in cui si infilava la leva di manovra. 331 Questa era ottenuta per fusione di bronzo, poi regolarizzata al tornio e lucidata a specchio, non necessitava di alcuna guarnizione bastando semplicemente forzarne l'inserimento per ottenere una perfetta tenuta. La seconda parte. definita femmina o statore, constava di un corpo cavo munito di un ingresso e di una uscita. per gli allacci rispettivamente con l'acquedotto e con l'utenza; la cavità centrale. alesata con estrema precisione in forma tronco conica, di diametro congruo al maschio. ne fungeva da alloggiamento. Il rotore, una volta inserito fino alla giusta collocazione, veniva bloccato mediante w1a punzonatura alla base; così poteva ruotare liberamente in entrambi i versi ma non fuoriuscire. Va inoltre osservato che grazie al loro particolare disegno quelle chiavi, si potevano allacciare a due tubi sia a I 80° che a 90° , salvo poi chiudere il foro inutilizzato con un apposito tappo di bronzo.

108-309-31 O. Chio, i d'arresto in bro11Lo rinvenute ad [rcolano ed ancora perfettamente fu 111 ionant i Da notare in basso prc,so la gh iera In p11nrnnatura per e,·itarc la fuoriuscita del maschio.

3 I 1-3 I2. Rico~tru1ionc,1r1ualc d1 chiave d'a1Tl!sto e delle sue componenti.

La verifica dell'ottima qualità e, al contempo, della straordinaiia longevità di queste chiavi d'arresto, prodotte come i tubi in otto dimensioni standardizzate, é confennata dalla constatazione che quasi tutti gli esemplari rinvenuti dopo una sommaria pulizia sono ancora in grado di funzionare perfettamente!

M Isce L Atori M Onoco Man Do

In alquante grandi ville romane, ovviamente le più sontuose e lussuose, esistevano delle terme private con la relativa impiantistica. Nei ruderi di alcune si è trovato una singolare chiave d'arresto modificata, di sofisticata concezione e di raffinatissimo aspetto. Pur avendo gli stessi elementi di quella innanzi descritta, variava la sua funzione: alle opposte estremità di a ll accio della femmina facevano capo due tubi M> , rispettivamente uno d'acqua coJTente, ovviamente fredda, ed uno proveniente dalla caldaia delle tenne, ovviamente calda. Il foro in basso, chiuso dal tappo, era invece lasciato ape1to e spesso sagomato come una larga bocca spalancata. Il rotore, diversamente da quello de l tipo normale, aveva nel suo corpo due fo1i ravvicinati. Posizionato nella fenunina nella solita maniera consentiva, girando in un verso o nell'altro, di va1iare le quantità relative di acqua fredda e calda. Era possibile così, esattamente come nei moderni miscelatori monocomando , selezionare la temperatura dell'acqua che ne fuoliusciva dalla bocca

313. Mbcelaton: monocomando romano per acqua calda e fredda. rinvenuto in Germania a Colonia

3 14. Ricostru7ione \·irtuale dello s1esso sezionala.

3 15 Schema d i ftm7 ionarnento del mi-

This article is from: