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STATO A ERIFORME
L' INVOL UC RO D E L PI ANETA
Come l'acqua è indispensabile agli organismi animali lo è anche l'aria: an z i, se le spec ie superiori possono fa re a meno delle prima per qualche giorno della seconda , invece , possono privars ene solo per pochi minuti. Limite questo c he ne conferma la fondamentale e costante esigenza, in ogni contesto cd in ogni circostanza per buona pa,ie deg l i esseri viventi. L'uomo ad esempio, per poter resistere sott ' acqua più o meno a ILmgo deve portarsi appresso dei quantitativi di aria più o meno rilevanti.
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Non avendo un vo lume definito e neppure una precisa massa, l'aria occupa tutto lo spazio disponibile vruiando, pe r ciò, la sua densi t à in funzione di questo. Tenendo conto che calda è più leggera che fredda, l'espandersi dell'aria è una conseguenza anche della sua temperatura. Di ciò gli scienziati ellenistici erano perfettamente co nsapevoli: se mai ignoravano che l'aria non era un vero gas, uno spirito nel loro linguaggio, ma un instabile misc ugl io di n umerosi gas . Pertanto, la 1itennero il terzo elemento in quanto tale , senz.a ulterio1i distinzioni e specificaziotù, oltre alle acquisite certezze: indispensabile per la vita , in grado di sollevarsi quando calda, di comprimersi notevolmente e di dilatarsi violentemente, con veloci e vo1ticose correnti , veri fium i aerei capaci, come quelli propriamente detti, di produne energiche spinte Potenzialità quest'ultima che con forza variabi le, dalJa mite brezza alla devastante tempesta, agevolava o ostacolava i natanti, seconda che sp irassero nel senso del loro avanzamento o nell'opposto. 1i
Gli stessi volatili che solcavano il regno dell'aria vennero scrutati e studiati a lungo, tentando di trovare una qualsiasi maniera per imitarli, a l fine di 1ipetere fra le nuvole quanto già realizzato fra le onde. I pennacchi e le penne, con cui quasi tutte ! 'etnie si munirono, e che ancora pennangono qua le me ro ornamento in numerosissime unifonni, trad iscono quell'ambizione. Quanto alle vie celest i, per la ver ità , q ualcosa alla fine si trovò: non som igliava neppure vagamente ad un uccello, ma semplicemente ad una grande ve la, del tipo di q uelle che ormai pul lulavano 2 ) sulla superfi c ie del mare Ne scaturirono confuse leggende e mitici racconti. nei q u ali d ivenne ben presto impossibile d iscernere l' assurdo dal vero, il sogno dalla realtà, il concreto dall'utopico!
Vele Sul Ma Re
SEBBENENON POSSIAMO AVE RE ALC UN RI SCON TRO È
VE ROSIM CLE CH.E PROPRIO LA VELA , O ALMENO Q UELLA CII E FU LA S UA DrR ETIA A NTENATA SI A STATA I L
PRIMO VE RO MOTORE DELL' U MAN I TÀ US ATO A DISCR EZIONE E S ECONDO PREC IS E FI NA LITÀ DI N AMICHE. MOTORE CHE PER INCISO È ANCORA OGGI NON SOLO USATO S EMPRE S U L MAR E MA AN C HE IN T ERRA
PE R TENTARE DI AWAL ERSl DE LLE FON T I ENERG ETlCH E RINNOVA81Ll OFF E RT E DAL LA NAT U RA lL FUTURO NEL PASSATO!
Ovviamente non siamo in grado di stabilire quando la vele fece il s uo debutto sul mare, anche perché non siamo in grado di stabilire cosa si debba intendere per vela. Da vari indizi il suo utili zzo s embrerebbe avviarsi almeno sei millenni or sono 3 l, con caratteristiche e prestazioni meramente archetipali. Nel sen so più vicino all ' odierno significato fu verosimilmente inventata dagli Egiziani per la navigazione lungo il Nilo e sul suo delta. Forse, ipotesi condivisa da numerosi studiosi. si trattò di un ramo di palma eretto a prua dell'imbarca z ione capace di far presa al vento. Posta così la questione , non rappresenta granché dal momento che spostare un galleggiante, accentuando la spinta esercitatavi contro dal vento , non s ignifica assolutamente navigare a vela Per una meno rudimenta le fruizione bisogna attendere che il ramo divenga una s tuoia intre cciata, formando perciò una superficie continua da opporre al vento, soluzione che si fa risalire a l 3500 a.e.
Ma affinché al suddetto galleggiante si possa dare il nome di barca a vela bi sogna attend e re ancora ch e si dimostri in grado non solo di spostarsi per la spinta del vento , ma di dirigersi a discrezione s econdo una precisa rotta, ovvero di navigare. Indispensabile perciò che lo scafo acqui s isse una dete1minata forma , somigliante a un pesce e più o meno affusolata, e la vela emulasse a s ua volta un 'ala, con una superficie di presa più o meno ampia. Due criteri infonnatori anti tetici, il primo neces sario per ridurre la res istenza all ' acqua il secondo, invece, per aumentare que ll a all'ar ia!
Per gli antichi la v ela per antonomas ia era quadra, ovvero quadri latera , più semplice da concepire , più comoda da co s truire e più s piccia da manovrare 4 l : in pratica la sh·etta un ione di tante pezze, tessute al telaio, fissate ad un pennone. U na ricca teoria di raffigurazioni antiche certificano quanto delinea to e lo datano a patiire dal 2900 a.e. Per i mill e nn i seguenti un ' unica v istosa evoluzione: la disposizione del ret - tango lo di stoffa, dapprima col lato maggiore ve11icale quindi orizzontale. La spiegazione appare ovvia, consistendo nello sfruttare meglio la resistenza dell ' albero a pariti\ di spinta , potendosi incrementare la superficie della vela senza aumentare l'altezza dell ' albero, dimensione comunque critica. Si ebbero perciò vele sempre rettangolari ma di notevole larghezza, appese a pennoni che ne favorivano la manovra.
340. Barca egiziana a vela quadra del Il millennioa.C.Coopcnaghcnmuscumin I lumlcback.
La scarsa resa di tali vele e 1'incostanza dei venti nel Meditenaneo, determinarono la scelta per le unità militari della doppia propulsione: eolica nelle crociere di trasferimento: remica in combattimento e, ovviamente, in assenza di vento. 5l La vela quadra dominò l'intero Medite1rnneo dall'Egitto pre-dinastico all'Impero romano, continuando a sopravvivere in sparute sacche.
Dal punto di vista dinamico può ritenersi un ottimo propulsore con il vento di poppa, ma di scarsa utilità quando soffia dai lati e del tutto inutile se di prua. TI che ne rese certamente problematica l'adozione in ambito mercantile lungo rotte fisse. Le navi cariche di grano che dirigevano alla volta di Roma dai po1ti egiziani, se all'andata erano favorite dal vento al ,itomo ne erano ostacolate, per cui di giorno in giorno si escogitarono delle maniere di disporre la vela, per limitare quelle preclusioni.
Sebbene la definizione di vela latina non indichi la popolazione che l'inventò o l'adottò per prima, ma è l'esito di una mutazione di vela trina, cioè triangolare, e sebbene la sua comparsa sia con-entemente collocata nel IX secolo della nostra era, in realtà se ne trova qualche accenno embrionale, detto anche vela a tarchia, già in epoca romana, soprattutto su imbarcazioni di picco le dimensioni. In un bassorilievo greco del Il sec d.C. ne compare una precisa raffigw·azione, alla quale se ne aggiungono altre, comunque rare, immediatamente successive. Circa la plausibile genesi, se ne sono supposte varie fasi successive, provocate dalla modifica della vela quadra sotto l'azione del vento. Precisava Aristotele, già nel 330 a.C., in un brano della sua Meccanica:"perclzé i naviganti, dopo aver veleggiato con vento favorevole, quando desiderano conrinuare sul loro corso per quanto il vento non sia favorevole, ammainano la parte della vela verso il timone [il timone a cui si riferisce è quello a doppi remi laterali],e stringendo il vento, lasciano libera la parte della vela verso la prua? E 'perché il timoniere non può produrre un effetto contro il vento quand'è.forte. ma può quando non lo è ed è per questo che loro ammainano [il retro della vela)". 6l
In pratica. infatti, dapprima si inc linò il pennone, fino a fargli assumere una angolazione obliqua, quindi si asportò dalla vela quanto eccedeva dagli originali con-
3..J.2. Ricostrn7ionc virtua le di li burna romana con la grande ve la q uadra spiegata torni , ve1ticale e orizzontale, riducendola cosi a un triangolo rettangolo con l'ipotenusa fissata al pennone. Il passaggio successivo alla vela latina fu abbastanza rapido: è curioso constatare come tanto J'awento della vela latina qua nto il mulino eolico cretese, costituito da una girante a più ve le latine, siano fatti risalire entrambi all'Vlll secolo della nostra era Constata la loro sostanziale contemporaneità, in base alle all usioni e agli indizi mo lti studiosi, tuttavia, sono portati a retrodatarne la comparsa fin quasi ali' età ellenistica.
3..J.3. Il San Giuseppe Il in naviga?ione co n luttc le\ clc sp iega te.
I L M U Lin O Cr Etese
li grande impu lso che nel Medioevo ebbe la navigazione grazie alla vela, favorì l ' infittirsi dei commerci ad amp io raggio Al contempo dimosn ò che la forza motrice del vento poteva essere sfiuttata pure quando proveniente da dù·ezioni oblique : potenz ialità fondamentale per i mulini a vento, capaci di funzionare persino nella p iù fredda stagione co n il gelo che bloccava le ruote a pa lette, ma non con il vento trasversale! Per la loro diffusione occorreva, pe1tan to , supera re il rigido orientamen- to del mulino afgano, forse il motore primario più arcaico perché i venti mediten-anei a d ifferenza dei cont inenta li mutano rapidamente per intensità e direzione. Tuttavia, come nel caso della ve la latina, de l mu lino cretese fino ad oggi non sono stati trovati riscontri inoppugnabili nelle fonti scritte né in quelle iconiche né, meno che mai, in quelle archeologiche della sua presenza in età classica.
V'è , però u na si ngola re testimon ianza di Erone, che per la sua indubbia competenza acquisisce valore dirimente. Egli:''parlando di un organo pneumatico azionato da una ruota provvista di pale, aveva descritto la ruota dicendola simile a un anemourion che evidentemente considerava un oggetto ben noto al lettore. La parola è composta con un primo termine che significa ·vento', e non è altrimenti attestata come comune. ma il contesto rende chiaro che si tra flava di un oggetto capace di creare un moto rotatorio usando il vento anemourion, è attestato anche come toponimo. Fu dato questo nome, in particolare, a due promontori in Cilicia. Si può congetturare che in questo caso si trattasse di mulini a vento (a meno che non sia una parola usata per indicare un monte ventoso, che solo casualmente coincide con il termine di Erone}". 11
Dal momento che tutti i promo nto1i de ll a Grecia, e non so lo, sono sempre ventosi, il riferimento alla ventosità ha un senso soltanto se relativo a una si ngolarità d isti nt iva, quale appunto un mu li no. Che per ovvie ragioni, non ultima geografica, deve intendersi non più d i tipo afga no,
345 inutile per il suo rigido orientamento, ma cretese con asse obliq uo. corde di manovra e vele triangolari. Non è ovviamente una conferma ma soltanto un significativo indizio: del resto la padronanza tecnica alle spalle di w1a simile girante appare congrua alle competenze nautiche della prima talassocrazia del Mediten-aneo, genitrice delle mitica civiltà minoica. Applicare diverse vele intorno ad un asse, fu una ingegnosa invenzione, plausibile in una cultura caratterizzata dalla figura del geniale Dedalo. 81
344 Ricostruzione virtuale di g irante eo li ca di m ul ino cretese. 345. M ulin o cretese.
Dal punto di vista strutturale la girante eolica cretese contava dalle quattro alle dodici ali t1iangolari di grossa tela, del tipo di quella impiegata per le vele delle navi. Fissate ad una rozza orditura lignea, venivano stese con una inclinazione di circa 10°, rispetto al piano della girante, in modo da oflhrsi oblique al vento. Regolandone la superficie esposta, esattamente come si faceva sulle navi, se ne poteva accrescere o ridun·e la velocità di rotazione. Questo emblematico dettaglio, che per vari aspetti ricorda la manovra che trasfonnava la vela quadra in vela triangolare, costituisce una ulteriore indizio circa la probabile presenza in età classica del mulino cretese.
Dal momento che la potenza erogata dal mulino cretese è funzione del numero piuttosto che della dimensione delle sue vele, tutte contemporaneamente investite dal vento, è ovvia la scelta di governarne molte piccole piuttosto che poche grandi, sebbene l'operazione sia più faticosa. Pertanto, quando si optò per giranti con so le quattro o sei ali al massimo, lo si fece per agevolarne la manovra, relegando quelle con un numero maggiore ai compiti più gravosi o alle località meno ventose.
Vele Nel Cielo
PER PARADOSSALE CHE POSSA SEMBRARE I PRlMl VE -
LNOLI FURONO APPUNTO DEI MEZZI PER VOLARE A
VELA: NELLA FATTISPECIE DEI GRANDI AQUILONI! l L
CRITERIO lNFORi\1ATORE ERA ABBASTANZA SEMPLICE
ANCHE PER IL IJJ-Il SECOLO A .C. QUANDO COMPARVERO lN CJNA. SE LA VELA GONFIATA DAL VENTO
SPINGE LA BARCA SUL MARE, UNA IDENTICA VELA
GONFIATA DA UNA CORRENTE CHE SALE TRASCINERÀ
NELLA SUA ASCENSIONE ANCHE UN UOMO ABBASTANZA CORAGGIOSO DA TENTARLO. E LE VIE DEL
CLELO VENNERO COSÌ APERTE MOLTO PRIMA DELLA NOSTRA ERA VOLGARE.
Stando alla tradizione fu Archita di Taranto, nato mtomo al 430 a.C e morto in un naufragio sulle coste della Puglia intorno al 348 a.C. 9>, ad inventare l'aquilone o, per altri studiosi, piuttosto una colomba che, batten do le ali, riusciva a volare. Stando alla leggenda, inve ce, fu Dedalo secoli prima che riuscì ad innalzarsi nel cielo di Creta con ali posticce. Quale che fosse la prio1ità sottesa a quei racconti, non dovette richiedere gran de acume osservare che le foglie secche, incapaci di sollevarsi, lo divenivano se spinte dal vento. In delìnitiv a, per volare sarebbe servita un'esile vela, simi le ad una gigantesca foglia, capace di catmrare il ve nto propizio. costante ed intenso. L'intuizione, innumerevoli volte riscontrata, fu sicuramente rafforzata da lla visione delle grandi vele gonfie che spingevano le imbarcazioni. Agevole concludere che, se per sposta rsi in piano la vela doveva opporsi verticalmente al ven to, per spostars i verso l'alto lo avrebbe dovuto fare orizzontalmente! Sarebbe occorso un telaio, leggero e ro busto, variante aerea dell'albero e del pennone. Ad esso s i sarebbe avvinto con una imbracatura il pilota, o per meglio dire l'osservatore aereo
Paradossalmente per navigare nel cielo s i fece ricorso a molte competenze dei più esperti uomini di mare, primi fra cui i Minoici. Dal nome del loro emble ma, labris. l'ascia a due lame deriva quello deila gra ndiosa residenza reale di Creta, il labirinto. Più che un palazzo una miriade intricata e indecifrabile di am bienti, raccordati da terrazzi affacciati sull'Egeo . '°1
Opera di D edalo che, finitovi recluso con il figlio, vo lle evadere superando quell'azzurra barriera in vol o. Per restare alla famosa leggenda, riferita persino da Sofocle, Euripide ed Aristofane, costruì perciò delle ali con vimini, piume e cera: e finì in tragedia.
Di gran lunga più verosimile la costruzione di un paio di grandi aquiloni di vimini e tela. Collocate quelle due ampie vele su una vasta terrazza e inclinate, per catturare la spinta ascensionale della brezza, subito si sollevaro no. Impossibile, però, governarle in una qualsiasi maniera: plausibile il volo, plausibile ancor di più la caduta! Curiosamente qualcosa di simile s'incontra nella mitologia giapponese, oltre due millenni dopo. Intorno al 11 00, un nobile sammai, tal Minamoto Tametorno, condannato insieme all'innocente figlio all'esilio s ull'inospitale isola di Harchijo, riuscì a far evadere felice mente il giovane sospendendolo ad un aquilone gigante di vimini e ca1ta da lui costruito. Due leggende no n costitu iscono una prova ma, al massimo una diceria, un labile indizio nella migliore del le ipote s i.
Di certo, però, in Cina ed in Giappone gli aquiloni giganti, perfettamente in grado di sollevare uno o due uomini, già risultano presenti nel 1\/-lll sec. a.e. Vengono usati , tra l'altro, come specole aeree per controllare le manovre nemiche: in sostanza come deile torri di eccezionale altezza. Per quanto se ne sa furono proprio i Cinesi, dopo l'invenzione o il perfezionamento degli aquiloni giganti. ad interessarsi del loro impiego militare. apportandovi delle razionali modifiche. Ne avevano, infatti, accresciute le capacità di sollevamento al punto da impiegarli in diverse circostanze per comunicazioni di vita le impo1tanza tattica e persino per portare incursori volanti all ' interno di città assediate. Antesignano esempio di ttuppe aviotrasportate!
Per rintracciare, però, dei riferimenti attendibili e circostanziati relativi agli aquiloni giganti con equipaggio a bordo, bisogna attendere il 1285 ed il Milione di Marco Polo. In quale modo, poi, venissero costruiti quei giganti dell'aria Lo possiamo facilmente ricavare dai consimili che i pescatori di un villaggio del Giappone hanno continuato a costruire per secoli , sempre con i medesimi materiali. bambù e carta. Per l'e sattezza fino al 1914, fortunatamente ancora in tempo per lasciarne un· indiscutibile memoria fotografica. Non può pertanto escludersi che la notizia della loro esistenza giungesse in occidente lungo la via della seta, fornendo ad Archita il presupposto per il suo aquilone.
La copertura degli anfiteatri, costituita da un leggero velario, che nel caso del Colosseo era manovrato dai marinai della flotta di Miseno 1 11, costituì il primo esempio di vela orizzontale. Diviene, quindi, estremamente probabile che nei giorni di vento, o anche quando per il riscaldamento dell'arena si detem1inavano delle forti correnti termiche ascensionali, quella vela tendesse a sollevarsi, fornendo un ulteriore spunto in materia. Leonardo darà al congegno una connotazione più utile e più governabile, affrancandolo dalle funi di molleggio e di vincolo, rendendolo perciò identico a w1 attuale deltaplano.
E sempre al mare e alla Mesopotamia ci riporta un'altra basilare invenzione destinata ad avere nel no stro tempo ruoli preminenti s ia in ambito lavorativo che di svago: la riserva d'aria per immersioni subacquee.
346. Raffigurazione di bipenne in un affresco minoico.
347. Creta, veduta panoramica del palazzo di Minosse, più noto come Lahiri11to.
348-349. Veduta della costruzione di lU1 aquilone gigante giapponese in una rarissima foto del 19 l 4 , in grado di ~ollevare uno o due uominì. 350. Un moderno deltaplano.