Rivista Marittima - Luglio-Agosto 2021

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LUGLIO-AGOSTO 2021

RIVISTA

MARITTIMA SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. L. 46/2004 ART. 1 COMMA 1) - PERIODICO MENSILE € 6,00

MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

L’emersione dell’interesse alla tutela dell’ambiente Emanuele Guarna Assanti

Sostenibilità, un auspicato multilateralismo e l’UE Beatrice Benocci


Rescue Hoist BL-29900

Cargo Hook FE7590-173 Cargo Winch BL-5100

La Società Eurofly Service Srl, con sede in Via Enzo Ferrari n. 60 Ciampino (Roma), condotta sin dal 1994 dal General Manager Luigi Totaro, opera con maestranze altamente qualificate nel settore aeronautico ed esegue attività di manutenzione di 3° livello tecnico di apparati elettromeccanici e oleodinamici tra cui verricelli di soccorso, verricelli di carico, ganci baricentrici e servocomandi installati a bordo di aeromobili. La Eurofly Service è un’impresa di manutenzione approvata dal Ministero della Difesa e dall’ENAC ai sensi della Part-145. Mail: euroflyservice@euroflyservice.net Tel. +39 0679340570


Sommario PRIMO PIANO

6 L’emersione dell’interesse alla tutela dell’ambiente Emanuele Guarna Assanti

PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

68 Lunga vita alle unità subacquee Michele Cosentino

SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE

78 Aspettative e realtà in 50 anni di navi Antonello Gamaleri

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Sostenibilità, un auspicato multilateralismo e l’Unione europea

STORIA E CULTURA MILITARE

Beatrice Benocci

90 «Winston is back!» Daniele Panebianco

34 Geopolitica dell’energia. La rilevanza strategica dei gasdotti Nord Stream 2 ed Eastmed, per l’UE

RUBRICHE

Francesco Frasca

48 Zero Emission Vessels: le navi prive di emissioni Claudio Boccalatte

58

Cyberspazio e atmosfera: due ambienti, stesse minacce Gian Carlo Ruggeri

Rivista Marittima Luglio-Agosto 2021

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Focus diplomatico Osservatorio internazionale Marine militari Che cosa scrivono gli altri

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RIVISTA

MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868

PROPRIETARIO

EDITORE DIFESA SERVIZI SPA UFFICIO PUBBLICA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE DIREZIONE E REDAZIONE Via Taormina, 4 - 00135 Roma Tel. +39 06 36807248-54 Fax +39 06 36807249 rivistamarittima@marina.difesa.it www.marina.difesa.it/media-cultura/editoria/marivista/Pagine/Rivista_Home.aspx

DIRETTORE RESPONSABILE Capitano di vascello Daniele Sapienza

CAPO REDATTORE Capitano di fregata Diego Serrani

REDAZIONE Capitano di corvetta Danilo Ceccarelli Morolli Guardiamarina Giorgio Carosella Secondo capo scelto QS Gianlorenzo Pesola Tel. + 39 06 36807254

SEGRETERIA DI REDAZIONE

IN COPERTINA e a p.5: nave ALLIANCE nel corso della campagna di geofisica marina High North 2021, quinta spedizione in Artico della Marina Militare italiana, con il coordinamento scientifico dell’Istituto idrografico della Marina (IIM).

Primo luogotenente Riccardo Gonizzi Addetto amministrativo Gaetano Lanzo

UFFICIO ABBONAMENTI E SERVIZIO CLIENTI Primo luogotenente Carmelo Sciortino Tel. + 39 06 36807251/12 rivista.abbonamenti@marina.difesa.it

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LUGLIO-AGOSTO 2021 - anno CLIV

HANNO COLLABORATO: Professor Emanuele Guarna Assanti Professoressa Beatrice Benocci Professor Francesco Frasca Ammiraglio ispettore (aus) Claudio Boccalatte Generale di brigata (ca) Gian Carlo Ruggeri Contrammiraglio (ris) Michele Cosentino Ingegner Antonello Gamaleri Capitano di vascello Daniele Panebianco Ambasciatrice Laura Mirachian, Circolo di Studi Diplomatici Dottor Enrico Magnani Dottor Luca Peruzzi Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante

COMITATO SCIENTIFICO DELLA RIVISTA MARITTIMA Prof. Antonello BIAGINI Ambasciatore Paolo CASARDI Prof. Danilo CECCARELLI MOROLLI Prof. Piero CIMBOLLI SPAGNESI Prof. Massimo DE LEONARDIS Prof. Mariano GABRIELE Prof. Marco GEMIGNANI C.A. (aus) Pier Paolo RAMOINO A.S. (ris) Ferdinando SANFELICE DI MONTEFORTE Rivista Marittima Luglio-Agosto 2021


E ditoriale

N

el passato, la tematica ambientale non era avvertita come lo è nell’odierna civiltà occidentale, nonostante le radici di una «attenzione» verso l’ambiente siano rintracciabili in tempi anche lontani. A ben vedere, infatti, il tema «ambiente» non è la novità esplosa alla fine degli anni Sessanta, ma è sempre esistito, e le varie civiltà che si sono alternate sul pianeta Terra non hanno, pertanto, convissuto con l’ambiente, ma hanno dovuto, spesso, lottare contro di esso. Tuttavia, è solo a partire proprio dagli anni Sessanta del secolo scorso che si è principiato — soprattutto grazie a movimenti d’associazione — a occuparsi di tutela ambientale da un punto di vista etico, del pensiero, e sotto diversi aspetti tra i quali la sostenibilità e l’ecologia. Da una prospettiva giuridica è sorto, non senza difficoltà, il diritto ambientale, ambito da cui scaturiscono numerose implicazioni legali nei vari settori. Oggi, nel XXI secolo, la tutela dell’ambiente rappresenta un’azione prioritaria degli attori globali ed europei. Il Piano nazionale italiano di ripresa e resilienza (PNRR) (1) dedica ampio spazio alla transizione ecologica e alla regolazione del cambiamento climatico, contribuendo, come stabilito dall’European Green Deal (2), a rendere l’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050 (neutralità climatica). L’Italia, come riportato nel citato PNRR: «è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici e, in particolare, all’aumento delle ondate di calore e delle siccità. Le zone costiere, i delta e le pianure alluvionali rischiano di subire gli effetti legati all’incremento del livello del mare e delle precipitazioni intense». Anche il vertice «G20», fissato quest’anno a Roma tra il 30 e il 31 ottobre, affronterà la «crisi climatica». Le emissioni dei vari gas «a effetto serra» sono calate durante la pandemia, ma oggi tendono a tornare ai livelli antecedenti. Secondo molti analisti, una volta «lasciata di poppa» la crisi Covid, quella climatica tornerà prepotentemente d’attualità e verso questa dovranno indirizzarsi i singoli sforzi economici nazionali, che non potranno prescindere da una valutazione circa la sostenibilità dei relativi investimenti. Addirittura gli Stati Uniti ritengono il problema ambientale, quindi climatico, un’esigenza strategica in ordine al mantenimento della propria sicurezza, mostrando così un cambio di passo d’attenzione, verso tal senso, a SEGUE A PAGINA 4

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partire dall’attuale presidenza Biden (3). Dal canto suo la Marina Militare è molto attenta ai cambiamenti climatici e allo studio dei fenomeni correlati, con particolare riguardo al suo ambiente d’elezione: il mare. Proprio per questo perseveriamo da diversi anni con la missione High North (4), già proposta nel triennio 2017-19 e confermata per il 2020-22 sotto la direzione dell’Istituto idrografico della Marina ed eseguita da nave Alliance (5). La missione High North costituisce, infatti, uno strumento di supporto a beneficio della comunità scientifica nazionale e internazionale per lo studio e il monitoraggio del mondo marino in relazione ai cambiamenti climatici globali. Di fatto, l’area artica rappresenta, in un momento di forti cambiamenti climatici e di trasformazioni ambientali, un nodo cruciale per l’economia globale e la geopolitica, con ricadute rilevanti anche per il nostro paese. Al cambio di paradigma richiesto dalla crisi ambientale si lega anche un ripensamento circa il funzionamento dei sistemi energetici: è un fatto che la transizione ecologica passa necessariamente per quella energetica. Ed è noto come l’economia si basi largamente sull’utilizzo dei combustibili fossili, fonti a loro volta non rinnovabili e all’origine di emissioni di gas a effetto serra, oltre ad altre forme d’inquinamento dell’acqua e del suolo. È dunque evidente che la regolazione della crisi climatica dovrà passare per forza di cose attraverso un sistema d’approvvigionamento energetico sostenibile basato, a sua volta, su risorse rinnovabili. Un programma non certo facile e che coinvolge un panorama geopolitico, economico e sociale molto ampio, destinato a tradursi non in secoli, ma in decenni, e neppure tanti. Giova ricordare, a questo punto, che la Marina Militare ha confermato la propria posizione d’avanguardia. Dopo un periodo di sperimentazione, oggi la Forza armata è predisposta all’impiego, a bordo delle proprie unità navali, di quote rilevanti di combustibile «Green Diesel» (6), con componente d’origine rinnovabile. Ed è la prima, e unica, tra le Marine militari europee. Oltre a questa fonte alternativa, la Marina Militare sta pensando al Gas Naturale Liquefatto (GNL) come carburante «alternativo» per le proprie navi. Infine, un notevole interesse è attribuito all’impiego dell’idrogeno, elemento che sta assumendo un ruolo sempre maggiore in vista di un’economia il più possibile vicina a zero emissioni di carbonio. A differenza dei combustibili fossili, infatti, l’idrogeno non genera sottoprodotti pericolosi in fase di combustione; e quando quello stesso idrogeno viene combinato con l’ossigeno in una cella a combustibile ne emergono solo energia e acqua pulita. L’ottimizzazione dei processi di produzione dell’idrogeno a basso impatto ambientale attraverso l’elettrolisi dell’acqua, fanno, pertanto, dell’idrogeno verde una risorsa potenzialmente illimitata e il vettore energetico ecologico per eccellenza. La Marina Militare ha scelto, in piena e lungamente meditata consapevolezza, già da due decenni, per i propri sottomarini di nuova generazione della classe «U212A» (7), l’idrogeno, il cui utilizzo nelle celle a combustibile assicura una propulsione indipendente dall’aria in grado di garantire ai mezzi subacquei lunghe e invisibili permanenze negli abissi con impatti ambientali quasi nulli e massima efficacia operativa. La sostenibilità ambientale è, quindi, un obiettivo dei prossimi anni con puntuali e immediate ricadute in capo all’economia e alla finanza attraverso il diritto, il cui rispetto poggia sia sull’educazione di tutti sia sull’uso, quando necessario, proporzionato della forza. La Rivista Marittima, in quanto sempre libera voce, da Statuto, di ogni dibattito scientifico di propria competenza, qualsiasi sia lo spettro dell’indagine o il tema del contendere, sa che viviamo non un, ma il Blue Century. Lo fa con le sue pagine aperte a tutti gli autori nel rispetto delle reciproche posizioni, della verità dei fatti, per continuare a suscitare opinioni e riflessioni, con l’auspicio che la sostenibilità, intesa in senso tecnologico e razionale, sia sempre più applicabile alle distese marine.

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NOTE (1) PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza): documento programmatico che scandisce tempi e modalità di utilizzo delle risorse del Recovery Fund. «Il PNRR è parte di una più ampia e ambiziosa strategia per l’ammodernamento del Paese (…). Il Governo intende aggiornare le strategie nazionali in tema di sviluppo e mobilità sostenibile; ambiente e clima; idrogeno; automotive; filiera della salute. L’Italia deve combinare immaginazione, capacità progettuale e concretezza, per consegnare alle prossime generazioni un paese più moderno, all’interno di un’Europa più forte e solidale», cit. Premessa PNRR, p.5. (2) Il Green Deal europeo o Patto Verde europeo consiste nell’insieme di iniziative politiche proposte dalla Commissione europea con l’obiettivo generale di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050. «Il Green Deal europeo trasformerà l’UE in un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, garantendo che: nel 2050 non siano più generate emissioni nette di gas a effetto serra; la crescita economica sia dissociata dall’uso delle risorse; nessuna persona e nessun luogo siano trascurati», https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it (06/07/2021). (3) IISS (International Institute for Strategic Studies). https://www.iiss.org/blogs/military-balance /2021/02 /biden-climate-change-defence (06/07/2021). (4) «L’attività è parte del Programma pluriennale di ricerca in Artico della Marina Militare. High North 2020-22, è coordinata e condotta dall’Istituto idrografico della Marina, con la partecipazione dei diversi enti di ricerca nazionale e internazionale quali NATO STO-CMRE, JRC - Centro di ricerca dell’Unione europea, Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico (ENEA), l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale (OGS), European Research Institute (ERI) e industria (e-GEOS)» (sito WEB Marina Militare, https://www.marina.difesa.it/cosa-facciamo/per-la-ricerca/Pagine/high_north.aspx 06.07.2021). (5) «Nave Alliance (distintivo ottico A5345 - nominativo internazionale IALL) è un’unità polivalente di ricerca (NATO Research Vessel - NRV), svolge principalmente attività condotte dal Centro di ricerca e sperimentazione marittima (Centre for Maritime Research and Experimentation - CMRE), per conto dell’Organizzazione scientifica e tecnologica (Science and Technology Organization - STO) della NATO. Dal marzo 2016 è equipaggiata con personale della Marina Militare grazie a un’intesa del dicembre 2015 fra la Marina Militare e il CMRE. Dal 21 marzo 2016, nave Alliance ha dipendenza organica, per il tramite del Comando Squadriglia unità idrografiche ed esperienze (COMSQUAIDRO) e il Comando delle Forze di contromisure mine (MARICODRAG), dal Comando in capo della Squadra navale (CINCNAV)». La Marina Militare, nel condividerne l’impiego con la NATO, la utilizza nei periodi assegnati, principalmente per la missione High North a guida Istituto idrografico della Marina Militare. https://www.marina.difesa.it/noi-siamo-la-marina/mezzi/forze-navali/Pagine/Alliance.aspx (06/07/2021). (6) Green Diesel: «L’impiego di bio-combustibili, in particolare quelli ricavati da olii vegetali, presenta il vantaggio di una significativa riduzione delle emissioni di anidride carbonica, stimata in circa il 52% rispetto ai fossili, poiché viene conteggiato positivamente l’assorbimento di CO2 durante il ciclo di vita della pianta oleosa», https://www.marina.difesa.it/cosa-facciamo/per-ambiente/flotta-verde/Pagine/I_Combustibili_alternativi.aspx (06/07/2021). (7) Classe «U212A»: «Il Programma U-212A deriva dall’esigenza della Marina Militare di disporre di una nuova classe di sottomarini rispondenti alle attuali esigenze operative. Si tratta di sottomarini di medie dimensioni caratterizzati dall’impiego di tecnologie innovative che permettono prestazioni molto avanzate, particolarmente notevoli nel settore dell’autonomia occulta, delle segnature, del sistema elettroacustico e di lancio delle armi», https://www.marina.difesa.it/noi-siamo-lamarina/mezzi/forze-subacquee/Pagine/ ClasseTodaro.aspx.

DANIELE SAPIENZA Direttore della Rivista Marittima

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PRIMO PIANO

L’emersione dell’interesse alla tutela dell’ambiente Emanuele Guarna Assanti

Docente di Diritto dell’ambiente e di Diritto delle società pubbliche, presso l’Università degli Studi di Roma Guglielmo Marconi. Dottore di ricerca in Diritto Pubblico, presso l’Università degli Studi di Firenze. Master di secondo livello in Diritto dell’ambiente presso l’Università degli Studi Roma Tre. Laurea in giurisprudenza, con lode, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Ha ricevuto il premio scientifico dipartimentale «Prof. Dante Cosi» (2021) per i suoi scritti in tema di diritto amministrativo e ambientale. Avvocato nel foro di Roma e consulente di amministrazioni pubbliche.

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Premessa

«(…) negli ultimi decenni a cavallo tra il XX e il XXI secolo, a causa del dilagante inquinamento ambientale e del depauperamento delle risorse naturali, si è iniziata a sviluppare una coscienza collettiva, che ha promosso, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, la creazione di associazioni aventi come tema centrale la cura dell’ambiente» (Fonte immagine: fao.org).

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Il tema della tutela dell’ambiente, ovvero della nostra «casa comune» (1), si presenta di estrema attualità, come il principale problema sociale e, conseguentemente, scientifico degli ultimi tempi. Anche da un punto di vista giuridico (2), la tutela dell’ambiente costituisce interesse relativamente recente. Infatti, negli ultimi decenni a cavallo tra il XX e il XXI secolo, a causa del dilagante inquinamento ambientale e del depauperamento delle risorse naturali, si è iniziata a sviluppare una coscienza collettiva, che ha promosso, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, la creazione di associazioni aventi come tema centrale la cura dell’ambiente. Quindi anche la scienza giuridica ha principiato a occuparsi di tale tema ormai ritenuto tanto fondamentale. Da più parti viene sottolineato come il diritto dell’ambiente costituisca una sfida per il giurista (3) poiché la (recente) storia del diritto dell’ambiente dimostra la difficoltà di applicare le tradizionali categorie giuridiche a questo «nuovo» interesse. In prima battuta, possiamo affermare che la vicenda dell’emersione dell’interesse alla tutela dell’ambiente e della sua acquisizione nella sfera giuridica abbia seguito il medesimo percorso di tutti gli altri interessi che hanno fatto ingresso nel mondo del diritto. Accade, infatti, che l’evoluzione della società determini il sorgere di nuove esigenze e il legislatore, gradualmente, le prenda in considerazione in varia misura: come situazioni giuridiche protette (variamente tutelate: conosciamo l’interesse legittimo o il diritto soggettivo), con soluzioni organizzative (per esempio, l’istituzione di un ente pubblico come centro di interessi riferibile a quei bisogni) o con altri strumenti giuridici (procedimenti, intese, raccordi). Questo ci consente di comprendere che una cosa è il bisogno, che può essere di vario tipo, altra cosa è un bisogno giuridicamente tutelato, che si ha solo quando una norma prende in considerazione un interesse e lo rende giuridicamente rilevante: dunque, suscettibile di tutela giuridica. In quest’ultimo caso il bisogno diventa interesse a protezione necessaria (4). E così è avvenuto anche per il diritto dell’ambiente.

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L’emersione dell’interesse alla tutela dell’ambiente

L’ambiente come sintesi verbale di una pluralità di interessi

mostra che non v’è corrispondenza tra i significati che “ambiente” riceve in ciascuna delle tre fattispecie». Mancava, insomma, una materia «ambiente» dotata di carattere autonomo e sistematico, così come testimoniato anche dalle prime convenzioni internazionali in materia, aventi tutte carattere settoriale e specifico.

Il pensiero dominante ha, per lungo tempo, ritenuto l’ambiente un bene in sé e per sé non tutelabile: in pratica, una mera «sintesi verbale» di plurimi interessi e un mero termine descrittivo. «Ambiente» costituiva un termine generico, non L’ambiente come nozione unitaria unitario ma scomponibile nelle singole matrici amIl ruolo del diritto internazionale e del diritto dell’Unione europea bientali, e che veniva in considerazione, nelle numerose leggi di settore emanate a partire dagli anni Il diritto dell’ambiente nasce in ambito internazioVenti, in relazione ad altri aspetti ritenuti (quelli sì) nale. Si è, infatti, compreso, da qualche tempo (7), giuridicamente rilevanti. che a problemi globali, le soluzioni devono necessaSi aveva così l’ambiente come riamente rivestire la medesima «territorio» da regolare in senso urestensione (8). banistico e paesaggistico, nonché la La dottrina è solita distinguere due tutela (soprattutto dall’inquinafasi di evoluzione del diritto internamento) delle singole risorse naturali zionale dell’ambiente (9). La prima è (acqua, territorio, aria, ecc.). quella del «funzionalismo ambienCiò emerge chiaramente dalla letale», iniziata con la Conferenza delle gislazione di settore. Per fare alcuni Nazioni unite di Stoccolma del 1972 esempi: l’istituzione dei parchi natue caratterizzata da un approccio setrali a partire dal 1922 (il Gran Paratoriale ai problemi ambientali. La sediso o il Parco nazionale d’Abruzzo), conda è definita, invece, fase del il Testo unico delle leggi sanitarie del «globalismo ambientale», iniziata con 1934, la legge sulla protezione delle la Conferenza di Rio de Janeiro del bellezze naturali del 1939, la legge 1992 e caratterizzata da un (tentativo sulla tutela delle cose di interesse ardi) approccio universale alle probletistico o storico del 1939, la legge urmatiche ambientali. Massimo Severo Giannini (1915-2000) è stato un banistica del 1942. Con la prima Conferenza, congiurista e politico italiano, ministro per l’OrganizL’insigne giurista Massimo Se- zazione della pubblica amministrazione e per le vocata dall’Assemblea generale nel Governo Cossiga I e II dal 4 agosto 1979 vero Giannini (1915-2000) (5) — regioni delle Nazioni unite a Stoccolma e al 28 settembre 1980 (dati.camera.it). nel suo noto scritto Ambiente: sagdedicata all’«Ambiente umano», la gio sui diversi suoi aspetti giuridici (6) — afferma comunità internazionale cominciò a porre l’attenzione che l’ambiente non è individuabile come bene giurisulle problematiche ambientali dal punto di vista del dico unitario e a sé stante ma, piuttosto, che esso è principio di prevenzione. Infatti, l’approccio adottato scomponibile in diversi interessi: è di tipo settoriale, e cioè volto a prevenire i maggiori — l’ambiente a cui fanno riferimento la normativa e il rischi per la tutela dell’ambiente mediante l’adozione movimento di idee relativi al paesaggio; di convenzioni internazionali volte a regolare specifici — l’ambiente a cui fanno riferimento la normativa e il settori (per esempio, la Convenzione di Barcellona movimento di idee relativi alla difesa del suolo, delsulla tutela del mar Mediterraneo, 1976; la Convenl’aria e dell’acqua; zione di Ginevra sull’inquinamento atmosferico tran— infine, l’ambiente cui si fa riferimento nella normasfrontaliero, 1979). tiva e negli studi dell’urbanistica. Con la seconda Conferenza, svoltasi a Rio de Janeiro Per Giannini, «se si sta al dato normativo, l’analisi e dedicata al tema «Ambiente e sviluppo», si tentò di

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L’emersione dell’interesse alla tutela dell’ambiente

dare attuazione a quanto emerso dal lavoro prodotto dalla Commissione Brundtland (chiamata così dal nome del primo ministro svedese che la presiedette), il rapporto Our common future. Ed è qui, infatti, che vengono precisati l’obiettivo dello sviluppo sostenibile (10) e il principio di precauzione (11). Un risultato molto importante della Conferenza di Rio è quello di aver dato il via alle convenzioni ambientali globali, volte a coinvolgere la comunità internazionale per la soluzione di problematiche che non conoscono confini (per esempio, la Convenzione sui cambiamenti climatici del 1992, che porterà poi al Protocollo di Kyoto del 1997; e la Convenzione sulla diversità biologica, 1993) (12). Nella prospettiva della tutela multilivello dell’ambiente immediatamente dopo la normazione internazionale sopravviene quella, fondamentale per gli Stati che ne fanno parte, dell’Unione europea. Per gli Stati membri può ben affermarsi che il diritto dell’ambiente sia una creazione dell’ordinamento europeo, le cui origini possono collocarsi negli anni Settanta del Novecento, sebbene all’interno dei trattati istitutivi della Comunità economica europea (CEE) non vi fosse traccia della tutela dell’ambiente (13) (peraltro, proprio come avviene tutt’ora per la Costituzione italiana) (14). Sulla base delle iniziative assunte, a partire dagli anni Settanta in ambito internazionale, le istituzioni comunitarie, supportate dalla Corte di Giustizia (ora) dell’Unione europea, hanno iniziato a creare le basi normative necessarie per emanare provvedimenti normativi in materia di tutela dell’ambiente. Posto che il Trattato di Roma non contemplava la materia «ambiente» (né come materia esclusiva dell’Unione, né come materia concorrente tra Unione e Stati) e vista la necessità di rispettare il principio di attribuzione (oggi consacrato all’art. 5 TUE), occorreva individuare la base giuridica necessaria su cui fondare le prime iniziative normative. Si utilizzarono in particolare due strumenti: i poteri impliciti e il principio di sussidiarietà. I primi consistono in una vera e propria invenzione di carattere giuridico, alla stregua della quale si afferma che nonostante il trattato non menzioni la ma-

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teria «ambiente», qualora tuttavia si ponesse come necessario agire al fine di perseguire gli obiettivi stabiliti dal trattato (chiaramente diversi dalla tutela ambientale e, concretamente, riguardanti il mercato comune), l’Unione può ugualmente adottare misure in materia di tutela dell’ambiente se tali misure si pongono come funzionali per il raggiungimento degli obiettivi suddetti. Si tratta, in pratica, di una mitigazione del principio di attribuzione, alla stregua del quale, invece, l’UE può agire normalmente solo nelle materie di esclusiva competenza. Il principio di sussidiarietà, che abbiamo poi recepito anche nell’ordinamento costituzionale interno come principio generale e non strettamente legato alla materia ambientale (15), costituisce un criterio di distribuzione delle competenze tra enti territoriali, secondo il quale la funzione deve essere attribuita all’ente territoriale che presenta le caratteristiche maggiormente idonee al fine di gestire quella determinata problematica. In pratica, nell’adozione di un atto comunitario, occorre dimostrare che l’obiettivo di protezione dell’ambiente non possa essere sufficientemente perseguito a livello dei singoli Stati membri ma, al contrario, esso possa essere meglio perseguito a livello europeo (così l’art. 5 TUE) (16). Successivamente, l’interesse alla tutela dell’ambiente viene recepito dal diritto primario europeo come interesse autonomo rispetto a quello della promozione di un mercato unico. Ciò avviene per la prima volta, a livello dei trattati istitutivi, con l’Atto unico europeo del 1986, che recepisce gli obiettivi e i principi che si ricavavano già dai precedenti programmi di azione per l’ambiente promossi dalla comunità (17). Oggi, il Trattato di Lisbona (del 2007 ed entrato in vigore nel 2009) prevede, all’art. 3, par. 3 che «l’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico».

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Il ruolo della giurisprudenza europea e nazionale Una ulteriore fonte di consolidamento della nuova visione dell’ambiente, forse quella più importante, è stata la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea e, sulla scia di questa, quella nazionale (18). Accanto alle norme formali emanate dal legislatore, che è il solo organo abilitato a produrre norme generali e astratte aventi carattere vincolante per tutti i soggetti dell’ordinamento, esistono norme (rectius: principi) di produzione pretoria, che aiutano a risolvere fattispecie non previste espressamente dalle norme formali. Si può ben sottolineare, dunque, per il diritto dell’ambiente, il ruolo propulsivo svolto dalla giurisprudenza, svolto grazie alla interpretazione evolutiva delle norme, molto spesso a carattere indeterminato, contenute in trattati internazionali o nelle costituzioni degli Stati membri, e dei principi già esistenti (noto è il caso del principio di proporzionalità elaborato dalla Corte di Giustizia sulla base dell’esperienza giurisdizionale tedesca). Più in particolare, in questa opera giurisprudenziale, i principi generali hanno giocato (e giocano) un ruolo fondamentale. Si tratta tanto dei tradizionali principi dell’ordinamento giuridico (come per esempio la buona fede), quanto di principi estrapolati dalle norme e dalle loro relazioni (per esempio, la sussidiarietà che, come abbiamo visto, nasce proprio in materia ambientale) oppure principi di nuovo conio desunti dalla fattispecie concreta (per esempio il principio, di derivazione prettamente europea, «chi inquina paga») (19). Per pura completezza, i principi vigenti in materia ambientale, alcuni dei quali poi finiti a plasmare l’intero settore del diritto amministrativo nazionale, da non considerarsi un elenco tassativo, sono: il principio di sussidiarietà, il principio di integrazione, il principio di precauzione, il principio di prevenzione, il principio di correzione in via prioritaria dei danni alla fonte, il principio chi inquina paga (20). Di alcune pronunce giurisprudenziali È importante notare come, di fronte all’emergere della consapevolezza ambientale, la Corte di Giustizia europea e le corti nazionali e la Corte di giustizia abbiano iniziato a dedurre la tutela dell’ambiente da posizioni giuridiche soggettive già tutelate, riguardanti però inte-

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La disputa Trail Smelter è stato un caso di inquinamento transfrontaliero che ha coinvolto i governi federali del Canada e degli Stati Uniti, che alla fine ha contribuito a stabilire il principio del danno nella legge ambientale dell’inquinamento transfrontaliero (en.wikipedia.org). Nella pagina accanto: la sentenza Cassis de Dijon, pronunciata dalla Corte di Giustizia della Comunità europea, sancisce che gli articoli prodotti conformemente alle norme legali di uno stato membro dell’Unione europea possono in genere essere venduti negli altri Stati membri (regola pertanto nota come principio Cassis de Dijon) - (rts.ch).

ressi diversi, anche se contigui a quello ambientale: si pensi al diritto di proprietà o al diritto alla salute. Prima di passare ad alcuni esempi tratti dalla giurisprudenza europea e nazionale, è interessante notare come tutte le trattazioni riguardanti il diritto dell’ambiente richiamino, in principio, un famoso caso risolto da una commissione arbitrale mista Stati Uniti-Canada: Trail Smelter Arbitration (Stati Uniti vs. Canada), Award of 11 March 1941, in cui veniva, in pratica, riconosciuta la responsabilità del Canada per i danni cagionati dalle immissioni inquinanti prodotte da una fonderia canadese ad agricoltori americani confinanti (21). Da tale caso giurisprudenziale, emergono due punti fondamentali ai fini della comprensione del diritto dell’ambiente: in primo luogo, che da un fatto inquinante possono scaturire limitazioni all’attività di uno Stato, che non può più utilizzare il proprio territorio in modo pieno ed esclusivo senza comprenderne le conseguenze; in secondo luogo, che i fenomeni ambientali sono necessariamente transnazionali e tendono a uscire dai confini dei singoli Stati (ed è per questo che le prime mosse politiche sono avvenute, come visto, a livello internazionale). In ambito europeo, la prima pronuncia riguardante il diritto dell’ambiente viene considerata la sentenza della Corte di Giustizia, 20 febbraio 1979, C-120/78, Cassis De Dijon. In tale sede, il giudice europeo ha individuato una serie di esigenze imperative idonee a giustificare le restrizioni

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L’emersione dell’interesse alla tutela dell’ambiente

alla libera circolazione delle merci (nel caso di specie si trattava di un liquore francese di cui la Germania aveva vietato la circolazione) tra cui, in particolare, «la protezione della salute pubblica», poi interpretata in maniera estensiva in protezione dell’ambiente e dell’ecosistema. Altra importante pronuncia del giudice europeo è la sentenza c.d. «oli usati» (7 febbraio 1985, causa 240/83), dove la Corte di Giustizia ha precisato che la direttiva sugli oli usati: «Pur ammettendo che un sistema di autorizzazioni limita in linea di principio l’esercizio della libertà del commercio (...) nulla permette di ritenere che la direttiva abbia superato questi limiti. Essa si inserisce nel quadro della tutela dell’ambiente, che costituisce uno degli scopi essenziali della comunità. In particolare, dal terzo e dal settimo punto della motivazione emerge che ogni normativa in materia di eliminazione degli oli usati deve avere per scopo la tutela dell’ambiente contro gli effetti nocivi dello scarico, del deposito o del trattamento dei suddetti prodotti. Dal complesso delle sue disposizioni risulta inoltre che la direttiva si preoccupa di garantire l’osservanza dei principi di proporzionalità e di non discriminazione nei casi in cui talune restrizioni si rendessero necessarie» (22). Quanto alla giurisprudenza nazionale, singolare è che l’interesse ambientale sia stato affermato per la prima volta dalla Corte dei Conti, in tema di risarcimento dei danni causati all’ambiente e alle risorse naturali, con le sentenze n. 39/1973 (poi confermata dalle Sezioni riunite della Corte medesima, n. 108/1975) relativa al Parco nazionale d’Abruzzo e n. 61/1979, in merito ai c.d. fanghi rossi di Scarlino. In queste occasioni, il giudice contabile ebbe modo di affermare la propria giurisdizione in quanto lo Stato è titolare di un interesse diretto alla salvaguardia del-

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l’ambiente e la sua compromissione costituisce danno erariale ai sensi dell’art. 52 del Testo unico sulla Corte dei Conti. Ciò in quanto «la nozione di danno erariale non comprendeva esclusivamente ipotesi finanziarie, quale l’alterazione e turbativa dei bilanci, ovvero patrimoniali, quali la distruzione, sottrazione e danneggiamento di beni demaniali, o il recupero di somme pagate per fatti lesivi commessi dai pubblici dipendenti, ma altresì la lesione di interessi più generali, di natura eminentemente pubblica (interessando tutta la categoria dei cittadini), purché suscettibili di valutazione economica». Su tale via prosegue la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5172/1979, con la quale essa ha individuato il diritto a un ambiente salubre desumendolo dall’art. 32 della Costituzione (23). In particolare, è il collegamento tra l’art. 32 e l’art. 2 della Costituzione ad attribuire al diritto alla salute un contenuto ulteriore, che la Corte precisa nei termini di «di socialità e di sicurezza». Il diritto alla salute, infatti, si presenta non solo come mero diritto alla vita e all’incolumità fisica, ma come vero e proprio diritto all’ambiente salubre che neppure la pubblica amministrazione può sacrificare o comprimere (24). Importante, ai nostri fini, è la precisazione per la quale «la protezione della salute assiste l’uomo non (solo) in quanto considerato in una sua astratta quanto improbabile separatezza, ma in quanto partecipe delle varie comunità — familiare, abitativa, di lavoro, di studio e altre — nelle quali si svolge la sua personalità» (25). Dunque, «la protezione si estende cioè alla vita associata dell’uomo nei luoghi delle varie aggregazioni nelle quali questa si articola e, in ragione della sua effettività, alla preservazione, in quei luoghi, delle condizioni indispensabili o anche soltanto propizie alla sua salute: essa assume in tal modo un contenuto di socialità e di sicurezza, per cui il diritto alla salute, piuttosto (o oltre) che come mero diritto alla vita e all’incolumità fisica, si configura come diritto all’ambiente salubre». Questo primo importante arresto giurisprudenziale si fa carico di un importante profilo problematico relativo al diritto dell’ambiente e alle tecniche di tutela di tale interesse. L’obiezione che, infatti, a una ampia tutela del bene ambiente si pone è che, in tal modo, si verrebbero a configurare posizioni soggettive tutelabili in riferimento a un

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bene che sembrerebbe protetto solo oggettivamente (in quanto valore costituzionale), vale a dire un bene rispetto al quale non sarebbe configurabile una posizione propria, differenziata ed esclusiva di un soggetto, ma un mero interesse diffuso (26), cioè riferibile allo stesso modo e indifferentemente a numero indefinito di soggetti. Relativamente a questo profilo problematico, il giudice civile ha obiettato che non può essere negata tutela a chiunque sia (variamente) interessato in relazione a un bene per la sola ragione che questo non appare attribuito né attribuibile a tale soggetto in modo esclusivo. La prospettiva secondo la quale vi è protezione giuridica soltanto in caso di collegamento esclusivo fra un bene e un solo individuo o un gruppo personificato (27) è condizionata da un’impostazione di tipo patrimoniale della giuridicità e rischia di mortificare il diritto costituzionale all’effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Costituzione). Di recente, la Corte costituzionale, con sentenza n. 126/2016, ha bene sintetizzato quanto sin qui esposto. Al punto 5.1. del considerato in diritto, essa afferma che, sebbene il testo originario della Costituzione non contenesse l’espressione ambiente, né disposizioni finalizzate a proteggere l’ecosistema, la Corte con numerose sentenze aveva già riconosciuto la «preminente rilevanza accordata nella Costituzione alla salvaguardia della salute dell’uomo (art. 32) e alla protezione dell’ambiente in cui questi vive (art. 9, secondo comma)», quali valori costituzionali primari. Questo sulla scia di quanto affermato da una giurisprudenza consolidata, quale per esempio quella proposta da Corte costituzionale 641/1987, che ha affermato in maniera decisa come l’ambiente costituisca «un bene immateriale unitario, sebbene a varie componenti, ciascuna delle quali può anche costituire, isolatamente e separatamente, oggetto di cura e di tutela; ma tutte, nell’insieme, sono riconducibili a unità. Il fatto che l’ambiente possa essere fruibile in varie forme e differenti modi, così come possa essere oggetto di varie norme che assicurano la tutela dei vari profili in cui si estrinseca, non fa venir meno e non intacca la sua natura e la sua sostanza di bene unitario che l’ordinamento prende in considerazione». La Corte precisa che il riconoscimento dell’esistenza di un «bene immateriale unitario» non è fine a sé stesso

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ma si tratta di una prospettiva funzionale all’affermazione della esigenza, sempre più avvertita, della uniformità della tutela che solo lo Stato può garantire, senza peraltro escludere che anche altre istituzioni possano farsi carico degli interessi ambientali delle comunità di riferimento. L’ambiente viene, in definitiva, qualificato come «bene della vita materiale e complesso, oggetto di un interesse pubblico di valore costituzionale primario e assoluto» (così Corte costituzionale 378/2007) (28). Il ruolo del legislatore nazionale: l’istituzione dell’organizzazione ministeriale preposta alla tutela dell’ambiente e il c.d. «Codice dell’ambiente» Come abbiamo visto, gradualmente, risvegliandosi la coscienza sociale ed evolvendosi il dibattito giuridico, si è fatta strada la nozione di ambiente come bene giuridico e materia autonoma, necessitante di una visione d’insieme e di una tutela sistemica. Compreso il punto fondamentale, ovvero che il «problema ambientale» più che legislativo è di tipo amministrativo (29), si è provveduto all’istituzione delle prime organizzazioni volte alla sua cura e alla predisposizione dei primi strumenti amministrativi volti a tutelarlo. Con legge 8 luglio 1986 n. 349 viene istituito per la prima volta in Italia il ministero dell’Ambiente (dal 2006 denominato come: ministero dell’Ambiente, della tutela del territorio e del mare) (30), senza affidare, tuttavia, a esso compiti inediti, bensì trasferendo alla nuova organizzazione competenze prima spettanti al ministero dei Beni culturali e ambientali e al Ministero dei Lavori pubblici (riguardanti, in particolare, il contrasto all’inquinamento dei corpi idrici, ai rifiuti e alla normazione dei parchi nazionali) (31). I fini generali della nuova organizzazione ministeriale sono stabiliti all’art. 1, commi 2 e 3 della predetta legge. Il primo stabilisce che «è compito del ministero assicurare, in un quadro organico, la promozione, la conservazione e il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività e alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall’inquinamento»; mentre il comma 3 precisa che «il ministero compie e promuove studi, indagini e rilevamenti interessanti l’ambiente; adotta, con i mezzi dell’informazione, le ini-

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L’emersione dell’interesse alla tutela dell’ambiente «Con legge 8 luglio 1986 n. 349 viene istituito per la prima volta in Italia il ministero dell’Ambiente (…) senza affidare, tuttavia, a esso compiti inediti, bensì trasferendo alla nuova organizzazione competenze prima spettanti al ministero dei Beni culturali e ambientali e al Ministero dei Lavori pubblici (riguardanti, in particolare, il contrasto all’inquinamento dei corpi idrici, ai rifiuti e alla normazione dei parchi nazionali)» (Fonte immagine: guardiacostiera.gov.it). Accanto: il logo del ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare (minambiente.it).

ziative idonee a sensibilizzare l’opinione pubblica alle esigenze e ai problemi dell’ambiente, anche attraverso la scuola, di concerto con il ministro della Pubblica istruzione». È nato in tal modo un centro di interessi unitario che ha reso possibile l’interazione tra le singole matrici ambientali, nel raggiungimento di uno scopo comune. Ed è proprio questo aspetto, cioè quello relativo alla possibilità di interrelazione, ad aver consentito a un cambio di visione: l’ambiente da sintesi a sistema: organizzazione, funzioni e situazioni giuridiche soggettive interagiscono tra loro costituendo nozioni unitarie (32). Solo nel 2006, tuttavia, viene emanato il D.LGS. 3 aprile 2006 n. 152, dal titolo «Norme in materia ambientale», con l’obiettivo di recepire nell’ordinamento interno varie direttive europee e tentare di metterle a sistema (33). Non a caso, il D.LGS. 152 viene chiamato dagli operatori del settore «Codice dell’ambiente» oppure «Testo unico ambientale»: va precisato, tuttavia, che l’intento del legislatore non è riuscito e tale corpus normativo non costituisce né l’uno, né l’altro. Infatti, il D.LGS. 152 non costituisce un Codice (come quello civile o penale) in quanto non tratta in maniera sistematica e organica la materia, con una parte generale e una parte speciale, discendendo dai principi alle discipline di settore, in maniera coerente (34). In secondo luogo, esso non costituisce neppure un testo unico, la cui funzione è quella di razionalizzare e sostituire le norme previste per un intero settore del diritto, poiché non contiene la disciplina completa di tutti i settori ambientali (per esempio, sono esclusi l’inquinamento acustico o l’autorizzazione unica ambientale). Inoltre, è da render conto del fatto che continue modifiche normative (35) intervengono sui settori più sensibili della disciplina ambientale, come per esempio quello delle autorizzazioni ambientali e, in particolare, sulla Valutazione di impatto ambientale (VIA) e sulla Valutazione ambientale strategica (VAS), tentando di accorciare i tempi per il loro rilascio e provvedendo a una semplificazione procedimentale nell’ottica del-

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l’imperativo che caratterizza la legislazione amministrativa da qualche decennio: la sburocratizzazione. Tuttavia, tali operazioni, volte a dequalificare la centralità nella ponderazione dell’interesse ambientale, si pongono in contrasto con la rilevanza che sta assumendo l’obiettivo della transizione ecologica.

I caratteri dell’interesse ambientale e le differenze rispetto a nozioni contigue Per inquadrare giuridicamente la nozione di «ambiente», si è proposta, in primo luogo, una summa divisio tra ambiente in senso in senso stretto e ambiente in senso lato: quest’ultimo costituisce l’intera sfera terracquea (e dunque l’intero habitat umano), mentre il secondo riguarda tutti quei profili selezionati dall’ordinamento giuridico (dunque ritenuti meritevoli di tutela) e che sono oggetto di specifiche competenze amministrative e situazioni giuridiche soggettive (36). In secondo luogo, la dottrina ha provveduto a individuare le specificità dell’interesse ambientale. Innanzitutto, si tratta di interesse che si interseca con altri interessi già tutelati (come vedremo, per esempio, il governo del territorio) e si inserisce nella attività di cura dei medesimi, dando luogo a competenze trasversali rispetto a quelle previste per i singoli settori. Si tratta, poi, di interesse disallineato rispetto all’organizzazione territoriale di riferimento che dovrebbe provvedervi: si pensi agli effetti di una attività inquinante dell’aria o dell’acqua che si estendono oltre i confini nazionali (37). Aspetto importante è quello per il quale è difficile individuare in maniera certa i titolari dell’interesse che necessita di protezione. Il meccanismo fondato sulle situazioni giuridiche soggettive tradizionali (diritto, obbligo, potestà, dovere) non sembra essere adeguato o, almeno, l’unico: è la problematica relativa agli interessi diffusi. A questo particolare carattere si collega la considerazione per cui la dinamicità dei fenomeni ambientali mette in crisi la tradizionale staticità dei sistemi giuridici, rendendo evidente che il diritto è in continua evoluzione, non può prescindere dai fenomeni sociali e deve costituire un punto di equilibrio nella tensione tra staticità e dinamicità.

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Infine, viene sottolineata l’importanza del fattore tempo che, per la tutela degli interessi ambientali, si pone come elemento determinante (si pensi all’inquinamento del territorio, alle bonifiche e al danno ambientale). La vocazione trasversale della nozione di ambiente emerge, in particolare, se si pensa alle affinità, strutturali e funzionali, tra la nozione di ambiente e alcune nozioni contigue, quali quelle di paesaggio o di urbanistica, (quest’ultima, oggi ricondotta alla materia «governo del territorio»). Il rapporto tra ambiente e paesaggio, come può intuirsi, comporta alcune difficoltà di delimitazione e di sovrapposizione delle materie, giacché su un territorio possono aversi più tipologie di interventi, previsti da strumenti normativi differenti, con finalità talvolta confliggenti (38). Queste difficoltà sono dovute in primo luogo a ragioni costituzionali, poiché la stessa nozione di ambiente nasce, per via pretoria, come visto, proprio dall’art. 9, che tutela espressamente solo il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione. Per gli approdi attuali, costituisce paesaggio tutto ciò che concerne gli aspetti identitari di un territorio (39), come risultanti dall’azione sinergica di fattori naturali e umani (40): la nozione, dunque, in parte si sovrappone e in parte è più ampia rispetto agli aspetti ecosistemici e naturali. Quanto al rapporto con l’urbanistica, esso risente della stessa difficoltà di individuare una chiara distinzione tra ambiente, urbanistica e la nuova nozione di governo del territorio, recepita, a partire dalla riforma costituzionale del 2001, come materia di competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni. La questione, in questo caso, è più complessa rispetto a quella relativa al paesaggio poiché si ritiene che la scelta del legislatore della riforma sia stata proprio quella di unire gli aspetti urbanistici a quelli ambientali, secondo una visione meno frammentaria. In quest’ottica, allora, il discrimine tra le due materie si è individuato nel fatto che il governo del territorio è costituito da un insieme di regole procedurali, nel senso che si provvede alla tutela delle risorse naturali secondo le regole dell’urbanistica, mentre l’ambiente costituisce, più che altro, un fine, contando in via prioritaria il risultato di preservazione dell’ambiente (41).

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Il diritto dell’ambiente Il diritto dell’ambiente costituisce dunque oggi una vera e propria materia, la cui elaborazione è dovuta alla giurisprudenza, al dato normativo (europeo e dunque interno) che ha seguito le sue indicazioni, alla successiva istituzione di organizzazioni amministrative con specifiche competenze (soprattutto tecniche), alla individuazione di situazioni giuridiche soggettive e, infine, alla esistenza di strumenti amministrativi, civili e penali volti a tutelarlo. Sulla base di quanto sinora analizzato, la dottrina ha messo in luce i caratteri della disciplina giuridica dell’ambiente (42). Il diritto dell’ambiente è definito, in primo luogo, «il diritto della modernità», perché disciplina fenomeni di più recente acquisizione (nella sfera sociale) che vanno di pari passo con lo sviluppo economico (l’esempio più conosciuto è consacrato dalla vicenda Ilva, nella necessità di contemperamento tra «esigenze» di sviluppo industriale e di tutela dell’ambiente) e, relativamente ai quali, si pone come fondamentale l’utilizzo della tecnologia. Per questo il diritto dell’ambiente è anche un «diritto innovativo», volto a creare nuovi istituti giuridici che poi si estendono all’ordinamento amministrativo generale, come il diritto di accesso alle informazioni ambientali (che già dal 1995 prevede un accesso libero e universale senza necessità di dimostrare un interesse concreto e attuale da parte del richiedente). Ma si pensi, più in generale, all’importanza dei prin-

«Il diritto dell’ambiente è definito, in primo luogo, “il diritto della modernità”, perché disciplina fenomeni di più recente acquisizione (nella sfera sociale) che vanno di pari passo con lo sviluppo economico (l’esempio più conosciuto è consacrato dalla vicenda Ilva (qui nell’immagine), nella necessità di contemperamento tra “esigenze” di sviluppo industriale e di tutela dell’ambiente) e, relativamente ai quali, si pone come fondamentale l’utilizzo della tecnologia» (Fonte immagini: ilsole24ore.com).

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cipi fondamentali come canoni di legittimità dei pubblici poteri, come il principio di sussidiarietà e, ancora di più, il principio/obiettivo dello sviluppo sostenibile ormai esteso (almeno teoricamente) a ogni tipo di pianificazione e programmazione dell’attività amministrativa Il diritto dell’ambiente è poi certamente il «diritto della complessità» perché l’interesse ambientale costituisce materia trasversale, che coinvolge ogni altra materia e ogni altro interesse pubblico in gioco e richiede dunque idonei congegni amministrativi per il suo contemperamento con gli altri interessi in gioco. È un diritto nato come «reattivo», basato su una logica emergenziale, per contrastare gli effetti nocivi dell’attività umana, e si è trasformato, oggi, in un «diritto progettuale o proattivo», finalizzato a prevenire e indirizzare l’attività umana verso obiettivi di sviluppo sostenibile. Infine, esso è un «diritto eteronomo», influenzato in maniera diretta e indiretta, come abbiamo visto, dal diritto dell’Unione europea e dal diritto internazionale.

Prospettive evolutive: transizione ecologica, economia circolare e clima «L’Italia è caratterizzata da un ecosistema naturale, agricolo e biologico unico. Un territorio di valore inestimabile che rappresenta un elemento centrale dell’identità, della cultura e della storia nazionale, motore dello sviluppo economico presente e futuro». In questi termini si esprime il nuovo Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) (43) che prevede, all’interno della seconda missione, dedicata alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica, il raggiungimento dei seguenti obiettivi (a loro volta suddivisi in sottobiettivi, riforme e investimenti): 1) economia circolare e agricoltura sostenibile; 2) energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile; 3) efficienza energetica e riqualificazione degli edifici; 4) tutela del territorio e della risorsa idrica. Come è possibile constatare, la tutela dell’ambiente è entrata prepotentemente nel discorso politico attuale e, in tale contesto, la transizione ecologica, oggetto peraltro di importanti provvedimenti europei, quali il c.d. Green New Deal e il Quadro 2030 per il clima e l’energia, assume una importanza basilare. Due sembrano essere, in particolare, le prospettive evolutive più interessanti della regolazione giuridica dell’ambiente. La prima è l’incentivazione

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«Il nuovo Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) prevede, all’interno della seconda missione, dedicata alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica, il raggiungimento dei seguenti obiettivi (...): 1) economia circolare e agricoltura sostenibile; 2) energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile; 3) efficienza energetica e riqualificazione degli edifici; 4) tutela del territorio e della risorsa idrica» (Fonte immagine: twitter.com/wwf).

dell’economia circolare (44), concetto elaborato e accolto da alcuni provvedimenti dell’Unione europea (45), e riferibile prevalentemente al settore dei rifiuti (ma non solo) (46), che propone un nuovo modello di sviluppo economico basato non più sulla economia c.d. lineare, volta cioè all’utilizzo e all’abbandono dei prodotti, ma all’obiettivo del costante riutilizzo e trasformazione dei beni (dunque, alla rigenerazione), tramite varie tecniche, favorite dall’innovazione tecnologica (47). Tutto questo si lega a un nuovo paradigma di comprensione delle relazioni tra ambiente e sviluppo: non più uno sviluppo sostenibile ma un «ambiente per lo sviluppo». La seconda riguarda la necessaria riduzione delle emissioni climalteranti, fino al raggiungimento dell’obiettivo della «neutralità» climatica, così come richiesto dal Quadro per il clima e l’energia 2030. La questione del cambiamento climatico sta avverando l’intuizione di un illustre studioso del diritto amministrativo, secondo cui studiare il diritto dell’ambiente «è semplicemente affascinante se si voglia studiare il diritto non nella sua staticità ma in quella dinamicità che ne costituisce, in effetti, la essenza e il valore» (48). Infatti, il contenzioso climatico, promosso da organizzazioni non governative e da giovani attivisti, che sta proliferando, da ultimo, anche in Europa (49), mette in crisi tradizionali categorie giuridiche come la separazione dei poteri dello Stato (in quanto il giudice provvede a condannare il legislatore) e i tradizionali criteri per promuovere le azioni giurisdizionali da parte di organizzazioni portatrici di interessi diffusi (sempre, molto spesso, limitativi). Questi due aspetti, senza escluderne altri, mostrano la caratteristica principale del diritto dell’ambiente: quella di costituire un importante campo di prova del diritto pubblico e di anticipare, come spesso è avvenuto, soluzioni poi adottate dall’ordinamento giuridico generale. 8 15


L’emersione dell’interesse alla tutela dell’ambiente NOTE (1) Così Papa Francesco, nell’Enciclica Laudato sì del 2015, la prima enciclica di un pontefice sul problema della salvaguardia dell’ambiente. (2) Qualche notazione di carattere metodologico. Il diritto, a mio avviso, non è una scienza ma una disciplina, caratterizzata da uno strumentario consolidato (norma, disposizione, situazione soggettiva, ecc.) che viene applicato secondo le regole della logica (dunque le regole generali del discorso) che, inevitabilmente, risentono della impostazione di pensiero adottata in premessa da ogni autore. Con particolare riferimento al diritto amministrativo, v. G. Rossi, Metodo giuridico e diritto amministrativo. Alla ricerca dei concetti giuridici elementari, in Dir. Pubbl., 2004, p.1-18. (3) Individua G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, Torino 2017, che «lo stesso compito di dipanare la matassa, di individuare alcune linearità, è fonte di interesse ancora maggiore, perché offre spunti di riflessione a chi voglia studiare l’evoluzione degli ordinamenti e cioè degli assetti giuridici delle società». Il medesimo autore riporta le parole di F. Benvenuti che, in Studi dedicati ai problemi dell’ambiente. Presentazione, in Arch. Giur., 1982, p.255 afferma «il tema è semplicemente affascinante se si voglia studiare il diritto non nella sua staticità ma in quella dinamicità che ne costituisce, in effetti, la essenza e il valore». (4) Sul punto, G. Rossi, Potere amministrativo e interessi a protezione necessaria. Crisi e nuove prospettive del diritto amministrativo, Torino 2011. (5) Cfr. S. Cassese, s.v. Giannini, Massimo Severo, in Dizionario Biografico dei Giuristi Italiani (XII-XX secolo), vol. I, Bologna 2013, pp.984-987. (6) In Riv. Trim. Dir. Pubbl., 1973, p.15 ss. E nello stesso senso di Giannini si dirigeva gran parte della dottrina, anche europea, del tempo: si pensi a R. Drago, Rapport de synthèse, in La protection du voisinage et de l’environnement. Travaux de l’association H. Capitant, Paris 1979, p.457, che ritenne «assurdo» considerare il diritto dell’ambiente una nuova disciplina giuridica. (7) Ma a ciò spesso non hanno fatto seguito misure concrete ed effettive, come dimostra la vicenda del cambiamento climatico, che esamineremo brevemente più avanti. (8) S. Cassese, Il diritto globale, Torino 2008, p.5. (9) S. Marchisio, Il diritto internazionale dell’ambiente, in G. Cordini, P. Fois, S. Marchisio, Diritto ambientale. Profili internazionali, europei e comparati, Torino 2017, pp.6 e 12. (10) Infatti, già il punto 1 della Dichiarazione sull’ambiente umano prevedeva che «l’uomo ha un diritto fondamentale alla liberta, all’eguaglianza e a condizioni di vita soddisfacenti, in un ambiente che gli consenta di vivere nella dignità e nel benessere, ed e altamente responsabile della protezione e del miglioramento dell’ambiente davanti alle generazioni future». Successivamente, il Rapporto Brundtland ha stabilito che lo sviluppo sostenibile consiste in quello «sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri». Come messo in luce da L. Krämer, Environmental Law, p.9 ss., si tratta di una nozione largamente indeterminata, il cui contenuto deriva dalla applicazione della nozione stessa. (11) Il quale implica che, di fronte a una non conoscenza dei possibili effetti di una azione con effetti ambientali oppure a un mero sospetto di effetti potenzialmente nocivi, occorra porre in essere le misure adeguate e, in definitiva, a parere di chi scrive, molto semplicemente, astenersi dal compiere qualsiasi azione. Il Principio 15 della Dichiarazione di Rio recita: «Al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati applicheranno largamente, secondo le loro capacita, il Principio di precauzione. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di certezza scientifica assoluta non deve servire da pretesto per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale». (12) Sul punto, S. Marchisio, Il diritto internazionale dell’ambiente, cit., p.24 ss. (13) M. Renna, I principi in materia di tutela dell’ambiente, in Riv. Quad. Dir. Amb., 2015, p.62 ss., nota che, proprio in considerazione del fatto che la costruzione europea fosse di tipo economico, e tendente dunque alla creazione di un mercato comune (erano gli anni della ricostruzione post-bellica) si aveva solo un articolo 36 TCEE, il quale recitava: «Le disposizioni degli articoli da 30 a 34 [cioè quelli relativi alla abolizione delle restrizioni quantitative tra gli Stati membri] lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, ne una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri». (14) Nonostante i vari DDL, susseguitisi nel corso del tempo, che ne propongono l’introduzione all’art. 9 e v., per esempio, quello proposto nella XVIII legislatura: «All’articolo 9 della Costituzione e aggiunto, in fine, il seguente comma: La Repubblica tutela l’ambiente e l’ecosistema, protegge le biodiversità e gli animali, promuove lo sviluppo sostenibile, anche nell’interesse delle future generazioni». (15) P. Dell’Anno, Diritto dell’ambiente, cit., p.2, nota come il principio di sussidiarietà trovi efficace attuazione nella distribuzione delle funzioni normative, nascendo proprio nel contesto della tutela europea dell’ambiente e poi essendo promosso dal Trattato di Maastricht al rango di criterio generale per la regolazione delle relazioni tra Unione e Stati membri nell’ambito di ogni tipo di politica pubblica. In Italia, com’è noto, esso è stato introdotto all’articolo 118 della Costituzione dalla L. costituzionale 3/2001. (16) Per ogni ulteriore approfondimento, L. Krämer, Environmental Law, p.17. (17) Cfr. P. Fois, Il diritto ambientale dell’Unione Europea, in G. Cordini, P. Fois, S. Marchisio, Diritto ambientale, cit., p.65 ss. Si veda l’art. 130R, par. 1 dell’Atto unico, alla stregua del quale «l’azione della comunità in materia ambientale ha l’obiettivo: di salvaguardare, proteggere e migliorare la qualità dell’ambiente; di contribuire alla protezione della salute umana; di garantire una utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali», nonché il par. 2 che elenca i principi rilevanti: «L’azione della comunità in materia ambientale è fondata sui principi dell’azione preventiva e della correzione anzitutto alla fonte dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”. Le esigenze connesse alla salvaguardia dell’ambiente costituiscono una componente delle altre politiche della comunità». (18) Come individua F. de Leonardis, Le trasformazioni della legalità nel diritto ambientale, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p.131: «il diritto ambientale si atteggia fondamentalmente (...) come diritto di formazione giurisprudenziale: in esso il diritto scritto tende generalmente a venire dopo, quasi come cristallizzazione di ciò che la giurisprudenza è andata elaborando». (19) G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, p.32 chiarisce, in maniera critica, che questo principio contiene un margine di equivoco in quanto, prevedendo il pagamento di una sanzione a carico di chi inquina, potrebbe essere inteso come il diritto di inquinare pagando. (20) Per l’approfondimento di tali principi, L. Krämer, Environmental Law, cit., p.20 ss. (21) Per ogni ulteriore approfondimento, F. de Leonardis, Le trasformazioni della legalità nel diritto ambientale, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p.131 ss. (22) La successiva sentenza Imballaggi di birra e bibite, 20 settembre 1988, C-302/86, ricorda che «in proposito si deve ricordare che, nella suddetta sentenza 7 febbraio 1985, la Corte ha precisato che i provvedimenti adottati in materia ambientale non devono “eccedere le restrizioni inevitabili giustificate dal perseguimento dello scopo d’interesse generale costituito dalla tutela dell’ambiente”». Con la sentenza PreussenElektra, 13 marzo 2001, C-379/98, la Corte di Giustizia ha precisato che non costituisce aiuto di Stato la normativa interna di uno Stato membro che obblighi le imprese che forniscono energia elettrica ad acquistare l’energia prodotta nella rispettiva zona di fornitura da fonti rinnovabili a prezzi superiori al loro valore economico reale. Ciò in quanto «è per motivi di protezione dell’ambiente che essa, agli articoli 8, n. 3, e 11, n. 3, autorizza gli Stati membri a dare priorità alla produzione di energia elettrica da fonti di energia rinnovabili». (23) Il quale «configura il relativo diritto [alla salute] come diritto fondamentale dell’individuo e lo protegge in via primaria, incondizionata e assoluta come modo d’essere della persona umana». (24) La sentenza precisa poi che il diritto alla salute, inteso in questo suo duplice aspetto, è tutelabile giurisdizionalmente anche davanti al giudice ordinario e anche contro la pubblica amministrazione la cui attività lesiva deve necessariamente considerarsi priva di ogni base legale e dunque in difetto di ogni potere discrezionale. Ciò, infatti, si lega all’aspetto, esplicitamente affrontato dalla sentenza, relativo al tipo di protezione data all’individuato interesse, precisando che «è evidente che si tratta di tecnica giuridica di tipo garantistico, che è poi quella propria dei “diritti fondamentali” o “inviolabili” della persona umana. Si tratta cioè, di tutela piena che si concreta nella attribuzione di poteri di libera fruizione di utilità e di libero svolgimento di attività, di esclusione degli ostacoli che all’una o all’altro si frappongano da parte di chicchessia. Ed è in questa difesa a tutta oltranza contro ogni iniziativa ostile, da chiunque provenga — altri singoli o persino l’autorità pubblica — non già in una considerazione atomistica, asociale, separata dall’uomo che risiede il significato del richiamo al “diritto fondamentale dell’individuo”. In una parola: la strumentazione giuridica è quella del diritto soggettivo, anzi del diritto assoluto». (25) Accentuandosi, in questo modo, il carattere di inerenza alla persona e di socialità del bene protetto, «si rende manifesto che la protezione non si limita all’incolumità dell’uomo, supposto immobile nell’isolamento della sua abitazione o solitario nei suoi occasionali spostamenti [...] ma è diretta ad assicurare all’uomo la sua effettiva partecipazione mediante presenza e frequentazione fisica, alle dette comunità, senza che ciò costituisca pericolo per la sua salute». (26) Sul tema degli interessi diffusi, collegati peraltro all’emergere della problematica dei beni comuni, si intersecano contributi della dottrina civilistica e pubblicistica e v., B. Caravita di Toritto, Interessi diffusi e collettivi, in Dir. soc., 1982, 187; R. Ferrara, Interessi collettivi e diffusi, in Dig. Disc. Pubbl., VIII, Torino 1993; G. Alpa, Interessi diffusi, in Dig. Disc. Civ., IX, Torino 1993. Come visto, la problematica è legata al profilo della tutela giurisdizionale, su cui si è confrontata ampia e autorevole

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L’emersione dell’interesse alla tutela dell’ambiente dottrina, e v. S. Cassese, Gli interessi diffusi e la loro tutela, in AA.VV., La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi e diffusi, Torino 2003, p.569 ss.; F.G. Scoca, Tutela dell’ambiente: la difforme utilizzazione della categoria dell’interesse diffuso da parte dei giudici amministrativo, civile e contabile, in Dir. soc., 1985, p. 645 ss.; G. Berti, Il giudizio amministrativo e l’interesse diffuso, in Jus, 1982, p.68 ss.; R. Villata, Riflessioni in tema di partecipazione al procedimento e legittimazione processuale, in Dir. proc. amm., 1992, p.171 ss. (27) Che è la condizione per la tutela degli interessi diffusi, tra cui gli interessi ambientali, tutelati tradizionalmente con la tecnica dell’interesse legittimo. Prosegue la sentenza: «Il che è tanto più grave in quanto il diniego di tale azionabilità si traduce in mancanza di tutela di soggetti reali [cioè dei veri destinatari della protezione costituzionale anche se considerati partecipi di collettività] in ordine a beni che sono di particolare rilevanza perché attengono alla persona umana. Tale sarebbe la conseguenza cui si perverrebbe se si ritenesse che un’esigenza non è protetta in riferimento a un solo uomo perché è o non può essere protetta allo stesso tempo e allo stesso modo in riferimento a una pluralità di altri uomini (anche indefinita nel numero o indeterminata nella composizione) con omogeneità di contenuto e reciproca implicanza, come appunto avviene per i modi con i quali la persona umana si realizza nelle formazioni sociali di cui è partecipe. Quel che può richiedersi invece è soltanto che la tutela sia postulata in ragione di tale partecipazione e dell’effettiva configurabilità della formazione sociale di appartenenza», precisando altresì che la tutela degli interessi diffusi possa avvenire anche con altri criteri di collegamento. (28) Ne deriva la qualificazione di un interesse unitario, suscettibile di riferirsi a uno o più soggetti determinati e, dunque, integrante la qualifica di vero e proprio diritto soggettivo, come tale tutelato dall’ordinamento, oggi anche esplicitamente, con il suo inserimento all’interno dell’art. 117 della Costituzione, in seguito alla riforma del Titolo V: la lett. s) di tale articolo attribuisce infatti allo Stato la competenza esclusiva in ordine alla tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. (29) Il nesso funzionale tra l’organizzazione amministrativa e il soddisfacimento degli interessi affidati alla sfera pubblica è sottolineato da M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano 1966, p.114 ss. e G. Guarino, L’organizzazione pubblica, Milano 1977, p.18 ss. (30) Oggi, in conformità al Piano nazionale di ripresa e resilienza proposto dall’Italia (PNRR), la nomenclatura è quella di ministero della Transizione ecologica (MiTE). Le modifiche nei nomi delle organizzazioni amministrative non comportano, quasi mai, una modifica sostanziale delle attività svolte e degli interessi sottoposti alla loro cura (nel nostro caso sono state affidate al MiTE alcune competenze in materia energetica precedentemente affidate al ministero dello Sviluppo economico). Si tratta, molto spesso, di cambiamenti dovuti a spinte politiche momentanee e contingenti, come è avvenuto anche per il caso del ministero dei Trasporti, oggi denominato ministero della Mobilità sostenibile (MiMS). (31) «Si sviluppa in questa fase una disciplina non settoriale, ma autonoma della tutela dell’ambiente, sia sul piano internazionale sia nell’ordinamento comunitario sia in Italia, con interventi normativi ispirati a una concezione unitaria del problema», nota S. Grassi, voce Tutela dell’ambiente (dir. amm.), in Enc. dir., Milano 2007, n.2, il quale sottolinea pure come la legge istitutiva del ministero dell’Ambiente «pur costituendo un passaggio essenziale verso la definizione dell’ambiente come oggetto di una disciplina autonoma, indica le competenze ministeriali in termini multiformi, troppo articolati per giungere a un risultato definitorio, lasciando aperta la discussione se al ministero e agli organi tecnici centrali venissero affidate attività di mero coordinamento delle competenze, connesse, di altri apparati (sanità, urbanistica, agricoltura e foreste, caccia e pesca, polizia locale, ecc.), ovvero se essi fossero in grado di svolgere funzioni in un settore dotato di piena autonomia e con caratteristiche unitarie sue proprie». Questo perché l’art. 2 della legge 349 faceva riferimento a competenze già esercitate, appunto, da altre organizzazioni amministrative. (32) Si è così venuta a formare una prima nozione giuridica di ambiente, più specifica rispetto a quella in uso nel linguaggio comune e individuabile in chiave difensiva nella lotta all’inquinamento e nella conservazione di zone determinate, cfr. G. Rossi, La materializzazione dell’interesse all’ambiente, in Id. (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p.14. (33) L’art. 1 del Codice ne prevede l’ambito di applicazione: «Il presente decreto legislativo disciplina, in attuazione della legge 15 dicembre 2004, n. 308, le materie seguenti: a) nella parte seconda, le procedure per la Valutazione ambientale strategica (VAS), per la Valutazione d’impatto ambientale (VIA) e per l’Autorizzazione ambientale integrata (IPPC); b) nella parte terza, la difesa del suolo e la lotta alla desertificazione, la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche; c) nella parte quarta, la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti contaminati; d) nella parte quinta, la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera; e) nella parte sesta, la tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente». (34) È paradossale, infatti, come soltanto i successivi decreti correttivi 4/2008 e 128/2010 abbiano introdotto nel «Codice» dell’ambiente i principi generali, agli articoli 3 e ss. Nota, infatti, P. Dell’Anno, Diritto dell’ambiente, cit., p.3 che se, da un lato, i principi espressi nella prima parte del Codice vorrebbero costituire il punto di riferimento per tutti i settori ambientali, dall’altro, tale obiettivo non è stato pienamente conseguito, dando così l’impressione che il legislatore abbia esaurito la sua capacità ricostruttiva proprio nella redazione di tali principi e senza assicurarne omogeneità e coerenza con la disciplina settoriale. (35) Per esempio, di recente, il D.L. 16 luglio 2020, n. 76, recante «misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali» (c.d. Decreto semplificazioni), convertito dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, il quale modifiche normative che, ispirate a una logica di semplificazione (l’art. 50 è rubricato non a caso «razionalizzazione delle procedure di valutazione dell’impatto ambientale») incidono, prevalentemente, sul quando delle procedure (riduzione dei termini) e sul quomodo (semplificazione documentale, trasparenza e maggiore coinvolgimento del pubblico), intervenendo sulle disposizioni contenute nei Titoli I e III della Parte seconda del D.LGS. n. 152/2006. (36) G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p.26 ss. e 5 ss. (37) Nota G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p.6, che i livelli territoriali nei quali si producono le cause o non hanno la forza di controllare i fenomeni o hanno interesse a che siano altri a sopportare gli effetti negativi delle attività nocive e dei relativi oneri: si tratta di un effetto della c.d. sindrome Nimby (Not in my back yard: non nel mio giardino), alla stregua della quale le scelte circa la localizzazione delle attività con ripercussioni ambientali vengono decisamente opposte dalle comunità locali nelle quale queste attività dovrebbero essere attivate, senza però che tali comunità si oppongano alla loro installazione altrove. (38) Individua, non a caso, A. Predieri, voce Paesaggio, in Enc. Dir., Milano 1983, n. 3 che: «La nozione di paesaggio accolta ha punti di coincidenza strutturali, a diverse profondità, con quella di ambiente, o almeno con alcune nozioni di esso e l’attività di tutela del paesaggio è funzionalmente connessa a quella di tutela dell’ambiente». (39) La celeberrima definizione fornita da A. Predieri, voce Paesaggio, cit. è quella di «forma del territorio». (40) Cfr. art. 131, Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). (41) S. Civitarese Matteucci, Governo del territorio e ambiente, in G. Rossi (a cura di), Diritto dell’ambiente, cit., p.225. (42) Cfr. in ordine ai caratteri del diritto dell’ambiente, per tutti, P. Dell’Anno, Ambiente (Diritto amministrativo), in P. Dell’Anno, E. Picozza (a cura di), Trattato di diritto dell’ambiente, vol. I, Padova, 2012, p.285 ss. (43) Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), c.d. Next Generation Italia, p.145. (44) Spiega F. de Leonardis, Economia circolare: saggio sui suoi tre diversi aspetti giuridici. Verso uno Stato circolare?, in Dir. Amm., 2017, p.168-169, che dalla c.d. Red Economy, ovvero l’economia dello sfruttamento della natura «che prende a prestito senza preoccuparsi di come ripagare il debito», si è passati alla Green Economy, che si preoccupa di come «ripagare» i danni cagionati all’ambiente (v. per esempio, il principio «chi inquina paga»), per giungere infine, alla Blue Economy che, secondo la definizione di G. Pauli, Blue Economy 2.0., Milano 2015, p.30, «affronta le problematiche della sostenibilità al di là della semplice conservazione e il cui scopo (...) è quello di spingersi verso la rigenerazione» (per la cronaca Blu Economy ha assunto poi anche una valenza in riferimento alle tematiche marittime). (45) In particolare, le due comunicazioni del 2014 e del 2015 sull’economia circolare, il secondo «pacchetto» sull’economia circolare costituito dalle direttive n. 851 e n. 852 del 2018, che modificano la direttiva generale in materia di rifiuti e quella sui rifiuti di imballaggio, e da altre direttive, che modificano ulteriori sei direttive sui rifiuti (direttiva 98/2008), imballaggi (94/1962), discariche (31/1999), rifiuti elettrici ed elettronici (19/2012), veicoli fuori uso (53/2000) e pile (66/2006), le numero 849, 850, 851 e 852 del 2018. (46) Come mette chiaramente in luce F. de Leonardis, Economia circolare: saggio sui suoi tre diversi aspetti giuridici, cit., p.167. (47) Si vedano, sul punto, F. de Leonardis, Il diritto dell’economia circolare e l’art. 41 Costituzione, in Riv. Quad. Dir. Amb., 2020, p.50 ss. e G. Rossi, Dallo sviluppo sostenibile all’ambiente per lo sviluppo, in Riv. Quad. Dir. Amb., 2020, p.4 ss. Il primo constata che, in questa prospettiva, «l’ambiente non viene più considerato semplicemente un costo ma, invece, un’opportunità di vero e proprio profitto per le imprese: si può allora parlare con ragione significativamente di “ambiente per lo sviluppo”» e il secondo che «alle fasi della contrapposizione e a quella della (auspicata) compatibilità si unisce ora quella della possibile sinergia». (48) F. Benvenuti, Studi dedicati ai problemi dell’ambiente. Presentazione, in Arch. giur., CCII (1982), p.255, ora in Scritti giuridici, Milano, p.3736. (49) Sulla base della tutela del diritto alla vita e del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (articoli 2 e 8 della Convezione europea dei Diritti dell’uomo, CEDU), insieme al duty of care dello Stato costituzionalmente stabilito nei confronti dei cittadini, nonché alle obbligazioni espressamente stabilite dagli Accordi di Parigi (2015), la Fondazione olandese Urgenda, insieme a circa 900 cittadini, nel 2015, ha potuto promuovere un ricorso con lo Stato olandese, colpevole di non aver promosso azioni sufficienti per la lotta al cambiamento climatico, e vincerlo. Nel febbraio 2021, anche il Tribunale amministrativo di Parigi, nel c.d. Affaire du Siècle, su ricorso promosso da quattro ONG francesi (Oxam France, Greenpeace, Notre Affaire à Tous, FNH), ha riconosciuto la responsabilità dello Stato per la inazione nella gestione della crisi climatica, sottolineando il mancato rispetto degli obiettivi stabiliti dagli Accordi di Parigi.

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che può interagire con me Sap o Salesforce. ole Europe, infine, abbiamo una gara molto importante e degli applicativi utilizzati istituzioni europee, come l motore per l’erogazione munitari”.

Matteo Masera, General Manager di WESTPOLE Italia

che servizi di cloud

Parte di WESTPOLE Europe, partner di servizi e soluzioni IT con nove sedi tra Italia, Belgio, Lussemburgo e Francia, e circa 600 dipendenti impiegati, WESTPOLE Italia affianca le imprese nella trasformazione digitale e nel go to cloud, grazie a oltre 40 anni di esperienza nella gestione della tecnologia e dell’innovazione. In qualità di system integrator che offre servizi per la pubblica amministrazione e servizi per le forze di terra, WESTPOLE è già in grado anche di relazionarsi con il mondo della Marina Militare. Ne parliamo con Matteo Masera, General Manager di WESTPOLE Italia. Come opera la vostra società, nello specifico, per il mondo della pubblica amministrazione zione e? “Innanzitutto disponiamo di un software proprietario, sviluppato nella nostra software house di Bologna, che permette la gestione automatizzata di processi complessi. In particolare, per la pubblica amministrazione, la nostra piattaforma controlla e automatizza i processi amministrativi tipici, come la protocollazione, il libro firma, le delibere e determine. Tra le altre, inoltre, abbiamo sviluppato una soluzione di gestione delle Pec in entrata, la posta certificata: tramite un sistema di intelligenza artificiale, la nostra soluzione applicativa è in grado di leggere e interpretare le Pec e, in base al contenuto, di smistarle all’ufficio competente. Il nostro sistema tiene traccia anche del percorso e dell’attività della Pec, fino all’invio eventuale di una risposta e alla conservazione a norma delle e-mail. Un altro tipo di connettore che interagisce con la nostra piattaforma è in grado di leggere e interpretare le immagini, che vengono poi archiviate in base alle informazioni. Si tratta di una piattaforma configurabile - e quindi adattabile in base alle esigenze

mo anche servizi cloud Agid, per la pubblica one, che insistono su due data center a Roma e Milano, da cui eroghiamo servizi, in sicurezza, sia privati che ibridi. Gestiamo anche l’attività sistemistica a corredo della piattaforma. Inoltre, siamo gold partner di Cisco e abbiamo quindi importanti competenze in ambito infrastrutturale e networking. Grazie alle tecnologie Cisco, abbiamo sviluppato progetti per la logistica e i trasporti su terra, i quali possono essere tranquillamente traslati in campo marittimo Per quanto riguarda la nostra partecipazione al mondo della ricerca e dell’innovazione, da oltre dieci anni siamo parte del Consorzio RadioLabs che comprende, oltre partner industriali come HRI, or Vergata e anche l’Università To di Roma, e che studia sistemi evoluti per i trasporti, quali la smart mobility o soluzioni di guida autonoma e intelligente. Di recente, inoltre, abbiamo aderito al Cluster Trasporti Italia che raggruppa, oltre ai soci del consorzio, anche altri interlocutori, tra cui ad esempio Fincantieri e Grimaldi per la parte nautica. Obiettivo del cluster è la partecipazione attiva alla definizione delle politiche nazionali e comunitarie di ricerca e innovazione nell’ambito dei trasporti sia terrestri che marittimi”. Quali vostre soluzioni, in particolare, possono essere d’interesse per la ilitare e? Marina Militare “Oltre all’infrastruttura Cisco, abbiamo una business unit dedicata ai progetti

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di sicurezza informatica, che vanno dalla consulenza all’implementazione di prodotti e alla revisione dei processi e delle metodologie di lavoro, per mettere in sicurezza i sistemi di aziende e istituzioni da attacchi esterni ma anche di natura interna. In quest’ambito stiamo lavorando con alcune importanti realtà private ma anche pubbliche, queste ultime sia a livello di regioni che di forze armate nazionali. Anche il cloud, ovviamente, ha una componente di sicurezza intrinseca”. er il futuro o? Quali sono i vostri progetti per E’ sicuramente nostra intenzione cercare di trasferire anche in ambito militare le soluzioni che abbiamo già sviluppato e implementato con successo in ambito civile, ovvero il cloud e la gestione dei processi. In questi due ambiti si possono sviluppare progetti anche con la Marina, per poter portare anche a loro l’innovazione che abbiamo già apportato in altre istituzioni pubbliche e private”.


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PRIMO PIANO

Sostenibilità, un auspicato multilateralismo e l’Unione europea Tra primato e irrisolte contraddizioni Beatrice Benocci Storica e giornalista, insegna Storia contemporanea, Storia delle relazioni internazionali e Storia del processo di integrazione europea, con particolare attenzione al ruolo della Germania come attore globale. È membro del Centro Studi Europei e del suo Modulo Jean Monnet Eucume, nonché del Centro Interdipartimentale di Ricerca sui Conflitti nell’Età Contemporanea dell’Università di Salerno e del Centro Interuniversitario di Ricerca Bioetica. Il suo ultimo libro è La Germania necessaria. L’emergere di una nuova leading power tra potenza economica e modello culturale (2017); tra i suoi ultimi articoli: Per una Germania (e un’Europa) in cui vivere bene e volentieri. Il Modello Deutschland a trent’anni dalla riunificazione (2020); Lo Stato nell’Unione Europea tra Sovranità e Controllo. Una storia di successo, nonostante tutto (1951-2020) - (2020).

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I

l tema della sostenibilità non è nuovo (1). Sin dalla fine degli anni Settanta, l’idea di uno sviluppo rispettoso dell’ambiente è stata posta con forza nel continente europeo su iniziale esempio dei paesi del Nord Europa e, a livello globale, con la Dichiarazione di Rio de Janeiro del 1992 e il Protocollo di Kyoto del 1997, ma spesso con scarsi o ridotti risultati. Il concetto di sostenibilità fu introdotto nel corso della prima conferenza sull’ambiente delle Nazioni unite, svoltasi a Stoccolma nel 1972, mentre a seguito della pubblicazione del Rapporto Brundtland nel 1987 venne chiarito l’obiettivo dello sviluppo sostenibile: uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. Obiettivi cruciali per il suo raggiungimento erano, secondo gli estensori del documento, la ripresa e la qualità della crescita economica; la soddisfazione dei bisogni essenziali in termini di posti di lavoro, generi alimentari, energia, acqua e igiene; un livello demografico sostenibile; la conservazione e l’accrescimento della base delle risorse; il riorientamento dei rischi tecnologici e gestionali; la formulazione delle decisioni secondo aspetti ambientali ed economici. Tutto ciò era necessario poiché, affermavano, ambiente e sviluppo non sono realtà separate, ma al contrario presentano una stretta connessione. Lo sviluppo non può, infatti, sussistere se le risorse ambientali sono in via di deterioramento, così come l’ambiente non può essere protetto se la crescita non considera l’importanza anche economica del fattore ambientale.

Si tratta, in breve, di problemi reciprocamente legati in un complesso sistema di causa ed effetto, che non possono essere affrontati separatamente, da singole istituzioni e con politiche frammentarie (2). Il rapporto Brundtland individuava specifiche aree di impegno comune, reso necessario dalla ormai evidente interdipendenza ecologica ed economica, soprattutto per gli

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«ecosistemi in comune» e per i cosiddetti «beni comuni globali», ovvero per quelle zone del pianeta poste al di fuori delle giurisdizioni nazionali. In assenza di norme concordate, eque e applicabili, in grado di regolamentare i diritti e i doveri degli Stati nei confronti dei beni comuni globali, la pressione esercitata su risorse, di fatto limitate, avrebbe finito col distruggerne l’integrità eco-

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Sostenibilità, un auspicato multilateralismo e l’Unione europea

logica, intaccando il patrimonio delle generazioni future. Gli Stati avrebbero dovuto cooperare al fine di garantire la pace, poiché le guerre avevano effetti devastanti sull’ambiente, ma avrebbero dovuto anche evitare che un eccessivo sfruttamento delle risorse fosse a sua volta causa di tensioni politiche e di conflitti armati. Si invitavano, inoltre, le istituzioni, ad avviare politiche concordate e di mediolungo periodo, a livello nazionale, regionale e internazionale (3). Infine, il rapporto sottolineava che, pur in presenza di soluzioni tecnologiche avanzate, che avrebbero aiutato il raggiungimento degli obiettivi, non sarebbe stato possibile invertire la tendenza in atto, se non fossero stati affrontati i temi della diseguaglianza nel reperimento delle risorse, della fame e della povertà. Un tema questo richiamato, recentemente, dalla Laudato si’ di Papa Francesco, che ha parlato di ecologia integrale, di questioni intimamente connesse, quelle delle risorse planetarie e dell’equità sociale globale. «La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune», ha sottolineato con forza il Papa, «comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale» (4). La recente pandemia da Covid-19, con il suo carico inaspettato di sofferenza e perdita, ha imposto una pesante battuta di arresto al modello produttivo-consumistico che si è affermato e rafforzato a partire dagli anni Novanta, con l’eccezione di poche aree, in ogni parte del mondo: un’economia globalizzata, poco o per nulla attenta all’ambiente, con uno sfruttamento non controllato delle risorse del pianeta e una ricaduta molto pesante in termini di inquinamento del pianeta e sulla salute umana. È oggi possibile affermare che è stato questo uno dei risultati negativi della decisione assunta nel 1995, con la nascita del WTO, di procedere a una totale liberalizzazione degli scambi a livello globale (5). Una scelta dettata dalla volontà di favorire la crescita economica mondiale, grazie a un aumento delle esportazioni di merci, che in termini monetari veniva indicata in un surplus annuale pari a 510

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miliardi di dollari, di cui avrebbero beneficiato prevalentemente gli Stati Uniti, il Giappone e l’Unione europea. Secondo i fautori di questa linea non vi sarebbero state conseguenza negative per le sovranità nazionali, né sarebbero stati modificati i meccanismi di tutela ambientale, sanitaria e alimentare (6). In realtà, nel corso di questi ultimi venticinque anni a livello globale, a fronte di un aumento generale della ricchezza di cui hanno beneficiato, in particolare, Cina, Stati Uniti, Giappone, Germania (dati 2019) (7), sono aumentate le diseguaglianze, sia in termini di reddito, educazione, salute (8), che nel reperimento delle risorse; sono aumentate la fame e la povertà nel mondo, si sono moltiplicati i conflitti e, non in ultimo, l’ambiente ha subito uno sfruttamento incontrollato (9), con l’eccezione di poche aree a livello globale. Come sottolineato da Thomas Piketty nel suo volume dedicato al capitale nel ventunesimo secolo, il «processo di un’economia di mercato e di proprietà privata, se abbandonato a sé stesso, alimenta importanti fattori di convergenza, legati in particolare alla diffusione delle conoscenze e delle competenze, ma anche potenti fattori di divergenza, potenzialmente minacciosi per le nostre società democra-

Thomas Piketty (Parigi, 7 maggio 1971) è un economista francese, professore di economia alla Scuola di studi avanzati di scienze sociali, professore associato alla Paris School of Economics e professore di economia all’Istituto internazionale di disuguaglianze presso la London School of Economics (en.wikipedia.org). In alto: la copertina de Laudato si’, seconda enciclica di Papa Francesco scritta nel suo terzo anno di pontificato. L’argomento principale trattato è l’interconnessione tra crisi ambientale della Terra e crisi sociale dell’umanità.

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tiche e per i valori di giustizia sociale sui cui si fondano» (10). Allo stesso tempo, ricorda ancora lo studioso, pur in presenza di una crescita fondata su investimenti in formazione, conoscenza e tecnologia non inquinante, non otteniamo una crescita in grado a sua volta di creare percorsi virtuosi di distribuzione della ricchezza (11). Se, nel 1987, il rapporto Brundtland aveva auspicato una cooperazione tra Stati e l’adozione di un modello di sviluppo sostenibile, oggi è chiaro a molti che solo con un’azione multilaterale globale e solo con l’adozione di un nuovo sistema di governance e di sviluppo (si parla di economia circolare) potrebbe essere possibile scongiurare la perdita dell’integrità ecologica e affrontare i temi della diseguaglianza, della fame e della povertà e, ancor più importante, come vedremo a breve, quello della reperibilità e della redistribuzione delle risorse.

Covid-19 e G20 In piena pandemia, in occasione del G20 a guida saudita (anno 2020), sono stati assunti i primi provvedimenti per far fronte a quello che è stato definito uno shock senza precedenti (12). Nel mese di aprile, i ministri delle Finanze e i governatori delle banche centrali del G20 hanno concordato un piano di azione, il G20 Action Plan, con l’obiettivo di garantire un coordina-

«(…) l’Italia ha assunto la presidenza del G20 (1° dicembre 2020). Roma ha inteso inquadrare il tema all’interno di una cornice costruita attorno a tre temi chiave: persone, pianeta, prosperità. L’obiettivo perseguito, all’interno di questi pilastri, è assicurare una rapida risposta internazionale alla pandemia — in grado di fornire un accesso equo e mondiale alla diagnostica, alle terapie e ai vaccini — e costruire un sistema resiliente a futuri shock legati alla salute». In alto, il logo ufficiale del vertice che si terrà a Roma dal 30 al 31 ottobre 2021.

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mento globale delle politiche fiscali e monetarie adottate dai singoli paesi in risposta alla crisi. Nel successivo mese di ottobre, il piano è stato aggiornato con l’obiettivo di una ripresa trasformativa verso una società più sostenibile e inclusiva (13). In occasione dell’incontro di chiusura (Riad, 21 e 22 novembre 2020), i leader del G20 hanno espresso la necessità di assicurare a tutti i paesi l’accesso ai vaccini e hanno confermato la proroga fino al giugno 2021 dell’Iniziativa di sospensione del servizio del debito (Dssi) (14). Con la fine dell’anno, l’Italia ha assunto la presidenza del G20 (1° dicembre 2020). Roma ha inteso inquadrare il tema all’interno di una cornice costruita attorno a tre temi chiave: persone, pianeta, prosperità. L’obiettivo perseguito, all’interno di questi pilastri, è assicurare una rapida risposta internazionale alla pandemia — in grado di fornire un accesso equo e mondiale alla diagnostica, alle terapie e ai vaccini — e costruire un sistema resiliente a futuri shock legati alla salute. Il programma italiano pone attenzione al tema della riduzione delle disuguaglianze, a quello dell’empowerment delle donne, alle giovani generazioni e alla protezione dei più vulnerabili, a partire dalla creazione di nuovi posti di lavoro, alla protezione sociale, alla sicurezza alimentare. Oltre a un uso migliore delle energie rinnovabili e un fermo impegno a proteggere il clima e l’ambiente comune, l’Italia auspica la riduzione del divario digitale e promuove la digitalizzazione per il miglioramento della produttività (15). In piena linea con le politiche europee di sostenibilità e cooperazione perseguite dall’Unione europea e andando ben oltre l’obiettivo di Riad, l’Italia ha chiamato i partner del G20 a uno sforzo comune, un’azione multilaterale globale ed efficace, in favore di uno sviluppo sostenibile e una riduzione delle diseguaglianze. È interessante ricordare che i membri del G20 sono Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Stati Uniti, Sud Africa, Turchia e Unione europea. A questi si aggiunge la Spagna, che è un invitato permanente del G20. Tutti insieme questi Stati rappresentano il 60% della popolazione mondiale,

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l’80% del PIL mondiale e il 75% del commercio globale. Al suo interno troviamo i membri del G7, i paesi a economia avanzata (Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Giappone, Francia, Germania e Italia) e i membri del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), le cosiddette potenze geoeconomiche, cui si associano la Germania e il Sud Africa (BRICS). L’Unione europea è rappresentata da Francia, Germania e Italia. Tra questi stati troviamo i maggiori produttori di gas serra e i detentori di maggiore ricchezza a livello mondiale: Stati Uniti, Cina, Giappone, India, Unione europea, Russia. Se, da un lato, la proposta italiana va nella direzione giusta, dall’altro, è possibile affermare che l’avvio di un’azione concertata e multilaterale è resa difficile da una molteplicità di fattori. Da oltre un decennio gli Stati stanno fronteggiando nuove sfide globali, che rendono difficili le relazioni internazionali: dalle crisi migratorie a quelle commerciali, dalla crisi economico-finanziaria alle tensioni legate alla via della seta e alla recente via artica, dalle guerre di religione al terrorismo internazionale, dalle cyber wars ai conflitti regionali. Esiste, inoltre, un ambito di confronto strettamente legato alla questione climatica, che vede gli Stati a economia avanzata e quelli in via di sviluppo, lanciarsi reciproche accuse sul mancato abbandono delle energie fossili; come vedremo in seguito, né gli uni, né gli altri, sembrano voler o poter abbandonare l’attuale modello di sviluppo, fondato su energie fossili, in favore di un modello di sviluppo sostenibile, la cui adozione richiederebbe un tempo relativamente lungo di riconversione industriale, che mal si sposa con i processi e i tempi del mercato globale. A quest’ultimo aspetto è legato un altro ambito di scontro, quello della reperibilità delle risorse e del rapporto tra produttori e utilizzatori di energia, talmente importante e complesso da aver indotto gli osservatori a parlare di geopolitica delle risorse. Qui di seguito, cercheremo di illustrare in sintesi il comportamento dei maggiori produttori di CO2 a livello globale.

Un auspicato, ma difficile multilateralismo Come è stato accennato, esistono da tempo forti remore da parte di alcuni Stati o gruppi di Stati ad abbracciare politiche di sviluppo eco-compatibili. I motivi sono prevalentemente di natura economico-industriale e di capacità tecnologica, oltre che politico-

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Barack Obama, 44º presidente degli Stati Uniti d’America dal 2009 al 2017. «Dopo aver firmato il Protocollo di Kyoto, il Presidente americano ha lanciato il New Green Deal, un articolato programma di rinnovamento fondato sul concetto di sostenibilità, che avrebbe dovuto portare il paese a liberarsi della dipendenza dai paesi produttori di energie fossili e, soprattutto, a superare le conseguenze della grande crisi finanziaria con la creazione di nuovi posti di lavoro nel settore dell’industria delle energie rinnovabili (eolico, solare, geotermico)» - (Fonte immagine: spiegel.de).

ideologici. Partiamo da Cina e Stati Uniti. Entrambi questi paesi si sono rifiutati a lungo di firmare il Protocollo di Kyoto (16), pur rappresentando i maggiori produttori di gas serra a livello mondiale, gli Stati Uniti con oltre 6,4 milioni di chilotonnellate di CO2 e la Cina con oltre 13 milioni (dati 2015) (17). Con la presidenza di Barak Obama, gli Stati Uniti hanno provato a cambiare rotta. Dopo aver firmato il Protocollo di Kyoto, il Presidente americano ha lanciato il New Green Deal, un articolato programma di rinnovamento fondato sul concetto di sostenibilità, che avrebbe dovuto portare il paese a liberarsi della dipendenza dai paesi produttori di energie fossili e, soprattutto, a superare le conseguenze della grande crisi finanziaria con la creazione di nuovi posti di lavoro nel settore dell’industria delle energie rinnovabili (eolico, solare, geotermico). Contemporaneamente, Obama ha cercato di porre gli Stati Uniti alla guida del gruppo di Stati che operavano da tempo per la protezione dell’ambiente, in primis l’Unione europea. Gli sforzi del Presidente americano sono stati solo in parte ripagati: sei milioni di nuovi posti di lavoro, una nuova attitudine da parte delle industrie americane verso le tematiche ambientali, l’adozione del Clean Power Plan (18), i divieti in materia di trivellazioni, ampi investimenti nel settore della green economy. Tra i grandi successi di Obama tro-

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Donald John Trump, 45º presidente degli Stati Uniti d’America dal gennaio 2017 al gennaio 2021. «Trump ha abbandonato non solo l’approccio multilaterale di Obama, ma anche provveduto a eliminare la maggior parte dei suoi provvedimenti nel segno di Make America great again» (Fonte immagine: foxnews.com).

viamo la sigla dell’accordo sul clima approvato a Parigi nel 2015 (19). Esempio vincente di approccio multilaterale alle politiche ambientali ha visto l’inclusione della Cina tra i paesi firmatari dell’accordo. La successiva elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti ha significato una totale inversione di marcia, un ritorno al cosiddetto Business as usual (20). Trump ha abbandonato non solo l’approccio multilaterale di Obama, ma anche provveduto a eliminare la maggior parte dei suoi provvedimenti nel segno di Make America great again. Nel volgere di soli quattro anni gli Stati Uniti sono tornati a essere i maggiori produttori di gas serra. Da parte sua, Trump ha più volte affermato di non credere nei cambiamenti climatici e su questa base ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi (21). Nei suoi quattro anni di governo sono stati eliminati i limiti imposti alle emissioni delle centrali elettriche a carbone e i limiti agli sversamenti in acqua di arsenico e mercurio, con un risparmio per l’industria americana pari a 9 miliardi di dollari l’anno; è stato congelato l’obbligo per le industrie automobilistiche di produrre auto che consumano meno carburante entro il 2025, sono stati tolti i limiti alle emissioni di metano dai pozzi di gas, i limiti di utilizzo dei fertilizzanti chimici, le restrizioni all’uso di pesticidi e altre sostanze dannose per l’ambiente e la salute umana. Senza elen-

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care tutti i provvedimenti presi dall’amministrazione Trump — uno su tutti la liberalizzazione dell’uso dell’amianto — vi sono quarantasei norme cancellate o congelate e trenta modificate (22). Trump ha di fatto liberato l’industria americana dai lacci e lacciuoli a cui l’aveva sottoposta il suo predecessore, rendendola a suo dire più competitiva a livello nazionale e globale. Come nel caso della presidenza Obama, il bilancio dei suoi quattro anni di governo mostra un parziale successo delle sue politiche: la disoccupazione è diminuita, i posti di lavoro e i redditi della popolazione sono aumentati, il tasso di povertà tra la popolazione afroamericana è sceso sotto il 20% e il tasso di disoccupazione è sceso sotto il 6% (23). Non è riuscito però a ottenere l’obiettivo più ambito, il cuore della sua campagna elettorale, il rilancio dell’area industriale e manifatturiera della Rust Belt, costituita dagli Stati del Wisconsin, Michigan, Ohio e Pennsylvania. Possiamo affermare che Trump ha agito secondo il suo credo e anche in termini di tempo. Ed è questo il punto su cui è opportuno riflettere. È conveniente per uno Stato abbandonare il modello industriale fondato su energie fossili alla luce della forte competizione commerciale internazionale? Lo è rispetto al fabbisogno interno e immediato di posti di lavoro? In realtà, ogni politica di transizione verso un modello di sviluppo rispettoso dell’ambiente (e con esso di buone pratiche condivise) richiede molto tempo e, obbligatoriamente, l’intervento dello Stato in economia. Come ha osservato Naomi Klein, negare i cambiamenti climatici vuol dire preservare il modello di sviluppo neoliberista (24), affermatosi a partire dalla fine degli anni Ottanta, che pone lo Stato al di fuori delle dinamiche del mercato o in una posizione di mera facilitazione delle attività delle imprese (come ha provato a fare Trump). Il tempo è la variabile che muove la Cina. Come ho già avuto modo di scrivere, come tutte le potenze geoeconomiche la Cina ha bisogno di tempo per consolidare la sua economia, potenziare le capacità tecnologiche, migliorare la sua capacità di persuasione, migliorare le condizioni socioeconomiche interne, rafforzare la capacità di difesa (25). Molto passa attraverso la Via della Seta, un disegno di largo respiro che abbraccia l’intero globo. Per un lungo periodo, dal 1972 anno della Conferenza sull’ambiente

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delle Nazioni unite, sino alla fine degli anni Novanta, pur consapevole della questione ambientale, Pechino ha perseguito essenzialmente obiettivi di crescita economica. Solo i disastri ambientali, che hanno colpito il paese a partire dalla metà degli anni Novanta, hanno indotto la Cina a creare organismi di protezione dell’ambiente e solo nel 2008 è stato istituito il ministero per la Protezione dell’ambiente cinese. La vera svolta però è arrivata con il tredicesimo piano quinquennale cinese (2016-20), preceduto dalla partecipazione di Pechino a COP21, tenutasi a Parigi nel 2015. In questa occasione e per la prima volta il paese asiatico ha preso impegni vincolanti per la riduzione dei gas serra. Il piano cinese prevede che il paese raggiunga il tetto massimo di emissioni entro il 2030 per poi iniziare una fase discendente. Contemporaneamente, i cinesi lavorano per aumentare la componente di energie rinnovabili fino a raggiungere il 20% nel 2030 (fino a 200 GW di eolico, 100 GW di fotovoltaico, più un deciso aumento di utilizzo di gas naturale) e allargare il mercato del carbonio a livello nazionale entro il 2020 (26). Nel presentare il suo piano, la Cina non ha dimenticato di sottolineare che si deve tener conto delle responsabilità storiche differenziate quando si chiede ai paesi in via di sviluppo di non inquinare, poiché i paesi sviluppati hanno potuto immettere in atmosfera più anidride carbonica e raggiungere standard elevati di benessere. Recentemente, in piena linea con questa dichiarazione, in occasione del dodicesimo incontro dei BRICS, tenutosi nel novembre 2020, Xi Jinping ha rinnovato l’impegno della Cina a raggiungere il tetto delle emissioni nel 2030 e l’obiettivo della Carbon neutrality (emissione zero) (27) spostandolo però al 2060, rispetto al 2050, data indicata dalla comunità internazionale a Parigi (28). Pechino ha partecipato alla COP21, XXI Conferenza delle parti dell’UNFCCC (Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici), tenutasi a Parigi nel 2015. «In questa occasione e per la prima volta il paese asiatico ha preso impegni vincolanti per la riduzione dei gas serra».

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Narendra Modi, attuale primo ministro dell’India in carica dal 2014; «(…) il governo indiano si è impegnato a ridurre le emissioni di carbonio del 3335% entro il 2030, rispetto ai livelli registrati nel 2005. L’obiettivo indiano è quello di soddisfare il 40% della domanda di energia con fonti energetiche alternative a quelle tradizionali» (Fonte immagine: brainstudy.info). In alto: Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare Cinese dal 2013; «(…) in occasione del dodicesimo incontro dei BRICS, tenutosi nel novembre 2020, Xi Jinping ha rinnovato l’impegno della Cina a raggiungere il tetto delle emissioni nel 2030 e l’obiettivo della Carbon neutrality (emissione zero) spostandolo però al 2060, rispetto al 2050, data indicata dalla comunità internazionale a Parigi» (Fonte immagine: bbc.com). Al centro: Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa dal 7 maggio 2012; «(…) Più che una adesione alle politiche di sostenibilità, l’atteggiamento russo sembra dettato dalla volontà di preservare i propri interessi economici ed evitare danni derivanti dalle nuove e più stringenti politiche europee in tema di protezione dell’ambiente (Green Deal europeo e Carbon Tax) e una diretta conseguenza dell’adesione di alcuni paesi asiatici all’obiettivo della Climate neutrality» (Fonte immagine: bloomberg.com).

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Sulla base di questa retorica, si muovono altri Stati che appartengono al gruppo delle potenze geoeconomiche. Russia e India sono entrambi paesi firmatari degli accordi di Parigi. È possibile affermare che la prima ha avviato una reale politica ambientale solo a partire dal 2019, anno di ratifica degli accordi COP21. Nel 2020 il paese ha varato la Strategia energetica 2035, che prevede un iniziale aumento della produzione e della esportazione di combustibili fossili nei prossimi 15 anni, lo sviluppo di nuove strategie per il petrolio e il gas e programmi incentrati sul nucleare e sul carbone; alla prima si aggiunge il programma «On GHG emission reduction», che prevede una diminuzione delle emissioni di anidride carbonica del 30% rispetto ai livelli del 1990 (29). Nel caso russo, come nel caso cinese, si tratta di un programma che prevede un primo aumento della produzione di energie fossili di oltre il 40% rispetto ai dati odierni. Più che una adesione alle politiche di sostenibilità, l’atteggiamento russo sembra dettato dalla volontà di preservare i propri interessi economici ed evitare danni derivanti dalle nuove e più stringenti politiche europee in tema di protezione dell’ambiente (Green Deal europeo e Carbon Tax) e una diretta conseguenza dell’adesione di alcuni paesi asiatici all’obiettivo della Climate neutrality. Del resto, la Russia è fortemente impegnata nella costruzione di gasdotti da e verso l’Europa che assicurino al paese, nel medio-lungo periodo, importanti fette del mercato globale dell’energia a fronte di un’economia nazionale fortemente in crisi, sostenuta per l’80% dalle esportazioni di gas e petrolio (30). Da parte sua, il governo indiano si è impegnato a ridurre le emissioni di carbonio del 33-35% entro il 2030, rispetto ai livelli registrati nel 2005. L’obiettivo indiano è quello di soddisfare il 40% della domanda di energia con fonti energetiche alternative a quelle tradizionali (31). Ma nel caso dell’India il problema non è la mancanza di una legislazione ambientale (32), sono i numeri: il 18% della popolazione mondiale vive in India e questo non potrà che portare in futuro a un aumento della domanda di energia, oggi assolto con combustibili fossili e, in particolare, con il carbone (53,4%), con un conseguente forte inquinamento dell’aria. Con i suoi oltre 3,3 milioni di chilotonnellate di CO2, l’India è il terzo paese al mondo per emissioni (dati 2015) (33). Tra le misure che il governo indiano sta adottando per contrastare l’inquinamento at-

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mosferico, troviamo un provvedimento, denominato CAMPA (34), che stabilisce la riforestazione di vaste aree naturali con l’obiettivo di creare un sink biosferico (35). Secondo i dati forniti dal governo indiano, questo processo di riforestazione potrebbe ridurre le emissioni di CO2 del 20% entro il 2040 (36). Si tratta, quindi, di una sorta di sistema di compensazione che darebbe al paese la possibilità di rafforzare, nel tempo, la transizione energetica avviata nel 2006 con l’istituzione del ministero delle Energie nuove e rinnovabili (MNRE) (37). Interessante è, infine, tra le potenze geoeconomiche, il Brasile di Jair Bolsonaro che, dal 2019, ha avviato una politica, definita di sovranismo ambientale, secondo cui ogni paese può e deve sfruttare le proprie risorse, senza ingerenze da parte della comunità internazionale, anche quando il suo agire sembra condizionare o penalizzare l’intera umanità. Per lungo tempo il paese latino-americano è stato definito (e lo è tuttora) una potenza ambientale per le sue politiche di preservazione e conservazione del territorio, per le ridotte emissioni di gas serra in atmosfera, per le sue politiche energetiche e di riciclo. Basti pensare che il Brasile è il paese con più aree protette al mondo: 2,4 milioni di chilometri quadrati, pari al 28% del suo territorio (38), di cui 443.000 km2 sottoposto a vincolo integrale (non sono ammessi visitatori). Bolsonaro ha finito per inimicarsi l’intera comunità internazionale a causa delle sue politiche economiche, inusuali per que-

Jair Messias Bolsonaro, presidente del Brasile dal 1º gennaio 2019; «(…) dal 2019, (il Brasile) ha avviato una politica, definita di sovranismo ambientale, secondo cui ogni paese può e deve sfruttare le proprie risorse, senza ingerenze da parte della comunità internazionale, anche quando il suo agire sembra condizionare o penalizzare l’intera umanità» (Fonte immagine: cnnbrasil.com.br).

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shihide Suga e in seguito sto paese, aggressive e poco alla recente pandemia da attente all’ambiente (sfrutCovid-19 il paese sembra tamento del territorio, diaver avviato un programma sboscamento, estrazione di transizione verso un momineraria) (39). Il comdello di sviluppo sosteniprensibile e condivisibile bile, in grado di coniugare grido di allarme della cohigh-tech con i principi munità internazionale a tudella sostenibilità. Nell’ottela della foresta tobre 2020, in occasione amazzonica e dei suoi abidello World Economic tanti (polmone verde del Yoshihide Suga, primo ministro del Giappone dal 16 settembre 2020; (the Davos pianeta e patrimonio del- «(…) (il Giappone) Firmatario degli accordi di Parigi, solo con l’arrivo al Forum governo di Yoshihide Suga e in seguito alla recente pandemia da Covidl’umanità), si è scontrato 19 sembra aver avviato un programma di transizione verso un modello di Agenda), il primo ministro sostenibile, in grado di coniugare high-tech con i principi della Suga ha dichiarato che la con una inequivocabile ri- sviluppo sostenibilità» (Fonte immagine: ddnews.gov.in). sua amministrazione si vendicazione di autonomia concentrerà sulla realizzazione di una «società verde», di giudizio e comportamento da parte del governo bracoinvolgendo il settore pubblico, quello privato e i citsiliano. Nel caso specifico del Brasile, assistiamo come tadini, affinché «le misure proattive per il cambiaalla retorica del tempo, tipica dei paesi in via di svimento climatico portino alla trasformazione delle luppo, si contrappone quella dei paesi capitalisti e instrutture industriali, dell’economia e della società, fadustrializzati che vuole che siano i paesi emergenti a vorendo una crescita economica dinamica e una sofarsi carico maggiormente della tutela e della presercietà resiliente e sostenibile» (42). In questo modo il vazione delle risorse del pianeta. È opportuno ricorGiappone si è allineato con i suoi vicini orientali, la dare, per esempio, che tra provvedimenti assunti Cina e la Corea del Nord, a loro volta impegnati nel dall’amministrazione Trump, volti a rafforzare l’autoperseguimento dell’obiettivo della Carbon neutrality. nomia energetica e di materie prime del paese, vi è stata la decisione di autorizzare l’estrazione di rame e coIl primato dell’Unione europea (tra Stati virtuosi balto nella riserva naturale dell’Escalante National Moe Stati recalcitranti) nument in Utah, l’approvazione dell’oleodotto Dakota Access, l’autorizzazione per l’estrazione di nuovo carNel mese di giugno del 2021 il Parlamento europeo bone e di nuove prospezioni petrolifere nel Golfo del ha approvato la legge sul clima, quale base giuridica Messico (40). O, ancora, è da evidenziare che i paesi per la transizione avviata con il Green Deal europeo. industrializzati consentono nei loro parchi nazionali atCome proposto dalla Commissione europea, la legge tività agricole e di allevamento bestiame, costruzioni modifica l’obiettivo europeo per la riduzione delle di villaggi e attività turistiche, spesso senza incontrare emissioni di gas serra entro il 2030 che passa dal 40% ostacoli o biasimo internazionale. al 55% rispetto ai livelli del 1990 (43). È questo un ulPrima di passare all’Unione europea, merita attenteriore successo di una politica di protezione dell’amzione il Giappone, terza economia a livello mondiale biente che risale al 1972. In occasione del Consiglio (41) e quinto produttore al mondo di gas serra. Questo europeo di Parigi fu deciso che era necessaria una popaese, per la ridotta estensione del suo territorio e per litica comunitaria in materia di ambiente che accomla presenza di un’industria altamente competitiva e spepagnasse l’espansione economica. Successivamente, cializzata, presenta notevoli problemi ambientali: incon l’Atto unico europeo del 1987 fu introdotto il titolo Ambiente, mentre con il trattato di Maastricht del 1993 quinamento delle acque e dell’aria, cattivo smaltimento la tutela dell’ambiente è diventato un settore ufficiale dei rifiuti industriali e domestici, ecc. Firmatario degli della politica comunitaria; il successivo trattato di Amaccordi di Parigi, solo con l’arrivo al governo di Yo-

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adeguato smaltimento dei sterdam (1999) ha stabilito rifiuti, migliorano la conodi integrare la tutela amscenza delle sostanze tossibientale in tutte le politiche che e sostengono la settoriale dell’Unione e, intransizione delle imprese fine, con il trattato di Liverso un’economia sostenisbona la lotta ai bile (47). A dispetto delcambiamenti climatici è dil’impegno profuso nel ventata un obiettivo specicorso degli anni, nel 2015 fico europeo, così come con oltre 4 milioni di chiloquello del perseguimento tonnellate di CO2 prodotte, dello sviluppo sostenibile lo è nelle relazioni esterne l’Unione europea si è posidella UE con i paesi terzi «Nel mese di giugno del 2021 il Parlamento europeo ha approvato la legge zionata al terzo posto a liclima, quale base giuridica per la transizione avviata con il Green Deal (44). Negli ultimi anni sul vello globale, dopo Cina e europeo» (Fonte immagine: eunews.it). l’Unione europea ha contriStati Uniti. Nel 2017, è buito alla definizione di importanti accordi internaziostata registrata solo una leggera flessione delle emisnali come Agenda 2030 per lo sviluppo e l’accordo di sioni di gas serra pari a 176.000 chilotonnellate di CO2. Parigi sui cambiamenti climatici. È interessante ricorCiò è conseguenza del fatto che al suo interno troviamo dare, per esempio, la campagna 20-20-20 fino al 2020 paesi virtuosi e paesi recalcitranti nell’adottare una promossa dal Consiglio europeo nel 2007, che aveva chiara politica ambientale e un impegno per la lotta al per obiettivo la riduzione del 20% dei gas serra (ricambiamento climatico. In piccolo si ripropongono a spetto ai livelli del 1990), il taglio del consumo di enerlivello europeo dinamiche simili a quelle riscontrate a livello globale. Nel 2017 i maggiori produttori di gas gia del 20% e l’aumento del consumo delle energie serra in Unione europea erano Germania, con 906.611 rinnovabile del 20%. Con l’accordo Quadro 2030 la chilotonnellate di CO2 prodotti, Francia e Regno Unito Comunità europea si è prefissata una riduzione almeno del 40% (oggi 55%) delle emissioni di gas a effetto con circa 470.000, Italia e Polonia, con poco più di serra (rispetto ai livelli del 1990), una quota almeno del 400.000, e a seguire la Spagna con 340.000 (48). Di 32% di energia rinnovabile, un miglioramento almeno questi paesi solo la Germania ha avviato, a partire dal del 32,5% dell’efficienza energetica entro il 2030 (45). 2000, una rigida transizione energetica che l’ha portata, In Europa contribuiscono alla diminuzione dei gas dapprima a dismettere le centrali nucleari e oggi, grazie serra diversi strumenti: il regolamento sulla condivial programma Energiewende, ad abbandonare progressione degli sforzi con gli obiettivi di riduzione delle sivamente i combustibili fossili, a ridurre considerevolemissioni degli Stati membri, il regolamento sull’uso mente le importazioni di petrolio e gas naturale in del suolo, il cambiamento di uso del suolo e la silvicolfavore delle energie rinnovabili. Oggi questo paese ha tura, il sistema di scambio di quote di emissione. Queuna previsione di consumo energetico lordo (il const’ultimo (ETS UE), istituito nel 2005, si è dimostrato sumo di energia elettrica insieme a tutta l’energia conuno strumento efficace per ridurre le emissioni in modo sumata nel paese) da fonti rinnovabili pari al 60% già efficiente sotto il profilo dei costi. Gli impianti che nel 2050 (49). La Germania è affiancata in questo prorientrano nel sistema ETS hanno ridotto le emissioni gramma dalla Danimarca, che sta già ottenendo buone di circa il 35% tra il 2005 e il 2019 (46). È possibile performance con una copertura del 50% da rinnovabili affermare che l’Unione europea ha standard di qualità ottenuto nel 2019, dalla Svezia e Irlanda (50). Da parte ambientali tra i più elevati al mondo; le sue politiche loro Francia e Italia sono in ritardo. Solo nel settembre ambientali e la legislazione tutelano gli habitat naturali, 2020 il presidente francese Macron ha presentato il mantengono pulite l’acqua e l’aria, garantiscono un piano «rivoluzione verde» che dovrebbe garantire al

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paese il rispetto degli accordi di Parigi. Nello specifico, si parla di creare un sistema misto: Parigi non abbandona il nucleare, che oggi soddisfa il 70% del fabbisogno energetico francese, ma procede a un suo ridimensionamento fino al 50% (entro il 2035); contemporaneamente, con un investimento importante pari a 7,2 miliardi, i francesi avviano la produzione di idrogeno e la costruzione di elettrolizzatori per raggiungere una capacità produttiva di 6,5 GW, diffondendo il vettore nel settore industriale e in quello dei trasporti; quest’ultimo è la vera spina nel fianco della politica ambientale francese per gli alti livelli di inquinamento dell’aria, che hanno portato il Consiglio di Stato francese a comminare una sanzione di dieci milioni di euro al governo per ogni semestre di ritardo nell’adozione di provvedimenti volti alla riduzione dell’inquinamento atmosferico in otto regioni del paese (51). In Francia, il dibattito su una totale dismissione delle centrali atomiche è aperto. Alcuni studi ritengono possibile anche per la Francia l’obiettivo della Carbon neutrality, da raggiungere nel 2060 grazie a impianti a energia rinnovabile, a fronte del fatto che le centrali nucleari attualmente esistenti e operanti nel paese dovranno essere dismesse, per obsolescenza, intorno al 2050 (52). Da parte sua, l’Italia ha presentato il Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC) il 31 dicembre 2019. Questo Piano è stato elaborato sulla base della Strategia energetica nazionale (SEN) del 2017 (53), da cui per molti aspetti non si discosta molto (54). Per-

mangono per l’Italia annose questione di approvvigionamento energetico — il fabbisogno energetico italiano è coperto per oltre l’80% da fonti fossili — di ammodernamento delle infrastrutture, di implementazione del trasporto sostenibile, di misure di efficientamento energetico, investimento in innovazione e ricerca. In estrema sintesi, il PNIEC prevede una riduzione del 33% di emissioni di gas a effetto serra rispetto al 2005 entro il 2030 (13%, 2020) e fissa un contributo del 30% (in percentuale del consumo finale lordo) in materia di energie rinnovabili per il 2030 (17%, 2020). Come osservato dalla Commissione europea, il dispositivo per la ripresa e resilienza offrirà all’Italia l’occasione di accelerare la transizione verde, contribuendo anche alla ripresa economica. È opportuno sottolineare che l’atteggiamento italiano è risultato a lungo attendista, poiché guardava a quei paesi, come la Polonia, che in Europa si sono opposti, anche tenacemente, ai processi di decarbonizzazione. Solo recentemente e in conseguenza del Covid-19, la Polonia ha avviato un programma di decarbonizzazione, incentrato su idrogeno (energia e riscaldamento, trasporti e industria), nucleare ed eolico off-shore. Secondo la Strategia energetica 2040 (febbraio 2021) il paese potrà alzare progressivamente la quota del carbon fossile nella produzione elettrica al 37-56% nel 2030 e all’11-28% nel decennio successivo. Secondo alcune stime, però, questo paese — che copre la quasi totalità del suo fabbisogno energetico con il carbone (per il 50% del fabbisogno ener-

Emmanuel Macron (s), presidente della Repubblica francese dal 14 maggio 2017; «(…) nel settembre 2020 il Presidente francese ha presentato il piano “rivoluzione verde” che dovrebbe garantire al paese il rispetto degli accordi di Parigi» (Fonte immagine: europarl.europa.eu). Mario Draghi (d), presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana dal 13 febbraio 2021; «(…) l’Italia ha presentato il Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC) il 31 dicembre 2019. (…) In estrema sintesi, il PNIEC prevede una riduzione del 33% di emissioni di gas a effetto serra rispetto al 2005 entro il 2030 (13%, 2020) e fissa un contributo del 30% (in percentuale del consumo finale lordo) in materia di energie rinnovabili per il 2030 (17%, 2020)» (Fonte immagine: corriere.it).

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getico e per l’80% della sua generazione elettrica) — potrà raggiungere la neutralità climatica solo sostenendo costi molto elevati, stimabili tra i 700-900 miliardi di euro (55). In generale, la pandemia da Covid-19 sembra aver convinto anche gli Stati europei più scettici ad aderire ai progetti di decarbonizzazione. Questa ritrovata unità potrà consentire il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi europei, a partire dall’uso efficiente delle risorse, all’adozione di un’economia pulita e circolare, al ripristino della biodiversità, alla riduzione dell’inquinamento, alla neutralità climatica nel 2050 (56). Ancora una volta, però, è opportuno sottolineare che da sola l’Unione europea potrà fare ben poco per invertire la tendenza in atto. Come ricordato dalla comunità scientifica, dobbiamo ridurre le emissioni di gas serra del 7,6% ogni anno da qui al 2030 per non superare la soglia di 1,5° C di aumento della temperatura media globale. Nell’avviarci alle conclusioni di questa prima analisi, è opportuno accennare ad altri due aspetti di non poco conto che pesano sulle decisioni che dovranno essere prese nel breve periodo dalla comunità internazionale. Il primo riguarda i sussidi ai combustibili fossili erogati dai governi nazionali. Il Fondo monetario internazionale (FMI) stima che nel 2017 il 6,5% del PIL globale (5,2 trilioni di dollari) è stato speso per i sussidi ai combustibili fossili, con un aumento di mezzo trilione di dollari dal 2015. I maggiori sovvenzionatori sono la Cina (1,4 trilioni di dollari nel 2015), gli Stati Uniti (649 miliardi di dollari) e la Russia (551 miliardi di dollari). Diverse istituzioni internazionali, tra cui il G20, l’Agenzia internazionale dell’energia e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), hanno chiesto la graduale eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili. Anche l’Unione europea non ha ancora intrapreso azioni concrete, a sua volta condizionata dalla ETD, la tassa sull’energia, che sebbene vecchia di diciassette anni e dichiarata non in linea con l’attuale politica ambientale europea, risulta di difficile eliminazione (57). Il secondo aspetto riguarda le banche e gli istituti di credito e le assicurazioni che finanziano e assicurano i combustibili fossili. Secondo alcune stime, dall’accordo di Parigi al 2020 le più grandi banche hanno finanziato le fossili con oltre 1.200 miliardi di euro. Questo meccanismo ha per-

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messo alle industrie di espandere le loro riserve di energie fossili. Anche in questo caso è stato chiesto di non finanziare imprese attive nei settori del combustibile fossile, anche non convenzionale (fracking, gas di scisto, sabbie bituminose, Artico, estrazioni ultra-deep) (58). A oggi, la Banca di investimento europea (BEI) ha annunciato che avrebbe azzerato, a partire dal 2021, i finanziamenti ai combustibili fossili, incluso petrolio e gas, seguita dalla Royal Bank of Scotland. Queste politiche però sono considerate pericolose poiché, come da più parti osservato, banche e investitori rischiano la «bolla del carbonio» il cui impatto sarebbe molto superiore alla Grande crisi finanziaria del 2007-08. Come ha sottolineato Klein, industrie e Petrostati (come la Russia) temono la lotta al cambiamento climatico e il conseguente abbandono dei combustibili fossili. Se ciò avvenisse in modo repentino l’equivalente di migliaia di miliardi di dollari di riserve accertate, che sorreggono le quotazioni in borsa, potrebbe diventare privo di valore (59). Concludendo, la pandemia da Covid-19 ha impresso un’accelerazione importante, convincendo anche i più scettici tra gli Stati, in Europa e a livello globale, a intraprendere azioni per combattere il cambiamento climatico. Essa ha anche contribuito a por fine all’idea dell’inesistenza dei cambiamenti climatici e ha evidenziato la necessità di un’azione multilaterale globale. E in questo, l’approccio italiano al G20 risulta più che coerente, poiché se fosse questa comunità di Stati ad avviare il cambiamento, quest’ultimo sarebbe di fatto globale. Inoltre, un effettivo abbandono delle energie fossili porterebbe a un cambiamento nei rapporti di forza tra gli Stati e a livello globale, mitigando o annullando attuali rapporti di dipendenza forieri di conflitti. Ma una simile evoluzione, benché fortemente auspicata e necessaria, non sarebbe sufficiente a risolvere i problemi di distribuzione della ricchezza e delle risorse, della fame e della povertà e, in assenza di una loro risoluzione, come affermato nel rapporto Brundtland del 1987, non sarà possibile assicurare la preservazione e la conservazione dell’ambiente per le generazioni future. Questo epocale obiettivo potrà essere ottenuto solo con l’adozione di un diverso modello di sviluppo, sia esso sostenibile o circolare, e solo con un nuovo sistema di governance, condiviso a livello globale e in modo multilaterale. 8 31


Sostenibilità, un auspicato multilateralismo e l’Unione europea NOTE (1) Our common future. Report of the World Commission on Environment and Development: note/by the Secretary-General. UN, 4 Aug. 1987; Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo, Il futuro di noi tutti, Bompiani, Milano 1988, pp.32-78 e pp.321-381. (2) Ibidem. (3) Ibidem. (4) Papa Francesco, Laudato si’, Enciclica sulla cura della casa comune, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2015, p.14. (5) Sul ruolo del WTO e sui limiti che esso impone alla capacità di intervento degli Stati si veda: J. Bakan, The Corporation, Fandango, Roma 2014, pp.28-33. Sul modo in cui si muovono i capitali si vedano le riflessioni di Harvey su «accumulazione per espropriazione»: D. Harvey, Limits to Capital, Blackwell, Oxford 1982; Id, The Condition of Postmodernity: an Enquiry into the Origins of Cultural Change, Blackwell, 1989; sul modo in cui i beni pubblici e l’intervento pubblico sono stati limitati dal turbocapitalismo si veda: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/02/07/il-turbocapitalismo.html . (6) A. Gauthier, L’economia mondiale dal 1945 a oggi, Il Mulino, Bologna 1995, pp.592-593. (7) https://www.infodata.ilsole24ore.com/2020/09/16/tutta-la-ricchezza-del-mondo-pre-covid-19-in-una-infografica. (8) World inequality report 2018, Creative Commons Licence 4.0 - CC BY-NC-SA 4.0World Inequality Lab, 2017. (9) Il 29 luglio 2021 è stato, secondo l’indicatore Earth Overshoot Day, il giorno dell’anno in cui le risorse annuali della terra sono state esaurite e l’uomo ha iniziato a consumarne le riserve. (10) T. Piketty, Il capitale nel XXI secolo, Bompiani, Milano 2014 p.919. (11) Ivi, p.920. (12) https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/storia-del-g20-un-paese-alla-volta-arabia-saudita-29255. (13) http://www.dt.mef.gov.it/it/news/2021/g20.html. (14) https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/storia-del-g20-un-paese-alla-volta-arabia-saudita-29255. (15) https://www.g20.org/italian-g20-presidency/priorities.html. (16) https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20180301STO98928/emissioni-di-gas-serra-per-paese-e-settore-infografica. (17) Ibidem. (18) Si tratta di un piano di regole governative per la riduzione delle emissioni di diossido di carbonio delle centrali elettriche degli Stati Uniti del 32% entro il 2030. (19) https://www.fanpage.it/esteri/l-eredita-di-obama-tre-successi-e-tre-fallimenti-del-presidente-che-doveva -cambiare-il-mondo/. (20) Sul concetto di Business as usual si veda J. Bakan, The Corporation, op. cit., pp.41-75. (21) N. Klein, Shock Politics, Feltrinelli, Milano 2017, pp.80-86. (22) https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/guerra-ambiente-trump-si-ad-amianto-carbone-pesticidi -clima-parigi/bebc1c2c-cbe0-11e8-8067-fb8edf63e45b-va.shtml. (23) https://www.ilpost.it/2020/12/23/trump-rilanciare-industria-americana/. (24) N. Klein, Shock Politics, op. cit., pp.89-93. (25) B. Benocci, Germania, le potenze geoeconomiche e le relazioni commerciali globali, Rivista Marittima, dicembre 2020. (26) https://www.rinnovabili.it/ambiente/cambiamento-climatico-impegno-cina-333/. (27) Per riuscire a contenere il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5° — reputata sicura dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) — è essenziale raggiungere il traguardo emissioni zero entro la metà del ventunesimo secolo. https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/ 20190926STO62270/neutralita-carbonica-cos-e-e-come -raggiungerla. (28) https://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/clima/2020/11/17/clima-xi-promette-cina-a-emissioni-zero-entro-2060_dde47cea-4a09-4359-90d6-cb16f2b75d2e. html. (29) https://www.geopolitica.info/le-politiche-ambientali-della-federazione-russa-un-settore-in-evoluzione/. (30) https://www.forextradingpratico.com/forex-news/economia-russia/;https://www.treccani.it/enciclopedia /la-transizione-nell-economia-russa_%28XXI-Secolo%29/. (31) https://www.infomercatiesteri.it/materie_prime.php?id_paesi=128#. (32) La legislazione ambientale indiana inizia negli anni Settanta: The Water (Prevention and Control of Pollution) Act, 1974; Environment (Protection) Act, 1986; Biological Diversity Act, 2002. A seguito del disastro di Bhopal del 1984, nel caso MC Mehta vs Union of India and others, la Suprema corte indiana ha sancito il principio di sviluppo sostenibile e di precauzione, esortando il legislatore a varare delle adeguate norme che rispettassero tali principi. In: https://www.iusinitinere.it/lapolitica-energetica-ambientale-dellindia-2859. (33) https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20180301STO98928/emissioni-di-gas-serra-per-paese-e-settore-infografica. (34) Compensatory Afforestation Fund Management and Planning Authority Bill. (35) Per sink biosferico si intende un processo di immagazzinamento di anidride carbonica da compartimenti naturali o antropici. (36) https://www.iusinitinere.it/la-politica-energetica-ambientale-dellindia-2859. (37) https://cartografareilpresente.org/article115. (38) https://panamazonsynodwatch.info/it/2019/08/06/dieci-punti-salienti-della-politica-ambientale-del-brasile/. (39) https://ilcaffegeopolitico.net/97611/la-politica-economica-del-brasile-secondo-bolsonaro; https:// www.geopolitica.info/questione-ecologica-in-brasile-le-politichedel-governo-bolsonaro-il-sovranismo-ambientale-le-conseguenze-per-lamazzonia-e-i-contrasti-con-la-comunita-internazionale-parte-ii/. (40) Per comprendere questa scelta, va ricordato che rame e cobalto fanno parte dei cosiddetti minerali rari, la loro estrazione è difficoltosa e costosa. Si parla già di futura penuria per questo materiale fondamentale, per esempio, per le batterie al litio delle auto elettriche. (41) World Economic Outlook Database, IMF, 2017. (42) https://www.weforum.org/agenda/2021/01/japan-climate-change-carbon-neutral-2050/. (43) https://ec.europa.eu/clima/policies/strategies/2030_it. (44) https://www.europarl.europa.eu/ftu/pdf/it/FTU_2.5.1.pdf. (45) https://ec.europa.eu/clima/policies/strategies/2030_it. (46) https://ec.europa.eu/clima/policies/ets_it. (47) https://eur-lex.europa.eu/summary/chapter/environment.html?locale=it&root_default=SUM_1_ CODED%3D20%2CSUM_2_CODED%3D2007. (48) https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20180301STO98928/emissioni-di-gas-serra-per-paese-e-settore-infografica. (49) Unsere Energiewende: sicher, sauber, bezahlbar, Bundesministerium fuer Wirtschaft und Energie, 2020; https://www.bmwi.de/Redaktion/EN/Dossier/energytransition.html. (50) https://www.iea.org/reports/conditions-and-requirements-for-the-technical-feasibility-of-a-power-system-with-a-high-share-of-renewables-in-france-towards-2050. (51) https://www.linkiesta.it/2021/02/francia-macron-ambiente-parigi/; https://www.verdiemiliaromagna. org/2020/07/13/governo-francese-inadempiente-contro-linquinamento-dellaria/. (52) https://www.iea.org/reports/conditions-and-requirements-for-the-technical-feasibility-of-a-power-system-with-a-high-share-of-renewables-in-france-towards-2050. (53) https://temi.camera.it/leg18/post/la-strategia-energetica-nazionale-sen.html. (54) Il piano prevedeva il raggiungimento il 28% di rinnovabili sui consumi complessivi al 2030 rispetto al 17,5% del 2015, efficientamento e sicurezza energetica, decarbonizzazione con dismissione degli impianti termoelettrici a carbone entro il 2025 grazie a un piano di interventi strutturali, investimento in tecnologia, ricerca e innovazione con un aumento da 222 milioni di euro (2013) a 444 milioni nel 2021. (55) https://www.rinnovabili.it/ambiente/decarbonizzazione-polonia-zero-emissioni/; https://www. rinnovabili.it/energia/politiche-energetiche/polonia-strategia-energetica-2040/; https://www.rinnovabili.it/ambiente/politiche-ambientali/phase-out-del-carbone-polonia/. (56) https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it. (57) https://www.eesi.org/papers/view/fact-sheet-fossil-fuel-subsidies-a-closer-look-at-tax-breaks-and-societal-costs. (58) Alessandro Rucci, Finanza Fossile, La gigantesca impronta climatica di banche e investitori italiani, Greenpeace, Re:common, 4/2020. (59) N. Klein, Shock politics, op. cit. p.85.

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PRIMO PIANO

Geopolitica dell’energia (*) Francesco Frasca

Sono state più di 20, con 1.300 persone a bordo, le navi impegnate dal consorzio Nord Stream 2 Ag, operatore del progetto per la costruzione dell’omonimo gasdotto; mentre le due navi per il posizionamento di tubi, SOLITARIE e PIONEERING SPIRIT (nell’immagine), hanno proseguito i lavori all’interno della Zona Economica Esclusiva svedese (Gazprom).

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Geopolitica dell’energia. La rilevanza strategica dei gasdotti Nord Stream2 ed EastMed, per l’UE (*) Laureato in scienze politiche, con indirizzo politicoeconomico, presso l’Università di Padova, si è trasferito a Parigi dove, dopo aver svolto attività si ricerca sulla cooperazione europea in materie di produzione di sistemi d’arma, presso il Groupe de Sociologie de la Défense (GSD), una struttura de l’EHESS di cui il CIRPES era l’interfaccia associativa, ha conseguito il doctorat de troisème cycle en sociolgie, abilitante alle funzioni di maître de conférence nelle università francesi. Ha proseguito poi la sua attività di ricerca riguardante la coscrizione napoleonica nei dipartimenti italiani dell’Impero francese presso l’IRCOM dell’Université Paris-Sorbonne (Paris IV) dove ha conseguito il doctorat en histoire moderne. In seguito professore a contratto presso l’Università di Roma «La Sapienza» ha dato corsi di storia sociale degli eserciti europei e a livello internazionale ha svolto seminari di storia militare (professeur invité) alla Sorbona di Parigi (Paris IV e Paris I) e di storia marittima (Visiting Professor e Non-Visiting External Examiner) all’University of Malta. Nell’ambito del ministero della Difesa è stato analista di politica militare al Centro Militare di Studi Strategici e conferenziere all’Istituto di Guerra Marittima di Livorno. Attualmente è managing partner di International Corporate Services e di Global Intelligence International, in partenariato con la società estone Xolo Go OÜ, per la consulenza in analisi strategica d’intelligence competitiva, come metodologia fondamentale per identificare e gestire rischi e vulnerabilità, punti di forza e opportunità di imprese e/o istituzioni. Membro della Commission Française d’Histoire Militaire (CFHM), della Société Française d’Histoire Maritime (SFHM) e della International Intelligence History Association (IIHA).

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l panorama energetico mondiale registra profonde e rapide trasformazioni con prolungamenti geopolitici evidenti. Le attuali fortune del gas naturale sono dovute a fattori congiunturali legati alla transizione energetica e alla necessità di ridurre il consumo di carbone a livello mondiale (1). La posta in gioco è enorme e riguarda la relazione di dipendenza strutturale che i paesi clienti intrattengono durevolmente con i rispettivi paesi fornitori di gas naturale. Tali relazioni sono motivo di forti inquietudini dal momento che i gasdotti stabiliscono legami fissi tra i produttori e gli utilizzatori (2). Il progressivo deterioramento delle relazioni tra Russia e Ucraina — esacerbata dall’annessione della Crimea e dalla condizione di conflittualità nelle province ucraine orientali — teoricamente ripropone per l’ennesima volta la minaccia di un’interruzione del transito delle esportazioni russe verso i mercati europei, come accadde nelle cosiddette «guerre del gas» del 2006 e del 2009 (3). Per far fronte a queste emergenze e garantire approvvigionamenti regolari e costanti ai tradizionali mercati europei di gas naturale, la Russia ha cercato di sviluppare delle rotte d’esportazione alternative nell’ambito della

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direttrice occidentale, in modo tale da ridurre il transito dei rifornimenti di gas in territorio ucraino, per mantenere inalterato il suo potenziale d’esportazione verso un mercato ritenuto di rilevanza strategica (4). L’elevata dipendenza russa dalle rendite derivanti dalle esportazioni di idrocarburi ha generato una condizione di vulnerabilità del settore energetico nazionale, ulteriormente inficiata dallo squilibrio dei volumi esportati attraverso le due direttrici d’esportazione Est-Ovest. Attualmente, la Russia si configura come un paese energy supplier globale, attore fondamentale nello scacchiere energetico internazionale. Seconda produttrice di petrolio al mondo dopo l’Arabia Saudita e seconda di gas naturale dopo gli Stati Uniti, dispone di illimitate riserve petrolifere in Siberia occidentale e Volga Urali, Siberia orientale, nell’isola di Sakhalin e nella sezione russa del Mare Artico (5). Inoltre, dispone delle seconde riserve di gas al mondo dietro all’Iran, concentrate in Siberia, ha quasi il 17% delle riserve mondiali «proved» di gas naturale, per circa 31,3 migliaia di miliardi di metri cubi (6).

Il gasdotto Nord Stream 2 Con l’inaugurazione del gasdotto Nord Stream 1 (NS1), nel 2011, la Russia ha parzialmente raggiunto il suo obiettivo. Aprendo una rotta d’esportazione alternativa che non attraversa l’Ucraina (7) è stata svincolata dalla dipendenza del transito in un paese terzo. Mettendo in diretto collegamento la produzione russa con i mercati di consumo della Germania e dell’Europa centrale, la Russia ha inoltre evitato dannose interruzioni degli approvvigionamenti capaci d’inficiare negativamente lo status di sicurezza energetica di entrambi i vettori. L’irrigidimento europeo nei confronti della Russia a seguito della crisi ucraina e le successive sanzioni rappresentano soltanto la più recente dimostrazione del sostanziale mutamento del quadro di cooperazione energetica euro-russa. Le ambizioni europee, d’intraprendere una strategia di differenziazione energetica delle rotte e dei fornitori per ridurre la dipendenza dalle importazioni russe, ostacolano indubbiamente i piani di espansione energetica di Mosca, in particolar modo il raddoppio del gasdotto NS1 con il nuovo progetto Nord Stream 2 (NS2), che ha previsto la costruzione di due linee di gasdotti con una capacità totale di 55 miliardi di

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metri cubi all’anno, dalla costa della Russia attraverso il mar Baltico fino alla Germania, per 1.290 km. Il suo costo è di circa 9 miliardi di euro. Il progetto è finanziato per metà da Gazprom (Russia) e l’altra metà da cinque società europee: OMV (Austria), Wintershall Dea e Uniper (Germania), Engie (Francia) e Shell (anglo-olandese). Il nuovo gasdotto raddoppia la capacità del gasdotto NS1 attualmente in funzione, seguendo in gran parte lo stesso percorso, come già detto, ma la sua costruzione è stata sospesa alla fine del 2019, quando la società svizzera Swiss-Dutch Allseas Company ha interrotto i lavori a causa delle sanzioni di Washington, che si oppone apertamente ed è impegnata in sforzi attivi per fermare il progetto. Visto che gli equilibri energetici nell’Europa dell’Est si basano su lotte d’influenza dirette e indirette fra Stati Uniti e Russia, il governo americano ha dichiarato che questo progetto andrebbe contro la sicurezza energetica dell’Europa, rendendo la Germania e altri alleati degli Stati Uniti eccessivamente dipendenti dalle forniture dei Il percorso dei gasdotti in Germania con interconnessioni europee. In alto: i percorsi dei gasdotti Nord vettori energetici russi. Stream 1 e Nord Stream 2 (Gazprom). L’obiettivo americano è dare un Come riportato dal portavoce del dipartimento di Stato duro colpo agli interessi di Mosca e fornire supporto alamericano Ned Price: «Il Nord Stream 2 e la seconda linea l’Ucraina, come paese utilizzato per il transito del gas nadel TurkStream sono progettati per aumentare l’influenza turale russo verso l’Europa, che il gasdotto bypasserà della Russia sui nostri alleati e partner, e minano la sicuprivandola così delle tasse di passaggio, che il paese ottiene rezza transatlantica». ll gasdotto TurkStream, chiamato dal gas russo diretto verso altri paesi europei. L’Ucraina, precedentemente Turkish Stream, è un gasdotto che va grazie a questo ricava un reddito di 7 miliardi di euro aldalla Russia alla Turchia. TurkStream ha sostituito il prel’anno. Se il NS2 dovesse sostituire i due gasdotti, Soyuz e cedente progetto chiamato South Stream, che è stato anBrotherhood, che riforniscono l’Europa attraverso il suo nullato nel 2014. In seguito dell’abbattimento di un caccia territorio, l’Ucraina, oltre a una perdita finanziaria, sarebbe russo da parte della Turchia nel novembre 2015, il progetto esposta al rischio di un aumento di interruzioni energetiche è stato temporaneamente sospeso. Tuttavia, le relazioni tra da parte di Mosca.

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le recenti discussioni con Mosca sull’accumulo di truppe al confine con l’Ucraina e l’incarcerazione del personaggio dell’opposizione russa Alexey Navalny mostrano la necessità di un’azione dura contro la Russia (9). La risoluzione chiede che vengano rivisti i progetti di cooperazione economica con la Russia, a partire dal progetto del Nord Stream 2, di cui viene chiesto «il blocco immediato del suo completamento». I deputati «insistono sul fatto che l’UE dovrebbe ridurre la sua dipendenza dall’energia russa», mentre esortano tutti gli Stati membri a «rivedere i progetti di cooperazione economica con la Russia, a partire dal progetto del Nord Stream 2, di cui viene chiesto il Il percorso del gasdotto Yamal. In alto: il percorso del gasdotto Nord Stream 2, i limiti delle frontiere blocco immediato del suo commarittime e delle EEZ (Economic Esclusive Zone) nel mar Baltico (Gazprom). pletamento» (10). Russia e Turchia sono migliorate nell’estate 2016 e l’acIl progetto NS2 è stato completato il 4 giugno 2021, cordo intergovernativo per la costruzione del TurkStream così come è stato annunciato dal presidente Putin. Sosteè stato firmato nell’ottobre 2016. La costruzione è iniziata nuto dal governo tedesco, nonostante gli Stati Uniti aba maggio 2017 e le prime forniture di gas in Bulgaria atbiano imposto sanzioni alle imprese coinvolte nella sua traverso il gasdotto sono iniziate il 1º gennaio 2020. Gli costruzione. In effetti, il cancelliere tedesco Angela MerStati Uniti continueranno a controllare la costruzione del kel ha così commentato (11): «C’erano state discussioni gasdotto che, come si ritiene, è terminato per il 95%. «Moe negoziati con l’America sulla questione Nord Stream 2» nitoreremo l’attività per completare o certificare la pipeline, a margine del vertice UE del maggio scorso, sottolineando e se tale attività avrà luogo prenderemo una decisione sulche Berlino ha accolto con favore il rifiuto di Washington l’applicabilità delle sanzioni », ha affermato Price (8). di sanzioni contro l’operatore tedesco del progetto, il Nord Le sanzioni prendono di mira le compagnie di assicuraStream 2 AG. Il Cancelliere ha sottolineato che «Berlino zione (AXA), la società di certificazione (DNV GL), nonsi è sempre opposta alle sanzioni extraterritoriali» (12). ché i fornitori di navi (Pioneer Sprit della compagnia In effetti, per la Germania il NS2 è la pietra angolare svizzero-olandese) e altre 120 entità legali e fisiche. della politica energetica del cancelliere Merkel, che mira A Strasburgo, il 21 gennaio 2021, un gruppo di depua tirare contemporaneamente la Germania fuori dal cartati del Parlamento europeo ha redatto una risoluzione bone e dall’energia nucleare. A questo proposito il vice che imporrebbe nuove sanzioni alla Russia e farebbe nauprimo ministro della Federazione Russa, Alexander fragare il nuovo gasdotto del mar Baltico sostenuto da Novak ha annunciato che Russia e Germania stanno laMosca. La mozione, avanzata dai rappresentanti di alcuni vorando a varie forme di cooperazione nel campo deldei più grandi gruppi politici dell’assemblea, afferma che l’energia da idrogeno. Gazprom ha creato una nuova

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società appositamente per questo, con l’obiettivo di implementare progetti innovativi sull’idrogeno. Inoltre, Gazprom è pronta a pompare anidride carbonica in modalità inversa dall’Europa alla Russia per i fini del suo uso industriale o il suo smaltimento. Di riflesso Oliver Hermes, capo del Comitato orientale dell’economia tedesca, ha annunciato che, a differenza di altri gasdotti, l’idrogeno potrebbe anche essere trasportato tramite il gasdotto Nord Stream 2. Ciò è diventato possibile grazie all’uso di materiali speciali. Gazprom, ha già annunciato un’iniziativa per avviare un grande impianto per la produzione di idrogeno da metano in Germania. Potrebbe essere costruito in prossimità dell’approdo di entrambe le due tratte del gasdotto Nord Stream (1 e 2), come confermato da Alexander Ishkov, capo del Dipartimento di risparmio energetico ed ecologia di Gazprom, nell’ambito del forum russo-tedesco sulle materie prime (13). Non c’è dubbio che questo nuovo serio argomento giochi a favore del completamento e del lancio del gasdotto Nord Stream 2, dando forza alle argomentazioni dei suoi sostenitori russi ed europei (14). Nonostante l’adozione da parte americana di una serie di atti legislativi che hanno aperto la strada a sanzioni unilaterali, anche nei confronti delle società coinvolte nel progetto. Va notato che queste sanzioni da Washington potenzialmente prendono di mira 120 aziende, principalmente europee, di una dozzina di paesi, che vanno da quelle direttamente partner del progetto, ai loro sub-appaltatori coinvolti nella pipeline, attraverso alcuni porti europei attivi nella sua costruzione, società di servizi, compagnie di navigazione o di assicurazione. E anche se Joe Biden ha sottolineato il desiderio di ricucire gli strappi, del suo predecessore, con gli alleati europei e pacificare le relazioni transatlantiche, in particolare con la Germania (15). Gli Stati Uniti sono preoccupati dalla fine dei lavori del NS2, che hanno ripreso avvio con l’arrivo della nave pipelaying russa Akademik Chersky, il 30 marzo 2021, al largo della Danimarca, per la posa delle ultime condutture del gasdotto fino al suo definitivo compimento (16). Per ritorsione, il 21 maggio, gli Stati Uniti hanno inserito nella lista nera 13 navi russe coinvolte nell’attuazione del progetto del gasdotto: Akademik Cherskiy, Artemis Offshore, Bakhtemir, Baltic Explorer, Finval, Kapitan Beklemishev, Murman, Narval, Si-

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vuch, Spasatel Karev, Umka, Vladislav Strizhov e Yury Topchev (17). Se l’azione di contrasto americana diventerà fatto compiuto ciò potrebbe, per conseguenza, dividere l’UE e far diventare gli Stati Uniti il protagonista chiave della difesa del fianco Est dell’Unione, con il pericolo di spingere la Russia a Oriente, alla ricerca di nuovi partner, in particolare la Cina (18).

Gli Stati Uniti e le esportazioni di gas di scisto Occorre ricordare che, al momento della costruzione del NS1, la produzione del petrolio e del gas di scisto (shale gas) negli Stati Uniti era ancora nella fase iniziale, da qui l’assenza di alternativa (anche geopolitica) al gas attraverso l’Atlantico. Tuttavia, l’aumento negli ultimi anni della produzione di shale gas statunitense ha avuto come conseguenza il moltiplicarsi delle iniziative americane volte a limitare l’influenza russa in Europa orientale. Gli Stati Uniti mirano a trasformare questa regione in un nuovo sbocco per le sue esportazioni di gas di scisto (19) sotto forma di GNL (gas naturale liquefatto), sovrabbondante oltre atlantico, che però è molto più costoso del gas naturale che la Russia fornisce tramite i suoi gasdotti (20). In ogni caso, l’orientamento europeo favorevole verso le forniture di GNL collima con le ambizioni dell’UE d’intraprendere una strategia di differenziazione energetica delle rotte e dei fornitori, per ridurre la dipendenza dalle importazioni russe, e ciò ostacola indubbiamente i piani di espansione energetica di Mosca. La questione riguarda la relazione di dipendenza strutturale che i paesi clienti intrattengono durevolmente con i paesi fornitori, visto che la presenza di gasdotti sul territorio può creare indubbiamente un legame stretto tra le parti. Al contrario, la neutralità in teoria promessa dal GNL grazie alla sua flessibilità e alla sua fluidità, in realtà non sarebbe garantita (21). In effetti, il GNL crea solo in apparenza un legame commerciale tra, da una parte le società produttrici e dall’altra gli Stati importatori, poiché se i flussi di GNL possono essere più innovativi del gas naturale, è anche vero che criteri economici e/o politici legati a futuri contesti di tensioni internazionali possono influire sulle forniture verso certi paesi, determinando che le stesse possano essere ridotte o interrotte, ovvero dirottate verso altre destinazioni (22). In questo quadro, particolare valore politico assume-

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rebbe il GNL proveniente dagli Stati Uniti alimentato dall’incremento della produzione gasifera legata allo sfruttamento del gas non convenzionale (shale gas). D’altra parte, gli atti degli ultimi 5 anni di politica statunitense sul progetto del NS2 mostrano l’impatto negativo dell’azione legislativa del Congresso verso la pipeline, e fanno comprendere il contesto in cui la nuova amministrazione statunitense stia riprendendo in mano questo dossier. Stati Uniti e UE hanno sostenuto fortemente la proposta, volendo fare del gas americano la prima risorsa energetica dei paesi dell’Europa centrale, tagliando fuori i paesi direttamente dipendenti dalla Russia come la Bielorussia. Washington si adopererà per la messa in campo di misure di «soft e smart power» riguardanti il sostegno del progetto Baltic-Adriatic-Black Sea (BABS), e di sanzioni extraterritoriali, che rientrano nel quadro della legge americana CAATSA (Countering America’s Adversaries Though Sanction Act) del 2017 e della legge PEESA (Protecting Europe’s. Energy Security Act) del 2019.

Il Progetto BABS (Baltic-Adriatic-Black Sea) È in questo quadro che è apparso un piano per l’Europa centrale sviluppato a Washington nel 2016: il progetto BABS (Baltic-Adriatic-Black Sea), nato da un’iniziativa congiunta di Polonia e Croazia che, il 25 e 26 agosto 2016, il Forum internazionale di Dubrovnik ha portato a compimento. È stato in questo forum, che ha riunito i rappresentanti 12 paesi dell’Europa centrale tutti membri dell’UE, che il progetto BABS, noto anche come «Three Seas Initiative», è stato enunciato al suo termine, con una dichiarazione congiunta sulla cooperazione per energia, trasporti, digitale ed economia, tra i dodici paesi della regione, con soddisfazione di Washington e dei paesi partecipanti (23). L’«Iniziativa dei Tre Mari» (24) mira alla creazione di un asse economico nord-sud in Europa centrale e orientale, principalmente volto a sviluppare la cooperazione in materia di energia, di trasporto terrestre e d’economia fra dodici paesi situati fra l’Adriatico, il mar Baltico e il Mar Nero; la maggior parte dei paesi interessati sono membri della NATO: Polonia, capofila del progetto, Austria, Ungheria, Bulgaria, Romania, Croazia, Slovenia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lituania, Lettonia ed Estonia. L’opera di Donald Trump in politica estera ha trasfor-

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mato ed energizzato il progetto BABS. Fedele al suo slogan «indipendenza energetica, dominio energetico», l’amministrazione Trump ha usato il progetto BABS per indebolire la Russia e aumentare le esportazioni statunitensi di GNL in Europa (25). Al fine di contrastare i flussi di gas della Russia est-ovest, il progetto BABS è diventato esclusivamente un corridoio strategico del gas nell’Europa centrale sull’asse nord-sud, provenienti dai tre mari (Adriatico, Baltico e Mar Nero) (26). Cosciente dell’assenza di risposta europea alle inquietudini che si manifestavano nei paesi dell’ex blocco sovietico a riguardo della loro grande dipendenza dal petrolio e gas russo, nel 2006 il governo polacco ha proposto la creazione di una NATO dell’energia, non potendo le questioni energetiche essere scisse dalle questioni della sicurezza con particolare riferimento alla Russia. In questo quadro, la Polonia diventerebbe una piattaforma di ridistribuzione di gas naturale in Europa orientale, a partire dal gas di scisto importato dagli Stati Uniti e l’Ucraina perderebbe il suo ruolo di primo paese di transito di gas russo verso l’Europa occidentale. Stesso dicasi per la Bielorussia, e la Russia sarebbe tagliata dal suo mercato principale (27). Inoltre, con tale iniziativa verrebbe a crearsi una solidarietà regionale di sicurezza indipendente dall’UE per meglio far fronte alla Russia, stabilendo un cordone sanitario di contenimento delle mire espansioniste russe in Crimea, Trasnistria, Ossezia del Sud, Abkhazia e Ucraina orientale (28). Questo progetto ha potuto vedere la luce grazie alla mancanza da parte dell’UE di una politica energetica comune dotata di una visione strategica, destinata a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti (29).

I tentativi balcanici: il progetto South Stream Il gasdotto South Stream è costituito dal progetto russo-italo-franco-tedesco per la costruzione di un gasdotto da posare sul fondo del Mar Nero da Anapa al porto bulgaro di Varna. In totale erano previste 4 condotte con una capacità complessiva di 63 gm3 di gas all’anno che doveva trasportare entro il 2020 il gas russo attraverso il Mar Nero, Bulgaria, Serbia, Ungheria, Slovenia, e due stringhe della pipeline dovevano collegare la penisola balcanica all’Italia e all’Austria. Questa realizza-

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zione avrebbe permesso un’ulteriore marginalizzazione della scarsamente affidabile rotta ucraina, anche se quest’ultima risultava necessaria per trasportare almeno 50 gm3 di gas all’anno. Quando pienamente operativa, la capacità del gasdotto South Stream è stata calcolata in 63 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Nel giugno 2007 è stato firmato un memorandum d’intesa per il progetto tra ENI e Gazprom, delineando la collaborazione tra le aziende nello sviluppo del progetto. Nel 2008 la società South Stream AG è stata costituita in Svizzera da Gazprom ed ENI 50-50, per la costruzione della sezione oleodotto offshore. Nel giugno 2010, ENI, Gazprom e la società francese EDF firmavano un memorandum trilaterale; ai sensi del memorandum EDF aderiva alla struttura azionaria South Stream AG. Tuttavia questo progetto è stato abbandonato nel bel mezzo dei lavori da Mosca, con il pretesto delle sanzioni esercitate dall’UE sulla Russia durante i fatti in Crimea. Il suo abbandono è avvenuto in un contesto di vive tensioni diplomatiche con l’Unione europea. La Commissione UE ha rifiutato di concedere a Gazprom l’esenzione di cui avrebbe avuto bisogno per far funzionare il gasdotto a piena capacità, considerandolo un potenziale ulteriore strumento per il Cremlino per esercitare il controllo economico sull’Europa meridionale e orientale (30). Per la Russia il South Stream doveva eludere l’Ucraina e quindi contribuire a ridurre il rischio di interruzioni nella fornitura di gas russo all’Europa a causa delle controversie tra Mosca e Kiev, come è successo nel 2006 e nel 2009. Oltre alla mancanza di approvazione da Bruxelles, il progetto ha avuto dei problemi nella raccolta dei finanziamenti per la sezione offshore del gasdotto da 14 miliardi di euro a causa delle sanzioni occidentali alla Russia che hanno reso le banche europee caute sui prestiti a un consorzio guidato da Gazprom (31). Occorre evidenziare che questo progetto in origine era stato concepito per affossarne un altro, quello del gasdotto Nabucco, alternativo al South Stream e molto più vicino alle aspirazioni degli Stati Uniti, orientati a limitare l’influenza russa in Europa. Tuttavia il progetto del Nabucco, che doveva attraversare la Turchia, pompando il gas prima dal mar Caspio, sia dalla riva occidentale azerbaigiana che da quella orientale turkmena, è stato abbandonato anch’esso nel 2012. Ciononostante, appena due mesi dopo il ritiro dal

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South Stream, la Russia ha iniziato a costruire il gasdotto TurkStream con Ankara, che non è un membro dell’UE, e non è interessata dagli accordi sul pacchetto energetico. TurkStream ha due linee parallele: la prima per fornire gas alla Turchia, la seconda per la successiva vendita in Europa (sebbene i mercati determineranno l’effettiva ripartizione del volume). La sezione offshore del gasdotto TurkStream, dalla Russia alla Turchia, è stata inaugurata il 19 novembre 2018. Il gasdotto ha una capacità totale di 31,5 miliardi di metri cubi. La brillante operazione ha tuttavia provocato l’ira del governo statunitense, infatti, la Turchia, il 20 dicembre 2019, ha denunciato la minaccia delle sanzioni americane, previste dalla legge PEESA, anche contro le società turche coinvolte nella costruzione del gasdotto TurkStream (32). A seguito dei fatti illustrati, la Commissione UE ha deciso di scegliere un’altra via di approvvigionamento appoggiando l’idea di un corridoio sud, per trasportare 12 miliardi di metri cubi/anno di gas dal giacimento offshore di gas Shah Deniz in Azerbaigian, utilizzando il gasdotto SCP (Caucaso meridionale), passante per il territori dell’Azerbaigian e della Georgia, il gasdotto TANAP attraverso la Turchia e il gasdotto TAP (TransAdriatico) attraverso la Grecia e l’Albania e una sezione offshore verso il sud Italia, in Puglia, per connettersi infine alla rete di distribuzione italiana del gas.

Il gasdotto TAP (Trans Adriatic Pipeline) Il gasdotto TAP è un TSO (Transmission System Operator) e un ITO (Independent Transmission Operator), che fornisce capacità agli «shipper» interessati a un servizio di trasporto di gas naturale sicuro, affidabile ed efficiente (33). Uno dei principali obiettivi di TAP è quello di rafforzare la sicurezza energetica nell’area balcanica, particolarmente vulnerabile. Iniziata la costruzione nel 2016, attualmente, il gasdotto TAP, che attraversa Grecia, Albania, mar Adriatico e Italia per 878 km, avvia le operazioni commerciali, trasportando il primo gas proveniente dall’Azerbaigian via Grecia e, attraverso il punto di interconnessione con la rete di DESFA (operatore di sistemi di trasporto di gas naturale in Grecia. È stata fondata il 30 marzo 2007 come filiale della DEPA) a Nea Mesimvria, va anche in Bulgaria. In Italia, il gas viene

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Il percorso del gasdotto TAP. Nella pagina accanto: la rete di distribuzione gas nel Sud-Est europeo; in basso, il Corridoio Sud, percorso dei gasdotti TAP+TANAP+SCP (TAP).

convogliato nella rete nazionale SNAM, passando dal terminale di Melendugno (34). Nel marzo 2021 TAP ha trasportato il primo miliardo di metri cubi di gas in Europa che, giunto al punto di interconnessione di Kipoi, in Grecia, si è connesso con il gasdotto TANAP (35). Elshad Nasirov, vice presidente della società petrolifera e del gas dell’Azerbaigian SOCAR, ha affermato che il corridoio meridionale del gas non è in concorrenza con nessun progetto esistente, ma fornirà all’Europa gas aggiuntivo. Kjetil Tungland, amministratore delegato di TAP, ha anche sottolineato l’importanza del progetto di un «corridoio verticale» verso la Bulgaria che si collegherebbe a TAP (36). Un’interessante opportunità potrebbe risiedere nelle sinergie tra TurkStream e il Trans Adriatic Pipeline (TAP), che così potrà essere raddoppiato in capacità, assorbendo gran parte del gas che scorre attraverso TurkStream, fornendo gas aggiuntivo a Grecia, Bulgaria, Albania, Italia e Balcani occidentali (37).

Il progetto EastMed Una serie di interessi si intersecano nel Mediterraneo orientale, dove Turchia, Grecia, Cipro, Israele, Egitto e Stati Uniti si stanno tutti sforzando di aumentare la loro influenza e una nuova dimensione geopolitica potenzialmente esplosiva si aggiunge al complicato puzzle che è il Medio Oriente. La scoperta delle riserve di petrolio e gas naturale nel bacino del Levante ha, infatti, aggiunto un ulteriore livello di complessità all’attuale situazione. Le prime esplorazioni risalgono agli anni Settanta al largo della costa egiziana, ma si trattava di piccoli giacimenti di idrocarburi. Le ricerche offshore di Israele hanno portato alla scoperta di nuovi giacimenti di gas negli anni Novanta e nei primi anni Duemila. Le prospezioni sono

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continuate fino al 2009, quando sono state trovate grandi sacche di gas nel giacimento di gas offshore israeliano chiamato Tamar, seguite poi da molto più importanti: il campo di Afrodite vicino a Cipro; il Leviatano nelle acque israeliane; e nel 2015, un campo supergigante nelle acque egiziane chiamato Zohr. In tutta quest’area l’US Geological Survey ha stimato giacimenti fino a 122 trilioni di piedi cubi di gas e 1,7 miliardi di barili di petrolio. Quantità di gas equivalenti a circa 76 anni di consumo di gas nell’Unione europea (38). Finora sono stati scoperti oltre 60 trilioni di piedi cubi (tcf) di gas naturale in Israele, Egitto, Cipro e Libano, che già superano le riserve di gas della Libia, membro dell’OPEC. Israele è sulla buona strada per iniziare la produzione dall’enorme giacimento Leviatano (Leviathan), che ha 22 tcf di riserve, ed è una delle più grandi scoperte di gas naturale al mondo negli ultimi decenni. Israele e Libano hanno aperto discussioni su questioni di sfruttamento delle risorse di gas naturale lungo il loro confine marittimo. Inoltre, Israele ha firmato un accordo storico per fornire 20 miliardi di dollari di gas naturale all’Egitto (39), che ha iniziato a produrre gas naturale, anch’esso, negli ultimi due o tre anni, da una serie di importanti giacimenti scoperti nel mar Mediterraneo orientale. La produzione di questo paese ha raggiunto i massimi di 7 miliardi di piedi cubi di gas (bcf), dopo che la produzione è stata avviata dai suoi giacimenti di gas di Zohr, North Alexandria e Nooros. L’Egitto è oramai divenuto un esportatore netto di gas naturale negli ultimi due anni. Nell’area in questione, gli Stati Uniti stanno cercando di contrastare le mosse espansionistiche della Turchia, a sostegno di ExxonMobil e Noble Energy in operazioni di trivellazione nel Mediterraneo orientale. Per soste-

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nere le compagnie energetiche americane che lavorano nelle acque del Mediterraneo, il Congresso degli Stati Uniti ha incluso disposizioni in un’imponente legge di spesa che include la revoca dell’embargo sulle armi a Cipro, istituito nel 1987 per allentare le tensioni sull’isola; incanalare aiuti militari a Cipro; costruire un centro energetico statunitense nella regione e sostenere il piano di costruzione di un gasdotto tra il Mediterraneo orientale e l’Italia attraverso Creta e la Grecia continentale: il gasdotto EastMed (40). Il gasdotto EastMed è un progetto per il collegamento diretto per l’Europa alle nuove fonti gasifere del Mediterraneo orientale, scoperte negli ultimi vent’anni da almeno tre paesi: Egitto, Israele e Cipro. Tale gasdotto (offshore/onshore), collegherà direttamente le risorse del Mediterraneo orientale alla Grecia attraverso Cipro e Creta, e avrà anche la possibilità di aggiungere o prelevare gas lungo il percorso. In poche parole i suoi vantaggi sono di migliorare la sicurezza della fornitura di gas in Europa attraverso una diversificazione di controparti, rotte e fonti; di sviluppare risorse autoctone dell’UE come le riserve di gas offshore intorno a Cipro e in Grecia; e di promuovere lo sviluppo di un Gas Hub del Sud mediterraneo (41). Il gasdotto, che parte dai nuovi giacimenti di gas naturale nella regione del Mediterraneo orientale, ha una lunghezza totale di circa 1.900 km, una profondità di 3 km e una capacità di 10 miliardi di metri cubi all’anno. L’attuale design del progetto EastMed prevede una condotta offshore di 1.300 km e una condotta onshore di 600 km, e comprende le seguenti sezioni: — una sezione di gasdotto offshore di 200 km con un diametro di 24 pollici che partirà dal giacimento di gas

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Leviathan in Israele e terminerà a Cipro, collegando il giacimento di gas Aphrodite. A Cipro sarà costruita una centrale di compressione da 100 MW; — una sezione del gasdotto offshore di 700 km con un diametro di 26 pollici collegherà il gasdotto da Cipro all’isola di Creta, dove sarà installata una stazione di compressione da 120 MW; — la sezione finale del gasdotto offshore sarà lunga 400 km e avrà un diametro di 26 pollici. Inizierà da Creta e finirà nella Grecia continentale nel sud del Peloponneso. La sezione del gasdotto onshore di 600 km avrà un diametro di 42 pollici e si estenderà dal Peloponneso alla Grecia occidentale (42). Il gasdotto ha punti di uscita a Cipro, Creta e Grecia continentale, nonché punti di connessione con il gasdotto Poseidon Pipeline, che costituisce la spina dorsale di un più ampio sistema di interconnessioni nell’Europa sudorientale, progettato per collegare i mercati europei con nuove fonti di gas e rotte diversificate, un interconnettore di gas naturale multi fonte, che si estende dal confine turco-greco all’Italia. La nuova configurazione del progetto consente l’accesso al gas dal bacino del

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Il percorso del gasdotto EastMed-Poseidon. Il 5 maggio 2020 il Parlamento greco ha adottato la legge 4685/A/7-5-202, che designa il progetto del gasotto EastMed-Poseidon come progetto di importanza nazionale e di interesse pubblico per la Grecia, compresa la sezione onshore di Poseidon dal confine turco-greco alla costa ionica-greca in Tesprozia (IGI Poseidon).

CASTORO SEI, posa del tubo durante la fase di inserimento del microtunnel. In alto: posa dei tubi nella zona costiera delle acque albanesi, marzo 2019 (TAP).

Caspio, dall’Asia centrale, dal Medio Oriente e dal bacino del Mediterraneo orientale (43). EastMed ha una capacità iniziale di 10 bcm/a (miliardi di metri cubi di gas all’anno) per il trasporto dalle riserve di gas offshore nel bacino del Levante (Cipro e Israele) in Grecia, con i gasdotti Poseidon e IGB (44), in Italia e in altri paesi del Sud-Est Europa. La sua capacità sarà aumentata fino a un massimo di 20 miliardi di metri cubi/anno nella seconda fase (45). Sei paesi sono principalmente interessati da questo progetto, due paesi esportatori: Israele e Cipro, ai quali si aggiunge la Grecia come paese importatore, transito o eventualmente produttore a lungo termine e l’Italia come paese di destinazione finale e/o transito. Egitto e Turchia completano questo elenco (46). Nel 2015, il gasdotto EastMed è stato confermato come Progetto di Interesse Comune (PCI), essendo stato inserito dalla Commissione UE nella seconda lista PCI tra i progetti Southern Gas Corridor, e anche nell’ultimo Piano decennale di sviluppo (TYNDP), in linea con l’obiettivo dell’European Network Transportation System Operators of Gas (ENTSOG) di creare un mercato unico eu-

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ropeo del gas (47). Nel 2017 i ministri dell’Energia di Italia, Grecia, Cipro e Israele hanno firmato una Dichiarazione di joint venture per confermare il loro sostegno allo sviluppo del progetto. Nel novembre 2019 IGI Poseidon (48) ha firmato un Memorandum of Understanding (MoU) con Israel Natural Gas Lines (INGL), a favore di uno sviluppo coordinato dell’EastMed Oleodotto in Israele. L’accordo mira a collegare il progetto al sistema di trasmissione israeliano e facilitare il flusso di gas naturale da fonti dell’area del Mediterraneo orientale verso l’Italia e l’Europa via Cipro (49). Seguito questo da un altro MoU con TMNG, una sussidiaria della società di ingegneria petrolifera e del gas israeliana Tahal Group (50). Il sostegno al progetto da parte dell’Italia, paese di destinazione finale del gasdotto EastMed, attraverso un’estensione del gasdotto Poseidon (51), è stato variabile nel tempo, a volte a favore a volte contro, a seconda dell’orientamento politico dei governi in carica. Se nel 7 maggio 2019, il Primo ministro italiano Giuseppe Conte ha dichiarato, nel corso di un evento vicino a Roma, che l’Italia si opponeva alla sua costruzione; il 1° gennaio 2020, il ministro dello Sviluppo economico italiano Stefano Patuanelli ha inviato al suo omologo greco una lettera di sostegno al gasdotto EastMed, ripristinando così il sostegno dell’Italia al progetto, a seguito dell’accordo tripartito per la costruzione del gasdotto il 2 gennaio 2020, firmato ad Atene tra i leader greco, israeliano e cipriota. Tuttavia, per tutti i quattro paesi, sarà necessario attendere fino al 2022 e alla decisione finale di investimento (FID), che sarà presa dalle società responsabili della costruzione e del futuro funzionamento del gasdotto EastMed, prima che questo progetto possa essere completato come previsto nel 2025 (52).

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Geopolitica dell’energia. La rilevanza strategica dei gasdotti Nord Stream2 ed EastMed, per l’UE

I conflitti nel bacino del Levantino Negli ultimi anni, la scoperta delle risorse energetiche nel bacino del Levantino ha generato un altro punto di contesa, poiché Cipro (e, per estensione, la Grecia) e Cipro del Nord (e, per estensione, la Turchia) vogliono trivellare petrolio e gas naturale nella stessa zona (53). L’isola è al centro delle controversie marittime in corso nel mar Mediterraneo orientale sulle Zone Economiche Esclusive e sulle potenziali riserve di gas (54). Le tensioni tra Cipro e Turchia hanno frenato lo sviluppo di progetti di gas nella regione locale. Il governo greco-cipriota e l’Unione europea hanno accusato Ankara di aver violato la Zona Economica Esclusiva nel mare della Repubblica di Cipro. Denunce che la Turchia respinge sostenendo che sta trivellando in aree in cui i turcociprioti hanno i diritti di sfruttamento (55). Il quadro si è fatto ancor più complesso in quanto la prospettiva di grandi ritrovamenti di idrocarburi ha attirato anche l’interesse di una grande potenza esterna: gli Stati Uniti. La Casa Bianca sostiene gli attuali piani di Cipro di unire le forze con Israele ed Egitto per esplorare l’energia nella regione e sviluppare infrastrutture per fornire gas naturale all’Europa. Gli Stati Uniti hanno interessi economici (alcune delle sue società, come ExxonMobil, stanno conducendo esplorazioni al largo delle coste cipriote) e considerazioni geopolitiche nell’area, poiché la Casa Bianca vuole che l’Europa riduca la sua dipendenza dal gas naturale russo (56). Occorre ricordare che le rivendicazioni sulle acque territoriali di Grecia e Cipro sono sostenute dal diritto internazionale ai sensi della Convenzione delle Nazioni unite del 1982 sul Diritto del Mare. Ma la Turchia non è firmataria della Convenzione, quindi anche se le ultime azioni della Turchia fossero ritenute illegali da un tribunale marittimo internazionale, la Turchia probabilmente ignorerebbe le sentenze contro di essa. Per contro, le rivendicazioni turche sulle acque intorno alle grandi isole del Mediterraneo come Creta, Cipro e Rodi non hanno «fondamenti legali» perché quelle isole, a causa delle loro dimensioni, hanno ampi diritti di sfruttamento economico sulle acque offshore che le circondano, e anche se la Turchia non ha firmato la Convenzione sul Diritto del Mare, dovrebbe rispettare il trattato e le sue clausole che definiscono i confini marittimi perché è «diritto internazionale consuetudinario» e quindi in linea di principio vincolante per Ankara (57). Al riguardo occorre anche osservare come la Turchia sia in prima linea nell’opporsi al progetto Ea-

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stMed. In ogni caso, secondo studi prospettici esistono molte perplessità sulla realizzazione del progetto EastMed, che si sviluppa su una zona strategica instabile caratterizzata da crescenti tensioni sul fondo di una ridefinizione di alleanze regionali proteiformi e incerte sulla durata (58). La Turchia sostiene inoltre che il progetto del gasdotto EastMed ignori i suoi pari diritti sulle risorse naturali nelle acque territoriali cipriote. Il problema è che nonostante le sua 5.000 miglia di costa mediterranea, la ZEE che la Turchia vorrebbe dichiarare è difficile da determinare poiché in essa vi sono, come enclavi, una miriade di isole greche. Anche Cipro, sospinge i confini marittimi turchi a 45 miglia al largo dalla costa. Ciò fa perdere potenzialmente alla Turchia circa la metà del suo spazio marittimo facendolo diventare un mare asfittico. Per porvi rimedio Turchia e Libia, nel dicembre 2019, hanno raggiunto un accordo per creare una Zona Economica Esclusiva dalla costa meridionale del Mediterraneo della Turchia alla costa nord-orientale della Libia. La mossa turca è stata vista come un tentativo illegale sia di aprire il Mediterraneo per le proprie operazioni di trivellazione e militari, sia un modo per bloccare la costruzione di un potenziale oleodotto tra Cipro e la Grecia, un progetto sostenuto da UE, Stati Uniti e Israele e noto come il gasdotto EastMed, come già detto, poiché il gasdotto dovrà passare attraverso la zona rivendicata. Ma questa include anche le acque al largo di Creta e appunto quelle delle numerose isole greche dove si trovano vere enclavi marittime di fronte alle coste turche (59). Non è un caso che il 10 agosto 2020 la Turchia abbia dispiegato la nave da ricerca Oruc Reis e unità da guerra nelle acque contese al largo di Kastellorizo, un’isola greca che si trova a sole 2 miglia dal sud della Turchia, e ha prolungato la sua missione due volte, fino a metà settembre 2020 aumentando di molto le tensioni con la Grecia e il resto dell’UE. Queste azioni della Turchia, che si manifestano nel bacino del Levante, appaiono come un’aggressiva diplomazia delle cannoniere, e a parere di molti, dovrebbero essere opportunamente contrastate. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha assunto una posizione molto netta, definendo «banditismo» i tentativi dell’UE di bloccare la Turchia e si è rifiutato di fare marcia indietro (60). In posizione di stallo, con la Turchia che tiene sotto controllo i flussi migratori diretti nei Balcani, è improbabile che l’UE possa applicare ad Ankara una qualsivoglia sanzione significativa, contro le sue ripetute violazioni (61). 8 45


Geopolitica dell’energia. La rilevanza strategica dei gasdotti Nord Stream2 ed EastMed, per l’UE NOTE (1) Secondo la quarta edizione del Global Gas Report 2020 della SNAM «l’aumento dell’offerta e i prezzi accessibili hanno consentito una domanda record di gas nel 2019 in mercati in crescita chiave come la Cina. Anche le importazioni di GNL hanno raggiunto livelli record in Europa, supportate dall’aumento dei prezzi del carbone. Una parte significativa della crescita è stata derivata dal passaggio dal carbone al gas nei principali mercati come Stati Uniti e Cina. Nel 2019 sono state commissionate nuove importanti rotte di gasdotti dalla Russia alla Cina e all’Europa e una nuova capacità da trasporto è stata costruita nella regione di approvvigionamento critica del bacino del Permiano negli Stati Uniti. Lo scorso anno è stato approvato un numero record di progetti di esportazione di GNL. Una volta commissionati, questi forniranno quasi 97 miliardi di metri cubi all’anno di nuova fornitura di GNL al mercato. In questo quadro, particolare valore politico assumerebbe il GNL proveniente dagli Stati Uniti alimentato dall’incremento della produzione gasifera legata allo sfruttamento del gas non convenzionale». (2) Philippe Sebille-Lopez, Le gaz naturel en Europe: quels enjeux énergétiques et géopolitiques?, Premère partie, diploweb.com: la revue géopolitique, 25 octobre 2020. (3) Ibidem. (4) Il gas naturale e i liquidi associati rappresentano circa il 29% di tutti i combustibili fossili utilizzati complessivamente come materie prime nell’industria chimica. L’accresciuto interesse per il gas naturale è dovuto a fattori congiunturali legati alla transizione energetica e a ridurre il consumo di carbone a livello mondiale. La sua disponibilità è abbondante, le sue riserve al mondo sono di 50 anni, al ritmo attuale di produzione/consumo. (5) Le maggiori riserve sono concentrate in Siberia, dove solo i giacimenti di Yamburg, Urengoy, e Medvezh’ye rappresentano oltre il 40% del totale delle riserve nazionali. (6) Pari a 33.500 gmc, che rappresentano quasi un quinto del totale delle riserve mondiali di gas naturale (16,8%). (7) Il gasdotto NS2 è certamente il più controverso di tutti i gasdotti che forniscono l’UE. È anche l’unico gasdotto al mondo la cui costruzione è stata interrotta al 94% dalla conclusione. Altri oleodotti russi, come Yamal, attraverso la Bielorussia e la Polonia, Sojuz, attraverso l’Ucraina, sono stati costruiti durante la Guerra Fredda. (8) Blinken to discuss fate of Nord Stream 2 with Maas at G7 ministers meeting. 112.UA News Agency, 1o May 2021. (9) Il Parlamento UE vota una risoluzione per bloccare il gasdotto Nord Stream 2, Pipeline News, 22/01/2021. (10) EU Parliament mulls block on Nord Stream 2 gas pipeline & banning Russia from SWIFT system, despite leaders’ calls for dialogue, RT TV Novosti, 28 aprile 2021. (11) US State Department states Nord Stream 2 disrupts Trans-Atlantic security. 112 Ukraine, 4 febbraio 2021. (12) La Germania continuerà a discutere di Nord Stream 2 con gli Stati Uniti, TASS, 25 maggio 2021. (13) Gazprom ha proposto di costruire un impianto per la produzione di idrogeno nel nord della Germania, TASS, 1o dicembre 2020. (14) Mikhail Khanov, L’idrogeno come nuovo argomento di Gazprom nella lotta per Nord Stream 2, TASS, 8 dicembre, 2020. (15) Sami Ramdani, 5 ans de politique américaine envers Nord Stream 2, diploweb.com: la revue géopolitique, 2 maggio 2021. (16) Blinken to discuss fate of Nord Stream 2 with Maas at G7 ministers meeting 112.UA News Agency, 1o May 2021. (17) La Germania continuerà a discutere di Nord Stream 2 con gli Stati Uniti, TASS, 25 maggio 2021. (18) «Si rinnova così una nuova versione contemporanea dell’affrontamento teorizzato da Halford John Mackinder nella sua analisi geopolitica della storia del mondo. In un suo articolo, pubblicato nell’aprile del 1904 e presentato alla Royal Geographical Society intitolato The Geographical Pivot of History, Mackinder opponeva l’Heartland, dominato dalla Russia, al Word Island dominato da Stati Uniti e potenze marittime alleate come Regno Unito, Australia e, in Estremo Oriente, il Giappone». Philippe Sebille-Lopez, Le gaz naturel en Europe: quels enjeux énergétiques et géopolitiques? Premère partie, diploweb.com: la revue géopolitique, 25 octobre 2020. (19) Il gas di scisto si estrae con la tecnica del fracking, fratturazione idraulica, spesso causa di terremoti e inquinamento delle acque, in quanto per favorire la risalita degli idrocarburi rimasti intrappolati nelle rocce viene effettuata un’iniezione ad alta pressione di miscele di acqua, sabbia e di altre sostanze chimiche che fratturano le rocce liberando il gas all’interno. Questa pratica consente di sfruttare giacimenti considerati esauriti per le tecniche convenzionali, e per questo è molto apprezzata dalle compagnie petrolifere. (20) Philippe Sebille-Lopez, Le gaz naturel en Europe: quels enjeux énergétiques et géopolitiques? Premère partie, diploweb.com: la revue géopolitique, 25 octobre 2020. (21) Ibidem. (22) Ibidem. (23) Ibidem. (24) Christophe-Alexandre Paillard, L’Initiative des trois mers, un nouveau terrain d’affrontement majeur russo-américain, Areion24.news, site web d’information d’Areion Group, 9 Septembre 2018. (25) Ibidem. (26) Ibidem. (27) Ibidem. (28) Ibidem. (29) Ibidem. (30) Financial Times, Russia to abandon South Stream pipeline, says Putin, 1o dicembre, 2014. (31) Financial Times, Russia to abandon South Stream pipeline, says Putin, 1o dicembre, 2014. (32) Hélène Richard, Gazprom, le Kremlin et le marché South Stream, les raisons d’un abandon, Le Monde diplomatique, maggio 2015. (33) https://www.tap-ag.it. (34) https://www.tap-ag.it. (35) Financial Times, Russia to abandon South Stream pipeline, says Putin, 1o dicembre, 2014. (36) Georgi Gotev, Russia confirms decision to abandon South Stream Russia confirms decision to abandon South Stream, euractiv.com 10/12/2014 (updated 08/01/2015). (37) Nikos Tsafos, The TurkStream Opportunity, CSIS, 28 novembre 2018. (38) IGI Poseidon. (39) Philippe Sebille-Lopez, Le gaz naturel en Europe: quels enjeux énergétiques et géopolitiques? Deuxième partie, diploweb.com: la revue géopolitique, 15 novembre 2020. (40) Cain Burdeau, Eastern Mediterranean Turns Into Source of Gas and Conflict, Courthouse News Service, 20 agosto 2020. Cain Burdeau, Eastern Mediterranean Turns Into Source of Gas and Conflict, Courthouse News Service, 20 agosto 2020. (41) IGI Poseidon. (42) IGI Poseidon. (43) Ibidem. (44) «L’interconnettore di gas Grecia-Bulgaria (IGB Pipeline) è un’infrastruttura fondamentale per collegare le reti di gas greche e bulgare, migliorando la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Europa sudorientale (SEE) e consentendo le importazioni da varie fonti. Il progetto IGB è in fase di sviluppo da parte di ICGB AD, una joint venture 50-50 tra IGI Poseidon SA e Bulgarian Energy Holding. L’IGB avrà una capacità di trasporto iniziale di 3 bcm/anno (miliardi di metri cubi all’anno) dalla Grecia alla Bulgaria che potrebbe essere aggiornata fino a 5 bcm/anno in una fase successiva, in risposta alla domanda del mercato. La pipeline IGB sarà inoltre attrezzata al fine di offrire un flusso inverso fisico e/o commerciale» (IGI Poseidon). (45) IGI Poseidon. (46) Ibidem. (47) Ibidem. (48) Edison promuove, tramite la società IGI Poseidon SA (50% Edison, 50% Depa) lo sviluppo del gasdotto EastMed-Poseidon. (49) IGI Poseidon.

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Geopolitica dell’energia. La rilevanza strategica dei gasdotti Nord Stream2 ed EastMed, per l’UE (50) Ibidem. (51) Il Poseidon Pipeline integra i gasdotti IGB ed EastMed che, insieme alla sezione offshore di Poseidon sono Progetti di interesse comune dell’UE: il suo ruolo strategico e i suoi benefici sono stati riconosciuti da numerosi accordi e decisioni sia a livello nazionale (italiano e greco) sia europeo, inclusi i principali accordi intergovernativi tra, rispettivamente, Grecia e Italia, nonché Grecia, Italia e Turchia che sostengono la sua realizzazione. (52) Ibidem. (53) Turkey, Cyprus: The Eastern Mediterranean Heats Up Over Drilling, Stratfor, 7 maggio 2009. (54) Sean Mathews, Turkey looks to Cyprus to consolidate EastMed gains, AL-MONITOR, 18 February 2021, read more: https://www.almonitor.com/originals/2021/02/turkey-cyprus-eastmed-solution. (55) Benny, John, A new energy hub emerges among unlikely partners in the Mediterranean. Al Arabiya English, 12 November 2019. (56) Ibidem. (57) Alex G. Oude Elferink, direttore dell’Istituto olandese per il diritto del mare, in Cain Burdeau, Eastern Mediterranean Turns Into Source of Gas and Conflict, Courthouse News Service, 20 agosto 2020. (58) Philippe Sebille-Lopez, Le gaz naturel en Europe: quels enjeux énergétiques et géopolitiques? Deuxième partie, diploweb.com: la revue géopolitique, 15 novembre 2020. (59) Cain Burdeau, Eastern Mediterranean Turns Into Source of Gas and Conflict, Courthouse News Service, 20 agosto 2020. Turkey extends EastMed gas exploration mission despite international condemnation, Al Arabya News, 1o settembre 2020. (60) NS ENERGY, Eastern Mediterranean Pipeline Project. (61) Philippe Sebille-Lopez, Le gaz naturel en Europe: quels enjeux énergétiques et géopolitiques? Deuxième partie, diploweb.com: la revue géopolitique, 15 novembre 2020.

Nell’aprile 2010, è iniziata la costruzione di Nord Stream 1 nel mar Baltico. La prima serie di Nord Stream è stata messa in servizio nel novembre 2011 e la seconda nell’ottobre 2012 (Gazprom). In basso: nel settembre 2018 sono iniziate le operazioni di posa del gasdotto NS2, nel mar Baltico. Operazioni di posa delle tubature nelle acque territoriali tedesche, da parte di nave AUDACIA (Foto Axel Schmidt/Gazprom).

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PRIMO PIANO

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Zero Emission Vessels: le navi prive di emissioni In apertura: la strategia dell’IMO per la decarbonizzazione del trasporto marittimo prevede di raggiungere nel 2050 l’obiettivo minimo di dimezzare, rispetto al livello attuale, le emissioni di gas a effetto serra (greenhouse gases) da parte delle navi; questo obiettivo verrà raggiunto impiegando provvedimenti normativi già previsti nei settori operativo (per esempio ottimizzazione della rotta o limitazione della velocità) e tecnico-progettuale (aumento dell’efficienza energetica della nave), ma rimarrà un «emission gap» per colmare il quale è necessario prevedere l’impiego di nuove tecnologie, nuovi combustibili e nuovi provvedimenti (IMO action to reduce greenhouse gas emissions from international shipping, disponibile nella mediateca dell’IMO alla pagina https://www.imo.org/en/MediaCentre/HotTopics/Pages/Reducing-greenhouse-gas-emissions-from-ships.aspx).

Claudio Boccalatte Ammiraglio ispettore del Genio Marina proveniente dal Genio Navale, dopo aver terminato il servizio attivo nel 2017 come Direttore del CISAM di Pisa, è attualmente nella posizione di ausiliaria. È entrato nell’Accademia navale di Livorno nel 1975 e ha conseguito con lode la laurea in Ingegneria navale e meccanica presso l’Università degli Studi di Genova. Collabora con varie riviste, e in particolare con la Rivista Marittima dal 1992; dal 2006 cura la rubrica Scienza e tecnica. È Fellow della Royal Institution of Naval Architects, Presidente della Sezione della Spezia dell’ATENA (Associazione di Tecnica Navale) e Presidente del Consiglio Direttivo dell’Associazione Amici del Museo Navale e della Storia.

L’

opinione pubblica mondiale è sempre più sensibile al problema dell’inquinamento globale, nelle sue diverse forme, tra cui quella dell’emissione di gas a effetto serra, come l’anidride carbonica (CO2) che viene prodotta dalla combustione di tutti i combustibili fossili contenenti carbonio, incluso il gas naturale. La comunità internazionale, rappresentata dalle diverse organizzazioni che gravitano attorno alle Nazioni unite, e in primo luogo dall’Assemblea generale, si è posta ambiziosi obiettivi per la riduzione delle emissioni nei prossimi decenni. Nel settembre 2015 l’Assemblea generale ha approvato una lista di 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (1) per l’anno 2030, cui sono collegati 169 obiettivi numerici (target). Tra gli obiettivi ci sono l’energia rinnovabile e accessibile (obiettivo 7) e la lotta contro il cambiamento climatico (obiettivo 13). Anche il mondo del trasporto marittimo è chiamato a dare il suo contributo, e l’organizzazione internazionale responsabile per la produzione delle regole che le navi mercantili devono rispettare, l’IMO (International Maritime Organisation), sta studiando tecnologie e combustibili alternativi per arrivare prima possibile a operare commercialmente navi prive di emissioni dannose per l’ambiente, chiamate ZEV (Zero Emission Vessels, unità navali a emissioni nulle). In particolare l’IMO ha sviluppato una strategia nei confronti dei gas a effetto serra, chiamata GHG strategy (GHG: GreenHouse Gas, gas a effetto serra), che prevede come obiettivo minimo una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 50% nel 2050 rispetto alle emissioni del 2008, e l’eliminazione completa delle emissioni non appena tecni-

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camente possibile a partire dallo stesso 2050, e comunque entro la fine del XXI secolo. Per raggiungere questo obiettivo, considerando che la vita media di una nave mercantile è di almeno 20-30 anni, occorrerà che le prime navi senza emissioni entrino in servizio attorno al 2030. La stessa sfida interessa anche altri settori dei trasporti, ma per ognuno di essi esistono soluzioni differenti; per esempio nel settore automotive oggi si prevede, almeno in Europa, un rapido abbandono del gasolio impiegato nei motori diesel per la propulsione delle autovetture e dei mezzi da trasporto leggero (furgoni), e una più lenta transizione dai combustibili tradizionali per motori a ciclo Otto (benzina e gas naturale) verso i veicoli a propulsione interamente elettrica, facenti uso di batterie avanzate agli ioni di litio: a partire dal 2050 molti scenari prevedono, infatti, che vengano prodotti solo veicoli a propulsione elettrica. In altri settori, come il trasporto pesante su ruote, il trasporto aereo e quello marittimo, invece, giocheranno un ruolo importante i nuovi combustibili liquidi a effetto serra ridotto o nullo, i LCF (Low Carbon Fuel), ottenuti con processi produttivi che eliminano o bilanciano la produzione di anidride carbonica, come i biocombustibili, combustibili di origine biologica considerati a emissione di anidride carbonica globalmente nulla, in quanto, nel corso del loro ciclo produttivo, quando sono ancora dei vegetali, assorbono dall’atmosfera una quantità di CO2 pari a quella che viene emessa dalla loro combustione. Il biocombustibile di prima generazione, che già oggi costituisce il 5-6% della benzina che viene erogata dai distributori europei, presenta alcuni svantaggi, principalmente perché viene prodotto impiegando superfici che potrebbero essere utilmente utilizzate per la produzione di vegetali per il consumo umano, e verrà sostituito dai biocombustibili di seconda e terza generazione, che impiegano prodotti di scarto (liquami degli allevamenti di animali, rifiuti e sottoprodotti dell’industria alimentare con elevato contenuto oleoso, materie plastiche di scarto, ecc.) oppure particolari coltivazioni che forniscono un elevato contenuto di energia e crescono su terre che non potrebbero produrre raccolti idonei all’impiego come cibo, oppure an-

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Un’immagine della settantatreesima riunione del MEPC (Marine Environment Protection Committee) dell’IMO, svoltasi a Londra nell’ottobre 2018. Nel corso della riunione, cui hanno partecipato i rappresentanti delle nazioni, è stato concordato un programma di lavoro per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di riduzione dei gas a effetto serra stabiliti dall’organizzazione (imo.org). In basso: la copertina dello studio Zero-Emission Vessels 2030: How do we get there?, pubblicato dalla società di classifica britannica Lloyd’s Register (LR), in collaborazione con la società di consulenza UMAS (University Maritime Advisory Service) - (lr.org).

cora alghe marine (in questo settore sono particolarmente avanzati gli studi negli Stati Uniti, con un impianto pilota che dovrebbe produrre combustibile dalle alghe su larga scala nel 2025). Tornando al settore delle unità navali mercantili, un recente studio della società di classifica britannica Lloyd’s Register (LR), in collaborazione con la società di consulenza UMAS (University Maritime Advisory Service) ha identificato sette possibili nuove tecnologie di propulsione a impatto ambientale nullo, cioè idonee per gli ZEV. Queste tecnologie sono: — propulsione elettrica a batterie; — propulsione ibrida elettrica e a idrogeno; — celle combustibile a idrogeno; — motori a combustione interna a idrogeno; — celle combustibile ad ammoniaca; — motori a combustione interna ad ammoniaca; — biocombustibili. Altri tipi di propulsione a emissione nulla non sono stati considerati, sia per motivi di accettabilità da parte dell’opinione pubblica (è il caso della propulsione navale nucleare, abbandonata per le navi mercantili da alcuni decenni), oppure perché non considerati idonei alla propulsione di unità mercantili operative, come nel caso della propulsione eolica, che viene invece utilmente impiegata, in fase di transizione energetica, come sistema ausiliario su navi dotate di apparato motore tradizionale per ridurre i consumi e quindi l’impatto ambientale. Ognuna delle tecnologie è stata applicata per la propulsione di 5 diversi tipi di nave (Bulk carrier, portacontainer,

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petroliera, nave da crociera e traghetto RoPax), ipotizzando tre diversi possibili scenari nell’andamento dei prezzi, sviluppati per tenere conto delle incertezze nell’evoluzione del mercato dell’energia, cercando di coprire tutte le possibili evoluzioni. Ogni scenario è caratterizzato da una forma di energia «green», cioè a ridotto impatto ambientale, generalmente però ottenuto a un costo elevato. Di seguito una descrizione dei tre scenari: — primo scenario: Green Electricity. In questo scenario l’energia elettrica è prodotta principalmente da fonti rinnovabili, con largo impiego di sistemi per il recupero dell’anidride carbonica prodotta; in questo modo i prezzi dell’energia sono alti, ma l’impatto ambientale in termini di effetto serra è nullo se non negativo. Le batterie raggiungono elevati livelli tecnologici, ma i prezzi restano alti. L’idrogeno è prodotto a prezzi relativamente bassi da combustibili fossili e immagazzinato come gas compresso, mentre l’ammoniaca è prodotta impiegando energia elettrica «pulita» e idrogeno a buon mercato. Sono disponibili biocombustibili di terza generazione, che nella loro catena produttiva non generano emissioni;

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— secondo scenario: Green Ammonia. In questo scenario è disponibile ammoniaca prodotta senza emissioni di gas serra. L’energia elettrica è prodotta, a prezzi contenuti, prevalentemente da combustibili fossili, le batterie vengono prodotte su larga scala provocando una riduzione dei prezzi. L’idrogeno è prodotto impiegando un mix di combustibili fossili ed energie rinnovabili, e sia le tecniche di immagazzinamento che la tecnologia delle celle a combustibile migliorano, ma con prezzi elevati. Sono disponibili biocombustibili di terza generazione, che nella loro catena produttiva non generano emissioni; — terzo scenario: Green Hydrogen. In questo scenario l’idrogeno è prodotto esclusivamente da fonti rinnovabili senza produzione di gas serra, ma a un costo elevato. La tecnologia delle celle a combustibile consente elevati livelli di efficienza, e il costo dei serbatoi d’idrogeno diminuisce. L’energia elettrica è prodotta, a prezzi contenuti, impiegando un mix di combustibili fossili e sorgenti rinnovabili, la tecnologia delle batterie raggiunge livelli elevati e il loro prezzo scende. L’ammoniaca viene prodotta a prezzi elevati e con livelli contenuti di emissioni a partire da energia a buon mercato ed idrogeno dal costo elevato. I risultati delle analisi effettuate sono riportati in termini economici, di rendimento dell’investimento effettuato per l’acquisto della nave, ponendo pari a 1 il rendimento più elevato e pari a 0 il più basso. In tutti gli scenari, la soluzione con l’impiego dei biocombustibili in sostituzione dei tradizionali combustibili fossili è quella che presenta il rendimento maggiore, mentre la soluzione elettrica a batterie è quella a rendimento più basso. Subito dopo i biocombustibili si classificano le soluzioni che prevedono l’impiego di ammoniaca come combustibile, seguite da quelle che prevedono l’impiego di idrogeno. In ogni caso il rendimento di tutte le soluzioni di ZEV ipotizzate è sempre sostanzialmente inferiore rispetto a quello delle navi con propulsione tradizionale (motore a combustione interna e combustibile fossile), evidenziando la necessità di interventi normativi per rendere queste soluzioni competitive. Il prezzo di questi interventi è stato stimato in circa 250 dollari per tonnellata di anidride carbonica prodotta per i biocombustibili, e circa il doppio per ammoniaca e idrogeno. L’idrogeno, per poter essere trasportato allo stato liquido, deve essere mantenuto a temperature poco superiori allo zero assoluto (-253°C a pressione ambiente);

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il trasporto sotto forma di gas compresso (a pressioni che possono raggiungere i 700 bar) presenta altri inconvenienti, oltre a essere meno efficiente dal punto di vista volumetrico. L’idrogeno liquido rilasciato accidentalmente può causare la frattura fragile dell’acciaio al carbonio ed evaporare aumentando di centinaia di volte il proprio volume e trasformandosi in un gas altamente infiammabile che, se rilasciato al chiuso, può mantenersi separato dall’aria per periodo prolungati; grazie alle ridotte dimensioni delle sue molecole, l’idrogeno gassoso può passare attraverso molti materiali. L’idrogeno brucia con una fiamma invisibile e presenta un’elevata velocità di propagazione della fiamma, con conseguenti forti rischi di detonazioni nel caso di combustione all’interno di spazi confinati. I serbatoi per l’idrogeno gassoso compresso comportano rischi di esplosione nel caso di rottura dei serbatoi per le elevatissime pressioni in gioco; a queste pressioni una perdita può causare la combustione spontanea dell’idrogeno, con getti di fiamma (jet fires) pericolosissimi anche per la difficoltà di individuarli a occhio nudo. L’ammoniaca (NH3), al cui impiego come combustibile navale è stato dedicato un articolo nel numero di aprile 2021 di questa Rivista, è un gas incolore, infiammabile, altamente tossico e corrosivo, con un odore molto forte e soffocante. È molto solubile in acqua, e normalmente è venduta in forma liquida; ha un contenuto energetico simile a quello dell’idrogeno e del metanolo, ma una bassa infiammabilità, il che è positivo per la sicurezza, ma la rende poco idonea per l’impiego nei motori a combustione interna se non in combinazione con un’altra sostanza che faciliti l’innesco della combustione. Il contatto e l’inalazione da parte degli esseri umani può portare a bruciature e asfissia; fortunatamente il forte odore sgradevole viene avvertito a livelli di concentrazione molto inferiori a quelli di effettivo pericolo. I biocombustibili sono prodotti direttamente o indirettamente a partire da materiali organici, e sono classificati in base alla loro origine. Come già accennato, i biocombustibili di prima generazione sono prodotti direttamente da raccolti di vegetali impiegabili anche per l’alimentazione; tra di essi il bioetanolo prodotto mediante fermentazione a partire da cereali e zucchero, e il biodiesel ottenuto da olio estratto dai semi di colza (seed rape). I biocombustibili di seconda generazione sono prodotti da coltivazioni non alimentari, come il legno, i rifiuti organici e specifiche coltivazioni particolarmente idonee alla produzione di biomassa;

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Il Palazzo Ducale di Venezia sommerso dall’acqua alta del 4 novembre 1966. L’aumento del livello del mare dovuto all’effetto serra porterebbe, secondo molti studiosi, a un aumento della frequenza e della gravità di questo tipo di fenomeni, se non si prendono in tempo provvedimenti correttivi (wikipedia.it).

Un’immagine del porto mercantile di Napoli che evidenzia la coesistenza di zone destinate alla nautica da diporto, al traffico passeggeri (traghetti e navi da crociera) e al traffico mercantile; è anche visibile la base militare con il molo san Vincenzo. Le zone portuali in ambiente urbano sono oggi considerate una possibile fonte di inquinamento per tutta la città e come tali sottoposte a un attento monitoraggio ambientale. In basso: una nave porta contenitori in uscita dal porto di Genova; il continuo aumento delle dimensioni delle navi da carico, in assenza di provvedimenti correttivi, le rende sorgenti sempre più importanti di gas a effetto serra (autore).

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la terza generazione è costituita da coltivazioni ottimizzate quali le alghe. Sono funzionalmente equivalenti ai tradizionali combustibili liquidi di origine fossile, e compatibili con i motori e le infrastrutture esistenti; la loro integrazione nell’industria armatoriale appare quindi relativamente semplice. Il loro contenuto energetico è però inferiore a quello del gasolio (2), e quindi a parità di altri elementi forniscono potenze inferiori e richiedono serbatoi di dimensioni maggiori per ottenere la stessa autonomia. Il biometanolo (metanolo prodotto da biomassa) è un particolare biocombustibile; alla pressione atmosferica è liquido in un ampio campo di temperature, tra -98°C e +65°C. È fortemente tossico per l’uomo, è difficile da individuare senza particolari apparati, e brucia con fiamma invisibile; rispetto ai combustibili di origine fossile, ha una densità inferiore e un minor potere calorifico, ma è molto infiammabile, con una temperatura d’infiammabilità abbastanza bassa (11-12°C). È solubile in acqua, per cui è impossibile rimuovere l’acqua che eventualmente entra nei serbatoi, con conseguenti problemi di densità energetica e di qualità della combustione. In conclusione i rischi principali di questo combustibile sono l’incendio, l’esplosione e il contatto con gli esseri umani. Le batterie sono oggi basate su principi chimici molto diversi tra loro; anche solo limitandosi al tipo agli ioni di litio, oggi il più promettente, ci sono numerose varianti in termini di processi chimici, metodologie di fabbricazione e architetture, ognuna delle quali richiede specifici requisiti di costruzione e collaudo per mitigare i rischi di cedimento. Il rischio maggiore è probabilmente quello legato alla deriva termica, cioè al possibile riscaldamento incontrollato a seguito di danneggiamento meccanico, sovraccarico, corti circuiti o sfruttamento eccessivo della capacità. In ogni caso le prestazioni di queste batterie sono fortemente dipendenti dalla temperatura. Le conseguenze di un’avaria includono la fuoriuscita di gas tossici e infiammabili, l’incendio e l’esplosione. Le architetture impiegate sono generalmente basate su di una gerarchia di apparati, dalla singola cella al modulo, alla batteria, al sistema completo. Oggi il monitoraggio avviene principalmente sulle temperature e sui voltaggi a livello di batteria o di modulo, mentre avarie che possono avere gravissime conseguenze possono avere origine anche solo a livello di singola cella. Le celle a combustibile sono reattori chimici al cui

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interno sostanze chimiche impiegabili come combustibili, quali idrogeno, ammoniaca o metanolo, subiscono delle reazioni che generano elettricità, calore e acqua, senza produrre quindi alcuna emissione inquinante; inoltre, non avendo parti in movimento, non generano rumore e vibrazioni. Di grande importanza per la durata della vita di una cella a combustibile, che è un sistema molto costoso, è la purezza del combustibile impiegato. I principali rischi sono quelli delle reazioni incontrollate o secondarie e delle perdite di combustibile. In conclusione, tutte le sette tecnologie identificate dallo studio del Lloyd’s Register sono considerate fattibili senza modifiche sostanziali alle tipologie di navi mercantili oggi impiegate, anche se per ognuna di esse sono state individuate delle aree tecnologiche che necessitano di investimenti prima di poter essere impiegate su scala industriale. Queste aree tecnologiche, molte delle quali sono comuni a diversi sistemi di propulsione, sono le batterie e i motori elettrici, le tecnologie di immagazzinamento dell’idrogeno e dell’ammoniaca, le celle a combustibile, i motori a combustione interna «dual fuel» a idrogeno o ad ammoniaca e i relativi sistemi di propulsione in emergenza mediante combustibile liquido, i reformer (3), i serbatoi per i biocombustibili e i motori a combustione interna ottimizzati per gli stessi biocombustibili. L’introduzione dei sistemi di propulsione e dei combustibili innovativi del tipo «Zero Emission» comporterà dei rischi per la sicurezza, rischi che andranno identificati e studiati per mitigarli o gestirli. L’industria dello shipping ha impiegato decenni per ottimizzare la progettazione e la gestione delle navi che impiegano i tradizionali combustibili fossili, riuscendo a ottenere un tasso di incidenti abbastanza contenuto, applicando i principi base della prevenzione, detezione e ventilazione; principi che rimarranno validi, ma andranno adattati alle caratteristiche dei nuovi combustibili, i quali presentano, oltre a specifiche di sicurezza particolari, come la necessità di essere trasportato in forma criogenica per l’idrogeno, anche lo svantaggio di una minore densità energetica rispetto ai combustibili di origine fossile, con conseguente necessità, a parità di caratteristiche (portata, velocità e autonomia) di immagazzinare a bordo un quantitativo di combustibile maggiore. Saranno necessari rigorosi studi di analisi dei rischi e l’adozione di sofisticati sistemi di sicurezza e relative procedure in tutte le fasi, dalla pro-

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La copertina dello studio Safety considerations for the use of zero-carbon fuels and technologies. Al centro: la copertina dello studio Zero-Emission Vessels: Transition Pathways. We’re considering how to turn ambition into reality. In basso: la copertina dello studio Fuel production cost estimates and assumptions, pubblicate da LR, in collaborazione con UMAS (lr.org).

gettazione, costruzione e collaudo alla gestione operativa e alle manutenzioni, oltre che una riqualificazione del personale mediante specifici corsi di formazione, tenendo presente che qualunque sistema di sicurezza è efficace solo quanto il personale che lo impiega e manutiene. 8 53


Schema delle principali attività connesse con la produzione di idrogeno per l’impiego a bordo di unità navali a zero emissioni. Dallo studio Safety considerations for the use of zero-carbon fuels and technologies, pubblicato da LR, in collaborazione con UMAS (lr.org).

Schema delle principali attività connesse con la produzione di ammoniaca per l’impiego a bordo di unità navali a zero emissioni. Dallo studio Safety considerations for the use of zero-carbon fuels and technologies, pubblicato da LR, in collaborazione con UMAS (lr.org).

Schema delle principali attività connesse con la produzione di biocombustibili per l’impiego a bordo di unità navali a zero emissioni. Dallo studio Safety considerations for the use of zero-carbon fuels and technologies, pubblicato da LR, in collaborazione con UMAS (lr.org).

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Schema delle principali attività connesse con la produzione di metanolo per l’impiego a bordo di unità navali a zero emissioni. Dallo studio Safety considerations for the use of zero-carbon fuels and technologies, pubblicato da LR, in collaborazione con UMAS (lr.org).

Schema delle principali attività connesse con l’impiego di batterie a bordo di unità navali a zero emissioni. Dallo studio Safety considerations for the use of zero-carbon fuels and technologies, pubblicato da LR, in collaborazione con UMAS (lr.org). NOTE (1) SDGs, Sustainable Development Goals. (2) Dell’ordine dei 38 MJ/Kg (Megajoule/kilogrammmo) rispetto ai 46 MJ/Kg del gasolio di origine fossile. (3) I reformer sono componenti che estraggono da un combustibile, come il gasolio o l’etanolo, l’idrogeno che verrà poi impiegato per far funzionare la cella a combustibile. BIBLIOGRAFIA Zero-Emission Vessels: Transition Pathways, disponibile sul sito internet del Lloyd’s Register all’indirizzo http://info.lr.org/ZEV-transition-pathways. Zero-Emission Vessels 2030: How do we get there?, disponibile sul sito internet del Lloyd’s Register all’indirizzo https://www.lr.org/en/insights/articles/zev-reportarticle/. Safety considerations for the use of zero-carbon fuels and technologies, lr.org. Fuel production cost estimates and assumptions, lr.org. Energy Transition Outlook 2020, https://eto.dnv.com/2020/#ETO2019-top. https://www.dnv.com/maritime/insights/topics/decarbonization-in-shipping/index.html. https://www.imo.org/en/MediaCentre/HotTopics/Pages/Reducing-greenhouse-gas-emissions-from-ships.aspx. Società di classifica Lloyd’s Register, lr.org. Società di classifica DNV-GL, dnv.com. IMO (International Maritime Organization), imo.org. Rivista della Lega Navale, settembre 2020, La propulsione ausiliaria a vela, Claudio Boccalatte. Rivista Marittima, aprile 2021, L’ammoniaca come combustibile navale, Claudio Boccalatte. Rivista della Lega Navale, gennaio 2021, L’IMO di Londra, organizzazione delle Nazioni Unite per il settore marittimo, Claudio Boccalatte.

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Sistemi medicali medi integrati a bordo progetta MED Health Technologies echn e e realizza soluzioni complesse e chiavi in mano per ospedali, cliniche mediche, centri polispecialistici in Italia e all’estero. L’azienda è specializzata nella progettazione, realizzazione e messa in esercizio di reparti ospedalieri al ta me n te s pec i a l i s t i c i , c o n l’integrazione dei sistemi diagnostici e di intervento: sale operatorie tradizionali, sale operatorie ibride e robotizzate, reparti per la terapia intensiva, sale parto e di terapia neonatale, reparti attrezzati per la diagnostica per immagini e la radiologia interventistica, centrali di sterilizzazione, centri dialisi, centri di riabilitazione. I reparti ospedalieri specialistici di MED sono progettati sulle esigenze del cliente: dal layout operativo all’inserimento degli apparecchi diagnostici fino all’integrazione dei sistemi di archiviazione dati, controllo e dialogo multidisciplinare all’interno dei progetto si sviluppa reparti. L’’intero pro attraverso l’interazione di competenze trasversali all’interno di un unico piano di sviluppo: in questo modo si ottiene la perfetta integrazione di sistemi ed esigenze di intervento, con una soluzione immediatamente operativa, che viene consegnata al cliente in modalità Plug&Play. MED opera anche nell’impiantistica industriale complessa, al fianco di partner quali Siemens mens e Schneiderr, è certificata secondo le norme UNI EN ISO 9001: 2015 ed è in possesso di attestazione SOA per la partecipazione a gare d’appalto per l’esecuzione di lavori pubblici. MED ha sviluppato una metodologia costruttiva modulare per realizzare reparti ad alta intensità di tecnologia

(quali sale operatorie, terapie intensive, unità di sterilizzazione). Ne parliamo con i proprietari Enrico e Alberto Venturato e , che guidano con successo l’azienda MOre è la vostra tecnologia avanzata. Di cosa si tratta? Enrico Ve enturato: “Le realizzazioni MED rispondono alle più avanzate esigenze funzionali e alle certificazioni normative di settore, anche quando sono realizzate in modalità modulare trasportabile, secondo la tecnologia MORe, modular operating room experience, l’innovativa tecnologia costruttiva che abbiamo sviluppato per realizzare reparti specialistici e sale operatorie trasportabili, con procedure di appalto semplificate. Nel corso della pandemia da coronavirus, la tecnologia MORe è stata adottata dalla Regione Campania per realizzare in tempi rapidissimi tre nuovi reparti di terapia intensiva anti Covid-19 negli ospedali di Napoli, Caserta e Salerno , dal Commissario Speciale per l’emergenza, per la realizzazione di tre terapie intensive a Roma, Rieti ed Aosta, per un totale di 120 posti letto. I reparti MORe sono progettati in ottica user experience design, con ambienti che mettono al centro le esigenze operative , la semplificazione e l’efficacia del lavoro di medici e personale di supporto e con la possibilità di essere energeticamente autonomi. Il sistema MORe consente di realizzare i reparti specialistici ospedalieri in tempi brevi, utilizzando la formula di appalto per fornitura di beni, invece dell’appalto per lavori”. Da anni collaborate anche con la Marina Militare Italiana. Come avete vete iniziato o? Alberto Ve enturato: “Con la Marina abbiamo iniziato per la costruzione della nave militare Cavour, in cui c’era l’intenzione di inserire un vero e proprio ospedale all’interno. Siamo entrati nel settore come consulenti in aiuto a Fincantieri per metterci a servizio della Marina, poi siamo arrivati a realizzare interi ospedali in Fregate Militari (Fremm)

e in Navi di Supporto Logistico (LSS) della Marina. MED è infatti partner consolidato di Fincantieri e di diverse compagnie di crociera, nella progettazione, realizzazione e allestimento dei reparti specialistici ospedalieri on board per le unità navali. In particolare , MED ha progettato e realizzato i sistemi medicali integrati consegnati alla Marina Militare Italiana dal 2005 a oggi. Tra questi, le aree ospedaliere, da 50 mq ciascuna, per le dieci fregate del programma europeo Fremm; l’area ospedaliera della portaerei Cavour; l’area medica della nave Amerigo Vespucci; l’ospedale di bordo (700 mq) della LSS Vulcano della Marina, che si sviluppa su due ponti ed è attrezzato con sale chirurgiche, trattamento emergenze, trattamento ustionati, terapia intensiva e rianimazione, radiologia e analisi, gabinetto dentistico, ginecologia e zona degenza in grado di ricevere fino a otto ricoverati acuti, otto trattamenti in codice rosso e otto pazienti in terapia intensiva”. La collaborazione con le Marine internazionali sarà sempre più nel vostro Dna, anche dopo l’esperienza del Covid? “Sì. Dotare le Alberto Venturato: e navi anche di componenti medicali è oggi l’esigenza di tutte le marine militari, innanzitutto per lo svolgimento di operazioni umanitarie. Attualmente siamo in trattativa per la realizzazione di una nuova LSS destinata al Qatar e di ulteriori fregate destinate alle Filippine”.

Terapia intensiva allestita nella nave LSS Vulcano della Marina Militare

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Maria Eva Virga


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PRIMO PIANO

Cyberspazio e atmosfera Due ambienti, stesse minacce Gian Carlo Ruggeri

Generale di brigata (AM) in congedo assoluto, ha assolto numerosi incarichi nel Servizio meteorologico dell’Aeronautica Militare, fra i quali capo della Sezione meteorologia marittima nel 3o Reparto piani e operazioni dello SMM. È stato Rappresentante nel Meteorology Advisory Group (METAG) dell’European Air Navigation Planning Group dell’ICAO (Parigi) e nella Commissione di Meteorologia marittima dell’Organizzazione meteorologica mondiale. Collabora con la Rivista Marittima dal 1968.

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(egi.eu).

con internet. Con il cambiare delle strutture meteorologiche, con l’innalzamento del livello del mare e con le temperature volte a superare di 1,5°C la media entro il 2100, il cambiamento climatico è un problema che riguarda il mondo intero, ma, nello stesso tempo, i cui benefici sono molto dispersi ed i pericoli numerosi e spesso concentrati. Similmente, i costi degli attacchi cibernetici sono condensati in un numero relativamente piccolo di nazioni, mentre per le altre stanno diventando dei paradisi per cyber-criminali. Il clima globale e il cyberspazio, quindi, potrebbero apparire mondi a parte, invece essi condividono molte similarità. Pur nella differenza tra le variabili in parola, i rischi associati a essi sono entrambi antropogenici e possono influenzare l’equa distribuzione di risorse e il corretto utilizzo delle stesse, ivi includendo settori chiave come l’acqua, il cibo, le infrastrutture energetiche e la sicurezza dei trasporti. Lo sviluppo di strategie di mitigazione delle minacce, tattiche che riconoscano tali similarità e l’incoraggiamento di una «inseminazione incrociata» fra questi settori chiave, sono, pertanto, i primi passi importanti allo scopo di assicurare un clima e un cyber-futuro sicuri. Si intende, di seguito, analizzare, sebbene non esaustivamente, le interconnessioni fra i cambiamenti climatici globali e lo spazio cibernetico mostrando i collegamenti e le similarità fra i due campi e stabilendo un parallelo fra i punti focali del regime ambientale e il nascente regime di cyber-sicurezza. Come su menzionato, segnatamente in Europa, la comprensione delle interconnessioni in parola rappresenta un aspetto critico nell’attuazione dei relativi strumenti politici.

Spazio condiviso .«A container of ashes might one day be thrown from the sky, which could burn the land and boil the oceans». (Ko-Yaa-Nis-Qatsi, profezia degli indiani Hopi)

Introduzione Sebbene l’atmosfera e il cyberspazio (1) siano spazi distinti, essi condividono problemi simili di «iper uso», di difficoltà di messa in opera, delle associate sfide di inerzia collettiva e di azioni effettuate da parte di soggetti non autorizzati e/o opportunismi. Per di più, milioni di attori influenzano l’atmosfera globale, così come accade

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I cambiamenti climatici e le minacce cibernetiche (Cyber Threats) (2) costituiscono degli elementi di criticità che posseggono collegamenti fra loro e molti aspetti in comune. In un periodo di rischi e sfide che si moltiplicano, nonché di bilanci in diminuzione, riconoscere e comprendere i nessi succitati costituisce un compito fondamentale per stabilire le relative politiche e mettere in atto i relativi strumenti di contrasto e di difesa. Nel novembre 2014, l’ammiraglio Michael Rogers, capo dell’US Cyber Command e direttore della National Security Agency (NSA), considerò come un certo numero di attori (Stati e non) avrebbero potuto abbattere le Infrastrutture

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critiche statunitensi mediante mezzi cibernetici. Rogers osservò che sarebbe necessario sviluppare una serie di norme o principi per contrastare le minacce cibernetiche alle Infrastrutture critiche (IC): questa richiesta pone una sfida ai dettami esistenti, ivi compresi quelli internazionali. Tale sfida assume profonda importanza, dal momento che la protezione alle Infrastrutture critiche (PIC) non è del tutto privata di normativa internazionale, in quanto che già esiste — sebbene non adeguata alle attuali necessità — una rete di norme basate su di una regolamentazione internazionale. Tale rete non include solo il lascito di normativa sviluppata prima che la cyber-sicurezza e la PIC fossero un problema prominente, ma comprende anche leggi internazionali redatte avendo in mente la protezione in parola. Il problema, come suggerisce l’Ammiraglio, consiste nel fatto che tale normativa non sia efficiente, per alcune buone ragioni. Purtuttavia, il desiderio di creare nuove norme si confronta con seri problemi. Le prospettive di accordi fra gli Stati sono limitate. Per di più, la richiesta di una nuova normativa deve spiegare perché e in che modo i nuovi principi differiscono da quelli esistenti e possono sopperire all’inefficienza di questi ultimi. Sebbene i policymaker riconoscono che la PIC richiede cooperazione internazionale, la normativa internazionale non è strutturata per la discussione politica. Primo, perché gran parte delle Infrastrutture critiche sono dislocate all’interno del territorio statale (e.g., i sistemi per le acque municipali), e i governi possono proteggerle anche senza le leggi internazionali. Per di più, il danno a un’infrastruttura critica nazionale può non avere effetti oltre confine, disincentivando i governi a preoccuparsi della PIC in altri paesi. Secondo, la diffusione internazionale di internet si è verificata senza l’intervento degli Stati per regolare tale processo, mentre il dispiego di precedenti tecnologie di comunicazione ha avviato la creazione di leggi ed istituzioni internazionali

Inter-connettività: una forza e una vulnerabilità Come su menzionato, sia il cambiamento climatico sia le cyber-minacce costituiscono dei rischi che possono influenzare la tutela e la sicurezza di molte risorse di base, come l’acqua, l’energia e le infrastrutture: questo, in grandissima parte a causa di un fattore comune: l’inter-connettività. Sia il genere

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«Lo sviluppo di strategie di mitigazione delle minacce, tattiche che riconoscano tali similarità e l’incoraggiamento di una «inseminazione incrociata» fra questi settori chiave sono, pertanto, i primi passi importanti allo scopo di assicurare un clima e un cyber futuro sicuri» (Fonte immagini: cyware.com- cytelnet.com).

umano sia le nazioni sono e saranno connessi al nostro ambiente, poiché esso ci fornisce le risorse necessarie per la sopravvivenza e il benessere. Siamo tutti connessi intimamente e dipendenti dalle nostre tecnologie basate su computer, con il cyberspazio e internet essendo un condotto primario. E proprio come il cambiamento climatico può influenzare sia la nostra fruizione sia la fornitura di energia ed acqua, un cyber-attacco sui computer e su gli equipaggiamenti industriali per il trattamento e la fornitura delle acque, gli impianti elettrici e nucleari, può avere conseguenze molto significative. I cambiamenti climatici globali e le cyber-minacce sono fra le due maggiori future sfide globali in termini di regolamentazione e gestione. Sebbene le variabili che influenzano il clima, il cyberspazio e la cyber-sicurezza siano diverse, esse presentano caratteristiche simili anche in un’ottica di regolamentazione e di gestione, dal momento che — come su accennato — sono associate a rischi di natura antropogenica che comportano azioni critiche. Le potenziali azioni incrociate volte ad ampliare e migliorare l’efficacia e la forza delle leggi esistenti in materia, possono ottimizzare il sistema di comune protezione normativa contro le cyber-minacce rivolte, come esempio, al settore energetico. Tale complesso di leggi e regolamenti dovrebbe avere un aspetto uniforme e omogeneo, non basato su un di una visione unica, bensì su di una concezione pluralistica multi-normativa, dove le sorgenti legislative e di policy interagiscano fra di loro in modo integrato.

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I concetti di «Global Commons» e «Imperfect Global Commons» Tradotto in italiano (beni comuni globali) ma, come spesso accade più intuitivo in lingua inglese. Il termine Global Commons è un termine generalmente utilizzato per descrivere gli ambiti dei beni internazionali, sovranazionali e globali in cui si trovano le risorse comuni (3). I Global Commons includono le risorse naturali comuni della terra, e.g., gli oceani nella loro parte più alta, l’atmosfera, lo spazio esterno e, in particolare, l’Antartico; ll cyberspazio può anche essere compreso nei Global Commons. A livello internazionale, le aree che non cadono all’interno della giurisdizione di alcun paese, sono definite come Internazionali o Global Commons. Il concetto di Global Commons comporta che esistano dei limiti alla sovranità nazionale in alcune parti del mondo e che tali aree debbano rimanere aperte all’uso della comunità internazionale, ma chiuse alla proprietà esclusiva. Alcuni esempi sono: l’alto mare, l’Antartico, lo spazio esterno, l’atmosfera e il cyberspazio. I Global Commons sono spesso governati da normative a multilivello (internazionale, regionale e nazionale). Non esiste alcun principio legale per gestire e dirigere i Global Commons; storicamente la dottrina usata, più vicina, è il Common Heritage Concept (CHM). Dal momento che il cyberspazio è l’elemento aggiunto più recente nell’ambito dei Global Commons, appare opportuno considerare come il CHM possa essere applicato a esso, allo scopo di incrementare la cyber-sicurezza. Il CHM può essere definito dai seguenti parametri: 1) non vi deve essere appropriazione privata o pubblica; nessuno può legalmente possedere gli spazi del Common Heritage; 2) i rappresentanti di tutte le nazioni devono lavorare assieme per amministrare e governare le risorse e i beni

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comuni; 3) le nazioni devono condividere attivamente i benefici acquisiti dallo sfruttamento delle risorse della regione del CHM; 4) nelle aree del CHM non devono esservi armamenti o installazioni militari, a meno che essi non debbano essere usati per mantenimento della pace; 5) i Global Commons devono essere preservati per le future generazioni. È necessario notare che risulta, però, difficile delimitare il cyberspazio, come lo è il controllo dell’uso dell’atmosfera al fine di prevenire i cambiamenti del clima. D’altra parte, in assenza di controllo, il perpetuarsi di cyber-minacce, può destabilizzare la sfera della cyber-sicurezza o, infine, la pace del cyberspazio. Per questo, assume un’importanza fondamentale il modo in cui venga concepito il cyberspazio: un Global Common oppure un insieme di infrastrutture fisiche (cavi, hardware, fibre ottiche, internet, ecc.). Deve essere, altresì, considerato il fatto che molte infrastrutture internet siano possedute e gestite da privati e soggette a una governance multilivello: questo fa pensare a un Global Common imperfetto, soggetto a un «mix» di strategie pubbliche e private (Imperfect Global Common).

Importanza delle Infrastrutture critiche fra minacce ambientali e cyber-minacce Le Infrastrutture critiche (IC) (4) e le loro protezioni verso azioni individuali, di gruppi o di nazioni straniere sono strettamente interconnesse con la cyber-sicurezza (e non facilmente separabili fra loro); le IC sono strettamente dipendenti dal cyberspazio (5) e sono altamente digitalizzate, segnatamente nel caso del settore dell’energia (carburanti, elettricità, gas e nucleare), che è il più esposto alle condizioni/minacce correlate al clima ambientale come anche alle cyber-minacce. Queste ultime e le minacce ambientali interagiscono con le IC in modo sinergico negativo e rendono le IC più vulnerabili ai rischi. Le IC relative al settore dell’energia sono particolarmente a rischio di cyber-minacce e cyber-attacchi, segnatamente nell’ambito del centro-nord Europa. Nel sistema energetico, le IC sono correlate ai rischi dei cambiamenti climatici e ambientali, come l’innalzamento del livello marino, che pone anche una minaccia alle popolazioni che vivono nelle aree costiere. Pertanto, i rischi ambientali possono interessare non solo l’ecologia di una certa area, ma anche la sicurezza umana in una dimen-

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sione a livelli multipli, come le IC in un contesto speciale, o particolare (Condizioni speciali delle infrastrutture critiche, CSIC). Le regioni artiche sono un esempio (condizioni extra-critiche), a causa delle loro aspre condizioni climatiche e le ampie distanze: in questo caso, numerosi settori si trovano in situazioni cruciali: per esempio il settore dell’energia, completamente dipendente dalla digitalizzazione, il comando e controllo di internet e dei computer. In questo quadro, rientra anche la tutela e la sicurezza umana. È importante, quindi, alla luce di ciò, la creazione di una struttura legale che riguardi le succitate CSIC, non solo in termini di legislazione nazionale, ma anche in vista di un carattere regionale, internazionale e globale. Fino a oggi, per quanto concerne il campo associato della cyber-security/cambiamenti climatici, nessuno ha preso in considerazione quale strumento importante esso sia nello sviluppo economico, ma — nello stesso tempo — quanto esso possa essere il bersaglio delle minacce cibernetiche. Questo è particolarmente importante dove esistano estreme condizioni climatiche e vaste distanze. A causa di questa extra-criticità, le CSIC sono specificamente soggette ai cambiamenti del clima (inondazioni, aumento del livello del mare, interruzioni delle rotte marittime, elettricità e comunicazioni), segnatamente nel settore dell’energia, a causa della sua crescente esposizione alle minacce ambientali e della sua connessione con le maggiori installazioni militari e civili. L’Europa centro-nord e le zone artiche costituiscono un lucido banco di prova nell’ambito delle Infrastrutture critiche che operano in ambienti climatici particolari. L’impatto del cambiamento climatico nell’Artico, per esempio, potrebbe essere più devastante che in altre zone del globo. L’innalzamento del livello del mare, correlato allo scioglimento dei ghiacci, può minacciare, in generale, le infrastrutture e le popolazioni che si trovano in aree remote e ad ampie distanze. Le infrastrutture critiche relative al settore dell’energia, correlate alle maggiori installazioni militari sono le più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico. Il settore energetico, ivi compresa la fornitura di carburanti, comparato con altre infrastrutture, risulta maggiormente vulnerabile: si tratta di un settore cruciale, anche a causa della sua alta interconnessione con altre IC (trasporti, elettricità, comunicazioni, ecc.). Questo significa che se

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«Le infrastrutture critiche (IC) e le loro protezioni verso azioni individuali, di gruppi o di nazioni straniere sono strettamente interconnesse con la cyber sicurezza (e non facilmente separabili fra loro)» (Fonte immagine: hcs.ie).

avvenisse un cyber-attacco nel settore energetico, questo si rifletterebbe in altre IC dipendenti, comprese nell’ambito che viene denominato Dipendenze delle Infrastrutture critiche. In relazione a tale estrema vulnerabilità, è opportuno notare che sia il settore dell’energia che quello elettrico, siano gli unici, fra le IC, che posseggano requisiti obbligatori di cyber-sicurezza e, quindi, vengano regolati sia dal settore pubblico che da quello privato. Per esempio, considerando gli impianti di produzione dell’energia, essi sono controllati sia dallo Stato che dalle compagnie private. In questo ambito il concetto di Condizioni eccezionali per le infrastrutture critiche (CEIC) ben si attaglia al fenomeno di innalzamento del livello del mare, accoppiato alle mareggiate: entrambi costituiscono un pericolo e continueranno a incrementare il rischio di maggiori impatti costieri sulle infrastrutture del trasporto, ivi compresi fenomeni alluvionali temporanei e permanenti di porti, strade, linee ferroviarie, tunnel, ponti, rotte marittime interrotte con navi in difficoltà e il rischio che intere popolazioni possano rimanere completamente isolate dal resto del globo. In tale contesto, la connessione tra la suddetta eccezionale vulnerabilità delle IC sotto le sunnominate particolari condizioni climatiche e le cyberthreats, necessita di un’attenzione particolare al fine di essere mitigato, regolato e gestito. Tale cura particolare non deve essere vista solo in un’ottica concreta, gestionale e pratica volta a mitigare i rischi relativi sia alla cyber-insicurezza e le condizioni climatiche, ma come un bisogno urgente di progettare una protezione legale diretta a prevenire situazioni e problemi futuri, in modo da pianificare anticipatamente le azioni opportune, ivi comprendendo una valutazione dei rischi dovuti all’esistenza degli effetti cumulativi, a cascata, verso le IC.

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Nel settore dell’energia, un cyber-attacco alle IC, sotto la specie di CEIC, può essere paragonato a un evento climatico estremo, a causa della sua imprevedibilità, della rapidità e della vulnerabilità dell’area colpita, con un profondo black-out, in un ambiente con scarsa resilienza. In tale ambiente, il tempo necessario per tornare alla normalità sarebbe sicuramente molto lungo. Si deve sottolineare che le minacce variano rapidamente, senza la possibilità di prevedere tali cambiamenti, soprattutto in breve tempo: questo comporta un’obiettiva difficoltà di disegnare strategie di mitigazione da un vantaggioso punto di vista politico-legale. Parimenti, i piani di adattamento ai cambiamenti climatici in una prospettiva legale e politica, potrebbero presentare delle difficoltà, segnatamente in un approccio proattivo piuttosto che reattivo. I problemi su accennati, ci portano a ripensare a una nuova idea volta ad ampliare la nozione di adattamento ai cambiamenti del clima, allo scopo di includervi le cyber-minacce e le loro conseguenze sull’ambiente e la sicurezza umana, dal momento che, per esempio, come su accennato, le Infrastrutture critiche dell’energia sono strettamente correlate alle condizioni climatiche/ambientali e non possono essere gestite e regolate una alla volta, negli interessi della sicurezza umana e al fine di evitare i relativi disastri.

Infrastrutture obsolete Molte delle infrastrutture influenzate dal cambiamento climatico e le infrastrutture che supportano il cyber-spazio e internet, sono state create con scarsa considerazione dei seri rischi presentati dal cambiamento del clima e dalle cyber-minacce. Queste strutture sono state, infatti, costruite quando tali minacce non erano evidenti, poco comprese o ignorate. Numerose «infrastrutture di servizio» sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Uno studio dell’Unione europea, per esempio, ha messo in luce, per l’Italia, che per un sollevamento medio

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del livello del mare (1÷4 m), su circa 7.500 km di coste, il 22,8% di esse diventi soggetto a erosione: le aree più a rischio sono le coste della Toscana, la foce del Tevere (Lazio), la parte sud del Lazio, l’estuario del Volturno e la costa a sud di Salerno (segnatamente il Cilento), Campania e la Sicilia. Il bacino del nord Adriatico è particolarmente a rischio a causa della presenza del delta del Po, e la laguna veneta. In quest’ultima, la linea costiera è raramente più alta di 2 metri e, a causa di fenomeni di subsidenza, varie parti si trovano attualmente al di sotto del livello del mare. Al di là dei fattori puramente geografici, le caratteristiche socio-economiche rendono la fascia costiera italiana del tutto vulnerabile, dal momento che essa è la residenza di molte persone e di siti industriali. La Figura 1 (nella pagina successiva) illustra le regioni costiere italiane più vulnerabili, assieme ai maggiori indicatori socio-economici relativi alle stesse. Secondo uno studio dell’US Department of Energy i cambiamenti climatici possono anche creare un effetto domino, dal momento che la distruzione di infrastrutture può ripercuotersi su altre, a causa di «interdipendenze estese», minacciando la salute e le economie locali, segnatamente nelle aree ove la popolazione e le attività economiche siano concentrate in aree urbane. L’elaborazione di tale effetto domino conduce alla conclusione per cui «le vulnerabilità e gli impatti sono eventi che vanno al di là delle infrastrutture fisiche stesse». La preoccupazione risiede nel valore dei servizi forniti dalle infrastrutture, dove le vere conseguenze degli impatti e dei danni riguardano non solo i costi associati al ripristino, riparazione e/o sostituzione delle infrastrutture interessate, ma anche negli effetti economici, sociali e ambientali correlati alla distruzione delle catene di rifornimento, alla sospensione delle attività economiche e alla minaccia verso il benessere. Il cyberspazio si trova ad affrontare sfide simili. In un documento del Dialogue Transatlantique Des Consommateurs (DTDC) (6) (febbraio 2007), viene illustrato che negli Stati Uniti, il 69,3% della popolazione è connessa a internet e nell’Unione europea il 51,9%. Nello stesso documento si nota che, nell’ambito OECD (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, OCSE, Parigi), gli Stati Uniti hanno il numero più ampio di abbonamenti alla banda larga (57 milioni, 31% di tutte le connessioni in banda larga). In breve,

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ternet non sono stati progettati con caratteristiche di sicurezza: questo rende la struttura essenziale della rete fondamentalmente insicura». I cambiamenti climatici e le cyber-minacce molto spesso interessano le stesse Infrastrutture critiche, come le reti elettriche. Secondo il generale M. Hayden: «Sono cresciute le cyber threats alla rete elettrica del Nord America, rendendo la cyber-sicurezza un argomento importante a livello nazionale e internazionale (…)».

Cooperazione; inquinamento ambientale e cyber-inquinamento; aspetti normativi La cooperazione sulla cyber-sicurezza e la protezione ambientale richiede differenti forme di relazioni, e.g., fra i governi, le loro agenzie specializzate o i portatori d’interesse. Il cambiamento climatico e la cyber-sicurezza possono essere entrambi affronFigura 1 - Sono illustrati alcuni indicatori socio-economici nella linea costiera italiana: nella 4a tati in un sistema multi-normativo di riga viene esposta la percentuale di costa — profonda 10 km — al di sotto di 5 m rispetto al l.d.m.; nella 6a riga, per una profondità di 50 km di costa, il PIL in mil. di euro; nell’ultima riga, la governance: in questo quadro, a livello popolazione, nella stessa profondità di zona (Unione europea). nazionale, per risolvere i problemi correlati all’efficacia del sistema e al suo potenziamento, nel succitato documento, viene sottolineato che: «(…) hanno molta importanza le azioni dal basso verso internet è diventata parte un mezzo importante, oggil’alto e le attività della società civile. Alla luce di ciò, giorno, per molte società (…)» e nelle nostre vite: eserun approccio verticale e orizzontale alla struttura lecizi commerciali, banche, compagnie di assicurazioni gislativa nel settore, può risultare determinante: il ed enti governativi sono contattati da cittadini e consuprimo potrebbe realizzarsi attraverso l’implementamatori per l’esercizio online di servizi, consigli, inforzione di leggi internazionali in ambito regionale (i.e. mazioni, pagamenti e online banking. Più recentemente, leggi EU), incrementando la comunicazione dell’insecondo Hootsuite (gennaio 2021), i Social active formazione e dei dettagli concernenti sia l’informamedia users in rapporto alla popolazione sono nel Nord zione sia la realizzazione di politiche-chiave e degli America il 79%, in America centrale il 71%, in Nord obiettivi; il secondo, fornendo informazioni sui piani Europa il 79%, nel Sud Europa il 71%, nell’Europa di attività e sulle strategie da realizzarsi a livello nadell’Est il 72%, nell’Asia occidentale il 60%, in Asia zionale in entrambi i settori (cyber/ambiente). Nel orientale il 66%, nell’Asia meridionale il 69%, in Sud caso della cooperazione regionale sulla cyber-sicuAmerica il 72%. Secondo VPN Mentor (2021), in una rezza delle IC nel settore dell’energia, lo scopo può popolazione mondiale di 7,8 miliardi, gli utenti di inessere il controllo e la messa in sicurezza delle vulneternet sono 4,804 miliardi. Nel citato documento del rabilità e degli incidenti che potrebbero interessare il DTDC viene esplicitamente evidenziato che «(…) i settore in parola. Le maggiori difficoltà giacciono primi protocolli di rete che a tutt’oggi sono parte di in-

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nello stabilire un accettabile e comune livello di protezione e cooperazione. Nel regime di protezione degli ambiti cyber/ambiente, può applicarsi un principio generale di leggi ambientali internazionali, specialmente trattando argomenti relativi ai Global Commons. Un esempio pratico di Multilateral Agreement è la United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), nella quale il dovere di cooperare è citato nella Sez. 2, Global and Regional Cooperation, art. 197 (Cooperation on a global or regional basis) (7). Come su accennato, pertanto, la governance della cyber-sicurezza e i problemi del cambiamento climatico, non possono essere disposti su un solo livello normativo o in una sola dimensione (i.e., solo realizzazione verticale), ma necessitano di una combinazione bi-dimensionale (verticale e orizzontale), con un forte accento sul ruolo della società civile, il cui ruolo può essere particolarmente rilevante, per esempio, per la realizzazione dell’Accordo di Parigi (8) volto, fra l’altro, a minimizzare il problema degli opportunismi e, pertanto, contribuire a incrementare la cooperazione internazionale per combattere i cambiamenti del clima. Mentre il Protocollo di Kyoto (9) fu un successo in termini di ratificazione e per l’impostazione di obiettivi di limitazione alle emissioni, esso non mise in atto un sistema di sviluppo sostenibile, almeno non fino a quando le nazioni sviluppate furono obbligate a ciò dagli obiettivi succitati, nonostante il fatto che le maggiori quantità di emissioni provenissero dalle nazioni in via di sviluppo. Fu necessario un lungo periodo di tempo affinché il protocollo di Kyoto entrasse in vigore e, quindi, avesse un impatto sulla politica climatica. Il Protocollo di Montreal (Montréal Protocol) (10), invece, viene considerato un esempio di modello vincente di cooperazione per l’indirizzo di problemi globali: in questo caso ai fini del problema concernente la deplezione dello strato di ozono. Il Protocollo può servire come modello specialistico per la pianificazione e la realizzazione di progetti nel settore della cyber-sicurezza. Immaginare e disegnare un parallelo fra il regime normativo ambientale e il cyber-regime, potrebbe risultare altresì utile per comprendere e mettere in luce le parti oscure esistenti all’interno della cyber-sicurezza: molti aspetti di tali ambienti, infatti, sono ancora sco-

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nosciuti e altamente frammentati del cyberspazio. Il problema dell’«iper uso», anche dal punto di vista normativo-legale, concerne sia la sfera ambientale sia quella del cyberspazio: entrambi i regimi sono vittime della «Tragedia dei beni comuni» (11). Nel cyberspazio, per esempio, l’«Inquinamento da informazioni» può derivare, fra l’altro, da una quantità massiva di messaggi pubblicitari non richiesti, inviati a un numero molto elevato di utenti di internet tramite posta elettronica, il che riduce lo spazio d’ampiezza di banda. Allo stesso modo, la distruzione dell’atmosfera è il risultato di molti soggetti individuali (società, industrie, ecc.) che massimizzano i loro utili senza riguardo alle relative conseguenze. In cyber-sicurezza, l’inquinamento informativo può anche essere indotto da attacchi diffusi di negazione del servizio, i quali potrebbero condurre a veri e propri «crash», dovuti a un’enorme quantità di richieste di accesso ai siti web. Questo può anche accadere in relazione a una carenza di «proprietà definita» o della relativa normativa, dando luogo, da parte di molti soggetti, a un super uso del «proprio spazio». Similmente, l’atmosfera è altamente soggetta all’inquinamento e non possiede un’illimitata capacità di immagazzinamento. Questo, a sua volta, richiede una solida e ben definita governance, particolarmente per le risposte che limitano l’accesso aperto a un sovrasfruttamento delle risorse naturali e mirino a mitigare il comportamento umano e le sue conseguenze antropogeniche. Tali limiti potrebbero essere materializzati attraverso, per esempio, misure che abbiano lo scopo di stabilire diritti di proprietà ben definiti, oppure attraverso il settore pubblico, e.g. mediante l’implementazione di strumenti di policy (come, per esempio, il sistema cap - and - trade, nel quadro del Protocollo di Kyoto) (12) che abbiano la capacità di prevenire opportunismi, o anche mediante tasse o quote.

Il ruolo dell’Europa. L’interesse nazionale Le minacce di guerre tradizionali, combattute da truppe e cannoni, sono un fatto potenziale. Il confronto digitale, invece, avviene giornalmente e su questo fronte è necessario rispondere rapidamente, senza ritardi: uno scenario minaccioso, che non proviene solo da Russia e Cina, ma anche da gruppi terroristici. Il 16 dicembre

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Cyberspazio e atmosfera: due ambienti, stesse minacce

2020, la Commissione europea, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza hanno presentato una nuova strategia dell’UE in materia di cyber-sicurezza, adottata il 24 luglio 2020. L’obiettivo di questa strategia è rafforzare la resilienza collettiva dell’Europa contro le minacce informatiche e garantire che tutti i cittadini e le imprese possano beneficiare pienamente di servizi e strumenti digitali affidabili. La transizione digitale nella società, resasi più impellente dalla crisi Covid-19, ha ampliato la gamma delle minacce e sta porgendo nuove sfide, verso cui sono necessarie risposte nuove, adeguate e innovative. La quantità di attacchi informatici, provenienti da numerose fonti sia all’interno sia all’esterno dell’UE, è in aumento. L’UE dispone di strumenti militari, politici, economici e di una solida struttura di intelligence che gli consente di affrontare radicalmente il problema. L’Unione, quindi, possiede una capacity building in grado di trattare congiuntamente i due campi (cyberspazio/ambiente). Come su menzionato, dovrebbe condurre la creazione non solo di unità di risposta rapida, ma anche la formazione di norme comuni per soluzioni di livello mondiale e standard di sicurezza informatica per i servizi di base e per le Infrastrutture critiche, in armonia con i principi democratici. Il 9 dicembre 2020, la Commissione europea ha presentato una prima relazione sui progressi compiuti nell’attuazione della strategia (Communication from the Commission to the European Parliament and the Council - First Progress Report on the EU Security Union Strategy) (13). È necessario che la succitata capacità si traduca in una collegialità di azioni fra gli enti che si occupano del mercato interno, dell’applicazione della legge, della diplomazia e della difesa, in modo tale che essi possano rispondere collettivamente in occasione di un attacco, realizzando una difesa strategica totale. La strategia riguarda la sicurezza dei servizi essenziali come ospedali, reti energetiche, ferrovie e il numero sempre crescente di oggetti collegati nelle nostre case, uffici e fabbriche. La strategia mira a costruire capacità collettive per rispondere ai principali attacchi informatici. Essa delinea inoltre piani di collaborazione con i partner di tutto il mondo per garantire la sicurezza internazionale e la stabilità nel cyberspazio. Inoltre, essa

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illustra in che modo un’unità informatica congiunta possa garantire la risposta più efficace alle minacce informatiche utilizzando le risorse e le competenze collettive di cui dispongono gli Stati membri e l’UE (14).

Obiettivo della strategia La nuova strategia ha lo scopo di garantire un uso delle reti informatiche aperto e globale con solide protezioni laddove vi siano rischi per la sicurezza e i diritti fondamentali delle persone in Europa. Il progetto contiene proposte concrete per l’impiego di tre strumenti principali. Tali strumenti consistono in iniziative di regolamentazione, investimenti e politiche. Essi tratteranno tre settori d’azione dell’UE: 1. resilienza, sovranità tecnologica e comando-controllo; 2. capacità operativa di prevenire, dissuadere e reagire (15); 3. cooperazione per promuovere un cyberspazio globale e aperto. L’UE prevede di sostenere questa strategia mediante un ampio livello di investimenti, nell’arco di tempo dei prossimi sette anni.

Conclusioni Da quanto su esposto, si ritiene che sfide portate all’ambiente, recepito nella sua interezza Terra-Atmosfera-Spazio e al cyberspazio, pur nella diversità delle variabili relative ai due sistemi, siano di natura antropogenica, rapidamente crescenti e strettamente correlate fra di loro. La velocità, senza precedenti, con cui si manifestano i cambiamenti del clima (e.g., frequenza delle onde di calore, innalzamento del livello dei mari, sperequazione nei regimi pluviali, ecc.) e il dinamismo della specializzazione degli hacker, che solidarizzano rapidamente, pongono serie minacce verso i governi nazionali, i quali hanno tempi diversi e necessariamente più lunghi per armonizzare decisioni complesse e articolate. Allorché forze massive come quelle summenzionate, associate fra di loro, minacciano aree geografiche di dimensioni continentali, gli impatti possono essere enormi. In questo quadro, ben si configurano le azioni intraprese dalla Comunità europea, volte a stimolare l’attenzione e la prontezza di

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Riquadro Area OECD - A OECD - E OECD - P CEE & fSU ME

Tempeste di vento 147,5 157,39 90,64 82,4 0

Inondazioni da fiumi 84,05 89,82 51,91 46,97 6,61

Cicloni tropicali 10,94 0 25,35 9,06 0

fila come il «quinto ambito di sicurezza della nazione», nel quale gli Costi dei danni (106 euro) per fenomeni meteorologici in alcune aree del globo (OECD-A = OECD attori non sono solo gli Asia; OECD - E = OECD Europa; OECD - P = OECD Pacifico; CEE & fSU = Central East Europe & Russia; ME = Middle East) - (J.S. Tol). enti istituzionali, ma anche i cittadini con la loro preparazione culturale. Di intervento delle nazioni. Un accento particolare deve fronte alle minacce succitate, di differente natura e in essere portato sulla dinamicità/efficienza della presa differenti condizioni, un discorso a parte, di pari imdecisionale che deriva dall’associazione fra la previportanza e urgenza, merita il ruolo della legislazione sione di resilienza, le previsioni meteo-climatiche, la internazionale nel settore, soprattutto in relazione alsorveglianza cibernetica e le dimensioni ambientali e l’uso della forza sia in tempo di guerra (jus ad bellum) socio-economiche dei territori. Questa visione stratesia in tempo di pace (jus in bellum). gica nella guida-controllo della difesa nazionale si pro8 NOTE (1) Il termine cyberspazio (Cyberspace) si riferisce alla sfera virtuale (anche denominata Cyber-Realm), creata quale risultato dell’uso della Information Technology. Attualmente, il termine Cyberspace è caratterizzato dal «Quinto ambito di guerra» da parte di alcuni enti accademici, Stati e dalla North Atlantic Treaty Organization (NATO). (2) I termini cyber-attacco, cyber-minaccia e cyber-rischio sono differenti, anche se usati, in generale, in questo contesto. Un cyber-attacco è un’azione offensiva, un atto non autorizzato che altera, cancella, danneggia, sopprime o distrugge dati all’interno di sistemi o reti computerizzati, mentre una cyber-minaccia è la possibilità che possa verificarsi un determinato attacco e il cyber-rischio associato alla minaccia suddetta, stima le probabilità di perdite potenziali che potrebbero avere luogo. (3) La risorsa comune (CPR ) è un tipo di bene formato da un sistema di risorse naturali o create dall’uomo (per esempio una struttura di irrigazione o aree di pesca). Normalmente, le dimensioni e/o le caratteristiche del sistema rendono costoso (non impossibile) escludere potenziali beneficiari dall’ottenere vantaggi dal suo utilizzo. (4) Non vi è una definizione precisa e concordata delle IC, esistendo enunciazioni che variano fra le nazioni. La Commissione europea (2004) ha definito le IC come: «Le installazioni sia fisiche e per la tecnologia informatica, le reti, i servizi, e i beni che, se danneggiati o distrutti, potrebbero avere seri impatti sulla salute, sulla sicurezza o sul benessere economico dei cittadini o sul regolare funzionamento dei governi» (Critical Infrastructure Protection in the fight against terrorism. COM(2004) 702, Brussels, 20 October 2004). (5) La relazione fra le Infrastrutture critiche e la cyber-sicurezza appare appropriata poiché i cyber-attacchi verso di esse consentono di valutare la valutazione del rischio relativo alle capacità di danneggiamento dei primi. È opportuno notare che non esiste una definizione precisa di Infrastrutture critiche nelle varie nazioni. L’Unione europea le definisce come: «Le strutture fisiche e dell’Information Technology, reti, servizi e risorse che, se distrutti o danneggiati, potrebbero avere seri impatti sulla salute, sulla sicurezza, sul benessere economico dei cittadini o sull’efficace funzionamento dei governi». Le Infrastrutture critiche più comunemente associate sono: energia, finanze, trasporti, comunicazioni, fornitura di acqua, agricoltura e produzione di alimenti, salute pubblica e servizi di sicurezza (polizia/militari). (6) Il Dialogue Transatlantic des Consommateurs [DTDC, o Transatlantic Consumer Dialogue (TACD)] è un forum fra le organizzazioni dei consumatori statunitensi e dell’Unione europea, il quale sviluppa e armonizza le raccomandazioni ai governi degli Stati Uniti e dell’UE al fine di promuovere gli interessi del consumatore e le relative politiche in comune. (7) Si riporta il testo integrale: «States shall cooperate on a global basis and, as appropriate, on a regional basis, directly or through competent international organizations, in formulating and elaborating international rules, standards and recommended practices and procedures consistent with this Convention, for the protection and preservation of the marine environment, taking into account characteristic regional features». (8) L’Accordo di Parigi, siglato il 12 dicembre 2015 nel quadro della United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), dai rappresentanti di 196 Stati, concerne la mitigazione, l’adattamento e gli aspetti finanziari del cambiamento climatico. Esso si prefigge di mantenere l’aumento medio della temperatura globale al di sotto di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali e di perseguire gli sforzi per limitare tale incremento a 1,5°C. (9) Il Protocollo di Kyoto è un trattato internazionale riguardante il surriscaldamento globale. Pubblicato l’11 dicembre 1997 da più di 180 paesi durante la Conferenza delle Parti «COP3» della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005 dopo la ratifica da parte della Russia. A maggio 2013 gli Stati che hanno aderito e ratificato il protocollo sono 192. Con l’Accordo di Doha, l’estensione del Protocollo è stata prolungata dal 2012 al 2020, con ulteriori obiettivi di taglio delle emissioni serra. (10) Il Protocollo di Montréal è un trattato internazionale il cui scopo consiste nel ridurre la produzione e l’utilizzo delle sostanze che minacciano lo strato di ozono. Firmato il 16 settembre 1987, è entrato in vigore il 1º gennaio 1989 e revisionato nel 1990 (Londra), 1992 (Copenaghen), 1995 (Vienna), 1997 (Montréal) e 1999 (Pechino). (11) Nel campo dell’economia, la «Tragedia dei beni comuni», indica una situazione nella quale un certo numero di individui usano un bene comune per interessi personali, senza che, in tale situazione, siano chiari i diritti di proprietà, talché non si ha sicurezza che chi beneficia della risorsa usata ne sostenga i relativi costi. Il termine fu coniato da Garrett James Hardin (Science, 1968). (12) Il sistema Cap-and-Trade (C&T) è una politica di assegnazione di autorizzazioni a inquinare da parte dello Stato. Il numero di autorizzazioni viene stabilito in base al livello desiderato di inquinamento e ai soggetti inquinanti viene consentito di scambiarle tra di essi. Nel C&T viene stabilita una quantità massima commerciabile, lasciando al mercato la definizione del prezzo. (13) Il 23 giugno 2021 il Segretariato generale della Commissione europea ha presentato la Communication on the Second Progress Report on the implementation of the EU Security Union Strategy. Questo ultimo rapporto copre il periodo dal precedente e traccia l’avanzamento nei quattro pilastri della strategia europea: un ambiente futuro a prova di sicurezza, affrontando l’evolversi delle minacce, proteggendo l’Europa dal terrorismo e dal crimine organizzato e un forte ecosistema europeo di sicurezza. Il documento mette in evidenza come si sta portando avanti tale lavoro, con il contributo specifico delle agenzie UE. (14) La 14a Commissione permanente del Senato della Repubblica, nella seduta del 21 aprile 2020, ha esaminato la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla resilienza dei soggetti critici (n. COM(2020) 829 definitivo). (15) Il 23 giugno 2021, la Commissione europea ha esposto un’iniziativa tesa alla creazione di una nuova Joint Cyber Unit (unità congiunta cyber), volta ad affrontare il numero crescente di importanti incidenti cibernetici che influenzano sia i servizi pubblici sia la vita economica e dei cittadini in ambito europeo. In nuce all’iniziativa, fra l’altro, c’è la crescente necessità di risposte avanzate e coordinate mentre gli attacchi cibernetici crescono in numero, in scala e nelle conseguenze, influendo profondamente sulla nostra sicurezza. Tutti gli attori idonei, nell’Unione europea, devono essere preparati a rispondere collettivamente e a scambiare le opportune informazioni secondo il principio di «necessità di condivisione», invece di una «necessità di conoscere». La raccomandazione relativa alla creazione dell’unità in parola costituisce un importante passo avanti nel completare la struttura gestionale europea della crisi cibernetica. BIBLIOGRAFIA Changes in Impactsof Climate Extremes: HumanSystems and Ecosystems (IPCC, 2012). On Climate Change and Cyber Attacks, Vanderbilt Journal of Entertainment & Technology Law, 2016.

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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE

Lunga vita alle unità subacquee Metodologie e programmi per l’estensione della vita operativa dei sottomarini convenzionali Michele Cosentino

Contrammiraglio (r) del Genio Navale. Ha frequentato l’Accademia navale nel 1974-78 e ha successivamente conseguito la laurea in Ingegneria navale e meccanica all’Università «Federico II» di Napoli. In seguito, ha ricoperto vari incarichi a bordo dei sottomarini Carlo Fecia Di Cossato, Leonardo Da Vinci e Guglielmo Marconi e della fregata Perseo. È stato successivamente impiegato a Roma nella Direzione generale degli armamenti navali, il segretariato generale della Difesa/Direzione nazionale degli armamenti e lo Stato Maggiore della Marina. Nel periodo 1993-96 è stato destinato al Quartier generale della NATO a Bruxelles; nel periodo 2005-11 ha lavorato al «Central Office» dell’Organisation Conjointe pour la Cooperation en matiere d’Armaments (OCCAR) a Bonn. Ha lasciato il servizio a settembre 2012, è transitato nella riserva della Marina Militare e nel 2016 è stato eletto consigliere nazionale dell’ANMI per il Lazio settentrionale. Dal 1987 collabora con numerose riviste militari italiane e straniere (Rivista Marittima, Storia Militare, Rivista Italiana Difesa, Difesa Oggi, Tecnologia & Difesa, Panorama Difesa, Warship, Proceedings, ecc.) e ha pubblicato oltre 600 fra articoli, saggi monografici, ricerche e libri su tematiche di politica e tecnologia navale, politica internazionale, difesa e sicurezza e storia navale.

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Personale della Brigata Marina «San Marco» in addestramento con il sottomarino GIULIANO PRINI, in azione nel Golfo di Taranto nell’ambito dell’esercitazione «Medusa». Le quattro unità della classe «Sauro» sono state sottoposte a importanti interventi di ammodernamento nel primo decennio del XXI secolo.

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Il sottomarino a propulsione convenzionale è ormai diventato una risorsa chiave nello sviluppo e nella crescita qualitativa di uno strumento aeronavale bilanciato: questa considerazione è naturalmente applicabile alla stragrande maggioranza delle Marine militari del pianeta, che non possono permettersi, per una serie di motivi politici, economici e operativi, battelli a propulsione nucleare. Del resto, l’evoluzione delle tecnologie applicabili ai sistemi di piattaforma e a quelli di combattimento consente anche ai battelli non propulsi dall’energia atomica di mantenere il passo con le moderne dottrine d’impiego dei mezzi subacquei.

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Lunga vita alle unità subacquee

Breve analisi dei nuovi programmi Tralasciando dunque le Marine che schierano sottomarini propulsione nucleare, l’attenzione di questo saggio si concentra sulla stragrande maggioranza di quelli in servizio, dotati appunto di propulsione convenzionale, per i quali sono in corso in diverse Forze navali programmi di ammodernamento incentrati su nuovi progetti e nuove costruzioni. In Europa sono almeno cinque le Marine impegnate in tal senso: in un’ideale carrellata da nord a sud, si parte con la Marina svedese alle prese con la costruzione di due unità classe «Blekinge» di progetto nazionale, seguita da quella norvegese e quella tedesca impegnate nella cooperazione per i nuovi battelli tipo U212CD. Segue la Marina olandese, che ha avviato un programma per sostituire i quattro battelli classe «Walrus» in linea ormai da lungo tempo, mentre per la Marina Militare è da poco partito il programma per la costruzione di quattro unità al momento denominate U212 NFS (Near Future Submarine): il panorama europeo è chiuso dell’Armada (la Marina spagnola), dove la principale priorità riguarda la costruzione di quattro nuovi sottomarini classe «Isaac Peral» per i quali è stato necessario risolvere gravi problemi progettuali. Al di fuori del continente europeo, i principali programmi subacquei per battelli convenzionali riguardano diverse nazioni, dalla Turchia all’India, dall’Egitto alle Marine che operano dall’altra parte del mondo, vale a dire Giappone, Corea del Sud e Australia: e proprio in AustraIl sottomarino giapponese «Toryu», appartenente alla classe «Soryu», ripreso a Kobe nell’aprile 2021. La Marina giapponese ha adottato una politica di relativamente rapida sostituzione delle proprie unità subacquee giunte al termine della loro vita operativa, in netta controtendenza con quanto accade in numerose altre nazioni (Mitsubishi).

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lia è in corso un programma di rilevante valore politico, militare ed economico, riguardante la costruzione di ben 12 sottomarini convenzionali della classe «Attack», con l’assistenza progettuale e tecnica dell’industria francese. Tutti questi programmi sono stati avviati negli ultimi anni, ma un elemento comune che ha interessato diverse Marine desiderose di fare un salto di qualità rispetto al passato riguarda un approccio cautelativo verso i nuovi progetti e che si sintetizza nel ricorso all’allungamento della vita operativa utile di battelli in linea da diverso tempo: si tratta di una scelta influenzata da diversi fattori, in primo luogo economici perché numerose Forze navali si sono trovate ad affrontare, in tempi diversi, scenari di disponibilità economica certamente non floridi e sono state dunque obbligate a fare ricorso a quest’espediente per mantenere in linea una flotta subacquea numericamente e operativamente credibile. Dal punto di vista tecnico, è importante ricordare che lo scafo di un sottomarino realizzato con acciai a elevata resistenza e di qualità è soggetto a una serie di sollecitazioni cicliche — dovute appunto ai cicli di immersione e ritorno a quote superficiali — che spesso non ne compromettono l’integrità strutturale nel corso degli anni di servizio preventivati in origine. In altre parole, se una Marina ha previsto che un battello, al momento della sua costruzione, potesse rimanere in servizio per 20 anni in condizioni di sicurezza garantite, il rateo d’impiego potrebbe essersi rivelato tale che dopo 20 anni, lo scafo si trova ancora in buone condizioni e in grado quindi di operare in sicurezza per un ulteriore intervallo di tempo. Pertanto, tenendo conto di quest’aspetto, l’attenzione di numerose Marine si focalizza sulla disponibilità di nuovi sistemi e sensori che, con i dovuti accorgimenti, possono sostituire quelli installati al momento della costruzione del battello. La contestuale manutenzione approfondita di altri sistemi imbarcati difficili da sostituire — si pensi al motore elettrico di propulsione o ai gruppi dieselgeneratori — e la sostituzione delle batterie di accumulatori, magari con elementi al litio di tipo moderno, possono rappresentare un insieme di misure finalizzate appunto a un «ringiovanimento» funzionale del battello e a consentirgli di rima-

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nere in servizio ancora per diverso tempo; ciò consente di colmare, almeno parzialmente, un gap capacitivo, e di avviare contestualmente il programma per un battello di nuova generazione in un clima di maggior fiducia. Come già accennato, l’allungamento della vita operativa di un battello in servizio rappresenta una metodologia di carattere generale seguita da diverse Marine, anche se è d’obbligo evidenziare che almeno una di esse agisce in controtendenza: in Giappone si assiste, infatti, a un ricambio generazionale di unità subacquee che ha luogo ogni 15 anni al massimo, con un rateo innovativo e costruttivo che non ha eguali in altre nazioni occidentali o occidentalizzate e di cui fa parte anche l’introduzione sui sottomarini di nuova costruzione di tecnologie all’avanguardia quali le batterie al litio e altri sistemi e sensori (1). Operando in tal modo, la Marina giapponese — ancora riduttivamente denominata forza di autodifesa marittima — soddisfa un requisito operativo e strutturale fondato su una componente subacquea forte di 22 battelli più o meno moderni, a seconda dell’opinione dei vertici navali nipponici.

La via italiana Alle prese con gli incerti scenari del dopo Guerra Fredda e con l’insuccesso del programma nazionale per la sostituzione nel medio-lungo termine dei battelli classe «Sauro» con un progetto denominato «S-90», la Marina Militare ha notoriamente seguito la strada della cooperazione con la Germania che ha portato alla realizzazione dei quattro sottomarini classe «Todaro», in servizio a partire dal 2006. Nel frattempo, fu deciso di attuare un’importante iniziativa comunque finalizzata alla modernizzazione delle Forze subacquee italiane, sfruttando anche i risultati di alcune sperimentazioni di specifici apparati eseguite su un paio di battelli in linea: all’inizio degli anni Duemila, approfittando dei periodici interventi di grande manutenzione, la Marina Militare sottopose i quattro sottomarini della classe «Sauro» meno anziani — Salvatore Pelosi, Giuliano Prini, Primo Longobardo e Gianfranco Gazzana Priaroggia (2) — a un approfondito aggiornamento di alcuni fra i principali sistemi installati. Di particolare rilevanza è stata la sostituzione della suite elettroacustica, del sistema di comando e controllo e di quello per il lancio e la guida delle armi con un unico sistema

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Uno scorcio della camera di manovra del sottomarino PRIMO LONGOBARDO. In primo piano, i due periscopi Kollmorgen in posizione sollevata, e sullo sfondo anche le consolle multifunzionali del nuovo sistema di gestione operativa ISUS-90-20, installato in occasione dell’ammodernamento dei battello.

integrato ISUS 90-20 di produzione tedesca: quest’ultimo — il cui acronimo sta per Integrated Sensor Underwater System — comprende, nella zona prodiera del battello, una base conforme passiva (avente però un maggior numero di elementi rispetto alle soluzioni precedenti e qualitativamente più performante) e un sensore attivo di foggia cilindrica, entrambi sistemati nella medesima posizione degli apparati precedenti; in coperta a prora è stato inoltre installato, l’RS 100, risponditore subacqueo che si attiva in caso di emergenza. L’aspetto più evidente e innovativo dell’ISUS-90-20 è rappresentato dalle quattro consolle multifunzionali ubicate sul lato dritto della camera di manovra dei battelli che, tramite appositi cabinet d’interfaccia, valorizzano le prestazioni dei sensori elettroacustici e l’impiego delle armi. Nel processo di ammodernamento dei predetti quattro battelli italiani, non meno importante è stata la sostituzione degli impianti per le comunicazioni con un sistema denominato IRCS (Integrated Radio Communication System), con capacità di trasmissione e ricezione anche nelle bande satellitari e dunque d’integrazione con altri tipi di piattaforme aeronavali. Da ricordare infine che il sistema di governo SEPA 8522 già presente sin dall’inizio su Longobardo e Gazzana, è stato installato anche su Pelosi e Prini, ottimizzando così il supporto lo-

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gistico e l’addestramento del personale. Questa metodologia ha dunque permesso alla Marina Militare di prolungare la vita di servizio dei battelli più anziani, impiegandoli in determinati scenari operativi e anche per scopi addestrativi, conseguendo due obiettivi correlati: mantenere una flotta subacquea strutturata sul minimo numero di battelli — otto esemplari — necessari a soddisfare le esigenze della Forza armata e consentire la transizione verso sottomarini di nuova generazione a elevato contenuto tecnologico.

Nuova vita per i «Walrus» Il sottomarino olandese BRUINVIS, in transito nello Stretto di Gibilterra. In evidenza, la cospicua

Quando entrarono in servizio, a partire struttura che avvolge la condotta di scarico dell’impianto snorkel, che fuoriesce dalla parte superiore poppiera della falsatorre (US Navy). Nella pagina accanto: in alto, il lato dritto della dalla seconda metà degli anni Ottanta, i quat- camera manovra di un sottomarino olandese classe «Walrus» sottoposto al programma oltre alle consolle multifunzionali del nuovo sistema di gestione operativa è visibile, tro sottomarini olandesi classe «Walrus» «IP-W»: sullo sfondo, quella per l’albero optronico di nuova installazione; in basso, il lato sinistro della camera manovra su un «Walrus» olandese, con le consolle aggiornate del sistema per la (l’unità eponima, Zeeleeuw, Dolfijn e Bruin- gestione della piattaforma e quella, in fondo, per il governo del battello (Damen). vis) erano fra i più avanzati battelli a propulprogramma di conservazione della classe «Walrus» e il sione convenzionale, progettati e realizzati in cantieri cui obiettivo è quello di estendere di 10 anni la vita opeolandesi. Iniziata negli anni Settanta, la loro costruzione rativa dei quattro battelli, valorizzandone sia le capacità avrebbe dovuto seguire una determinata tempistica, ma il residue, sia quelle di nuova introduzione. Walrus poté entrare in linea soltanto nel 1989, un ritardo Destinate a concludersi nel 2025, le attività del IP-W dovuto principalmente a un furioso incendio scoppiato a prevedono un trattamento di controllo e preservazione bordo, causato proprio dall’elevato grado di automazione dello scafo dei battelli, il potenziamento dell’impianto di e dalle continue modifiche introdotte nel progetto iniziale governo (i «Walrus» sono dotati di superfici di governo su richiesta della Marina olandese (3). I «Walrus» sono poppiere a «X» e la consolle del timoniere è stata riequistati frequentemente impegnati in operazioni d’intellipaggiata con display a colori e comandi automatizzati) e gence nel Mare del Nord, nel Mediterraneo, nei Caraibi dei sistemi dedicati alla navigazione (con l’installazione e anche in aree marittime del continente asiatico, ma la della cartografia elettronica, di un nuovo sistema inerziale loro sostituzione con battelli di nuova generazione è stata dell’azienda francese Safran e di un sistema automatico più volte rimandata a causa di scarse risorse finanziarie d’identificazione), l’imbarco di un nuovo impianto per la disponibili; questo scenario — in cui si è inserita nel 2004 produzione di acqua dolce (necessario a causa delle lunanche la chiusura dell’azienda Rotterdamse Droogdok ghe missioni spesso intraprese da questi battelli), il poMij di Rotterdam, costruttrice dei «Walrus» — ha fatto tenziamento delle capacità di processazione delle anche paventare la dismissione delle quattro unità e lo informazioni provenienti dai sensori elettroacustici, l’inscioglimento della Forza subacquea della Marina olanstallazione di un sonar attivo per la scoperta delle mine e dese. Maturata circa 10 anni orsono, una soluzione di di altri oggetti subacquei di produzione tedesca (ELAC compromesso è consistita nell’avvio di un programma di Nautik), un miglioramento delle capacità di comunicanuove costruzioni mediante una competizione internaziozione e integrazione con altre unità di superficie e velivoli nale tuttora in corso e nell’ammodernamento dei quattro cooperanti (sfruttando soprattutto le bande satellitari di «Walrus»; iniziata nel 2013, quest’attività è definita «IPtrasmissione SHF), la sostituzione del periscopio d’atW», acronimo di «Instandhoudingsprogramma Walrutacco con un albero optronico non penetrante L3/KEO sklasse», che in lingua olandese significa letteralmente

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locali, mentre tutta la tempistica ha subìto delle variazioni importanti dovute a una pausa di riflessione tecnica e adattamento degli interventi seguita alle lezioni apprese nella fase iniziale del programma stesso: il primo battello sottoposto ad ammodernamento è stato lo Zeeleuw, che ha completato i lavori alla fine del 2018, seguito nell’attività dal Dolfijn, dal Bruinvis (interventi in corso) e dal capoclasse Walrus (inizio attività nel 2022). La pianificazione degli interventi è stata rimodulata per tener conto dei ritardi nell’approntamento dello Zeeleuw, nonché per permettere alla Marina olandese di disporre sempre di due battelli pronti all’impiego; di conseguenza, la conclusione dell’IP-W su tutti i battelli è stata prevista per il 2025, in modo da capitalizzare l’esperienza acquisita con l’ammodernamento dei primi battelli e addestrare convenientemente gli equipaggi alla condotta dei nuovi sistemi imbarcati.

Le scelte scandinave Model 86, la riconfigurazione di alcuni locali interni per permettere il trasporto e il supporto a favore di operatori delle forze speciali e, soprattutto, l’installazione del nuovo sistema di gestione operativa CAMS/Force Vision Guardion, sviluppato dalla Marina olandese. Naturalmente, nel corso dell’IP-W si è anche proceduto alla revisione generale di tutti gli altri impianti di bordo e alla sostituzione delle batterie, provvedendo a eliminare le obsolescenze e a introdurre, per quanto possibile, componenti di origine commerciale. Sotto il profilo estetico, la maggior parte di quest’interventi non sono visibili dall’esterno, eccezion fatta per il parco alberi e antenne (4). Come già accennato, il sistema di gestione operativa è stato ammodernato mediante il software appartenente alla famiglia «Guardion», sviluppato dalla Marina olandese e correlato agli analoghi sistemi presenti sulle fregate lanciamissili classe «Tromp», sui pattugliatori oceanici classe «Holland» e sull’unità d’assalto anfibio Johan de Witt; in materia di interfaccia uomo-macchina, i vecchi schermi sono stati rimpiazzati da una serie di nuove consolle multifunzionali, a cui si aggiunge quella per il controllo dell’albero optronico. Il programma «IP-W» è stato affidato all’azienda olandese Damen Marine, capocommessa di una serie di attività in cui sono coinvolte altre aziende

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La Marina norvegese ha in servizio sei sottomarini classe «Ula» (il battello eponimo, seguito da Utsira, Utstein, Utvaer, Uthaug e Uredd), progettati e costruiti dalla corporate tedesca Thyssen Nordseewerke ed entrati in servizio fra il 1989 e il 1992: il progetto è il frutto di una cooperazione fra Norvegia e Germania, dove esso è noto come «U-Boot-Klasse 210». Il programma di ammodernamento dei battelli norvegesi è iniziato nel 2006, a cura di aziende tedesche, ed è consistito nella sostituzione di circa 60 sistemi e impianti, con interventi riguardanti i periscopi, gli apparati di guerra elettronica e di navigazione inerziale, l’impianto di governo (anche gli «Ula» sono dotati di superfici di governo poppiere a «X»), le batterie e gli apparati per le comunicazioni; anche in questo caso, si è provveduto alla revisione generale di tutti gli impianti e apparati non soggetti a sostituzione. Gli interventi sui battelli norvegesi — di cui non sono peraltro trapelate molte informazioni di dettaglio — sono stati scaglionati nel tempo sia per evitare l’indisponibilità operativa di un numero troppo elevato di unità, sia per consentire anche la sostituzione della suite elettroacustica e del sistema di gestione operativa (molto probabilmente il MSI-90U), attività queste, affidate alla Kongsberg, azienda norvegese specializzata nel settore e che ha fornito quelli destinati anche ai bat-

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telli italiani classe «Todaro» e a quelli tedeschi coevi. Per concludere, va ricordato che la pianificazione di lungo termine della Difesa norvegese — redatta nel 2020 — prevede che gli «Ula» rimangano in linea fino a quando non vengono sostituiti, verso il 2030, dai nuovi sottomarini tipo U212CD, citati in apertura.

I due sottomarini convenzionali della Marina norvegese UTHAUG e UREDD, in banchina nella base navale di Bergen: l’ammodernamento delle sei unità della classe «Ula» ha permesso alla Marina norvegese di prepararsi meglio al nuovo programma U212 CD in cooperazione con la Germania (Royal Norwegian Navy). In basso: lo scafo del sottomarino svedese GOTLAND, tagliato in due parti al fine di procedere agli interventi di allungamento della vita operativa (Kockums).

L’approccio della Marina svedese all’ammodernamento della propria componente subacquea è stato invece più articolato, perché al 2015 risale la firma di un contratto per la costruzione di due nuovi sottomarini — battezzati Blekinge e Skåne — e per il contestuale ammodernamento di altrettante unità già in servizio, il

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Gotland e l’Uppland; poiché l’entrata in linea dei battelli di nuova costruzione è prevista per il 2024 e il 2025, l’ammodernamento dei due «Gotland» assicurerà sia un’ordinata transizione verso i sottomarini di nuova generazione, sia il mantenimento di una flotta subacquea quantitativamente coerente con le esigenze operative della Marina svedese. Il Gotland è rientrato in servizio nel 2018 e sebbene non vi siano evidenze immediate sugli interventi eseguiti, un occhio esperto percepisce che la lunghezza del battello è leggermente aumentata: infatti, nei cantieri della Kockums — società svedese con un passato di realizzazioni subacquee assai importante e progettista anche della classe «Blekinge/A26» — si è provveduto al taglio dello scafo resistente in due parti, all’inserimento di una sezione aggiuntiva e alla sostituzione di circa 20 sistemi, impianti e apparati, per lo più identici a quelli installati sui «Blekinge». Oltre che assicurare una determinata disponibilità operativa della flotta subacquea svedese per il prossimo decennio e l’essenziale continuità alla base industriale subacquea nazionale, l’ammodernamento dei battelli classe «Gotland» costituisce anche un importante raccordo tecnico e operativo con il programma «A26/Blekinge», perché l’installazione di apparati identici sulle due tipologie di battelli significa una riduzione sia dei costi per l’addestramento e la manutenzione, sia dei rischi legati alla realizzazione di un nuovo progetto. Concepiti durante le ultime fasi della Guerra Fredda, i «Gotland» erano ottimizzati per i complessi scenari operativi localizzati nel mar Baltico, nel Kattegat e a ridosso del Mare del Nord e il loro progetto rappresentava un altro tassello della centenaria tradizione subacquea svedese. Equipaggiati con un impianto AIP (Air Indipendent Propulsion) sin dall’inizio, Gotland e Uppland sono entrati in servizio nella seconda metà degli anni Novanta e sono stati oggetto di alcune migliorie già negli anni scorsi, in particolare l’installazione di un nuovo sistema di gestione operativa (il SESUB 960B della Saab) e il potenziamento delle capacità di raffreddamento degli impianti, necessario per permettere ai battelli di operare anche in teatri marittimi fisicamente più «caldi» di quelli nordeuropei. Tuttavia, gli interventi avviati in tempi più recenti sono certamente più invasivi e finalizzati a consentire l’allungamento della vita operativa dei battelli oltre il 2030; in primo luogo è stata installata una nuova suite elettroacu-

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Lunga vita alle unità subacquee

stica, appartenente alla famiglia CSU 90-2 di produzione Atlas Elektronik e formata da una base conforme passiva prodiera a media frequenza, un sonar attivo antimine (sempre a prora), due sensori passivi lineari disposti lungo le fiancate del battello, in cui è probabilmente incorporata anche la determinazione passiva della distanza del bersaglio, un sistema per la rilevazione e misurazione del rumore proprio irradiato, e uno per l’intercettazione delle emissioni sonar avversarie. L’introduzione di questi nuovi sensori elettroacustici e dei relativi accessori per la processazione dei segnali ha comportato un incremento delle esigenze di raffreddamento degli apparati, a cui si è ovviato introducendo a metà circa della lunghezza dello scafo dei battelli — preventivamente tagliato a metà — una sezione lunga 2 metri, contenente tutti gli apparati necessari al potenziamento delle capacità refrigeranti complessive, soprattutto in prospettiva di operazioni nelle aree marittime «calde» accennate in precedenza. Mentre lo scafo resistente dei battelli era aperto, si è proceduto a eseguire numerosi ulteriori interventi, fra cui la sostituzione del precedente impianto AIP con uno di nuova generazione, totalmente integrato con il sistema di controllo della piattaforma (identificato come «Ship Control and Monitoring System, SCMS»); il precedente sistema per la gestione operativa è stato invece potenziato nella configurazione SESUB 960C, comprendente anche una nuova interfaccia uomo-macchina. Non vanno inoltre sottaciute le importanti migliorie introdotte in tema di impiantistica, in particolare ventilazione e condizionamento, raffreddamento delle batterie, assetto e compenso e controllo sentina, valvole a scafo, produzione acqua dolce e aria compressa, produzione/distribuzione di ossigeno, oleodinamico: il potenziamento di quest’ultimo si è reso necessario perché è stata modificata anche la configurazione di alberi e antenne, con la falsatorre quasi totalmente ricostruita per alloggiare un parco sensori che comprende adesso anche un periscopio optronico non penetrante (al posto del periscopio d’esplorazione) e due antenne aggiuntive dedicate alle comunicazioni. La zona anteriore della falsatorre comprende anche una garitta per la fuoriuscita e il rientro di operatori delle forze speciali. Migliorie sono state introdotte anche nelle sistemazioni per l’equipaggio e nei sistemi per le comunicazione, rafforzandone la resistenza contro attacchi cibernetici. Il costo delle operazioni

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Il sottomarino UPPLAND in banchina: allo scafo resistente dei due battelli svedesi è stata aggiunta una sezione lunga 2 metri, contenente tutti gli apparati necessari al potenziamento delle capacità refrigeranti complessive, soprattutto in prospettiva di operazioni in aree marittime calde. Al centro: l’UPPLAND viene movimentato all’esterno del capannone impiegato per gli interventi di ammodernamento: ben visibili sullo scafo i vari sensori elettroacustici di nuova installazione In alto: il sottomarino GOTLAND ripreso durante le prove al termine degli interventi, che gli permetteranno di rimanere in servizio oltre il 2030 (Kockums).

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di ammodernamento e potenziamento dei due battelli, già rientrati in linea da qualche anno, ammonta a 2,1 miliardi di corone svedesi, equivalenti a poco più di 200 milioni di euro, realizzando interessanti economie di scala per la già citata comunanza di sistemi fra i due «Gotland» e i futuri «Blekinge»; da rilevare infine che l’ammodernamento dell’Halland — terzo battello della classe «Gotland» tuttora in linea — rimane ancora materia di discussione politica all’interno del governo svedese.

Dall’altro lato del mondo: i «Collins» australiani Esiste uno stretto legame fra l’industria subacquea svedese e l’Australia, perché l’attuale Forza subacquea della Marina australiana è formata da sei sottomarini raggruppati nella classe «Collins» e realizzati secondo un progetto noto come «Type 471», sviluppato in Svezia da Kockums negli anni Ottanta. I sei «Collins» sono entrati in servizio fra il 1996 e il 2003 e la Marina australiana aveva posto su di essi molte speranze, soprattutto perché numerosi sistemi imbarcati erano di provenienza statunitense: tuttavia, i risultati sono stati assai inferiori alle aspettative perché la vita in servizio della classe è stata funestata da numerosi inconvenienti tecnici che ne hanno compromesso l’affidabilità e la disponibilità operativa. Alcuni interventi importanti sono stati già eseguiti all’inizio del XXI secolo su quattro battelli — Dechaineux, Sheean, Farncomb e Rankin —, sui quali il sistema di gestione operativa AN/BYG-1 di produzione statunitense ha preso il posto di quello originario: altre migliorie minori sono state apportate negli anni successivi, in uno scenario tuttavia caratterizzato da incertezze di natura politica ed economica peraltro in fase di stabilizzazione soltanto da qualche anno. All’incirca al 2016 risale, infatti, un requisito operativo che prevede una flotta subacquea australiana formata da 12 battelli a propulsione convenzionale e in possesso di elevate doti di autonomia in immersione, caratteristiche essenziali per far fronte alle esigenze geostrategiche di un teatro in notevole fermento quale quello

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Quattro sottomarini convenzionali classe «Collins» della Marina australiana navigano in formazione attraverso il Cockburn Sound, nell’Australia occidentale. Accanto: il sottomarino nucleare d’attacco SANTA FE dell’US Navy chiude una linea di fila formata dai battelli australiani COLLINS, FARNCOMB, DECHAINEUX e SHEEAN (Royal Australian Navy).

Indo-Pacifico; da ciò è scaturita la duplice decisione di procedere con la costruzione di 12 unità subacquea di nuova generazione — classe «Attack», di progetto francese — e di eseguire interventi scaglionati nel tempo per allungare la vita operativa dei «Collins» fino al 2050. Di conseguenza, alla fine del 2020 è stato stipulato un contratto per il «Project SEA 1439 Phase 6», riguardante l’ammodernamento della suite elettroacustica, compresa l’installazione di nuovi sensori attivi e passivi a prora e di un nuovo flank array lungo le fiancate dei battelli; nell’ambito del «Project SEA 1439 Phase 5B2» è previsto invece l’ammodernamento dei sistemi per le comunicazioni e per la guerra elettronica. Entrambe le attività vengono svolte tenendo conto dei cicli di lavori di grande manutenzione già programmati, ma sono soprattutto legate all’esigenza di avere sempre disponibili operativamente un determinato numero di battelli; di conseguenza, quest’approccio provoca un allungamento dei tempi per installare i nuovi sistemi e un continuo slittamento della conclusione degli interventi. La seconda delle decisioni accennate sopra — collegata ai tempi realizzativi degli «Attack/Project SEA 1000» — riguarda il LOTE (Life Of Type Extension), mirato appunto a far durare i «Collins» ancora per circa vent’anni e ammodernarli con le tecnologie disponibili, fra cui un albero optronico non penetrante al posto del periscopio d’esplorazione: per comprendere quale sarà la configurazione definitiva dei «Collins» è necessario comunque attendere le scelte di dettaglio della Marina australiana, legate sia all’integrazione — spesso non facile — fra i sistemi di nuova installazione, sia alle ripercussioni e ai benefici di natura socio-economico sulle piccole e medie imprese locali. Infine, è doveroso ricordare l’esistenza in Australia di una corrente d’opinione non del

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tutto favorevole al programma «Attack», che ne evidenzia i costi assai elevati e i tempi di consegna (non prima del 2030 per il primo esemplare), ritenuti non adeguati alle effettive capacità operative richieste della Marina australiana e alle finanze del paese; pertanto, non è escluso che l’inizio del LOTE venga anticipato di un paio di anni in modo da evitare l’insorgere di un rischioso gap quantitativo nelle Forze subacquee australiane.

La «chirurgia subacquea» L’approccio prescelto dalle Marine per prolungare la vita di servizio di naviglio subacqueo si riassume dunque in vere e proprie operazioni di «chirurgia subacquea» più o meno invasive e in passato riservate normalmente alle unità militari di superficie e al naviglio mercantile. Riassumendo quanto esposto, la chirurgia subacquea meno invasiva prevede la sostituzione di impianti e apparati senza dover tagliare in due parti lo scafo resistente del battello ed è normalmente applicata su unità di dimensioni relativamente generose («Collins» e «Walrus»); viceversa, più invasiva è la metodologia prescelta per i «Gotland» e per i battelli di dimensioni più contenute, come accaduto anche al sottomarino greco Okeanos (allungato fino a 62,5 metri) e ad alcune unità peruviane, tutte di fabbricazione tedesca e su cui è stata aggiunta una sezione di scafo contenente un impianto AIP con celle combustibili e relativi accessori (5). Un’eccezione a una regola generale legata alla tipologia di propulsione dei battelli ammodernati riguarda il sottomarino d’attacco a propulsione nucleare francese Perle, la cui zona prodiera è stata distrutta da un incendio a giugno 2020: in questo caso, è stato deciso di sostituire tutta la sezione danneggiata con quella, analoga, prelevata dal Saphir, appartenente alla stessa classe e che si trovava in disarmo già dal 2019. Da notare che il «nuovo» Perle avrà una lunghezza

Gli elementi usati per l’operazione di chirurgia subacquea ai battelli della Marina francese: a sinistra, la prora del sottomarino SAPHIR, destinata a sostituire quella del PERLE, danneggiata da un incendio; al centro, la poppa del SAPHIR (già in disarmo) e a destra la poppa originaria del PERLE, non danneggiata dal predetto incendio (Naval Group).

totale superiore di un 1 metro e un dislocamento maggiorato di 68 tonnellate rispetto ai valori precedenti l’intervento di chirurgia subacquea, perché il taglio dello scafo è avvenuto in posizioni diverse sui due battelli in modo da facilitare il ricollegamento dei componenti interni. Come già accennato, tutte le attività condotte da diverse Marine e finalizzate all’allungamento della vita operativa dei battelli più anziani rimangono collegate a programmi di nuove costruzioni e, dunque, alla disponibilità economica per iniziarle concretamente. Questo legame crea non di rado pressioni a livello militare, politico e industriale e può portare a ritardi nelle decisioni per procedere con i contratti per i nuovi battelli: per esempio, in Olanda la decisione di spostare in avanti la conclusione dell’IP-W per i «Walrus» è strettamente legata a quella per completare la competizione in corso per i sostituti dei «Walrus» stessi: allo stesso modo, i ritardi per le nuove costruzioni possono derivare dal voler minimizzare e mitigare i rischi installando sui battelli ammodernati sistemi destinati anche a quelli nuovi. A fattor comune di tutti questi aspetti vi è l’opportunità offerta dalle moderne tecnologie subacquee per prolungare mediamente per almeno un decennio e in condizioni di sicurezza la vita operativa di battelli che hanno già svolto onestamente il loro lavoro anche negli scenari marittimi del XXI secolo. 8

NOTE (1) Nella Marina giapponese sono in servizio 12 sottomarini classe «Soryu», con gli ultimi due esemplari parzialmente equipaggiati con batterie agli ioni di litio, imbarcate al posto di quelle tradizionali al piombo, per una valutazione operativa sul campo. Il successo della valutazione ha spianato la strada alla costruzione di una nuova classe di sottomarini, denominata «Taigei», al momento formata da quattro esemplari interamente equipaggiati con batterie agli ioni di litio. (2) I primi due appartenenti alla III Serie della classe «Sauro» (entrati in servizio alla fine degli anni Ottanta) e gli altri alla IV Serie (in linea dalla prima metà degli anni Novanta). (3) Una delle innovazioni dei «Walrus» è stata la concentrazione in camera di manovra di tutte le funzioni di comando e controllo della piattaforma e del sistema di combattimento, una soluzione che permise di ridurre la consistenza dell’equipaggio — da 65 a 50 effettivi — rispetto ai battelli della generazione precedente. (4) Prima dell’IP-W, sui battelli della classe «Walrus» era stata vistosamente modificata la condotta di scarico dell’impianto snorkel, che adesso fuoriesce dalla parte superiore poppiera della falsatorre e la cui forma suggerisce l’introduzione di accorgimenti per limitare la segnatura all’infrarosso del battello quando impegnato a ricaricare le batterie. (5) Questa metodologia è quella normalmente offerta dall’industria cantieristica tedesca costruttrice della numerosa serie «Type 209», offerta destinata a tutte le Marine europee, asiatiche e sudamericane desiderose di estendere la vita operativa del proprio naviglio subacqueo.

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SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE

Aspettative e realtà in 50 anni di navi Tecnologie, materiali e nuovi combustibili per il futuro, dalle illusioni degli anni Settanta alla realtà di oggi e ai nuovi scenari zero-emission

Antonello Gamaleri

Laureato in ingegneria navale e meccanica, già dirigente di aziende internazionali è stato direttore tecnico del settore traghetti passeggeri e navi da trasporto di Fincantieri Direzione navi mercantili dal 1998 al 2002; dal 2003 al 2009 è stato direttore della progettazione di base e preventivazione della Direzione navi militari. Ha poi continuato come consulente di Finmeccanica (ora Leonardo) fino al 2013. È membro dell’European Technical Committee dell’ABS, dell’Italian Technical Committee del LR e del Naval Vessels Classification Committee del Bureau Veritas. Morosini 64-67 (corso Barracuda) e Accademia navale (corso Antares).

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Rappresentazione di un progetto di sottomarino tanker a propulsione nucleare per la rotta artica (Ships and Shipping of ToMorrow, VerlagTechnikBerlin, 1973).

S

ulle navi e sui traffici marittimi si trovano per il grande pubblico scritti, articoli e libri che solleticano il concetto trasfigurato e romanzato che esiste di essi nell’immaginario collettivo. Ma, la nave e le sue attrezzature, le conoscenze che sono alla base della tecnologia usata e dei materiali per la costruzione e ancora il relativo importantissimo valore economico e militare, vanno posti nelle complessità di contesti storici e

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organizzativi oltre che di cultura degli uomini del tempo, di capacità nautica e di precarietà dei mezzi. Chi racconta la storia spesso in Italia trascura l’importanza di questi condizionamenti, forse per pregiudizio culturale. Le navi delle talassocrazie del passato sono note in modo parziale. Ci sono molte immagini stilizzate su vasi antichi e incisioni e riferimenti nei poemi omerici, in alcuni frammenti di liriche greche e poi i ritrovamenti di navi antiche e le descrizioni degli scrittori latini e delle saghe nordiche. Le navi erano piccole e non pontate, in definitiva delle grosse imbarcazioni soggette alle intemperie. E così andò avanti per secoli sino a fine Seicento, con relativamente poca evoluzione di dimensioni, materiali e tecniche costruttive. Unica vera rivoluzione fu l’adozione generalizzata della navigazione a vela, il cannone navale e gli strumenti per una navigazione più precisa: carte, bussola, strumenti, calcoli astronomici e cronometro per la longitudine. Solo tra il Settecento e l’Ottocento, le navi cominciarono a crescere di dimensioni e cambiare più velocemente, dopo essersi evolute molto lentamente nel corso di un paio di millenni. In modo ancor più accelerato, la costruzione delle navi quanto a forme, dimensioni materiali e propulsione si è modificata solo da metà Ottocento, influenzando l’economia, i traffici, la capacità di navigazione e la capacità di portare merci e guerra in mari lontani. A sua volta la costruzione delle navi è stata influenzata dai vincoli oggettivi di materiali, tecnologie, economia, approvvigionamenti e spinte politiche e sociali. Per le nostre considerazioni diamo uno sguardo agli ultimi 50 anni a partire da quello che si era previsto negli anni dal 1970, cosa si è veramente realizzato verso il 2000, per finire a cosa oggi, nel 2021, si è consolidato. Infine, anche alcune considerazioni su quelli che si possono intravedere come sviluppi per i prossimi 50 anni.

L’ottimismo e la visione del 1970 Appare evidente come 50 anni fa vi fossero forti aspettative visionarie e spesso ottimistiche e fideistiche sulle navi mercantili del futuro. Esempi si possono ritrovare in pubblicazioni scientifiche di università e riviste. Un confronto di quelle aspettative con la moderna realtà ci porta a interessanti considerazioni.

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Aspettative e realtà in 50 anni di navi

come già accennato, una fiducia in uno sviluppo tecnico ed economico che sarebbe andato avanti in continuità con quello iniziato nel 1960. Per esempio la standardizzazione del carico (i containers) aveva influito sul progetto stesso La nave mediterranea nelle antiche raffigurazioni. Kleitias, Cratere attico detto Vaso François, dettaglio con la nave delle navi. E l’effetto pardegli Ateniesi a Creta (570 a.C. circa; ceramica a figure nere, 66 x 57 cm; Firenze, Museo Archeologico Nazionale). tito da un modulo per il trasporto terrestre (su treni e camion) era rimbalzato dopo Nel libro Ships and Shipping of Tomorrow, VerlagTeaver condizionato la forma delle navi all’indietro su tutta chnikBerlin, 1973, finanziato dalla Henry Kummerla «transport chain» in una forzata razionalizzazione. mann Foundation, si trovano serissimi studi ed esempi. Tutti questi fattori ne erano stati influenzati: la logiLe previsioni di sviluppo più lucide e razionali stica, i movimenti da e per i porti, la movimentazione del erano state fatte partendo dai bisogni del futuro carico nei porti e i relativi mutamenti sociali. Una catena mondo globalizzato e dai prevedibili aumenti del integrata di trasporto che include strade, ponti, ferrovie, traffico merci e dei consumi di energia. organizzazione, distribuzione, persone ed economie. Essi ipotizzavano un incremento parallelo della scienza e dello sviluppo tecnologico insieme con lo sviLe ragioni dello sviluppo luppo sociale ed economico prevedibile in anni di pace e di iniziale tendenza alla «globalizzazione», in un quaL’industria della costruzione navale e dello shipping dro generalmente ottimistico. in generale ha iniziato a correre più velocemente ai Le visioni del 1970 si fondavano su lucide e complesse primi anni Settanta sotto l’influenza dello sviluppo analisi basate sui dati e sui trend di quegli anni con la loro scientifico e tecnologico. possibile estrapolazione. Le proposte che venivano formuMa, la dinamica del cambiamento non era dipenlate erano molte e varie. Si trattava allora di affrontare, in dente soltanto dalle innovazioni tecniche, dai talenti inmodo più razionale, i problemi che si affacciavano. Quelli ventivi e organizzativi, ma anche da una modifica che si cominciavano a intravedere come trasporti di massa profonda delle condizioni sociali. per i futuri 6-7 miliardi di abitanti della Terra dai 2 miliardi Quali erano dunque le idee e le visioni verso gli anni del tempo della Seconda guerra mondiale. Subito erano Settanta e Ottanta? Ci si poneva la domanda se il progresso stati individuati i colli di bottiglia che si sarebbero trovati tecnico e quello sociale procedessero davvero alla stessa davanti. Esistevano, infatti, fame, povertà e sottosviluppo velocità. Il gigantismo si era già manifestato, ma per rain una grande parte del mondo. Vi era una mancanza di gioni politiche, a causa della chiusura del canale di Suez. comunicazioni per materiali e persone dall’Artico all’AnNella crisi del 1974-75, successiva a quella del petartico e tra gli oceani e le regioni più remote. L’aumento trolio e dell’aumento del suo prezzo, vi fu un aumento dei traffici avrebbe segnato anche il progresso. della consistenza e della capacità di carico della flotta Esistevano allora (1970) circa 34.000 navi per trafmondiale del 25%. Una sovraccapacità rispetto alle nefici marittimi corrispondenti a circa 660 milioni di cessità del momento. DWT (Dead Weight Tons di portata lorda) che poteRicordiamo il caso della sovraccapacità di trasporto vano trasportare 3,4 milioni di tonnellate di carico. delle supertankers costruite, spesso in proprio senza un Si formulò l’ipotesi di aumento costante dei trasporti cliente, dai cantieri europei e poi inutilizzate e ormegstimato del 4-5% all’anno. Vi era allo stesso tempo, giate nei fiordi norvegesi in attesa di tempi migliori se

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non di demolizione. Si Evoluzione dimensioni navi verificò quindi una forte Num. TEU 2.500 5.000 8.000 15.000 26.000 differenza tra i volumi Portacontainers LOA m 215 270 335 370 400 di carico richiesti e una offerta e un tonnellaggio Bulk Carriers DWT (t) 80.000 280.000 360.000 400.000 450.000 disponibile. Una situazione simile è Anno (1) 1970 1985 2000 2015 2030 di nuovo capitata nel 2007-08. Tra gli operatori DWT - Portata lorda tonnellate metriche armatoriali ci sono sem- TEU - container standard 20 piedi 20 t pre delle vittime per cia- Tabella incremento dimensioni e capacità navi mercantili dal 1970 e previsione al 2030 (elaborazione autore). scuna crisi. Esse sono, luppo». In generale, come già anticipato, il progresso tecinfatti, poi superate sempre con azioni per fronteggiare la nico-scientifico da solo non è in grado, nel campo dello crescente competizione che è fisiologica in queste situashipping, di risolvere i problemi sociali, politici ed ecozioni. Le soluzioni sono varie e diverse, ma in genere imnomici del futuro. Ed è proprio l’inseparabile coinvolgiplicano percorsi con razionalizzazione e progresso tecnico. mento tra progresso tecnico-scientifico e processi sociali Un discorso a parte va fatto per le organizzazioni statali, che rende difficile fare previsioni accurate per il futuro. cui in quei momenti non importa il passivo, ma consolidare Tre fattori erano stati evidenziati negli anni Settanta come una presenza, conquistare nuove rotte e mercati con dumimportanti e potrebbero essere validi ancora oggi: ping, come fecero, in effetti, i cinesi. In genere alla fine di — il progresso tecnico procede sempre più velocemente ogni crisi ci sono nuove tecnologie, razionalizzazione dei di quanto non sia accaduto in passato, anche se non in servizi e una rinnovata e migliorata organizzazione. L’adozione di moderne tecnologie nelle nuove costruzioni non è un processo continuo e in generale ciascun armatore esistente introduce nuovo tonnellaggio con produttività incrementale. Allo stesso tempo nuovi armatori si aggiungono ai vecchi, così si spargono i semi di una nuova crisi. Si tratta di un circolo vizioso che spesso il mercato da solo non riesce a regolare bene, come per il mondo industriale, non solo per le navi. Gli aiuti di Stato per mantenere una certa stabilità sono stati necessari e inevitabili anche nelle nostre democrazie occidentali al fine di superare temporaneamente alcune criticità e poi lasciar ripartire armatori e industrie, rinnovati e riorganizzati. Altro fattore che condiziona il mercato sono le differenze tra paesi industrializzati e quelli co- Esempi di confronto di gigantismo anni Settanta di vari tipi di navi effettivamente costruite (wikipedia.it). siddetti un tempo «in via di svi-

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tutti campi e non in modo uniforme nei vari paesi. Non vi sono segnali che questo trend possa cambiare; — il tempo che intercorre tra una scoperta scientifica o uno sviluppo tecnologico e una sua applicazione nel settore del trasporti si sta abbreviando; — la scienza, in sé, gioca un ruolo sempre più importante insieme con gli aspetti tecnici e manageriali delle industrie dei trasporti. Appare come sia sempre più importante, nel mondo dello shipping e delle costruzioni navali, fare scelte tempestive, veloci e attentamente studiate in modo che risultino corrette per qualsiasi nuova situazione. Sbagliare potrebbe significare distruzione di risorse non più disponibili per una seconda chance, e impossibilità di mantenere il passo con i profili competitivi dei concorrenti. Il recente incidente nel canale di Suez provocato da una nave portacontainer di 400 m e 20.000 TEU con DWT di circa 300.000 t ci ha mostrato diversi aspetti. Ha messo in evidenza l’enorme traffico che transita per il canale. Un’economia globalizzata interconnessa con un impressionante volume di merci e di combustibili trasportati via mare. Un’interruzione di una settimana già rappresenta un problema. Questo da un lato appare come una garanzia di pace e stabilità mondiale, ma sottolinea la debolezza e i colli di bottiglia che esistono nell’economia degli scambi internazionali, che può essere così facilmente disturbata da un evento non previsto o da un voluto attacco asimmetrico. Se si pensa alla Seconda guerra mondiale, dove il canale rimase bloccato per la durata della guerra, bisogna ricordare che la popolazione mondiale era sotto i due

miliardi, le economie erano maggiormente autosufficienti e le navi erano intorno a 5.000 t di DWT.

Le aree di evoluzione delle navi e dei trasporti marittimi e fattori limitanti

In parte, le previsioni di 50 anni fa si sono realizzate e in parte no. Si sono realizzati l’incremento delle dimensioni delle navi, i porti automatizzati (in modo molto parziale), le riduzioni del numero di persone di equipaggio, l’aumento della presenza di sistemi elettronici e di ausilio alla navigazione mediante il GPS, il miglioramento degli apparati di propulsione e l’esplosione dell’attività offshore di piattaforme e navi di grandi complessità per trivellazioni ed estrazione di petrolio e gas in mare. Ciascuno di questi risultati di oggi era presente e previsto allora come sviluppo futuro. Essi sono successi dovuti in parte alla sola tecnologia e in parte a spinte di altro tipo che hanno imposto la scelta della nuova tecnologia. Spinte geopolitiche, sociali, economiche e normative. Altre previsioni pur presenti nelle aspettative di allora non si sono invece realizzate. Per esempio, la completa automazione del carico e scarico merci in porti attrezzati. Ancora più fallace si è dimostrata la previsione di una riduzione drastica e generalizzata dei costi di produzione dei mezzi di trasporto (le navi) a seguito di standardizzazioni e produzione di serie. Vi erano infine le idee futuristiche di sviluppo e uso di navi sommergibili o sottomarine di grandi dimensioni per il trasporto di massa di merci e petrolio. A questo filone ottimistico e in fondo ingenuo si collega pure il previsto sviluppo generalizzato di mezzi speciali quali aliscafi, catamarani e SES (Surface Effect Ship, navi a effetto superficie, un’evoluzione prettamente marina dell’hovercraft) (2) e altri mezzi di forme complesse per uso diffuso, grandi dimensioni e rotte lunghe. Tutti caratterizzati da velocità superiori alla media, consumi elevati e poco carico trasportato e tecnologie in parte più vicine La supertanker BATILLUS (414 m e 550.000 DWT) nel bacino dei Chantiers de l’Atlantique a quelle aeronautiche, con necessaria di Saint Nazaires, 1976. Costruita in quattro esemplari tutti demoliti nel giro di una decina maggior manutenzione e complessità e di anni (wikipedia.it). forte condizionamento dalle condizioni

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Diagramma indicativo che mostra per varie lunghezze di navi, i diversi materiali da costruzione adatti e le tipologie di propulsione (elaborazione autore).

del mare. Altri sviluppi invece non erano stati previsti affatto e si sono dovuti inserire nei progetti. Il costo crescente dei combustibili fossili, la necessaria ottimizzazione delle navi e riduzione della velocità e le normative di sicurezza, antincendio, falla, antinquinamento (MARPOL), doppio scafo per le tanker e successivamente anche riduzione di SOx, COx, NOx e utilizzo di nuovi combustibili. Per le navi mercantili, i fattori economici hanno spinto ovviamente verso l’innovazione per ridurre i costi di progettazione, di costruzione e di esercizio e per aumentare i ricavi. Spinte su cui le normative internazionali di costruzione, sicurezza e antinquinamento hanno fortemente influito e condizionato i nuovi progetti. Il prezzo dei combustibili in costante aumento dopo la crisi del petrolio del 1973, pur tra oscillazioni di prezzo, insieme con il contenimento delle emissioni inquinanti, ha ridotto le velocità delle navi e ottimizzato i progetti dal punto di vista di forme e propul-

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sioni. Le spinte all’innovazione per le navi militari sono arrivate solo in parte da fattori simili. Su di esse hanno influito di più la velocità estremamente più rapida di innovazione verificatasi negli apparati motori, nei sensori, nelle armi, nell’elettronica e nell’aumento di conoscenze in campi non tradizionalmente navali, oltre alle nuove esigenze di missione. Dopo tutto quanto già detto, vi sono però i fattori limitanti che sono legati ai materiali, alle tecnologie, ai sistemi propulsivi e alla disponibilità dei vari combustibili che hanno accompagnato l’evoluzione bi-millenaria delle navi come già detto accelerata dall’Ottocento a oggi e qui esaminata solo per gli ultimi 50 anni. A titolo di esempio sono mostrati dei criteri che illustrano in modo intuitivo questi fattori limitanti: — dimensioni e lunghezza delle navi, legato all’uso di differenti materiali e alla tecnologia di collegamento e costruzione; — necessità di materiali sempre migliori all’aumentare

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aeroplani possono essere giustificate solo dall’impordelle dimensioni a causa del fattore limitante peso protanza di particolari merci trasportate e dalle persone. Non prio/resistenza meccanica del materiale; sono quindi adatti ai trasporti di massa. E anche dal — necessità, per le grandi navi, di acciai con caratteripunto di vista degli attuali criteri antinquinamento queste stiche meccaniche elevate che in passato non esistevano. considerazioni sono importanti, ma non ben comprese. Mentre i nuovi materiali vanno a sostituire il legno sulle Sui fattori tecnici limitanti le dimensioni delle navi piccole e medie dimensioni o su forme speciali. e le loro velocità, la spinta allo sviluppo è dettata coAltro fattore limitante, sono le diverse tipologie di munque sempre da fattori economici tesi a massimizstrumenti di propulsione, che poi hanno relazione zare le nicchie definite dai vincoli normativi e da anche con il tipo di motore e con il combustibile, per situazioni geopolitiche. le diverse velocità dei mezzi navali. Il diagramma, che mette in relazione l’aumento di peso scafo con la lunghezza e il tipo di materiale, mostra in modo intuitivo che di fatto materiali con basse caratteristiche meccaniche non possono essere usati per navi di grandi dimensioni. Significativo inoltre, per comprendere l’importanza del trasporto marittimo e la sua efficienza in termini di energia consumata, il famosissimo diagramma di von Karmann-Gabrielli. Esso mostra la potenza necessaria per trasportare un carico unitario nel confronto con vari tipi di mezzi: terrestri, marini e aerei. Il diagramma in scala logaritmica è immediatamente e intuitivamente leggibile. Come noto, la nave ha il miglior (il più basso) rapporto potenza/per carico trasportato, seguito dai treni su rotaia, trasporto su gomma (TIR) mentre, di gran lunga, il peggiore sotto questo aspetto è il trasporto aereo. La velocità, ovviamente, per i vari tipi di trasporto è differente. E le maggiori velocità Diagramma von Karmann-Gabrielli, The price of Speed (Paper 2010 by Jerome Lim, The Wondering Wanderer). dei trasporti su gomma e degli

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Le illusioni e le visioni fantascientifiche, approssimate o sfocate Multiscafi, aliscafi, hovercraft, SES, ekranoplani (3), materiali compositi, leghe di alluminio, gigantismo esasperato, navi componibili, energia a basso costo, alta velocità per tutti, soluzioni terrestri o aeronautiche portate in ambiente marino, sono stati tutti sviluppi sperati. Come pure i sommergibili o meglio veri sottomarini commerciali per trasporti di massa di merci e petrolio. Le fantasie avveniristiche sulla forma delle navi e sui possibili nuovi materiali validi per tutte le soluzioni furono dunque, almeno in parte, delle illusioni.La tradizionale forma delle navi è, infatti, un risultato di selezione che si potrebbe definire darwiniana ed è un combinato di compromessi e ottimizzazioni tra capacità di carico, propulsione e attitudine a galleggiare e non rovesciarsi in mari tempestosi e costo di investimento ed esercizio. Le illusioni furono probabilmente dovute alla focalizzazione entusiasta su un aspetto singolo di novità, che nel progetto divenne predominante sul resto. Basti pensare al limite fisico della velocità per le navi dislocanti. Questo limite si è visto che poteva essere superato per piccole imbarcazioni con carena planante, una carena di forma tale da procurare un sostentamento dinamico allo scafo all’aumentare della velocità, che in tal modo può superare i 40 nodi. Analoga considerazione per il più evoluto aliscafo ad

Esempio di trimarano dell’anno 2018, dell’italiano Giancarlo Pedote (wikipedia.it).

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Esempio di progetto fantasioso (2006) mai costruito, di un traghetto trimarano a 32 knots (archivio autore).

ali secanti auto stabilizzanti e ad ali totalmente immerse con necessità di stabilizzazione indipendente. Brillanti progetti e ingegneria raffinata, ma limitate dall’aumentare delle dimensioni. Così per i SES e gli hovercraft, i catamarani e i trimarani. Tutte ottime soluzioni, in parte adottate dai mezzi militari, per risolvere una particolare e singola funzione e solo sino a certe dimensioni (4). Infatti, all’aumentare delle dimensioni, necessarie comunque per ottimizzare i consumi di energia per il trasporto di massa di merci, il monoscafo è l’unica soluzione. L’ingegneria ha trovato nuove forme con disponibilità di nuovi materiali e nuove propulsioni, ma non generalizzabili per un cambio del concetto di nave. Un insuccesso dunque rispetto ad alcune aspettative di rivoluzione del futuro come visto nel 1970. Quanto ai sottomarini, esistevano negli anni Settanta decine di progetti commerciali che erano trattati con serietà e non considerati utopici. È noto che il risparmio sulla resistenza per un sottomarino totalmente immerso, rispetto a una nave di superficie, avviene con velocità sui 18-20 nodi ove la resistenza d’onda sia predominante sulla resistenza di attrito. Tra l’altro migliora con l’immersione e il compromesso ottimale, tra robustezza della costruzione e ottimizzazione della resistenza e della propulsione, fu stimato sui 100 m. Erano stati studiati sottomarini da 170.000 e 300.000 DWT a propulsione nucleare per impiego come tanker (per la ipotizzata maggior semplicità costruttiva) nella rotta artica sotto la calotta ghiacciata. Per questi progetti commerciali le ipotesi completamente errate non erano quelle tecniche, ma quelle economiche. Infatti, i progetti valutavano allora un investimento da 3 a 5 volte superiore a quello di una nave di superficie e allo stesso tempo stimavano che dopo il giro di boa del

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Nella tabella, l’impietoso confronto tra il progetto fantasioso di traghetto trimarano (32 knots) e un traghetto monoscafo da 32 knots prodotto dalla grande industria italiana nel 2000 (elaborazione autore).

secolo (anno 2000) i costi di produzione sarebbero drasticamente scesi sino a uguagliare quelli delle navi di superficie. Previsione largamente lontana dalla realtà. La drastica diminuzione dei costi di costruzione delle navi, per effetto di improbabili standardizzazioni o costruzioni di serie o modulari, fu dunque un’aspettativa mal posta. In effetti, i costi sono più bassi nel caso di navi standard work-intensive e a basso contenuto tecnologico. Questo si trova in produzioni economiche di scala (grandi volumi) dove il fattore competitivo primario sia la disponibilità di manodopera a basso costo. Le massime riduzioni di costo oggi, raggiunte in far East rispetto alle costruzioni europee, sono al più tra il 25 e il 40 per cento. Ma, le navi, come noto, per un discreto numero di motivi tecnici e di efficacia economica e normativa, non sono costruzioni di serie e sono inserite in un processo produttivo solo parzialmente industrializzabile. Un’altra illusione si è spesso incontrata nel cambio di forme e materiale. Un effetto tipico del cambio di materiale da costruzione e di forma della nave è nella generale diminuzione degli spessori e dimensionamenti strutturali, per avere come risultato un alleggerimento della struttura scafo e quindi benefici sul rapporto propulsione/carico trasportato/costi. Come spiega il diagramma nella pagina seguente, questi alleggerimenti non sono vera conoscenza in più o capacità di calcolo migliore, ma solo sottostima

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dei carichi sulla nave e sulle nuove forme e riduzione generalizzata e ottimistica dei fattori di sicurezza, e sovrastima delle caratteristiche di resistenza a fatica dei nuovi materiali. Questo porta ovviamente a rotture più frequenti nei punti con concentrazioni di tensione.

Le nuove sfide sui nuovi combustibili e la spinta politica di emissioni zero, lo sviluppo tra cyber security e unmanned L’evoluzione dei prossimi anni sarà giocata tra ottimizzazioni delle dimensioni per ciascuna tipologia e specializzazione di nave. Legate a queste ottimizzazioni di forme e dimensioni ci saranno quelle di tutti gli impianti e delle propulsioni con una sempre maggiore integrazione tra ogni fattore. Ma, sarà determinate che lo sviluppo potrà avvenire solo nelle direzioni lasciate libere dai condizionamenti delle nuove normative antinquinamento e anti emissioni dei motori: SOx, NOx, COx, al momento risolvibili solo con il cambio di combustibili. E il cambio di combustibili sarà obbligato dall’abbandono per ragioni politiche dell’uso dei combustibili fossili. La visione dell’IMO (International Maritime Organization), di de-carbonizzazione, al fine di eliminare completamente, anche per il trasporto marittimo, le emissioni di CO2 entro il 2048-50, se possibile, o entro il 2078 o data simile, è illustrato dal diagramma tratto

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Diagramma indicativo del limite fisico di resistenza dei materiali in relazione all’aumento di peso (elaborazione autore).

dalla rivista Fairplay. A valle di tale ipotesi si sono accelerati una quantità di studi sull’argomento. Tutto il campo navale si è messo in movimento: l’Industria, le società di classifica, gli armatori, le università e tutti coloro che gravitano sul mondo dello shipping. Gli studi si concentrano nell’individuare nuovi possibili combustibili per il trasporto marittimo. Non bisogna dimenticare che il trasporto su nave è in ogni caso quello che consuma meno e inquina meno per tonnellata di merce trasportata. Al momento, nelle nostre economie, per la produzione di energia in generale, sono attive tecnologie che utilizzano combustibili quali il carbone, l’uranio per fissione nucleare, il petrolio e derivati, il gas naturale (LNG) e una frazione di rinnovabili. In futuro, da come appare già lo scenario, non potrà esserci un’unica soluzione e un solo nuovo combustibile o fonte primaria, ma il problema probabilmente potrebbe essere risolto solo con tutti i possibili combustibili integrati con tutte le possibili tecnologie, fonti e sistemi di accumulo. E con ottimizzazioni e risparmi ovunque. Essi saranno gas naturale (con carbone catturato), biomasse, eolico, metanolo, idrogeno, ammoniaca, diesel bio-sintetico (5), gas bio-sinte-

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tico, batterie elettriche, pannelli fotovoltaici, idroelettrico, centrali solari termiche e ancora uranio per nucleare a fissione. Come combustibili per le navi il problema però si complica. Un esame delle caratteristiche dei possibili combustibili porta, per il trasporto navale, a selezionare solo LNG, metanolo e idrogeno. Per tutti si prevedono, come effetto sul progetto delle navi, importanti riduzioni delle capacità di carico e riduzione della autonomia dell’ordine dell’80 per cento, con necessità di rifornimenti molto più frequenti. L’idrogeno sembrerebbe il più pulito; per le quantità necessarie, evidentemente non può essere trasportato direttamente sulla nave a pressione atmosferica o in contenitori o altri sistemi speciali, dove le quantità sarebbero limitate. E il trasporto in forma liquida richiederebbe temperature di -253°C. In questo scenario l’ammoniaca (NH3), per esempio, potrebbe essere sviluppata come tecnologia nel giro già di cinque-dieci anni. Essa, infatti, si trasporta facilmente liquefatta a -33 gradi e ha una forte concentrazione di idrogeno e quindi sarebbe un possibile vettore dell’idrogeno, da separare a bordo, o direttamente come combustibile essa stessa. È tossica, ma sembrerebbe la più promettente e notevolmente meno co-

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stosa tra le varie possibilità. Inoltre, già esistono in giro per il mondo impianti per il carico di ammoniaca da trasportare sulle navi. Una tecnologia di contenimento già nota, ma per arrivare all’obiettivo di avere al 2050 un 50% di abbattimento di emissioni bisognerebbe passare per una decisione politica di tassare i combustibili fossili per rendere il loro costo simile a quello dell’ammoniaca e quindi forzatamente «competitivo» il suo utilizzo. Discorsi difficili, complicati e persino discutibili. Si rischia di non considerare tutte le variabili. Naturalmente la produzione di ammoniaca non è gratis, cioè non è neutra da un punto di vista energetico e di emissioni, e dunque andrebbe fatta con energia elettrica prodotta dal nucleare o da fonti rinnovabili. E con questa considerazione fondamentale tutto quanto diventa ancor più critico e complesso. Lo sviluppo sarà certamente di pari passo sulla strada di una sempre maggiore automazione di tutti gli impianti e apparati di bordo sino ad arrivare a situazioni unmanned. Cui si arriverà molto probabilmente solo per gradi. Prima saranno rese unmanned parti di navi e poi l’intera nave. Tuttavia per scopi mercantili sembra improbabile che possa essere esteso a lunghe rotte in completa autonomia, mentre è molto più probabile un uso intensivo ed esteso come ausilio a un equipaggio sempre più ridotto o per utilizzo in aree pericolose della nave. In sostanza, verso una concezione di pilotaggio della nave avendo come modello l’aeroplano. Con l’aumento dell’automazione e con la costante connessione a sistemi di controllo, anche basati a terra o sui satelliti, la necessità di cyber security per le navi sarà un problema prioritario. Ovviamente lo sviluppo sarà influenzato da fattori, di volta in volta limitanti o facilitanti, economici e geopolitici globali: per esempio possibili modifiche sociali che influenzino la quantità e qualità di merci trasportate e su quali rotte. I fattori che potranno essere di ausilio saranno gli ulteriori sviluppi delle tecnologie mature soggette ai loro limiti fisici insieme con altre tecnologie nuove, ma sempre più integrate. La nave, come noto, integra in se tecnologie tra loro molto lontane, ma tutte indispensabili: da quelle rustiche e mature a quelle raffinatissime di elettronica e automazione. Sulla nave tutto deve convivere e armonizzarsi e resistere nell’aggressivo ambiente marino. Anche i carichi di progetto derivanti dal mare tempestoso e i rischi di falla e incendio sono valutati in modi proba-

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bilistici perché impossibili da individuare con precisione come invece accade per le realizzazioni aeronautiche.

Conclusioni I fattori limitanti, fisici e ingegneristici, illustrati dalle considerazioni sulle tecnologie, sui materiali e sui combustibili, permarranno anche per il futuro, accompagnati da ineludibili fattori economici e sociali. La strada è quindi impostata su decisioni politiche. All’interno degli spazi lasciati dalle decisioni politiche sarà necessaria una generale ottimizzazione tecnica e ingegneristica di ogni fattore, ogni impianto e ogni motore per riduzione a tappeto dei consumi e delle emissioni. Un’evoluzione che porterebbe a un aumento generalizzato del costo della nave, degli impianti di bordo e della loro costruzione e del loro esercizio, che inciderebbero di più sul prezzo della merce trasportata. Dunque, una prevedibile limitazione dei trasporti di merci e di persone e una ridotta velocità delle navi. Il gigantismo probabilmente rimarrà per ottimizzare i costi di trasporto per alcune tipologie di merci. Il grande sviluppo dell’offshore, piattaforme e navi per trivellazioni con tecnologie avanzatissime e grandi investimenti per l’estrazione del petrolio e del gas, potrebbe essere in parte riconvertito. Nuovo focus su altre risorse marine e oceaniche: minerarie, biologiche marine e di produzione di energia rinnovabile. Se le limitazioni all’uso dei combustibili fossili fossero confermate, sembrerebbe purtroppo prevedibile una generale limitazione, de facto, della facilità di trasporto e di spostamento anche per le persone. Ne conseguirà logicamente una riduzione della libertà di spostamento, perché i combustibili alternativi non appaiono al momento né economici né efficaci come quelli fossili. Il risparmio energetico diventerà una necessità per tutti e lo spreco sarà bandito e socialmente condannato. La libertà personale, che ha caratterizzato gli ultimi decenni, strettamente connessa alla possibilità di viaggiare facilmente per il mondo, estesa a tutti e a costo basso, potrebbe esserne influenzata in modo peggiorativo. Una situazione modificabile solo da una futura disponibilità di energia elettrica a basso costo. Appare ancora lontana nel futuro la fusione nucleare, mentre disponibile attualmente, per il «periodo di transizione» apparirebbe solo quella di fissione. I maggiori paesi UE (Germania, Francia, Regno Unito) hanno percentuali maggioritarie di

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che per loro necessaria efficacia continuerebbero, per energia elettrica prodotta con la fissione nucleare e il quanto sia possibile ipotizzare, con combustibili fossili. Giappone percentuali ancora superiori. Per loro potrebbe Se si allunga poi lo sguardo al trasporto aereo, non si veessere più facile aggiungere una percentuale di rinnovabili dono al momento possibili candidati paragonabili all’uso insieme con risparmi generalizzati e ottimizzazioni. Non di combustibili attuali, con costi simili e simili concenper l’Italia. Per altri paesi non UE le situazioni sono antrazioni di energia, facilità di immagazzinamento e di uticora più complesse. Questa disponibilità di energia eletlizzo, con bassa pericolosità. trica non potrebbe essere però direttamente 8 immagazzinata sulle navi, ma solo attraverso dei vettori. E rimarrebbe il problema, come accennato, tutto da studiare, su come immagazzinare e trasportare i nuovi vettori media per il combustibile. Non è chiaro poi se l’abbandono dei combustibili fossili sarà una norma unilaterale e volontaria dei paesi industriali lasciandone altri ancora liberi di utilizzarli. Naturalmente potrebbe esserci l’opzione di tornare a pensare e studiare di utilizzare, per le grandi navi da trasporto su lunghe rotte, la propulsione a energia nucleare da fissione, con tutti i relativi problemi di sicurezza e antiterrorismo. In conclusione, si può immaginare una possibile e ovvia divaricazione tra le navi per trasporti mercantili, soggette alle nuove Diagramma indicativo della visione dell’IMO sulla de-carbonizzazione e zero-emission normative e ai nuovi combustibili, e le navi militari per le navi mercantili (Fairplay e Shipping toward new fuels, view from LR 2020). NOTE (1) Per avere un confronto le navi Liberty del 1940-45, impiegate poi nei primi anni dopo la Seconda guerra mondiale, avevano una LOA di circa 135 m e un DWT di circa 4.000-5.000 t e apparato di propulsione con macchine a vapore a triplice espansione. (2) Per un SES invece, che ha mostrato una buona performance su dimensioni dai 30 ai 70 metri si è visto come l’aumento di dimensioni del mezzo porti a insolubili instabilità della bolla d’aria, il cuscino, che sostiene il tutto per effetto della dimensione stessa e del moto ondoso. (3) Ekranoplano è una sorta di nave idrovolante di enormi dimensioni che vola a poca altezza dal mare sfruttando l’effetto suolo. Adatta per trasporto in aree come il mar Caspio. Progetto sviluppato dall’Unione Sovietica negli anni Cinquanta-Ottanta, ma poi abbandonato. (4) I manufatti di contenute dimensioni progettati (o talvolta solo intuiti e selezionati con la pratica e l’esperienza) nascondono la realtà dell’essere sempre sovradimensionati da un punto di vista strutturale. Questo fatto non risulta evidente perché tutto è piccolo e leggero, i costi accettabili e nessuno si ingegna a introdurre un design to cost sul peso. (5) Diesel biosintetico, prodotto con batteri. BIBLIOGRAFIA AAVV, Ships and Shipping of Tomorrow, VerlagTechnikBerlin, 1973, Henry Kummermann Foundation. AAVV, Global Maritime Technology Trends 2030- University of Southampton, QinetiQ, LR 2015. Gamaleri A., Design and production Management Industria Navale, Franco Angeli Editore, Milano 2019. AAVV, Shipping toward de-carbonisation. New Fuels, A view from LR 2020. LR Italian Technical Committee 2020, Hub new Fuels for de-carbonisation, Genova, December 2020. Lloyds Register MVR Rules 2020, London 2020. ABS MVR Rules 2020, High Speed and Special Vessels, Naval Vessels, Houston 2020. Gamaleri A., Corsi professionalizzanti Navi Militari e Industria, Università di Genova 2015-16. Gamaleri A., Corsi Cetena/Fincantieri Navi Militari a Mazagon Dock-Garden Reach SY-Managers, Genova 2014-17. Gamaleri A., Confronto tra Trimarano e Traghetto, Memo Interno Fincantieri, 2007. SNAME Italia, Nuove Frontiere Industria Navale e nuove Normative, Convegno Università di Genova, 2019. AAVV, Reducing GHG Emission from Ships, IMO 2020. MEPC 1 cin 885, Procedures for impacts on States, IMO 2019. MEPC Resolution 323, Voluntary cooperation contribute reducing GHG Emission, IMO 2019. United Nations, Kyoto Protocol to UN frame work Convention Climate Change UN 1998, February 2006. Horizon 2020, Programma quadro UE per Ricerca e Innovazione, EU Commission, 2014. EU Green Deal 2030, EU Commission, 2019. Lim Jerome, The Wondering Wanderer «von Karmann-Gabrielli». The Price of Speed, Paper 2010. Longo L., L’Europa dell’Energia Nucleare, ENI 2019. Zinati K.B.A., Chi Possiede più reattori nucleari nel mondo? E quanta energia producono?, Paper 2018. Wesson J., Tokamaks, Oxford University Press, Stati Uniti 2004.

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STORIA E CULTURA MILITARE

Winston is back! La visione del potere navale di Churchill, attraverso il racconto della sua duplice esperienza all’Ammiragliato britannico

Peter Engels, ritratto di Winston Churchill con la sua famosa frase «Never Surrender» (peterengels.eu).

Daniele Panebianco Entrato in Accademia navale nel 1990, ha servito sia a bordo di numerose unità navali, sia in diversi Staff multinazionali. Ha partecipato a molteplici attività e operazioni militari a livello nazionale, NATO, UE e Nazioni unite, in diverse aree di rilevante importanza geostrategica, quali il Mediterraneo, i Mari del Nord-Europa, il Medio Oriente, il Golfo Persico. Specializzato in contromisuremine navali, è stato il comandante del cacciamine Gaeta e della Squadriglia Dragamine Costieri 54. Più di recente, ha ricoperto l’incarico di capo Sezione superiorità conoscitiva presso il Centro innovazione dello Stato Maggiore della Difesa, di Consigliere per l’attuazione del programma di governo del ministro della Difesa del «primo Governo Conte» e, attualmente, presta servizio presso il 3° Reparto dello Stato Maggiore della Marina nell’Ufficio Relazioni interministeriali e coordinamento con il territorio. Laureato in «Scienze Marittime e Navali» e «Scienze Politiche», collabora con la Rivista Marittima e dal 2020 è il relatore della Masterclass su «la sicurezza marittima» nell’ambito del Corso di laurea in Difesa e Sicurezza presso la Link Campus University di Roma.

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Con questo articolo l’autore intende condividere le risultanze di alcune ricerche effettuate al fine di approfondire la vocazione marittima e la visione del potere navale di Winston Churchill, uno dei più grandi statisti (e non solo) del XX secolo. La singolare determinazione, una non comune resilienza caratteriale, l’amore per la Storia e il progresso tecnologico, la spiccata capacità di adattamento alle più variegate sfide poste da un secolo vissuto da protagonista — caratterizzato da due conflitti mondiali e da una continua rivoluzione industriale — hanno portato Churchill a essere l’innovatore, il visionario e lungimirante stratega che si è dimostrato. Settembre 1939, la nota di Neville Chamberlain Alle 11:15 a.m. del 3 settembre 1939 il primo ministro inglese, Neville Chamberlain, annunciò con messaggio radio-diffuso tramite la British Broadcasting Corporation (BBC), che la Gran Bretagna era entrata formalmente in guerra contro la Germania di Adolf Hitler. Al momento della diffusione, Winston Churchill era in casa, quando la moglie, Clementine «Clemmie» Hozier lo raggiunse nella stanza in cui si trovava. Poco dopo sentirono le sirene di allarme e, insieme, si recarono nel rifugio che era stato loro assegnato. Winston portò con sé i suoi sigari e una bottiglia di brandy, e aspettò con la moglie e gli altri londinesi il cessato allarme. Lasciato il rifugio, continuò la sua giornata lavorativa, recandosi, come al solito, all’House of Commons, la Camera dei comuni, cioè la Camera bassa del Parlamento inglese. Non appena giunse a Westminster, trovò una nota di Chamberlain con cui gli chiedeva di andare a trovarlo. Il Primo ministro gli disse di aver letto con attenzione tutte le lettere che gli aveva indirizzato, nel tempo, con le sue

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precise analisi geostrategiche e suoi avvisi sul crescente pericolo che si stava abbattendo sulla Gran Bretagna e, per usare le stesse parole di Churchill, sulle «western democracies», le democrazie occidentali. Poiché i liberali non lo avrebbero né sostenuto né avrebbero fatto parte di una coalizione governativa, Chamberlain, allora leader dei conservatori, offrì a Churchill l’opportunità di entrare a far parte del Governo e del Consiglio di Guerra in qualità di First lord of Admiralty (ministro della Marina). «È più facile emanare direttive che fare raccomandazioni, e possiamo convenire che è meglio avere un mandato per agire, anche se in un ambito limitato, anziché limitarci a parlare a moltitudini», scriverà in The gathering storm, La tempesta in arrivo, il primo dei sei volumi che compongono The Second World War, le sue memorie di guerra, da cui questo articolo trae buona parte dei contenuti. Nessuno comunicò ancora a Churchill quando avrebbe formalmente ricevuto la nomina da Re Giorgio VI, nomina che sarebbe arrivata due giorni dopo quel 3 settembre del 1939. Winston pensò subito che le prime ore di guerra sarebbero potute essere cruciali per il futuro della Gran Bretagna e decise così di recarsi, quello stesso giorno, nel luogo che venticinque anni prima era stato già il suo ufficio, sempre come Primo lord dell’Ammiragliato. Fece sapere che sarebbe arrivato alle 6:00 p.m. Appreso ciò, lo Stato Maggiore della Marina di Sua Maestà segnalò alla Flotta: «Winston is back!», come lo stesso Churchill riporterà nelle sue memorie, anche se non è stata storicamente confermata l’emissione di questo messaggio da parte dell’Ammiragliato.

Una vita straordinaria Winston Leonard Spencer Churchill (30/11/187424/01/1965) è probabilmente il più importante, famoso ed eclettico uomo politico del XX secolo, uno dei più strenui difensori delle democrazie europee nel momento in cui queste furono messe in serio pericolo dal dilagare del nazifascismo, e uno dei protagonisti decisivi delle sorti del Secondo conflitto mondiale. Eppure la sua carriera politica è stata caratterizzata da diversi fiaschi, taluni passati alla storia come veri e propri disastri, il più noto dei quali rimane la sconfitta

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di Gallipoli nel 1915, durante la Prima guerra mondiale, come vedremo, un fronte aperto per volontà dello stesso Churchill per indebolire la Germania. Se il ruolo di Churchill nella concezione dell’attacco a Gallipoli era ben definito, la sua responsabilità nell’organizzazione e condotta delle operazioni è rimasta molto più controversa. In ogni caso, la sconfitta di Gallipoli intaccò sensibilmente e durevolmente la sua reputazione. Churchill, comunque, non era nuovo alle sconfitte, ma le sue straordinarie doti caratteriali, tra cui forza di volontà e determinazione non comuni, lo aiutarono nelle rapide riprese e nel ricercare le proprie rivincite. Su questo grandissimo personaggio sono state scritte migliaia e migliaia di pagine da moltissimi autori, tra cui Andrew Roberts, Christopher M. Bell, Martin Gilbert, Roy Jenkins e perfino se stesso nelle sue Memoirs, memorie della Seconda guerra mondiale, che contribuirono all’attribuzione del Nobel per la letteratura, conferitogli, come riporta il sito web ufficiale del prestigioso premio

Winston Churchill, qui ritratto con la moglie Clementine (International Churchill Society) e, in alto, assieme a Neville Chamberlain, all’epoca Primo ministro inglese. Nella pagina accanto: Churchill in uniforme all’età di 21 anni (wikipedia).

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svedese (nobelprize.org), «for his mastery of historical and biographical description as well as for brilliant oratory in defending exalted human values» («per la sua padronanza nelle descrizioni storiche e biografiche, e per la brillante oratoria nel difendere gli alti valori umani»). Churchill è universalmente noto per il suo determinate ruolo durante la Seconda guerra mondiale, senza il quale non sarebbe stata possibile la strenua resistenza britannica alla Germania nazista, per i suoi celeberrimi discorsi (tra cui we shall fight on

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the beaches, combatteremo sulle spiagge, del 4/06/1940, pronunciato dopo l’evacuazione di Dunkerque, o l’altrettanto celebre discorso di Fulton del 1946 sulla iron curtain, la cortina di ferro), per la sorprendente resilienza psico-fisica nonostante fosse un accanito fumatore di sigari, amante delle bevande alcoliche e conducesse una vita sedentaria (più volte il suo cuore stette per cedere), e per aver ricevuto, come detto, un Premio Nobel nel 1953. Oltre che letterato e uomo politico, era stato anche giornalista, militare, storico, pittore. Educato presso la celebre scuola di Harrow, dalla quale scriveva ai suoi genitori, soprattutto alla madre, l’attrice americana Jennie Jerome, lettere accorate cariche di nostalgia, nel 1893 venne ammesso all’Accademia militare di Sandhurst. Nel 1898 partì come osservatore di guerra al seguito dell’Esercito spagnolo incaricato di reprimere la rivolta di Cuba. Ma la sua notorietà si accrebbe durante la guerra anglo-boera, cui partecipò come corrispondente giornalistico, quando, fuggito dal campo di prigionia, invece di ritornare in patria, dove sarebbe stato accolto da eroe, volle tornare in prima linea. Grazie alla sua fama, a soli 26 anni entrò in Parlamento tra le fila del partito Conservatore. Nonostante un marcato difetto di pronuncia, che lo rendeva a volte incomprensibile anche ai suoi stessi collaboratori diretti, e dotato di un carattere difficile (lui stesso si definì «bad-tempered», dal cattivo temperamento), è stato un ottimo oratore, e, soprattutto, molto amato dalla gente. Cominciò la scalata al potere divenendo sottosegretario alle colonie, poi ministro del Commercio e infine, nel 1910, degli Interni. In tale veste, nel gennaio del 1911, volle essere presente all’«assedio di Sidney Street» a Londra, dove, in un palazzo, si erano asserragliati dei malviventi che avevano ucciso tre poliziotti. Churchill decise di presenziare direttamente agli scontri. Sebbene non assunse il diretto comando delle operazioni, il biografo Roy Jenkins ha affermato che si recò sul luogo perché «non poteva resistere alla tentazione di trovarsi al centro della mischia». La sua presenza tuttavia attirò molte critiche.

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A un certo punto, l’edificio prese fuoco e Churchill supportò la decisione di negare ai pompieri l’accesso, per costringere la banda ad arrendersi. Dopo un’inchiesta, il leader dell’opposizione Arthur James Balfour affermò: «Lui e il fotografo stavano entrambi rischiando vite preziose. Capisco il fotografo, ma cosa ci faceva lì l’onorevole Ministro?». La vicenda, che ebbe ampia risonanza, contribuì ad accrescere la fama di Winston come ministro iperattivo e non convenzionale (1). Sempre nel 1911 divenne Primo lord dell’Ammiragliato, un incarico che perse a seguito del fiasco di Gallipoli. Malgrado ciò, fu ben presto richiamato al governo come ministro per le Munizioni e poi segretario di Stato per la Guerra e l’Aviazione. Nel 1922, in seguito alla sconfitta elettorale dei liberali, perse il seggio parlamentare. Ancora una volta la sua carriera sembrò terminare, ma rientrato nel partito Conservatore ottenne, nel 1924, la carica di cancelliere dello Scacchiere, che era già stata del padre, la sua figura politica di riferimento e di confronto. Gli anni Trenta, che lui stesso definì «wilderness years», «gli anni della desolazione», furono una triste parentesi nella sua vita politica poiché segnati dalla profonda emarginazione da parte degli stessi conservatori, a causa delle sue posizioni su talune questioni contrarie a quelle della leadership del partito. Fu il suo intuito sulla reale minaccia del nazismo a riportarlo in auge. Verso la fine del decennio si dichiarò sempre più contrario alla politica di «appeasement» («pace a tutti i costi») — introdotta dagli ex premier Baldwin e MacDonald e portata avanti anche da Chamberlain — convinto che tale politica avrebbe indotto Hitler ad alzare sempre di più la posta, avanzando maggiori pretese, come poi di fatto accadde. Quando Chamberlain, per la pressione dell’opinione pubblica, fu costretto a dimettersi, i conservatori guardarono a Churchill come nuovo leader, poiché era l’unico esponente del partito carismatico, ma soprattutto gradito all’opposizione guidata dal leader laburista Clement Atlee, un combinato che avrebbe garantito la formazione di un governo di unità nazionale nell’«ora più buia» della Gran Bretagna.

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Benché non avesse alcuna fiducia in Stalin, alla rottura da parte dei tedeschi del patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop (siglato il 23 agosto 1939), lavorò per creare the great Alliance, ovvero l’alleanza tra Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna che, grazie alla sua magistrale opera di mediazione, amalgama e raccordo, portò alla sconfitta del nazi-fascismo. Finita la guerra, non fu rieletto subito, ma tornò in carica per un secondo mandato come Primo ministro, dal 1951 al 1955. Morì il 24 gennaio 1965 all’età di 90 anni, lo stesso giorno del padre Randolph, scomparso 70 anni prima.

1911, approdo all’Ammiragliato, le prime riforme e innovazioni strategiche Quando, dunque, nel 1911, a soli 37 anni, Winston occupò la posizione di vertice politico della Royal Navy nel governo del liberale Asquith, la Gran Bretagna era ancora la dominatrice dei mari. Come ministro della Marina, egli propugnava, senza sosta, la necessità di dare alla flotta britannica un ruolo importante nella condotta delle ostilità. Un approccio che nel 1940, da Primo ministro, attuerà con fortissima convinzione e veemenza anche per la Royal Air La corazzata HMS QUEEN ELIZABETH (en.wikipedia.org). Accanto: la prima pagina del Daily Mail, all’epoca del «disastro» di Gallipoli (dailymail.co.uk).

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Force, sostenendo strenuamente l’importanza del Potere Aereo e dell’air mastery, la superiorità aerea sul nemico, condizione necessaria, insieme al command of the sea, al comando del mare, per vincere, a partire da quella che lui stesso aveva battezzato «la Battaglia d’Inghilterra», ovvero l’accanito tentativo di Hitler di invadere e conquistare l’isola britannica. Orgoglioso dei piloti inglesi, nel discorso del 20 agosto del 1940 pronunciò una delle sue frasi più celebri, «Never in the field of human conflict was so much owed by so many to so few», «mai nei conflitti umani così tanto fu dovuto da molti a così pochi», riferendosi al ruolo fondamentale dei coraggiosi piloti della nuova forza aerea di Sua Maestà nel contrasto alle continue e feroci incursioni tedesche nei cieli domestici e alle loro cruciali azioni che portarono alla conclusione con successo, tra le altre, dell’operazione Dynamo, l’evacuazione delle truppe anglo-francesi da Dunkerque a fine maggio-inizio giugno 1940. Tornando al 1911, il suo primo atto da ministro della Marina fu la sostituzione di tutti i lord commissari. Con l’aiuto del nuovo First sea lord, Capo di Stato Maggiore della Marina, Sir Francis Bridgeman, creò uno Stato Maggiore e diede impulso a molte riforme. Questa sua predisposizione verso «la scienza dell’organizzazione», lo avrebbe supportato da Primo ministro, quando cioè creerà il primo Gabinetto con

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a capo un generale di sua personale fiducia (Hasting Ismay), quale raccordo tra la sfera politica e la sfera militare per le operazioni in guerra, per il cui miglior funzionamento eleverà, nel 1939, il sotto-comitato del Committee of Imperial Defence (CID), creato nel 1923, a Joint Chiefs of Staff Committee, organo militare consuntivo del War Cabinet composto dai Capi di Stato Maggiore di Forza armata (l’ammiraglio Pound — alla cui scomparsa succedette l’ammiraglio Cunningham — per la Marina; il generale Brooke per l’Esercito; il generale Portal per l’Aeronautica), con segretario il Capo di Gabinetto (Generale Ismay). Un organo creato allora e a tutt’oggi adottato in tutti i consessi militari mondiali e che per la nostra Difesa coincide con il «Comitato dei Capi di Stato Maggiore», il «CoCapi», come lo chiamano gli addetti ai lavori, previsto dal Codice per l’Ordinamento Militare (COM), quale organo di consulenza del Capo di Stato Maggiore della Difesa, che lo presiede, mentre ne fanno parte il Segretario generale della Difesa, i Capi di Stato Maggiore di Forza armata e il Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri. Durante il primo mandato di ministro della Marina, Winston fu un pioniere dello sviluppo dell’aviazione di Marina (prese lui stesso lezioni di volo), ordinò la sostituzione delle bocche da fuoco navali con le nuove da 381 mm, fece approntare nuove classi di navi, come le dreadnought (che tradotto significa «non temo nulla»), ovvero le corazzate monocalibro della classe «Queen Elizabeth», e gli incrociatori leggeri con cannoni da 152 mm della classe «Arethusa», che saranno ancora in servizio durante il suo secondo mandato all’Ammiragliato. Un’altra scelta decisiva fu quella di modificare i motori delle navi militari, passando dalla propulsione a carbone a quella a gasolio. Per assicurare l’approvvigionamento di petrolio, da cui, come noto si

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deriva il gasolio, Churchill negoziò e fece approvare alla Camera dei Comuni un contratto di acquisto da parte dello Stato della quota del 51% della Anglo-Iranian Oil Company, con diritto di utilizzazione di tutto il petrolio estratto dalla compagnia. Riguardo alla corsa agli armamenti avviata dalla Germania, Churchill inizialmente propose di negoziare una moratoria di un anno alla costruzione di nuove navi da guerra, ma la proposta non fu considerata realistica. Nel 1912, in risposta alla legge navale tedesca di quell’anno, che aumentava considerevolmente la flotta, Churchill propose al Gabinetto di finanziare la costruzione di due navi per ogni nuova nave tedesca, allo scopo di mantenere la superiorità navale sulla Germania. Il piano di riforme navali di Churchill del primo Novecento fu ispirato dall’ammiraglio John «Jakie» Fisher, che per molti anni era stato il motore dell’innovazione della Royal Navy e che aveva sostenuto molte delle riforme dello stesso Churchill, come il passaggio dal carbone al petrolio e la costruzione di navi più potenti (2). Tuttavia, il primo ruolo politico di Winston a capo dell’Ammiragliato rimarrà macchiato, come anticipato, dall’attribuzione della responsabilità della sconfitta di Gallipoli del 1915 a seguito del tentativo di forzare gli stretti turchi, posto in essere per far capitolare l’Impero ottomano, alleato della Germania; una severa sconfitta strategica che si concluse con delle perdite militari molto pesanti e una ritirata decisamente poco gloriosa. Il tentativo di forzamento degli stretti turchi costò, infatti, circa 46.000 morti e 86.000 feriti nei ranghi dell’Intesa, causando indirettamente la morte di 258.000 soldati per malattia. Per quanto riguarda l’Esercito ottomano, valutare le perdite è molto più difficile. Esse sembrano essere state inferiori in combattimento ma superiori se si tiene conto delle perdite dovute alle epidemie e ai feriti mal curati (3).

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1931-38, il profeta inascoltato

Messo politicamente da parte a causa delle sue posizioni sull’India in contrasto con quelle del capo dei conservatori e più volte primo ministro Lord Baldwin, a partire dal 1931 Winston, come accennato, attraversò il periodo peggiore della sua vita politica, gli wilderness years. Nonostante ciò, continuò a indirizzare i suoi sforzi per sensibilizzare il governo sul pericolo rappresentato dalla Germania nazista, uno sforzo che lo solleverà dal sentirsi responsabile delle cause che avrebbero portato alla guerra. Anzi, ci tenne a sottolineare che negli ultimi sei/sette anni era continuativamente stato il «prophet of evils which had now in large measure come to pass», «il profeta del male che adesso era arrivato in larga misura». Adesso, ritornato politicamente in auge, ancorché accompagnato dal suo stato depressivo (amplificato da Gallipoli) che lui chiamava black dog (cane nero), sentiva tutto il peso della responsabilità sulle proprie spalle, ed era conscio che avrebbe avuto bisogno non solo della conoscenza, ma anche di tutto lo «zelo ed energia mentale» possibili. A questo scopo, ricorse al metodo che aveva usato negli anni 191415 che, a suo dire, estendeva la sua capacità di lavoro giornaliero, ovvero ritagliarsi almeno un’ora di riposo pomeridiano ogni giorno. In tal modo, come racconta nelle sue memorie, era in grado di comprimere un giorno e mezzo di lavoro in uno. E in effetti, questa sua abitudine, all’apparenza stravagante, come Churchill assieme al ministro degli Esteri, Antony Eden (wikipedia). Nella pagina accanto: un altre nella sua vita, è una costante nei vari dragamine della classe «Halcycon» (halcyon-class.co.uk). film che, anche di recente ci hanno presentato i momenti più significativi della vita di questo di sanzioni petrolifere contro l’Italia di Mussolini, imposte straordinario personaggio del secolo scorso, da Churchill dalla Società delle Nazioni tramite la sua Assemblea a se(2017) di Jonathan Teplitzky, al più noto, sempre dello guito dell’invasione italiana dell’Etiopia; posizione questa stesso anno, The darkest hour di Joe Wright, premiato, che il Duce, ancora neutrale, ricordò successivamente a tra gli altri, con l’Oscar nel 2018. Churchill nella lettera di risposta a quella con cui lo stesso Churchill, poco dopo essere stato nominato primo mini3 settembre 1939, il ritorno all’Ammiragliato stro, auspicava il non ingresso in guerra dell’Italia. Il 18 maggio 1940, Mussolini, tra l’altro, scriveva «senza anDopo esattamente un quarto di secolo, Winston tornò, dare troppo indietro nel tempo, Le ricordo dell’iniziativa dunque, come lui stesso scrisse, «nella stanza che avevo presa dal Suo governo nel 1935 per imporre a Ginevra le lasciato con dolore e amarezza, quando le dimissioni di sanzioni contro l’Italia (…)» (4). lord Fisher (First sea lord dal 1914 al 1915, ndr) portaAllo scoppio del Secondo conflitto mondiale, a parte Winston, tutti gli altri ministri del governo di Neville Chamberlain erano stati parte attiva della vita politica del Regno Unito per buona parte degli anni più recenti, o erano stati coinvolti negli eventi che avevano determinato quella situazione. Antony Eden, tra gli esponenti più significativi del partito Conservatore e molto apprezzato da Churchill per le sue posizioni contro la ricerca di compromessi e accordi con Hitler, si era dimesso dalla carica di ministro degli Esteri nel 1938, anche lui in polemica con la politica di appeasement propugnata da Chamberlain. Ricordiamo che, in qualità di ministro degli Esteri, Eden era stato anche il maggiore sostenitore dell’applicazione

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rono alla mia rimozione come Primo lord dell’Ammiragliato, rovinando irrimediabilmente l’importanza del concetto operativo del forzamento dei Dardanelli» (5). Alcuni metri dietro la vecchia sedia del ministro della Marina osservò che era ancora presente la bacheca di legno che poco più di venticinque anni prima aveva fatto sistemare per fissare le carte geografiche attraverso cui aveva seguito l’evolversi delle dinamiche marittime della Grande guerra, per crearsi quella che noi oggi definiamo la Maritime Situational Awareness, la «MSA», ovvero il quadro della consapevolezza situazionale marittima. In quel momento, osservando che addirittura era rimasta appesa la carta del Mare del Nord, richiamò alla mente quando ogni giorno vi faceva riportare la situazione delle navi tedesche. L’attuale Capo di Stato Maggiore, l’ammiraglio Dudley Pound (che Churchill aveva conosciuto durante il suo primo mandato tra gli assistenti più fidati di lord Fisher), gli fece subito visita e Winston pensò alle critiche che lui stesso aveva sollevato in parlamento nei confronti di Pound, per la disposizione della Mediterranean Fleet (allora sotto il suo comando) durante la guerra di Spagna per fronteggiare i complessi problemi creati dall’embargo e dalla guerra navale non dichiarata dei sommergibili italiani nel Mediterraneo a supporto delle forze nazionaliste. Churchill e Pound adesso si incontravano «come colleghi, dalle cui relazioni ravvicinate e fondamentale accordo sarebbe dipeso il regolare e fluido svolgimento delle attività della vasta macchina dell’Ammiragliato». Winston trascorse buona parte della notte di quel 3 settembre incontrando l’alta dirigenza dell’Ammiragliato (i sea lord), e dalla mattina del giorno successivo era già in grado di «mettere le proprie mani negli affari navali». Era, infatti, sicuro di poter contare anche sui risultati del suo impegno dal termine della sua prima esperienza come Primo lord nella raccolta di un’immensa mole di informazioni e dati sulla marittimità e sulla guerra navale, e sui successivi studi di approfondimento e scrittura sulle questioni marittime. Su di esse, aveva ripetutamente parlato alla Camera dei Comuni, mantenendo buoni e stretti rapporti con l’Ammiragliato che, nonostante le critiche ricevute

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negli wilderness years, gli aveva permesso di essere messo a conoscenza di taluni segreti. Gli anni spesi nel Comitato per la Ricerca sulla Difesa aerea (1935-39) gli permisero di accedere agli studi sulle più moderne e innovative tecnologie, tra cui il radar, che adesso aveva un impatto vitale sulla Marina, e il precursore del moderno sonar, l’Asdic (Anti-submarine device), come si chiamava allora.

Le innovazioni nelle contromisure mine navali La particolare poliedricità, determinazione e volontà realizzativa resero, dunque, Churchill anche un valido innovatore. Nel dominio navale, oltre ad aver promosso il già citato ammodernamento e potenziamento della flotta alla vigilia della Prima guerra mondiale e lo sviluppo di nuovi sensori e armamenti, nel secondo mandato a capo dell’Ammiragliato si interessò in particolar modo alla guerra di mine, dal punto di vista sia del loro utilizzo per ridurre la capacità di proiezione di potenza tedesca, come nel caso dell’operazione Royal Marine (minamento dei fiumi e coste tedeschi), sia delle contromisure per proteggere il naviglio. Trattandosi di una materia a noi particolarmente cara, avendo trascorso nella Componente di Contromisure mine nazionale oltre 16 anni, ci soffermeremo su queste ultime, anche perché nel primo volume delle sue Memoirs, Winston vi dedica l’intera Appendice «M» (riteniamo la scelta della lettera «M» possa non essere un caso; anche la «Tabella M» del libro dei segnali tattici della NATO «ATP-1 Vol. II» riguarda la Mine Warfare, la «MW»). Nel 1936, un apposito Comitato tecnico-scientifico dell’Ammiragliato aveva studiato delle contromisure contro i dispositivi di attuazione delle mine magnetiche. Come lo stesso Churchill scrisse, «è noto che tutte le navi co-

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struite con ferro contengono del magnetismo permanente e indotto (6); il campo magnetico risultante può essere forte abbastanza da attivare il meccanismo di fuoco di una mina all’uopo progettata e posata sul fondo marino». Il lavoro del Comitato era stato diretto in prevalenza sui siluri e le mine ormeggiate (cioè galleggianti e tenute in posizione da un ormeggio) che utilizzavano sensori magnetici, senza tuttavia comprendere la maggiore pericolosità delle mine da fondo che, in base alla quota di posa, erano (e lo sono tutt’oggi) in grado di infliggere danni molto più ingenti rispetto ai primi due. Lo stesso Churchill, per evidenziare la gravità di questa minaccia, annotò nelle sue memorie che, tra settembre e ottobre 1939, le perdite di naviglio alleato e neutrale per le mine navali ammontava a 56.000 t. Tra i suoi appunti, si legge che una notte, mentre si trovava nella sua residenza di Chartwell, l’ammiraglio Pound lo andò a trovare molto preoccupato poiché ben sei navi erano appena state affondate all’ingresso nel Tamigi. La gravità di tale notizia era dovuta al fatto che, poiché ogni giorno centinaia di navi uscivano ed entravano dai porti inglesi, come Churchill scrisse, «la loro stessa sopravvivenza sarebbe dipesa da quei movimenti». Sebbene le caratteristiche dei congegni di attivazione delle mine magnetiche e acustiche tedesche erano note prima dell’inizio delle ostilità, fu solo dopo il recupero di una mina inesplosa a Shoeburyness, una cittadina della Contea di Essex, il 23 novembre 1939, che gli specialisti inglesi poterono verificare la bontà della loro conoscenza pregressa su questo tipo di ordigno (7). Come prima necessità, Churchill intravide quella di concentrarsi sullo sviluppo di efficaci contromisure. Diede pertanto le sue due priorità: a) ricercare nuovi metodi di dragaggio (minesweeping); b) dotare tutte le navi di sistemi di protezione passiva contro le mine rimaste non bonificate nei canali realizzati per il transito in sicurezza. «L’intero potere e la scienza della Marina erano adesso applicati». Per la difesa contro le mine magnetiche era necessario creare un campo magnetico nelle vicinanze dell’ordigno di intensità tale da attivare il meccanismo di fuoco e far detonare la mina a distanza di sicurezza dal dragamine. Fu fatta entrare in servizio come nave-esperienza un’unità approntata all’inizio del 1939 per la distruzione delle mine, cui furono installate due potenti appendici elettromagnetiche a prua, in modo da attivare le mine prima che

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il dragamine sopraggiungesse sulla verticale dell’ordigno. Furono registrati alcuni successi, ma col tempo ci si rese conto che quel metodo era poco efficace per operazioni di dragaggio magnetico su larga scala. Al contempo, furono sviluppate nuove apparecchiature basate su cavi attraversati da corrente ad alto voltaggio da trainare sia a poppa di mezzi navali dal basso pescaggio, sia da aeroplani che volavano a bassa quota, ma quest’ultima tecnica fu abbandonata a causa dei rischi che presentava per gli aerei. Lo sviluppo di vere e proprie Airborne Mine Counter Measures (AMCM), le contromisure mine aviotrasportate, avverrà alcuni decenni più tardi, grazie all’avvento degli elicotteri, dimostratisi idonei al traino di particolari apparecchiature di dragaggio realizzate con materiali ultraleggeri. Oggi, diverse Marine militari dispongono di AMCM, tra cui la US Navy e la Japan Maritime Self Defence Force. Alla fine, visto l’elevato rapporto efficacia/sicurezza per il mezzo di contromisure mine, fu portato avanti il cosiddetto «metodo L.L.», secondo cui l’apparecchiatura di dragaggio era costituita da lunghi cavi dritti (i «tails»), trainati da piccole unità. La corrente ad alto voltaggio veniva fatta scorrere secondo determinati intervalli di tempo, in modo che la detonazione della mina avvenisse a una certa distanza di sicurezza dal dragamine. Il problema che incontrarono gli ingegneri, ci racconta Churchill, fu quello di rendere i cavi galleggianti. Alla fine, la soluzione fu trovata adattandovi delle palline da tennis sigillate. A partire dall’autunno 1940, i tedeschi introdussero l’utilizzo delle mine acustiche, il cui dispositivo di attivazione utilizzava il rumore indotto nell’acqua dai propulsori e dalle vibrazioni dello scafo delle navi in transito sulla verticale dell’ordigno. L’Ammiragliato si attendeva l’utilizzo di questi nuovi sensori già da tempo, per cui non si fece trovare impreparato. Fu realizzato un meccanismo che produceva rumore dalle caratteristiche e intensità affini a quelle di una nave con un determinato tonnellaggio, sempre rispettando il vincolo di far detonare la mina a distanza di sicurezza dal dragamine. Dei dispositivi costruiti e testati, il più efficace si dimostrò il martello vibrante «Kango», sistemato in un pozzetto allagato posizionato sotto la chiglia del dragamine, a similitudine degli alloggiamenti dove oggi sono sistemati i sensori acustici dei sonar dei moderni cacciamine. Il successo di questo me-

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todo dipendeva dall’individuare la corretta frequenza sonora e, anche questa volta, l’aver trovato e recuperato alcune mine acustiche tedesche inesplose nel canale di Bristol, tra l’ottobre e il novembre 1940, permise agli inglesi di avere successo contro questo tipo di ordigni. Le apparecchiature acustiche furono utilizzate in combinazione con quelle magnetiche, dando origine, in tal modo, al dragaggio «magneto-acustico», una tecnica di contromisure mine che abbiamo studiato durante il Corso di specializzazione nella Guerra di Mine presso l’Accademia navale di Livorno, nell’ormai lontano 1998, a oltre sessant’anni di distanza dal tempo in cui queste tecnologie e tattiche d’impiego prendevano forma e sostanza. Sotto la guida di Churchill, l’Ammiragliato sviluppò ulteriori apparecchiature per la difesa passiva delle navi dalle mine magnetiche, anche se una protezione totale da questi ordigni soprattutto nei bassi fondali, non poteva (e non può a tutt’oggi) essere garantita. Si trattava della «demagnetizzazione» o «degaussing», termine coniato dagli inglesi, come ci racconta lo stesso Churchill (8), una tecnica tuttora utilizzata e realizzata tramite l’apposizione di spire intorno allo scafo, all’interno delle quali viene fatta scorrere corrente elettrica al fine di produrre un campo magnetico indotto tale da annullare gli effetti di quello generato dalla nave. Un’altra tecnologia che gli inglesi introdussero in quel periodo, sempre su impulso di Churchill, fu il «wiping», ancora utilizzata ai giorni nostri e che noi conosciamo con il termine «deperming». Come lo stesso Churchill lo descrisse, era un «degaussing» più semplice, consistente nel posizionare un grosso cavo elettrico lungo lo scafo e farlo attraversare da una corrente ad alto voltaggio, in modo da compensare gli effetti del campo magnetico dell’unità, da attuare poco prima della partenza di una nave. Poiché si trattava di una misura temporanea, questa procedura andava ripetuta a intervalli di tempo dell’ordine di alcuni mesi. Churchill annotò che il «wiping» «si dimostrò di particolare valore durante l’evacuazione di Dunkerque, quando così tante piccole e variegate imbarcazioni, non utilizzate normalmente per la navigazione d’altura, stavano operando in prossimità dei bassi fondali delle coste del Canale (della Manica)» . Winston credette molto nella Componente di contromisure mine navali, al punto che ne riconobbe il me-

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rito mandando uno specifico messaggio agli ufficiali e gli uomini della Squadriglia dragamine e scrivendo nelle sue memorie: «La vittoria finale è stata un tributo agli incessanti sforzi di tutto il personale coinvolto». MESSAGE FROM THE PRIME MINISTER TO THE OFFICERS AND MEN OF THE MINESWEEPING FLOTILLAS NOW THAT NAZI GERMAN HAS BEEN DEFEATED I WISH TO SEND YOU ALL ON BEHALF OF HIS MAJEST’S GOVERNMENT A MESSAGE OF THANKS AND GRATITUDE. THE WORK YOU DO IS HARD AND DANGEROUS. YOU RARELY GET AND NEVER SEEK PUBLICITY; YOUR ONLY CONCERN IS TO DO YOUR JOB, AND YOU HAVE DONE IT NOBLY. YOU HAVE SAILED IN MANY SEAS AND ALL WEATHERS ... THIS WORK COULD NOT BE DONE WITHOUT LOSS, AND WE MOURN ALL WHO HAVE DIED AND OVER 250 SHIPS LOST ON DUTY. NO WORK HAS BEEN MORE VITAL THAN YOURS; NO WORK HAS BEEN BETTER DONE. THE PORTS WERE KEPT OPEN AND BRITAIN BREATHED. THE NATION IS ONCE AGAIN PROUD OF YOU. W.S. CHURCHILL

ADESSO CHE LA GERMANIA NAZISTA È STATA SCONFITTA, DESIDERO INVIARE A VOI TUTTI A NOME DEL GOVERNO DI SUA MAESTA’ UN MESSAGGIO DI RINGRAZIAMENTO E GRATITUDINE. IL LAVORO CHE FATE È DURO E PERICOLOSO. RARAMENTE VI VIENE DATA E MAI CERCATE LA FAMA. LA VOSTRA UNICA PREOCCUPAZIONE È FARE IL VOSTRO LAVORO, E LO AVETE FATTO NOBILMENTE. AVETE NAVIGATO IN MOLTI MARI E IN OGNI CONDIZIONE METEOROLOGICA ... QUESTO LAVORO NON POTEVA ESSERE FATTO SENZA PERDITE, E NOI COMPIANGIAMO TUTTI COLORO CHE HANNO SACRIFICATO LA VITA IN SERVIZIO A BORDO DI OLTRE 250 UNITA’ ANDATE PERDUTE. NESSUN LAVORO È STATO PIU’ VITALE DEL VOSTRO; NESSUN LAVORO È STATO SVOLTO MEGLIO. I PORTI SONO STATI MANTENUTI APERTI E LA GRAN BRETAGNA HA RESPIRATO. LA NAZIONE È ANCORA UNA VOLTA FIERA DI VOI. NATIONAL ARCHIVES REF PREM 3/314/5 (halcyon-class.co.uk).

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La situazione delle Marine inglese e tedesca all’inizio del Secondo conflitto mondiale L’imponente situazione navale del 1914, al momento dell’ingresso in guerra contro la Germania, è data dal rapporto delle corazzate e incrociatori pesanti (capital ships), 16 a 10, mentre per gli incrociatori, 2 a 1. All’inizio di quel conflitto, Churchill aveva mobilitato 8 Squadre navali da battaglia formate da 8 corazzate, con una squadriglia di incrociatori e una flottiglia di scorta per ciascuna Squadra navale, dispiegando, insieme, importanti forze di incrociatori, cercando un’azione generale contro quella che lui definiva una «flotta più debole ma formidabile». Nel 1939, la Marina tedesca aveva da poco iniziato la sua ricostruzione, nonostante i divieti e i limiti imposti dal Trattato di Versailles sul riarmo della Germania, ma non aveva ancora le capacità necessarie per formare almeno una Squadra navale. Le due grandi corazzate, la Bismarck e la Tirpiz, di cui Churchill diede per scontato che avessero superato i limiti imposti dal Trattato di Washington del 1922 (9) e dalle Conferenze di Londra del 1930 (10) e del 1936 (11), erano entrambe ad almeno un anno dall’entrata in servizio. Gli incrociatori leggeri da battaglia, Scharnhost e Gneisenau, che la Germania aveva portato da 10.000 t a 26.000 t, violando anche in questo caso gli accordi internazionali, erano stati completati nel 1938. Inoltre, Hitler disponeva di 3 corazzate «tascabili» di 10.000 t, l’Admiral Graf Spee, l’Admiral Scheer e il Deutschland, insieme a 2 incrociatori veloci sempre da 10.000 t con cannoni da 8 pollici (203 mm), 6 incrociatori leggeri, 60 tra cacciatorpediniere e naviglio minore e 58 sommergibili. Nel settembre 1939, la Royal Navy continuava a essere la Marina più potente al mondo, avendo la flotta militare più numerosa e armata e una vasta rete globale di basi logistiche e di rifornimento. In totale, possedeva: 15 corazzate (2 «Nelson», 1 «Hood», 2 «Renown», 5 «Royal Sovereign», 5 «Queen Elizabeth»), di cui 9 in costruzione; 7 portaerei (1 «Ark Royal», 2 «Courageous», 1 «Furious», 1 «Eagle», 1 «Hermes», 1 «Argus»), di cui 6 in costruzione; 15 incrociatori pesanti (2 «Exeter», 13 «County»); 41 incrociatori leggeri, di cui 9 in costruzione; 8 incrociatori anti-aerei; 113 cacciatorpediniere

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moderni e 68 cacciatorpediniere legacy; 53 sommergibili moderni e 12 sommergibili legacy; altro naviglio di supporto ausiliario come i dragamine (12).

La Marina Mercantile inglese Allo scoppio della guerra, il naviglio mercantile inglese era, più o meno, dello stesso tonnellaggio di quello del 1914, ovvero più di 21 milioni di t. Questa massiva flotta mercantile costituiva circa un terzo del totale mondiale, confermando il primato del Regno Unito anche in questo ambito. Ad aprile del 1940, dopo aver fatto il bilancio tra le nuove costruzioni e le perdite nei primi mesi di guerra, il valore del naviglio mercantile era sceso di poco meno di 800.000 t (13). Ciò, ovviamente ricadeva sotto la sua responsabilità e dell’Ammiragliato, e quale Primo lord, Winston era profondamente determinato a impedire il sopravvento della Kriegsmarine nei mari di interesse britannico, pena il rischio di non poter più sostenere la popolazione e lo sforzo bellico. Quale conseguenza, Churchill intese limitare le richieste dell’Ammiragliato e spingere per la concentrazione dello sforzo produttivo sul naviglio necessario per la difesa delle linee di comunicazione marittime, le Sea Lines of Communication (SLOC), ritardando, per esempio, la costruzione delle unità della classe «King George V» e bloccando la costruzione delle corazzate della classe «Lion», ritenendo che la minaccia prevalente, cioè quella subacquea, dovesse avere la priorità. Avendo come riferimento il precedente conflitto, attuò la tattica del convogliamento dei mercantili quale contromisura agli attacchi dei sommergibili e già dimostratasi efficace durante la precedente esperienza bellica. L’Ammiragliato assunse per qualche giorno il controllo dei movimenti di tutto il traffico mercantile, e agli armatori venne chiesto di obbedire agli ordini impartiti dai militari sulle rotte da seguire e sulle modalità per entrare nei convogli. Tuttavia, la scarsità di unità di scorta, costrinse l’Ammiragliato a derogare a tali direttive e raccomandare una policy di rotte evasive lungo le linee di comunicazione oceaniche, fino a quando il nemico avrebbe optato per una guerra sottomarina aperta, e a procedere per il convogliamento in prossimità delle coste orientali inglesi.

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Tuttavia, il primo affondamento di un transatlantico inglese, l’Athenia, il 3 settembre 1939 allo scoppio delle ostilità, a opera di un U-Boot, modificò questi piani, forzando l’Ammiragliato a implementare i convogli nell’Atlantico del nord da quel momento in avanti, attuando tutte le preventive predisposizioni, puntualmente condivise con gli armatori. I marinai mercantili, disposti e pronti ad affrontare un destino incerto, non accettarono di rimanere passivi e chiesero di poter essere dotati di armi. Poiché, a quel tempo, l’uso di armi per autodifesa dalle navi mercantili era ammesso dal diritto internazionale, l’Ammiragliato procedette immediatamente con un piano per armare e addestrare gli equipaggi civili inglesi. Questa scelta ebbe come effetto quello di costringere gli U-Boot ad attaccare rimanendo sommersi, una condizione che, da un lato, aumentò le probabilità di fuga dei mercantili, mentre dall’altro, provocò un maggior dispendio di siluri a causa dell’aumentata difficoltà nel centrare i bersagli.

La visione strategica marittima di Churchill Forte di questo primato mondiale marittimo inglese, vera e propria trasposizione del concetto di Potere Marittimo così come inteso dal contrammiraglio e storico americano Alfred Thayer Mahan (14), per Churchill il «command of the sea» era una condizione decisiva per mantenere la superiorità militare e il vantaggio operativo. «Quando parliamo del command of the sea», disse durante un intervento alla Camera nell’aprile 1940, «non significa comandare ogni parte del mare nello stesso momento, o in ogni momento. Esso significa semplicemente che dobbiamo fare in modo che il nostro volere prevalga in ogni tratto di mare in cui alla fine condurremo le nostre operazioni, proiettando in tal modo, in maniera indiretta, il nostro volere di prevalere in ogni parte del mare. Non vi è niente di più stupido che aspettarsi che la Royal Navy pattugli su e giù le coste norvegesi e danesi rappresentando un bersaglio per gli U-Boot» (15). Il concetto di command of the sea espresso da Churchill può oggi assimilarsi a quello di «sea control/contrôle de l’espace maritime», definito dalla NATO «la condizione affinché si guadagni, per un determinato periodo di tempo, la libertà di azione per raggiungere i propri fini all’interno di uno spazio di mare nelle tre dimensioni

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(sotto, sulla e sopra la superficie)» (16). Senza il controllo assoluto degli ampi spazi marittimi dei molteplici teatri operativi, da quelli domestici come la Manica e il Baltico, a quelli limitrofi come l’Atlantico, a quelli più lontani come il Mediterraneo, non era, infatti, possibile garantire i necessari approvvigionamenti di risorse e generi alimentari necessari al sostentamento della popolazione e dello sforzo bellico su terra. Sin dagli anni della wilderness, oltre alla superiorità navale, come abbiamo visto, Churchill era convinto sostenitore del Potere Aereo, da integrare nel Potere Navale per togliere al nemico ampi spazi di manovra. Esempio della combinazione intelligente di quella pionieristica strategia interforze è la vittoria delle due tra le più ardue battaglie, diremmo oggi «multi-dominio» (anche perché comprendevano un primordiale dominio cibernetico grazie allo sviluppo dei primi calcolatori per decrittare il codice Enigma (17), della Seconda guerra mondiale, cioè le già richiamate Battaglia d’Inghilterra e Battaglia dell’Atlantico. Queste battaglie sui mari, che possiamo oggigiorno considerare «epiche», hanno anche ispirato un’ampia filmografia. Fra i tanti, a nostro parere sono due i film emblematici per il modo in cui fanno rivivere quelle realtà risultanti dall’attuazione dei concetti di command of the sea e di air power integrati nel dominio marittimo. Si tratta di Midway (2019), diretto da Roland Emmerich, che ripropone l’esegesi dell’omonima battaglia nel Pacifico che consacrerà gli Stati Uniti come superpotenza marittima e Greyhound (2020), diretto da Aaron Schneider, e magistralmente interpretato da Tom Hanks nei panni del comandante di un Task Group di scorta ai convogli in Atlantico che deve affrontare il cosiddetto black pit, la zona centrale di oceano al di fuori della copertura aerea statunitense da un lato e da quella inglese dall’altro. Per dare un’idea dell’importanza del vantaggio che assicurava il possesso del «command of the sea» a chi lo deteneva, la superiorità tedesca nel controllo della sola dimensione subacquea, nei primi otto mesi di guerra provocò la perdita di naviglio mercantile inglese per un totale di 590.542 t corrispondenti a 131 navi (18), portando l’Inghilterra al quasi tracollo, soprattutto dopo l’uscita della Francia dai combattimenti nel giugno 1940, il non-interventismo americano fino all’attacco di Pearl Harbour nel dicembre 1941, e il citato patto di non aggressione Mo-

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Il mar Baltico nel 1939 (wikipedia).

lotov-Ribbentrop che poneva la futura alleata Unione Sovietica sul fronte opposto fino al giugno 1941. Appena arrivato all’Ammiragliato, nei primi giorni di quel settembre 1939, Churchill aveva già una chiara visione strategica del Baltico, vitale per il Regno Unito come il Mediterraneo per l’Italia. Il «command» del Baltico era fondamentale per Winston, poiché, nella sua visione, impedire al nemico l’uso di quel mare, che lui riteneva centro di gravità per entrambi, voleva dire far venire meno ai tedeschi le fonti del sostentamento al loro sforzo bellico, oltre all’opportunità di nuovi guadagni territoriali che li avrebbero pericolosamente avvicinati alle isole britanniche, allontanando il fronte da Berlino. Infatti, la necessità di garantire sia il flusso di materie prime dalla Svezia (in particolare il ferro delle miniere di Gallivare attraverso il porto di Lulea e il porto norvegese di Narvik) verso la Germania, sia la protezione contro le potenziali incursioni russe lungo l’estesa e indifesa costa settentrionale della Germania — in una parte distante poco meno di 100 miglia da Berlino — rendeva imperativo per la Kriegsmarine il dominio del

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Baltico. Churchill era convinto che, in questa fase inziale delle ostilità, la Germania non avrebbe compromesso le sue capacità di «command of that sea», evitando di rischiare navi da guerra non necessarie allo scopo. Quale conseguenza, si convinse che la Gran Bretagna doveva mantenere una flotta superiore «nei nostri mari del Nord», per esercitare il Potere Navale (Sea Power), attuando misure offensive come il blocco navale — senza tuttavia utilizzare una grande forza per controllare gli sbocchi dal Baltico e dalla Baia di Helgoland nel Mare del Nord — e la posa massiccia di campi minati, soprattutto lungo la costa occidentale norvegese, per impedire eventuali incursioni navali tedesche allorquando la Germania avrebbe invaso il paese, e nei fiumi tedeschi, per indebolire il nemico nel proprio territorio (la citata operazione Royal Marine). Churchill era, inoltre, convinto che l’efficacia del Potere Navale sarebbe potuta aumentare con l’attuazione dell’air mastery, ipotizzando che un attacco aereo sul Canale di Kiel avrebbe reso quell’ulteriore ingresso nel Baltico inutilizzabile, ancorché a intervalli, come peral-

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«Winston is back!»

tro aveva già indicato un anno prima in una nota dell’ottobre 1938 per sir Thomas Inskip (19). In questa nota, Winston anticipava l’idea di utilizzare bombe con congegni di attivazione tali da introdurre ritardi nelle esplosioni, fino a ipotizzare «special fuzes with magnetic actuation», dispostivi che, come lo stesso Churchill evidenziò, avrebbero aperto la strada all’invenzione — e al largo utilizzo — delle mine navali magnetiche, una previsione che, come abbiamo visto, fu pienamente centrata (20). Tuttavia, nel 1938, nessuna azione fu presa nei confronti dei contenuti di questa nota. Uno dei principali punti che dovette sempre sostenere con veemenza nella classe politica che componeva il Consiglio di Guerra era la necessità di superare «l’approccio difensivo alla guerra marittima». Come egli stesso annotò nelle sue memorie, «in ogni guerra in cui la Royal Navy ha dichiarato il command of the sea, ha dovuto pagare l’alto prezzo di aver esposto al nemico un numero considerevole di propri bersagli marittimi. Il nemico, con tutti i suoi assetti navali, e in particolare i temibili U-Boot, ha inflitto pesanti perdite sui nostri traffici commerciali e di rifornimento viveri. Quale conseguenza, abbiamo sviluppato la primaria funzione di difesa, che è diventata una strategia navale di difesa e una vera e propria forma-mentis. I moderni sviluppi della guerra sui mari hanno aggravato questa tendenza. Nelle due Grandi guerre, per cui sono stato in parte responsabile per le azioni dell’Ammiragliato, ho sempre provato a rompere questo paradigma di difesa ossessiva, ricercando forme di contro-offensiva. Durante la Prima guerra mondiale ho sperato di trovare nei Dardanelli, e successivamente nell’attacco contro Borkum e le Isole Frisone (nel Mare del Nord, ndr), il mezzo per riguadagnare l’iniziativa e forzare chi deteneva il Potere Navale più debole a studiare i suoi problemi anziché i nostri. Chiamato per la seconda volta all’Ammiragliato nel 1939, non appena ci siamo confrontati con i pericoli e i bisogni più immediati, non potevo sentirmi tranquillo e appagato con la sola policy del “Convoy and Blockade”, cioè dell’organizzazione di convogli marittimi e blocchi». «Ero ardentemente alla ricerca di un modo per attaccare la Germania attraverso gli assetti navali» (21). Churchill era convinto che senza il «comando del Bal-

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tico» la Gran Bretagna non avrebbe potuto chiedere un porto svedese e che senza un porto svedese non avrebbe avuto il comando del mare, uno stallo che richiama due delle quattro condizioni su cui si fonda il concetto di Potere Marittimo sviluppato da Mahan, ovvero la disponibilità di navi da guerra e di porti da cui proiettare il Potere Marittimo (22); le altre sono la produttività alla base del commercio e la disponibilità di una flotta mercantile per commerciare i beni prodotti. Churchill era, inoltre, certo di poter contare sulla flotta francese, portata ai più alti livelli di efficienza ed efficacia dalla grande capacità dell’ammiraglio François Darlan (divenuto poi vice presidente del consiglio dei Ministri nel Regime di Vichy, sotto la presidenza di Philippe Pètain), ma la caduta di Parigi nel giugno 1940 determinò un tutt’altro epilogo per la Marine nationale. Come abbiamo anticipato, Churchill temeva molto l’ingresso dell’Italia di Mussolini in guerra e per questo motivo era convinto che il primario battlefield, campo di battaglia, sarebbe dovuto essere il Mediterraneo, sostenendo che, anche senza l’aiuto francese, la British Fleet da sola sarebbe stata all’altezza del confronto, al punto di affermare che «il dominio britannico del Mediterraneo infliggerà pesanti ferite a un’Italia nemica che potranno essere fatali al suo potere di continuare la guerra. Tutte le sue truppe in Libia e in Abissinia, sarebbero come fiori tagliati in un vaso».

Conclusioni Queste erano la visione e la strategia navale di Churchill quale risultante della sua duplice esperienza quale Primo lord dell’Ammiragliato (1911-15, 1939-40), tratte prevalentemente dal primo dei sei volumi che compongo le sue Memoirs della Seconda guerra mondiale. Nonostante la determinazione, la preparazione, la poliedricità e l’indiscussa leadership, sia la strategia di violare gli stretti turchi durante la Grande guerra, sia gli eventi nel Baltico nel primo anno del Secondo conflitto mondiale non andarono come aveva pianificato, perché, come da lui stesso raccontato, il suo piano, nel primo caso, non fu condiviso dallo Stato Maggiore che non lo supportò come si aspettava mentre, nel secondo caso, il Consiglio di Guerra, guidato da Neville Chamberlain, preferiva una strategia navale di difesa. Quando

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la situazione nei paesi scandinavi degenerò e Churchill fu alla fine autorizzato a portare a compimento i propri piani, il repentino e progressivo indebolimento francese lo forzarono a distrarre risorse navali dal fronte norvegese per evitare il crollo dell’unico alleato ancora combattente, col e la famiglia reale inglese il giorno della vittoria, V-E Day, 8 maggio 1945 (International risultato che tutti conosciamo, ovvero Churchill Churchill Society) l’invasione tedesca della Norvegia e la essere certo quest’articolo a raccontare in poche pacapitolazione della Francia che si concluse, come ricorgine chi è stato e cosa ha fatto Winston Churchill. dato, con la caduta di Parigi, il 14 giugno 1940, e la Quello che abbiamo provato a fare nel condividere le firma dell’armistizio, il 22 giugno successivo. risultanze di questa piccola ricerca, è illustrare come Divenuto Premier al posto di Chamberlain il 10 il suo operato all’Ammiragliato inglese sia stato maggio 1940, superata «l’ora più buia» e avendo teun’importante fonte per la creazione di un pensiero nacemente resistito all’ossessivo tentativo di Hitler marittimo e navale ancora valido, per un approccio di invadere la Gran Bretagna, riuscì a trasmettere creativo, ma anche coraggioso, all’innovazione tecquesta sua straordinaria determinazione ai suoi connologica, per la messa in opera di tattiche e tecniche cittadini e compatrioti, motivandoli con discorsi alla navali che ancora oggi sono studiate e attuate. nazione, le cui frasi ancora oggi vengono usate come Tutto questo, grazie alla sua instancabile voglia di dei magistrali aforismi motivazionali. Grazie a questa documentarsi, documentare e scrivere per lasciare ai eroica resistenza della nazione britannica e alle conposteri la memoria di un lungo periodo di storia, quello dizioni che poi si crearono per realizzare la «great della prima metà del XX secolo, i cui effetti continuano Alliance» con Roosevelt e Stalin, l’8 maggio 1945, a condizionare la nostra epoca e, siamo convinti, il noWinston poté affacciarsi prima al balcone del ministro futuro ancora per molto tempo a venire. Forse più stero della Salute, mostrando ancora una volta la fadi qualcuno non si troverà d’accordo con tutto o parte mosissima «V» di vittoria, formata con l’indice e il di quello che abbiamo riportato in questo articolo, ma medio della sua mano destra, davanti a una vera e alla fine, riteniamo che un altro insegnamento di questo propria fiumana di gente festante e, a seguire, a grande personaggio può essere che la Storia, spesso, quello di Buckingham Palace, insieme alla famiglia non è di chi la fa, ma di chi la scrive. reale, per celebrare il «VE-day», il Victory in Europe «Success is not final, failure is not fatal: is the couday, il giorno della Vittoria in Europa. rage to continue that counts» («I successi non sono fiDi quest’uomo moltissimo si è detto, scritto, donali, i fallimenti non sono fatali: è il coraggio di cumentato, prodotto film, come, siamo sicuri, molto andare avanti che conta») Winston L. S. Churchill. 8 altro ancora si dirà, scriverà, documenterà. Non può NOTE (1) Andrew Roberts, Churchill, la biografia, ed. 2021; Christopher M. Bell Churchill and sea power, ed. 2014; Jenkins Roy, Churchill: A Biography, 1st edition 2001 ; Martin Gilbert, The profet of truth, 1922-1939 e Road to victory, 1941-1945, ed. 2009. (2) Bacon, Admiral Sir Reginald Hugh, The Life of Lord Fisher of Kilverstone, ed. 2007; Adm USN (ret.) James Stavridis Sailing True North, ten admirals and the voyage of character, ed. 2019. John Arbuthnot Fisher, Primo barone Fisher (25 gennaio 1841-10 luglio 1920), comunemente noto come Jacky o Jackie Fisher, era un ammiraglio inglese conosciuto per il suo impegno verso l’epocale riforma navale della Royal Navy, tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX. L’arco della sua lunga carriera — durata più di 60 anni e iniziata in una Marina composta da velieri in legno armati con cannoni a caricamento manuale della bocca di fuoco e finita in una Marina composta da incrociatori da battaglia con scafi in acciaio, sommergibili e le prime portaerei — ha notevolmente influenzato il processo di trasformazione e sviluppo della Royal Navy. Per il suo spirito critico ed energico e per la sopraffina mentalità orientata al cambiamento, è spesso considerato la seconda figura più importante della Marina inglese, dopo lord Nelson. Fisher è principalmente ricordato per essere stato innovatore, stratega e trasformatore della Marina, più che un ammiraglio delle grandi battaglie navali, anche se nell’arco della sua carriera non gli sono mancate le esperienze operative. Nominato First Sea Lord nel 1904, dismise 150 unità navali in servizio poiché obsolete e avviò un programma di rinnovamento dello strumento navale, realizzando una flotta moderna e pronta a quello che sarebbe stato il confronto decisivo con la Marina tedesca durante la Grande guerra. Fisher intuì

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«Winston is back!» la necessità di incrementare la portata, la precisione e la rapidità di fuoco dell’artiglieria navale, e fu tra i primi propositori dell’uso dei siluri, un’arma che credeva superasse i cannoni di grosso calibro nel tiro contro le unità di superficie. Nell’incarico di direttore degli Armamenti navali (Controller of the Navy, 1892-97) introdusse i primi cacciatorpediniere (torpedo boat destroyers) quale classe di unità navali destinata alla difesa contro gli attacchi di torpediniere e sommergibili. Da First Sea Lord (1904-10), fu responsabile per la costruzione dell’HMS Dreadnought, la prima unità da battaglia esclusivamente armata da artiglieria pesante (all-big-gun battleship). Era parimenti convinto della crescente importanza dei sommergibili, per cui ne favorì l’urgente sviluppo. Fu interessato dall’introduzione sia dei motori a turbina al posto di quelli a pistone, sia del nuovo combustibile, gasolio, al posto del carbone. Introdusse la panificazione a bordo, altra importante innovazione, soprattutto in considerazione del fatto che, al suo ingresso in Marina, erano disponibili solo gallette, spesso infestate da insetti e parassiti. Lasciò per la prima volta il servizio attivo nel 1910, in occasione del suo 69o compleanno, ma fu richiamato come First Sea Lord nel novembre 1914. Si dimise sette mesi più tardi a causa della Campagna di Churchill a Gallipoli, continuando, tuttavia, a servire la Corona come presidente del Comitato governativo delle invenzioni e della ricerca fino alla fine della Guerra. Morì il 10 luglio 1920 all’età di 79 anni. (3) Massimo Iacopi, http://win.storiain.net/arret/num171/artic3.asp. (4) Lettera di riposta di Mussolini a Churchill datata 18/05/1940 e contenuta in Winston Churchill, The Second World War, Vol. II, Their finest hour, p.108. (5) W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, p.365. (6) Magnetismo permanente: caratteristica fisica del materiale ferroso. Magnetismo indotto: prodotto da un circuito attraversato da corrente (leggi di Lentz e Maxwell). (7) «La fortuna ci aveva favorito più direttamente. Il 22 novembre, tra le 9 e le 10 p.m., fu osservato un aereo tedesco sganciare un grande oggetto appeso a un paracadute, in mare vicino a Shoeburyness. La costa in quella zona è pervasa da grandi aree di fango, che si palesa con la bassa marea, e fu immediatamente evidente che, di qualunque cosa si fosse trattato, sarebbe stato possibile esaminarlo e possibilmente recuperarlo. Quella fu la nostra occasione d’oro. Prima di mezzanotte di quella stessa notte, due ufficiali molto qualificati, i Lt. Commanders Ouvry e Lewis dell’HMS Veron (la componente navale responsabile per lo sviluppo di armamenti subacquei, ndr) furono convocati in Ammiragliato, dove il Primo Sea Lord e io ascoltammo il loro piano (…). La pericolosa operazione di recupero iniziò il primo pomeriggio del giorno seguente, quando si accorsero che vi era una seconda mina nelle vicinanze della prima. Ouvry con il Sottufficiale Baldwin presero la prima, mentre Lewis e il Nocchiere Vearncombe attendevano a una distanza di sicurezza nel malaugurato caso di una esplosione accidentale (…). Alla fine gli sforzi e l’abilità dei quattro uomini furono ampiamente ripagate (…)». W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, p.453-454. (8) «Al processo fu dato il nome di “degaussing”, mentre fu messa in piedi un’organizzazione per supervisionare il fissaggio di questa apparecchiatura su tutte le navi alle dipendenze dell’ammiraglio di squadra Lane-Poole», W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, Appendix «M», p.640. (9) Impero britannico: Capital Ship (corazzate o incrociatori da battaglia) 533.400 t; portaerei 137.200 t. Stati Uniti: Capital Ship 533.400 t; portaerei 137.200 t. Giappone: Capital Ship 320.100 t; portaerei 81.000 t; Francia: Capital Ship 177.800 t; portaerei 60.000 t. Italia: Capital Ship 177.800 t; portaerei 60.000 t. (10) Le nazioni firmatarie (Regno Unito, Giappone, Francia, Italia e Stati Uniti d’America) si accordarono per non costruire nuove capital ship (corazzate o incrociatori da battaglia, dal dislocamento superiore alle 10.160 t) o con cannoni di calibro superiore a 8 pollici (203 mm) fino al 1937. Nessun vascello esistente avrebbe potuto essere convertito in portaerei. La costruzione di sottomarini venne limitata a vascelli di dislocamento inferiore a 2.032 t. Il tonnellaggio totale degli incrociatori (suddivisi in incrociatori pesanti con cannoni di calibro superiore a 6,1 pollici (155 mm) e incrociatori leggeri con cannoni di calibro inferiore), cacciatorpediniere, sommergibili da costruire dal 1937 venne limitato, così come il tonnellaggio individuale in ogni categoria (Wikipedia). (11) I firmatari furono Francia, Regno Unito con i suoi dominion e Stati Uniti d’America. Il Giappone, uno dei firmatari del Primo Trattato navale di Londra, si ritirò dalla conferenza il 15 gennaio. Anche l’Italia rifiutò di firmare il trattato, in gran parte a causa della controversia sulla sua invasione dell’Abissinia (Etiopia); L’Italia era sotto le sanzioni da parte della Società delle Nazioni. La conferenza aveva lo scopo di limitare la crescita negli armamenti navali fino alla sua scadenza nel 1942. L’assenza del Giappone impedì un accordo su un tetto sul numero di navi da guerra. Il trattato fece limitare la dimensione massima delle navi dei firmatari, e il calibro massimo dei cannoni che potevano portare. Prima di tutto, le navi capitali vennero limitate a 36.000 t di dislocamento e 14 pollici (356 mm) di cannoni. Tuttavia, una cosiddetta «clausola di escalation» venne inclusa sotto la spinta dei negoziatori americani in caso che uno qualsiasi dei paesi che aveva firmato il Trattato navale di Washington avesse rifiutato di aderire a questo nuovo limite. Questa disposizione permise ai paesi firmatari del Secondo Trattato di Londra (Francia, Regno Unito e Stati Uniti) di elevare il limite dei cannoni da 14 pollici a 16 pollici se il Giappone o l’Italia si fossero rifiutati ancora di firmare dopo il 1o aprile 1937. Anche i sottomarini non avrebbero potuto superare le 2.000 tonnellate o avere alcun armamento di cannoni maggiore a 5.1 pollici, gli incrociatori leggeri vennero limitati a 8.000 tonnellate e 6,1 pollici (155 mm) o cannoni più piccoli e le portaerei furono limitate a 23.000 tonnellate. L’articolo 25 però dava il diritto di abbandonare le limitazioni qualora qualsiasi altro paese venisse autorizzato, costruisse o acquistasse una nave capitale, una portaerei, o un sommergibile superando i limiti del trattato, se tale deroga fosse stata necessaria per la sicurezza nazionale. Per questo motivo, nel 1938 le parti concordarono un nuovo limite nel trattato del dislocamento di 45.000 tonnellate per le corazzate. Questo Trattato navale di Londra si concluse effettivamente il 1º settembre 1939, con l’inizio della Seconda guerra mondiale (Wikipedia). (12) https://www.ww2-weapons.com/fleets-1939. (13) W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, Appendix P. (14) Secondo Mahan, il potere di uno Stato dipende da tre fattori connessi con gli oceani: 1) produttività (che determina la necessità del commercio internazionale); 2) disponibilità di navi mercantili (per il trasporto delle merci) e di navi da guerra (per la protezione dei traffici marittimi); 3) possesso di colonie e alleanze con altri paesi distribuiti su tutto il globo (per soddisfare le esigenze logistiche e da cui proiettare ulteriormente il Potere Marittimo). (15) W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, p.542 (16) Glossario NATO «AAP-6». (17) Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, il Secret Intelligence Service (SIS) britannico fu ubicato nella cittadina di Bletchley, a circa 80 chilometri a nord di Londra, e precisamente in un’isolata residenza di campagna chiamata Bletchley Park. In particolare, la precisa attività crittografica della Government Code and Cipher School (GC&CS) costituì il cosiddetto «Ultra intelligence» britannico. La filmografia storica ha dedicato numerosissime pellicole a Ultra. Tra queste, The imitation game, il film del 2014 diretto da Morten Tyldum, che racconta molto fedelmente la vita e l’impresa dell’eclettico matematico e crittoanalista Alan Turing (interpretrato da Benedict Cumberbatch), che con la sua macchina computazionale Bombe (che nel film viene denominata «Christopher» in ricordo del compagno di college e unico amico di Allan) riuscì a decrittare il codice generato dalla macchina Enigma a quattro rotori, la più potente macchina cifrante mai costruita, e per tale ragione utilizzata soprattutto nella guerra sottomarina degli U-Boot ai convogli. (18) W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, p.646, Appendix «P». In particolare, i mercantili inglesi perduti erano così ripartiti: 365.449 t, corrispondenti a 68 navi, affondate dagli U-Boot; 225.093 t, corrispondenti a 63 navi, affondati a causa delle mine, 60.340 t, corrispondenti a 11 navi, affondati per azioni di unità navali di superficie; 29.222 t, corrispondenti a 11 navi, da aerei; 63.698 t, corrispondenti a 19 navi, per cause non accertate. (19) Dal 13 marzo 1936 fino al 29 gennaio 1939 fu ministro per il Coordinamento della Difesa, nuovo ministero istituito dal primo ministro Stanley Baldwin; Inskip mantenne il suo ruolo anche nel successivo governo Chamberlain. In quel periodo, a proposito della preparazione bellica del settore aereo, aveva sostenuto, contro il parere dominante, che doveva essere intensificata la produzione di nuovi caccia, modificando il rapporto bombardieri-caccia a favore dei secondi. Inskip affermava: «È meglio distruggere i bombardieri tedeschi nel cielo inglese, anziché bombardarli nei loro aeroporti o nelle loro fabbriche». Nel 1938 il rapporto bombardieri-caccia da due a uno fu modificato in cinque a tre. Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, ma soprattutto durante la Battaglia d’Inghilterra, risultò esplicita la teoria di Inskip. (20) «The phrase about magnetic mines is interesting in view of what was soon to come upon us». W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, p.369. (21) W. Churchill, The Second World War, Vol. I, The gathering storm, p.413-414. (21) Da una accezione generalmente condivisa, il termine «marittimo» attiene all’inclusivo perimetro della marittimità di Mahaniana memoria, cioè ispirato ai principi del «mercantilismo» e quindi comprensivo delle flotte mercantili e militari, delle reti commerciali, della cantieristica, della portualità e delle basi avanzate, ovvero l’insieme che compone il dominio marittimo, quale intreccio di tutte le interazioni dell’uomo con l’ambiente-mare, che rende una nazione appunto «marittima». Il termine «navale» è, invece, associato a tutto ciò che riguarda l’ambito della componente militare marittima. Tuttavia, occorre parimenti specificare che, oggigiorno, questa classica distinzione dottrinale sembra assottigliarsi sempre di più, evidenziando una tendenza verso la convergenza, a similitudine dei concetti di «difesa» e «sicurezza». Ciò si spiega con l’aumento della rilevanza acquisita dalle flotte militari in chiave di una crescente multidimensionalità e multidisciplinarietà, oltre che con l’analisi dei fattori caratterizzanti il contesto geopolitico, geostrategico e geoeconomico di riferimento del XXI secolo.

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RUBRICHE

F OCUS

DIPLOMATICO

La nuova crisi israelo-palestinese L’Europa, in senso lato, ha una responsabilità storica per i destini di Israele. Ne abbiamo ammirato la capacità di organizzarsi e di competere nel mondo, e soprattutto la democrazia, «l’unica democrazia del Medio Oriente» abbiamo detto. Ben si comprende quindi la solidarietà espressa dagli europei nel rinnovato conflitto recente con il mondo palestinese. Ma, abbiamo una parallela responsabilità storica anche nei confronti dei palestinesi, la stessa che ci ha indotti a dedicare, caso unico nella storia delle Nazioni unite, un’Agenzia Speciale — UNRWA — alla protezione dei rifugiati del tragico esodo del 1948, la «Nabka». Ripetutamente negli anni, abbiamo sancito la necessità di una soluzione «giusta e duratura» del conflitto, con puntuali Risoluzioni alla fine di ogni guerra arabo-israeliana, 194/1948, 242/1967, 338/1974 e oltre, fino al riconoscimento dell’UNGA di uno «Stato Palestinese Osservatore non-Membro» nel 2012 che, pur priva di effetti concreti, ha segnalato una diffusa sensibilità politica per la causa palestinese. Anche l’Italia ha votato sì a New York. Dagli Accordi di Oslo Gli Accordi di Oslo del 1993-95 parevano aver posto le premesse, quantomeno sul piano dei principi, per restituire agli uni la sicurezza e agli altri il diritto di esistere come popolo. Ma, altri decenni sono trascorsi senza che il Quartetto, un formato teoricamente ideale — ONU, Stati Uniti, UE, Russia — al lavoro dal 2002, sia riuscito a comporre uno scenario accettabile da tutte le parti. Nel frattempo, il contesto è profondamente cambiato. Assassinato Rabin, sparito di scena Arafat, l’ANP di Abu Mazen avviava con Israele una collaborazione di sicurezza senza incassare nulla se non la propria sopravvivenza, avvitandosi in una autocrazia sempre più distante dalla gente, mentre ondate di insediamenti di coloni si istallavano nei Territori occupati, l’Intifada si replicava determinando un circuito di repressione, Hamas, all’inizio imprudentemente alimentata dalla stessa Tel Aviv per indebolire Ramallah, emergeva guadagnando con-

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L’Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) sostiene il soccorso e lo sviluppo umano dei rifugiati palestinesi. Il mandato dell’UNRWA comprende i palestinesi sfollati dalla guerra di Palestina del 1948 e dai conflitti successivi, così come i loro discendenti patrilineari, compresi i bambini legalmente adottati. A partire dal 2019, oltre 5,6 milioni di palestinesi sono registrati presso l’UNRWA come rifugiati. In alto: Nakba 1948, Palestina - Campo profughi di Jaramana, Damasco (Siria) - (en.wikipedia.org).

sensi anche per via elettorale e rafforzando la sua presa sulla scena palestinese, e Israele si proclamava «Stato-Nazione degli ebrei». Nei dintorni, il mondo arabo distoglieva lo sguardo dal Piano di Pace saudita del 2002, allentando l’appoggio alla causa palestinese, sempre più scomoda a misura dell’incalzare inquietante delle c.d. Primavere Arabe, e infine rifugiandosi negli Accordi di Abramo. Un cambio di passo che ne spostava l’obiettivo primario sul contrasto all’Iran. Le novità di questa crisi La recente, rinnovata crisi era nelle carte. Alimentata da un ennesimo episodio di sfratti in un sobborgo di Gerusalemme, intervento della Polizia nella Spianata delle Moschee in coincidenza con la fine del Ramadan, celebrazione per la strepitosa vittoria della guerra del Kippur, la ribellione ha tuttavia assunto questa volta una latitudine inedita: in un clima rovente, un filo rosso ha collegato le migliaia di missili lanciati da Gaza e dal sud del Libano contro città israeliane agli scontri a Gerusalemme, e a quelli tra arabi e ebrei entro la stessa Israele profonda. E ha confermato la presenza in campo

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Focus diplomatico

Proteste palestinesi nella città di Lod a seguito dei disordini in Cisgiordania e Gaza (wikipedia.it/polizia israeliana).

di nuovi protagonisti regionali, in primis l’Iran, al fianco del più tradizionale Egitto, del Qatar (il solo paese arabo che ha continuato a finanziare Hamas, assicurando la sopravvivenza di Gaza), e della Giordania, a titolo di garante dei luoghi santi islamici. Venuto a mancare l’appoggio dei grandi paesi arabi, venuta meno la solida sponda della Siria (un tempo rifugio del «dissenso laico» dagli Accordi di Oslo), nonché la credibilità di Abu Mazen da ultimo con il rinvio delle elezioni, Hamas e la concorrente Jihad Islamica hanno consolidato il sodalizio con l’Iran. Che non ha mai riconosciuto Israele e ha colto un’ottima occasione per estendere la sua influenza sulla regione. Anche la Turchia, affacciatasi con dichiarazioni fortemente critiche nei confronti dell’amministrazione Biden, potrebbe decidere di applicare al mondo palestinese la sua nota visione imperiale e competere con Teheran puntando su assonanze sunnite. I seguiti della tregua Questa crisi faticherà a rientrare, nonostante la tregua sancita da ultimo grazie all’intervento di Biden fiancheggiato dall’Egitto di Al-Sisi. La «rabbia delle strade arabe» — per dirla con le parole di Assad che molto ne temeva la deriva islamica — non si placherà facilmente. E nemmeno la determinazione di Israele a perseguire a fondo la propria «difesa», sgominando una volta per tutte i vertici e gli apparati militari di Hamas, e neutralizzandone le potenzialità, a giudicare dall’in-

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sistente bombardamento su Gaza mirato a demolire il morale della popolazione e dall’assedio che l’ha ridotta alla fame: e pazienza se è stato necessario abbattere anche la torre dei media, testimone internazionale delle operazioni. Soprattutto considerando che il retrostante obiettivo di Israele è frenare l’avanzata dell’Iran, segnalando ancora una volta all’Occidente che l’ipotesi di riabilitare il paese riesumando il negoziato JCPOA non è percorribile. I due problemi, Hamas e Iran, nell’ottica di Israele sono strettamente collegati. Vistosa, ancorché comprensibile nel contesto, la «tolleranza» americana, che per giorni ha rinviato una risoluzione del Consiglio di Sicurezza per il cessateil-fuoco lasciando a Israele il tempo per massimizzare l’impatto della propria azione, nonché il fiancheggiamento de facto degli europei, fatta eccezione per l’attivismo della Francia, preoccupata di contenere i rischi sul fronte arabo interno. Anche qualora la tregua regga, resterebbe pur sempre il problema di fondo: quale possa essere la soluzione del conflitto. Da tempo, accanto all’opzione dei due Stati prevista dagli Accordi di Oslo, si fa strada l’ipotesi alternativa di una Federazione di Stati ovvero quella di un solo Stato che garantisca uguali diritti a tutti i cittadini senza discriminazioni di sorta. Quest’ultima ipotesi, si sostiene, implicherebbe tuttavia per Israele un’improbabile rinuncia al principio etnico-religioso di cui alla Legge del 2018. Mutatis mutandis, il dilemma investì a suo tempo le discussioni sulla ex-Jugoslavia, in particolare sulla Bosnia: meglio una Repubblica unitaria che assicuri i parametri di una civile convivenza o meglio la separazione etnico-religiosa? Si approdò alla fine a una soluzione ibrida, che ancor oggi mostra tutte le sue vulnerabilità. Due gli assi su cui Biden (alle prese con il folto gruppo dei Bernie Sanders nella compagine DEM) sta ora lavorando, il ripristino della logica dei «due Stati» e il rafforzamento dell’interlocuzione con l’ANP di Abu Mazen in funzione anti-Hamas. Come procedere? Esiste forse un metodo diverso di procedere. Se una soluzione definitiva della questione palestinese richiederà tempo, unitarietà di intenti tra i grandi protagonisti

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Il presidente di Israele Reuven Rivlin in una riunione di emergenza con gli ambasciatori dell’Unione europea (wikipedia.it/Mark Neyman/Government Press Office, Israel).

internazionali (il Quartetto?), incentivi e disincentivi nei confronti di entrambe le parti, nonché verosimilmente la necessità di affrontare parallelamente la questione centrale nel Medio Oriente di oggi, l’Iran, nel frattempo parrebbe urgente adottare un’ottica pragmatica, che punti sui Diritti della gente e sul miglioramento concreto delle sue condizioni di vita prima ancora che sugli assetti istituzionali o sul principio di autodeterminazione. In altri termini, Diritto alla sicurezza per Israele, fondamentale anche per ovviare all’involuzione che sta subendo «l’unica democrazia del Medio Oriente», e Diritti civili, sociali, economici per tutti i palestinesi, ovunque risiedano, a Gaza, in Cisgiordania, in Israele. Centralità dei Diritti. Con le conseguenze del caso in termini di aggiustamento dell’ottica e dei comportamenti delle autorità israeliane: lo «Stato degli Ebrei» non evoca necessariamente discriminazioni a carico dei palestinesi, restrizioni di movimento, o di culto, confisca delle terre, sgombero violento delle case, azione violenta di Esercito e Polizia,

e tantomeno invasione di coloni e asfissiante occupazione dei Territori. E al contempo in termini di sostanziali modiche di comportamento delle élites palestinesi al potere, a Gaza come in Cisgiordania, che prevedano lo smantellamento dei potentati e relative corruttele, e riforme democratiche nella prospettiva di libere elezioni. I progressi sarebbero necessariamente graduali, e probabilmente non sarebbero nemmeno troppo popolari presso le autocrazie del mondo arabo, ma sarebbero coerenti con i nostri valori, ed efficaci sul piano del contenimento dell’animosità reciproca e a termine di una pacificazione. Non mancherebbero all’Occidente, Stati Uniti ed Europa, strumenti idonei per incoraggiare le parti su questo iniziale percorso, a partire da una «condizionalità» dei rispettivi aiuti, senza concedere assegni in bianco all’una o all’altra. Laura Mirachian, Circolo di Studi Diplomatici

L’ambasciatrice Laura Mirachian è entrata in carriera diplomatica nel 1974. Tra i principali incarichi: in servizio all’ambasciata a Mogadiscio durante la guerra dell’Ogaden; nel 1987 alla Rappresentanza permanente presso Nazioni unite e OO.II. a Ginevra per seguire i negoziati multilaterali dell’Uruguay Round che avviano la globalizzazione dei commerci; nel 1991 all’ambasciata a Belgrado come incaricata d’affari durante le guerre balcaniche; nel 1995 a Roma come capo dell’Unità Balcani e Mediterraneo orientale. Nel periodo 2000-04 ambasciatore a Damasco. Al rientro a Roma, Direttore generale per i paesi europei. Dal 2009 al 2013 Rappresentante permanente presso le Nazioni unite e OO.II. Nel 2008 nominata ambasciatore. Il Circolo di Studi Diplomatici è un’associazione fondata nel 1968 su iniziativa di un ristretto gruppo di ambasciatori con l’obiettivo di non disperdere le esperienze e le competenze dopo la cessazione dal servizio attivo. Il Circolo si è poi nel tempo rinnovato e ampliato attraverso la cooptazione di funzionari diplomatici giunti all’apice della carriera nello svolgimento di incarichi di alta responsabilità, a Roma e all’estero.

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O SSERVATORIO Turchia-Grecia: una nuova ripartenza o false speranze? Nel luglio-agosto 2020, le navi da guerra turche e greche si sono affrontate in uno stato di massima allerta nel mar Mediterraneo orientale, nel quadro di una lunghissima disputa dei due paesi sulla sovranità marittima dell’area. Dopo settimane di tensione, con la presenza di diverse Marine (NATO e non) e con il rischio che un incidente potesse sfociare in un conflitto che nessuno voleva, entrambi si sono tirati indietro, ma solo sotto la pressione dei leader dell’UE e dell’Alleanza atlantica. Il pericolo rimarrà finché Ankara e Atene rimarranno bloccate in un ciclo di rischio che le ha quasi portate al confronto almeno quattro volte dagli anni Settanta. Tale rischio è aumentato negli ultimi anni poiché la Turchia è diventata più audace nel presentare le sue rivendicazioni di sovranità sulle acque del Mediterraneo orientale e la Grecia è diventata sempre più assertiva nel creare legami con i partner regionali per intrappolare la Turchia. In anni di trattative stagnanti — Turchia e Grecia non riescono nemmeno a mettersi d’accordo su cosa discutere — la disputa marittima tra i due vicini è cresciuta così come la gamma di questioni che le dividono. Le questioni marittime comprendono controversie sulla delimitazione dei diritti di pesca, sullo sfruttamento delle risorse dei fondali marini e altro ancora. Al di là di questi problemi, i disaccordi si estendono dalle lotte per la sovranità che risalgono ai periodi di fondazione di entrambi gli Stati alle recenti aspre lotte sulla gestione delle migrazioni. Su tutto incombe il conflitto irrisolto su Cipro. Le comunità greco-cipriota e turco-cipriota dell’isola sono state divise dal 1964, quando l’ONU ha istituito una missione di mantenimento della pace, l’UNFICYP. Nel 1974, i greco-ciprioti, sostenuti dalla giunta militare allora al potere ad Atene, effettuarono un colpo di Stato con l’obiettivo di unire l’isola alla Grecia e la Turchia invase la parte settentrionale in risposta, con un’azione da manuale. Un decennio dopo, i turco-ciprioti proclamarono la loro repubblica — riconosciuta solo dalla Turchia — nel nord dell’isola. Poiché le aree di disaccordo si sono accumulate e am-

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INTERNAZIONALE pliate di portata, anche il rapporto tra Atene e Ankara è diventato più instabile. Gli Stati Uniti, un tempo operatori di stabilità e attivamente impegnati nella regione, non sono (e non si sentono) più così investiti di questo ruolo. Né è chiaro se Washington rivendicherà questo compito in mezzo a una serie di altre questioni urgenti nelle sue relazioni con Ankara rese complesse e difficili dall’emergere di situazioni interne e esterne (la presa del presidente Erdogan sul proprio paese e le sue scorribande diplomatico-militari in Siria, Iraq, Golfo, Somalia, Libia e ora anche Afghanistan). I leader dell’UE stanno cercando di rilevare gli Stati Uniti, ma con una leva più limitata di quanto non avessero una volta poiché le prospettive di adesione della Turchia all’UE sono diminuite. L’adesione di Ankara alla NATO riduce, ma non esclude, le possibilità di guerra, ma le relazioni della Turchia all’interno dell’Alleanza sono ai minimi storici a causa dell’acquisto, nel 2017, di missili russi S-400, mentre la Grecia ha palesemente dei dubbi per una mediazione equa da parte della NATO. Ultimamente, e in particolare in seguito agli eventi del 2019, Ankara è stata isolata poiché la Francia e altre nazioni, inclusi gli Emirati Arabi Uniti, si sono schierate con la Grecia. I suoi recenti sforzi per ricucire i legami con i rivali regionali, Egitto e Israele, devono ancora dare i loro frutti. Nel frattempo, la sua esclusione dai consorzi di sviluppo degli idrocarburi gli dà ogni incentivo a ostacolare i progetti correlati, mentre le vittorie diplomatiche di Atene gli offrono meno motivi per cercare un compromesso. Tutti gli interessati dovrebbero concentrarsi sul mantenimento delle discussioni e in questo contesto, la recente ripresa dei colloqui esplorativi tra Grecia e Turchia, su come affrontare le rivendicazioni concorrenti dei paesi sulle questioni che dividono, offre un’opportunità, anche se oltre 60 incontri tra il 2002 e il 2016 (quando si sono interrotti l’ultima volta), hanno portato assai poco; per cui è necessario proseguire su questa linea, nonostante le difficoltà per l’importanza della regione e di chi vi è coinvolto (anche indirettamente). Per abbassare ulteriormente la temperatura e migliorare le prospettive di dialogo, Ankara e Atene

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dovrebbero astenersi dalla sottolineatura di «linee rosse», dichiarazioni retoriche e azioni provocatorie. In un’atmosfera di fiducia storicamente bassa, dovrebbero attuare misure di buon senso che hanno concordato molto tempo fa. Dovrebbero anche fare tutto il possibile per portare avanti i colloqui mediati dalle Nazioni unite per una risoluzione politica su Cipro, senza la quale le relazioni tra i vicini rischiano di rimaforza di peacekeeping UNFICYP, dall’inglese United Nations Peacekeeping Force in Cyprus, è nere tese (tuttavia questa sembra es- La una forza di sicurezza delle Nazioni Unite, inviata a Cipro nel 1964 (unficyp.unmissions.org). sere divenuta un’opzione chiusa per a utilizzare i propri fondi per il mantenimento della le recenti dichiarazioni dei turco-ciprioti che non pace e per sostenere alcune di queste missioni. sembrano più interessati a un progetto di riunificaL’Africa è stata al centro di tali attività, a partire zione, anche attenuata dalla forma confederale). Il dal 2006 con la fornitura da parte delle Nazioni senso di esclusione e accerchiamento ha, di fatto, inunite dei cosiddetti pacchetti di supporto, inizialcoraggiato Ankara a raggiungere livelli più alti di mente leggeri e successivamente più importanti, confronto e di mobilitare la sua popolazione sui baall’AMIS, la missione dell’Unione africana in stioni del nazionalismo esasperato. Washington e Sudan (a cui anche la NATO aveva fornito imporBruxelles dovrebbero cercare modi per superare l’optanti sostegni). Poi, nel 2009, il passo decisivo. posizione di altri attori regionali all’inclusione della L’ONU, istituisce un Ufficio di supporto delle NaTurchia in gruppi come l’East Mediterranean Gas zioni unite per l’AMISOM (la missione delForum e quindi ridurre la lista delle proteste turche. l’Unione africana in Somalia), il primo Inoltre, più poteri esterni a Washington e Bruxelles meccanismo dedicato e finanziato per il mantenivengono coinvolti, maggiore è il pericolo di un’escamento della pace. Nel 2015, è stato riconfigurato lation, con meno capacità di mediazione rispetto a qualsiasi momento nel recente passato. nell’Ufficio di supporto delle Nazioni unite per la Somalia (UNSOS), che continua a operare ancora ONU e G5 Sahel oggi e che dipende dal Dipartimento del sostegno logistico. Alcuni esperti ritengono di riproporre Per diversi anni, gli Stati aderenti all’ONU questo modello, che funziona piuttosto bene, in sohanno discusso su come sostenere al meglio alcune stegno alla G5S. I leader del G5 Sahel hanno chiedelle operazioni militari in corso nel Sahel, una resto un tale meccanismo; lo ha suggerito anche il gione che soffre di crescenti livelli di violenza, Segretario generale dell’ONU e oggettivamente la nonché di crisi politiche, umanitarie e ambientali. missione G5S, nonostante molti, ma scoordinati Dal dicembre 2017, le Nazioni unite si sono offerte aiuti, non riesce a essere efficace. Tuttavia vi sono di sostenere la forza congiunta del G5 Sahel attraalcune perplessità e temi di dibattito. Formalmente verso una complicata serie di accordi. Oggi ci sono la G5S non è una forza di pace (in realtà neanche crescenti richieste alle Nazioni unite di istituire un l’AMISOM lo è, essendo una forza di combattiorganismo specifico dedicato a sostenere la forza mento). Le operazioni di pace sono generalmente multinazionale. Il tema non è nuovo, già alla metà definite come il coinvolgimento di personale stradegli anni Duemila le Nazioni unite hanno iniziato

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niero, civile e in uniforme, che opera a sostegno di un processo di pace (e in apparente contraddizione con quanto detto, l’AMISOM, che è anche questo, dispone di personale civile per gli affari politici, civili, umanitari e forze di polizia per addestrare quelle locali). Il G5 Sahel Joint Force non soddisfa questa definizione. Infatti, è un insieme di forze militari (con aliquote di forze di polizia pesantemente armate) che operano sui territori nazionali (Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Chad) e che hanno ridotte opzioni per attività di hot pursuit

mente lo Stato ospitante. Legalmente, quindi, la forza non necessita dell’autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU perché è un esempio di autodifesa collettiva, autorizzata dagli Stati sul cui territorio opera il personale della forza, e l’esistenza di un comando integrato, a Bamako, non è sufficiente a trasformare una forza sui generis in una forza multinazionale compiuta. Piuttosto che un’autorizzazione legale, i leader del G5 Sahel vorrebbero un mandato del capitolo VII dal Consiglio di sicurezza dell’ONU, in gran parte per accedere ai fondi di mantenimento della pace delle Nazioni unite, come è avvenuto in Somalia seguendo il modello AMISOM. Quando lo Stato ospitante e il paese contribuente sono la stessa cosa, ciò porrebbe alle Nazioni unite sfide significative per identificare le operazioni nazionali (al contrario delle forze congiunte) e per garantire la

La missione dell’Unione africana in Somalia (African Union Mission in Somalia, AMISOM) è stata autorizzata il 19 gennaio 2007 per assicurare la sicurezza e la pace dopo la guerra in Somalia in atto dal 2006. La missione è stata approvata dalle Nazioni unite il 20 febbraio 2007 per assicurare la protezione dei membri del congresso per la riconciliazione nazionale somala e la messa in sicurezza delle infrastrutture chiave (amisom-au.org).

(«inseguimento a caldo», ovverosia nel pieno di una azione) transfrontaliere. All’inizio di quest’anno, il Chad ha schierato un suo contingente nella regione dove si incontrano i confini tra Burkina-Faso, Mali e Niger, ma sulla base di un accordo specifico e per un tempo determinato (poi i reparti ciadiani si sono ritirati dall’area a seguito delle esigenze nazionali dopo la morte in combattimento, in patria, del presidente Idriss Débi). Quindi, per la maggior parte, i paesi che contribuiscono alla G5S Joint Force sono contemporanea-

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responsabilità. Una cosa sarebbe se gli Stati del G5 Sahel fossero trasparenti e tempestivi nel riferire sulle loro operazioni, ma non lo sono stati (e l’uso dei materiali ed equipaggiamenti forniti da molti stati dell’UE alla forza ne sono un esempio). Inoltre, come ha osservato l’ultimo rapporto del Segretario generale delle Nazioni unite, la MINUSMA (e partner come la UETM-Mali, EUCAP Mali, EUCAP Sahel e diversi Stati) ha notato la man-

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canza di informazioni da parte della G5S sulla condotta delle operazioni. Un altro problema è che la forza G5S già beneficia di molteplici meccanismi di supporto. Esistono accordi bilaterali di assistenza alle forze di sicurezza da oltre una dozzina di paesi, così come l’Unione europea. Inoltre, l’UA sta ancora elaborando le modalità di dispiegamento di 3.000 rinforzi per la Joint Force. Dal febbraio 2018, un fondo fiduciario ha anche sostenuto la Forza ricevendo circa 145 milioni di dollari dall’Arabia Saudita, dal Ruanda, dalla Turchia, dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale. Come accennato, riceve anche il supporto della MINUSMA, in particolare assistenza logistica, medica, tecnica e ingegneristica. Nonostante alcuni recenti miglioramenti, i problemi di conformità e responsabilità rimangono problemi persistenti, con il personale della forza congiunta del G5 Sahel regolarmente accusato di violazione del diritto umanitario internazionale. I recenti miglioramenti includono l’istituzione, nel gennaio 2021, di una cellula di monitoraggio e analisi delle vittime e degli incidenti; invio di messaggi radio prima delle operazioni a tutte le unità di intervento sui loro obblighi legali e il monitoraggio della cattura, del trattenimento e del trasferimento dei detenuti. È vero che anche l’AMISOM costantemente soffre di problemi di responsabilità e conformità, ma le persistenti violazioni legali da parte dei contingenti della G5S rischiano di far naufragare questa ipotesi, assieme al recente colpo di Stato in Mali. Infine, l’utilizzo di un apposito meccanismo delle Nazioni unite, finanziato dai contributi valutati per il mantenimento della pace dell’organizzazione per sostenere principalmente le operazioni antiterrorismo nazionali, creerebbe un precedente pericoloso in quanto minerebbe le pretese di imparzialità delle Nazioni unite e offuscherebbe ulteriormente il confine tra le operazioni di pace e le attività antiterrorismo interne. Probabilmente incoraggerebbe anche altri Stati e organizzazioni in tutto il mondo a richiedere un simile sostegno da parte dell’ONU per le proprie operazioni antiterrorismo interne.

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Vecchi fantasmi nei Balcani Sembra che i Balcani, inclusi quelli occidentali, non riescano a liberarsi di vecchi schemi. Agli inizi di giugno il Consiglio d’Europa ha avvertito che le divisioni tra le comunità etniche si stanno approfondendo in Montenegro, sottolineando che occorre migliorare il monitoraggio dell’incitamento all’odio. Nel suo rapporto sull’attuazione della Convenzione per la protezione delle minoranze nazionali in Montenegro, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha osservato che le autorità hanno affermato che le distanze sociali tra quasi tutti i gruppi etnici sono aumentate. Ciò ha contribuito alla visione del Comitato secondo cui le divisioni potrebbero approfondirsi e diventare più marcate. Sono stati notati anche episodi di discordia religiosa tra diverse comunità della chiesa ortodossa, afferma il rapporto. Nonostante che l’incitamento all’odio sia criminalizzato, ma c’è poco monitoraggio dei social media da parte delle autorità, perché nessuna agenzia ha il mandato per farlo. Il Consiglio ha invitato le autorità a prestare particolare attenzione alla prevenzione dell’incitamento all’odio nelle consultazioni sulla nuova legge sui media e ad assicurare che la legge affronti tale problema. L’organismo di Strasburgo ha affermato che la nuova legge sui media deve definire chiaramente le responsabilità per l’incitamento all’odio pubblicato e autorizzare un’agenzia statale a monitorare e sanzionarne i casi. Il rapporto sui progressi del 2020 della Commissione europea sul paese ha avvertito che questi problemi e gli abusi verbali nei media e nei social network sono peggiorati. Ha quindi esortato le autorità montenegrine ad aumentare la capacità del sistema giudiziario di affrontare l’incitamento all’odio e ad assicurare che tali casi siano indagati, perseguiti e adeguatamente sanzionati. Il Consiglio d’Europa ha invitato le autorità anche a chiarire l’uso di altri simboli statali in Montenegro, in quanto la mancanza di chiarezza sull’esposizione di simboli di altri Stati rischia di essere fonte di abusi e di esacerbare ulteriormente le divisioni presenti nella società montenegrina. Appartenenti alle minoranze albanesi e serbe sembrano essere quelli oggetto di maggior numero di azioni delle forze di sicurezza. Il Montene-

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gro è uno Stato multietnico ed è insolito non avere una comunità che costituisca più della metà della sua popolazione di cui circa il 45% (di circa 630.000 persone) si identifica come montenegrino, circa il 29% come serbo, circa l’11% come bosniaco o musulmano e il 5% come albanese. Ma il rapporto del Consiglio d’Europa sottolinea la fragilità permanente della regione, sia per i vecchi sia per i nuovi Stati. Le vicende del Montenegro sono esemplari nel rappresentare le ingiustizie della storia, infatti, già durante la Prima guerra mondiale il piccolo regno era scomparso dalle agende delle potenze e suo malgrado assimilato alla Iugoslavia serbo-dominata, e la sua autonomia, durante l’epoca titoista, già limitata, è terminata di nuovo dal 1991 sino al raggiungimento della piena indipendenza, nel 2006. Il Montenegro è stato trascinato nel vortice della guerra civile e associato alla Serbia di Milosevic e dei suoi cupi sodali. L’indipendenza, come spesso avviene, sviluppa dinamiche identitarie fortissime (soprattutto quando sono state deliberatamente ignorate e represse) e si ripropongono situazioni già viste e che nessuno vuole rivedere. Ma le polarizzazioni attuali non hanno aiutato l’avvio di un dialogo e le scelte recenti del Montenegro, come l’adesione alla NATO e il processo di accessione all’UE, hanno (ri)acceso rivalità assieme a preoccupazioni serbe (e russe) proponendo ulteriormente constasti; le popolazioni civili rischiano ancora di essere ostaggio di sogni sia di pulizie da stranieri indesiderati sia di improbabili rivincite, andando a toccare anche la dimensione religiosa, testimoniato dalla durissima separazione tra le chiese ortodossa, serba e montenegrina e ravvivando anche vecchie e dimenticate rivendicazioni albanesi e kosovare su zone confinarie (rispettivamente Bar, Ulcigno e Berane).

Base aerea misteriosa su un’isola del Mar Rosso Una misteriosa base aerea è in costruzione su un’isola vulcanica al largo dello Yemen che si trova in uno dei nodi marittimi cruciali del mondo sia per le spedizioni di energia sia per il carico commerciale. Sebbene nessun paese abbia rivendicato la giurisdi-

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zione sull’isola di Mayun nello stretto di Bab-elMandeb, i funzionari del governo yemenita, riconosciuto a livello internazionale, ora affermano che gli Emirati sono dietro questo sforzo, anche se gli EAU hanno annunciato, nel 2019, il ritiro delle proprie truppe da una campagna militare, guidata dai sauditi, che combatte i ribelli Houthi dello Yemen e che poco prima un duro confronto politico aveva opposto Riyadh e Dubai in merito alla presenza di forze degli emirati sull’isola yemenita di Socotra. La pista sull’isola di Mayun consente a chiunque la controlli di proiettare potenza nello stretto e lanciare facilmente attacchi aerei nello Yemen continentale, sconvolto da una sanguinosa guerra in corso da anni. Potrebbe fornire inoltre una base per qualsiasi operazione nel Mar Rosso, nel Golfo di Aden e nella vicina Africa orientale, una regione oramai tra le più importanti del pianeta. Immagini satellitari mostravano lavori di costruzione di una pista di circa 2 chilometri, altre installazioni e hangar per dotare questa base della capacità di ospitare aerei da attacco, sorveglianza e trasporto. Un tentativo precedente, iniziato verso la fine del 2016, e successivamente abbandonato, aveva visto lavori per una pista ancora più lunga (oltre 3 chilometri). I funzionari yemeniti affermavano che la recente tensione tra gli Emirati Arabi Uniti e il presidente yemenita, Abed Rabbo Mansour Hadi, derivava in parte dalla richiesta degli Emirati, al suo governo, di firmare un contratto di locazione di 20 anni per Mayun. Il progetto di costruzione iniziale (e interrotto) è arrivato dopo che gli EAU e le forze alleate avevano ripreso l’isola, occupata dai militanti Houthi sostenuti dall’Iran, nel 2015. Secondo contatti da fonti stampa, i general contractors hanno rifiutato ogni notizia o commento sui lavori da essi condotti sull’isola. Altre fonti osservano che l’apparente decisione degli Emirati di riprendere la costruzione della base aerea arriva dopo che gli stessi hanno smantellato le loro installazioni militari in Eritrea, utilizzate come base di partenza per la campagna nello Yemen, rivelando un mero riorientamento geografico, ma confermando i propri interessi strategici sulla regione. Enrico Magnani

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M ARINE

MILITARI

COREA DEL SUD Entra in servizio l’LPH Marado (6112) Con una cerimonia tenutasi il 28 giugno presso la base navale di Jinhae, è entrata in servizio la seconda unità della classe «Dodko». Si tratta della LPH Marado, che si differenzia per diversi miglioramenti rispetto alla capoclasse Dodko (LPH 6111), frutto dell’attività operativa di quest’ultima e nuove esigenze operative venutesi a manifestarsi dall’entrata in servizio di quest’ultima nel 2007. Con un dislocamento a pieno carico di 19.000 t, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 200 e 31 metri e immersione di 6,6 m, le unità della classe «Dodko» presentano un equipaggio di 330 elementi e sono in grado di trasportare 720 fanti di Marina, 6 carri armati, 7 mezzi anfibi, 2 LCAC e da 7 a 12 elicotteri fra cui «MUH-1» e «MAH». I principali miglioramenti della Marado rispetto alla capoclasse riguardano interventi strutturali e il sistema di combattimento. Le capacità di trasporto sia della componente ad ala fissa sia dei mezzi terrestri è stata incrementata grazie, rispettivamente, al rinforzo del ponte di volo (zona degli spot per atterraggio e decollo) affinché possa essere imbarcato il convertiplano «MV-22» in servizio con il Corpo dei Marines americano, nonché potenziate le capacità di carico del portellone laterale che insieme a quello poppiero assicura il carico di mezzi e materiali nell’hangar/ponte di trasporto della nave. Il portellone laterale è stato rinforzato affinché il relativo sistema di estensione e retrazione, che consente il carico e lo scarico di mezzi da infrastrutture portuali e terrestri, possa sopportare carichi di 60 t come molti nuovi mezzi corazzati e logistici ad alta mobilità con carichi sempre più pesanti. Vengono inoltre potenziate le capacità della gru di carico sistemata sul ponte di volo davanti all’isola. Altri interventi strutturali significativi riguardano la centrale di controllo delle operazioni aeree che mentre in precedenza era posizionata sulla struttura laterale dell’isola, sulla nuova unità è posizionata nella zona più arretrata delle sovrastrutture, per facilitare la gestione delle operazioni aeree. L’altra importante area di potenziamento delle capacità della LPH Marado è rappresentata dal sistema di combattimento che dispone di nuovi sensori e sistemi d’arma. In particolare, il radar multifunzionale per la scoperta e l’ingaggio di bersagli aerei e missilistici Elta Systems «EL/M-

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Il 28 giugno è entrata in servizio, con la Marina della Corea del Sud, l’LPH MARADO (6112), seconda unità della classe «Dodko» (Marina della Corea del Sud).

2248 MF-STAR» con quattro antenne AESA (Active Electronically Scanned Antenna) a facce fisse suddivise fra l’albero prodiero e poppiero dell’isola, rimpiazza il sistema Thales «SMART-L» ad antenna rotante singola. Il nuovo radar consente di gestire il nuovo armamento missilistico imbarcato così come le nuove minacce aeree e missilistiche che l’unità si troverà ad affrontare in futuro, con possibilità di gestire più missili in contemporanea. Anche il sistema radar aeronavale «MW-08» viene rimpiazzato dal più moderno ed efficace sistema LIG Nex1 3D «SPS-550K», mentre il sistema IRST (Infra-Red Search and Tracking) «Vampir-MB» viene sostituito con il sistema sempre di produzione locale «SAQ-600K». Come anticipato, viene introdotto il nuovo sistema missilistico con sistema di lancio verticale K-SAAM (Korean Surface to Air Anti Missile) o «Sea Bow» che rimpiazza il sistema RAM (Rolling Airframe Missile). Il gruppo di celle a lancio verticale del K-SAAM è posizionato sulle sovrastrutture poppiere dell’isola vicino alla nuova direzione delle operazioni aeree e rimpiazza il sistema RAM installato sopra la plancia della capoclasse, mentre i due sistemi per la difesa ravvicinata «Goalkeeper», posizionati rispettivamente a prua estrema sul ponte di volo e sulla zona poppiera delle sovrastrutture dell’isola, sono rimpiazzati dal sistema «Phalanx». A differenza dell’unità capoclasse, il complesso poppiero è stato sistemato su di un «mensolone» a sinistra in modo da lasciare libero il ponte di volo nella zona poppiera. Anche il sistema di protezione della nave è stato migliorato con l’imbarco di sistemi di lancio decoy di nuova generazione «K-Dagaie NG» con decoy «SEALEM» e «SEALIR».

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Marine militari

EGITTO Nuova base navale sul mar Mediterraneo Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha inaugurato il 3 luglio la nuova base navale di Gargoub (il nuovo porto di Marsa Matruh), sulla costa nord-occidentale del paese. All’inaugurazione della nuova base, intitolata «3 Luglio», in ricordo della data in cui, nel 2013, sommosse popolari e la rivolta dei militari guidati dal generale alSisi rovesciarono il governo dei Fratelli Musulmani guidato da Mohamed Morsi, erano presenti autorità politiche e militari e ospiti stranieri, fra cui il principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Mohammed Bin Zayed Al-Nahyan. In rada, la Marina egiziana ha schierato ben 47 unità navali impegnate nella grande esercitazione annuale «Qader» che ha preso il via dopo l’inaugurazione della base navale. Presenti tutte le maggiori unità della flotta: le due portaelicotteri d’assalto anfibio classe «Mistral» con a bordo elicotteri d’attacco «Ka-52 Alligator» insieme agli elicotteri Leonardo «AW-149», una corvetta tipo «Gowind», le due fregate ex italiane tipo FREMM fornite da Fincantieri, la FREMM fornita dal gruppo francese Naval Group, un sottomarino «Type 209/1400», un pattugliatore d’altura «Lürssen» da 60 metri, recentemente consegnato e nove motovedette «Lürssen» tipo «OPB40». Distante circa 135 km dal confine con la Libia, la nuova base copre un’area di 10 milioni di metri quadrati, ha un molo lungo mille metri con una profondità di 14 metri per unità militari e moli per unità civili, una piattaforma di atterraggio per elicotteri, un centro di comando congiunto e diverse strutture addestrative nonché manutentive. L’inaugurazione della base «3 Luglio» avviene a distanza di oltre un anno dalla messa in operazioni da parte egiziana della base militare interforze di Berenice, sul Mar Rosso vicino al confine sudanese, definita nel gennaio 2020, al momento della sua inaugurazione, come la più grande base del Mar Rosso e una delle più grandi della regione. La presidenza egiziana ha affermato che la base «3 Luglio» aiuterà a proteggere gli investimenti economici e le risorse naturali nelle regioni occidentali del paese e del mar Mediterraneo, oltre a garantire la sicurezza del traffico attraverso il Canale di Suez. A partire dal 2017, quando vennero inaugurate la grande base aerea e terrestre «Mohamed Neguib» vicino a Marsa Matruh e

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quella interforze di Sidi el-Barrani, 110 chilometri dal confine libico, il cui porto è stato utilizzato negli ultimi anni anche dalle navi russe, l’Egitto ha aperto diverse nuove grandi basi militari nell’ambito di un ampio programma di realizzazioni infrastrutturali nazionali.

FRANCIA Conclusa l’operazione «Clemenceau 2021» Dopo cinquanta giorni di impegno nell’ambito dell’operazione «Chammal», la componente francese della coalizione alleata impegnata nell’operazione «Inherent Resolve» (Operation Inherent Resolve), rappresentata dal Carrier Strike Group (CSG) incentrato sulla portaerei a propulsione nucleare Charles de Gaulle (R 91) e schierata nell’ambito della missione «Clemenceau 21», ha svolto le ultime missioni lo scorso 28 maggio e a fatto ritorno il 4 giugno alla base navale di Tolone, da dove era partita il 21 febbraio scorso. Iniziata il 23 marzo nel Golfo Persico, la partecipazione del CSG francese impegnato nell’operazione «Chammal», è stata temporaneamente sospesa dal 24 aprile all’8 maggio al fine di riposizionare la Forza navale nel Mediterraneo orientale. Nel frattempo, il 6 maggio 2021, è stata effettuata un’attività operativa con missioni dal Mar Rosso sul teatro iracheno-siriano, una prima per la Marina francese, affermando così la sua capacità di proiezione di potenza nel teatro operativo da tutti i bacini di riferimento. Durante l’ultima fase operativa nel Mediterraneo orientale, sono state effettuate 36 sortite con velivoli da combattimento imbarcati «Rafale Marine» e 12 sortite con velivoli da comando, controllo e sorveglianza aerotrasportata «E-2C Hawkeye», portando il numero complessivo delle sortite dei «Rafale Marine» a 104 e degli «E-2C Hawkeye» a 38, durante i 50 giorni di impegno del CSG nell’ambito dell’operazione «Inherent Resolve», durante la missione «Clemenceau 21». Le risorse del CSG schierate in teatro hanno consentito alla coalizione di contrastare la ricostituzione delle capacità di Daesh e di intervenire in particolare contro gruppi dell’organizzazione islamista, durante le missioni congiunte condotte il 20 maggio 2021. «Le esigenze operative della coalizione, a cui la Francia sta contribuendo, hanno ampiamente plasmato la configurazione della missione “Clemenceau 21”, che ha condotto il CSG nel Golfo Per-

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Dopo cinquanta giorni di impiego nell’ambito dell’operazione «Chammal», il Carrier Strike Group (CSG) incentrato sulla portaerei a propulsione nucleare CHARLES DE GAULLE (R 91) e schierata nell’ambito della missione «Clemenceau 21», ha fatto rientro a Tolone il 4 giugno (Marina francese).

sico, per la prima volta dal 2015, e poi nel Mediterraneo orientale. Durante la nostra partecipazione all’operazione, le nostre capacità sono state utilizzate nella lotta contro il terrorismo islamista in Medio Oriente, per impedire a Daesh di riorganizzarsi e ristrutturarsi nella regione. Questo ha richiesto un ritmo operativo sostenuto da parte degli equipaggi, che non è venuto mai meno», ha affermato il contrammiraglio Marc Aussedat, comandante della «Task Force 473», nel fare un bilancio positivo dei cinquanta giorni della missione. La «Task Force 473» ha inoltre contribuito a garantire la libertà di navigazione e a mettere in sicurezza e difendere aree strategiche come il mar Mediterraneo, l’Oceano Indiano e il Golfo Persico. Accompagnato occasionalmente da unità navali straniere, il CSG ha assunto il comando della «Task Force 50» dell’US Naval Central Command e ha partecipato all’esercitazione franco-indiana «Varuna» e franco-inglese «Gallic Strike», dimostrando l’interoperabilità e l’interazione tra la Marina francese e i suoi alleati. «Essere schierato per 4 mesi in un contesto di pandemia globale è stata una grande sfida. Abbiamo imparato da quello che è successo lo scorso anno e abbiamo messo in atto nuove misure. Abbiamo modificato l’organizzazione della nave, i processi, gli spazi e le nostre modalità operative. Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo prestato particolare attenzione al flusso tra la nave e il mondo esterno, misure molto importanti che consentono di gestire al meglio la situazione e di tornare in ottime condizioni», ha aggiunto il Contrammiraglio.

Ritirata dal servizio la rifornitrice di squadra Var (A 608) Dopo 38 anni di onorato servizio, quasi 2.300 rifornimenti in mare e oltre un milione di miglia nautiche navigate, la nave comando e rifornimento (BCR, Bâtiment de

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Commandement et de Ravitaillement) Var ha lasciato il servizio attivo il 1o luglio. L’ultima attività che ha visto impegnata l’unità è stata la missione «Clemenceau 2021» della durata di quattro mesi in supporto del Carrie Strike Group (CSG) guidato dalla portaerei Charles de Gaulle (R 91), nel corso della quale ha effettuato più di 50 rifornimenti in mare a unità della Marina francese e della coalizione. Terza delle cinque unità della classe «Durance», destinate a fornire supporto logistico alla flotta della Marine Nationale e alleata, entrata in servizio nel 1983, per molti anni è stata la sede dell’ammiraglio che comanda la zona marittima dell’Oceano Indiano (ALINDIEN). La nave ha partecipato a numerose missioni, tra cui il rifornimento del Gruppo navale durante l’operazione «Harmattan» in Libia nel 2011, il comando della «Combined Task Force 150» nell’Oceano Indiano nel 2015 e la partecipazione all’operazione «Hamilton» in Siria nel 2018. Delle unità classe «Durance», ne rimangono in servizio due, Marne (A 630) e Somme (A 631), destinate a essere rimpiazzate dalle quattro unità tipo BRF (Bâtiment Ravitailleur de Forces) che saranno consegnate fra il 2023 e il 2029.

GERMANIA Lürssen costruirà le nuove navi AGI per Marina tedesca Con l’obiettivo di mantenere una capacità d’intelligence sul mare allo stato dell’arte, l’Ufficio federale delle attrezzature, della tecnologia dell’informazione e del supporto in servizio della Bundeswehr (BAAINBw) ha assegnato al gruppo Lürssen Werft GmbH un contratto per la progettazione e costruzione di tre navi tipo AGI (Auxiliary, General Intelligence) della nuova classe «424». Poiché l’intelligence sul mare fornisce un contributo indispensabile e continuo a un quadro interforze, il ministero della Difesa tedesca ha deciso l’acquisizione di tre nuove navi tipo AGI di nuova generazione in aggiunta a una struttura di addestramento e gestione centralizzata di analisi delle informazioni raccolte. Destinate a rimpiazzare le tre unità classe «Oste» da 3.200 t e 83,5 metri di lunghezza a partire dal 2027, le tre nuove piattaforme si baseranno su standard costruttivi navali civili mentre per quanto riguarda la suite di missione, disporranno di sensori di superficie e subacquei in combinazione con specifici requisiti come capacità di autoprotezione, comando e con-

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trollo e la necessità di sistemi di propulsione estremamente silenziosi. Quale responsabile del programma, i cantieri Lürssen Werft lanceranno al più presto la fase di progettazione e le discussioni con potenziali partner del settore dei cantieri navali e dell’ingegneria dei sistemi. Secondo il piano finanziario approvato dal parlamento, il programma per le tre nuove navi AGI incluso la nuova struttura di addestramento e il centro per l’intelligence avranno un costo complessivo inferiore ai 2,1 miliardi di euro.

GIAPPONE Varata la terza fregata classe «Mogami» Con una cerimonia tenutasi il 22 giugno presso i cantieri del gruppo Mitsubishi Heavy Industries (MHI) di Nagasaki, è stata varata la terza fregata classe «Mogani» o tipo «30FFM». Si tratta dell’unità Noshiro (FFM 3), la cui classe di fregate di nuova generazione è destinata a rimpiazzare diversi tipi di caccia fra cui le classi «Asagiri» e «Abukuma» in servizio con la Japan Maritime Self-Defense Force (JMSDF). L’unità capoclasse Mogami (FFM 1) è stata impostata nell’ottobre 2019 e varata lo scorso marzo presso i cantieri MHI di Nagasaki, mentre la seconda unità battezzata Kumano (FFM 3) è stata costruita presso i cantieri Mitsui E&S Shipbuilding di Tamano (Okayama), dove è stata impostata sempre nell’ottobre 2019 e varata nel novembre 2020, nell’ambito del subappaltato da parte del gruppo MHI. La terza unità, che prende il nome dal fiume Noshiro situato nella prefettura di Akita, risulta in fase d’allestimento, in vista della consegna e messa in servizio prevista per dicembre 2023. La nuova classe di fregate multi-missione di cui è prevista la realizzazione in ben 22 esemplari per la JMSDF si caratterizza per l’introduzione d’importanti innovazioni tecnologie e progettuali fra cui l’impiego di piattaforme senza pilota di superficie e subacquee in aggiunta a quelle aeree.

GRAN BRETAGNA La Royal Navy impiega l’intelligenza artificiale per la difesa antiaerea Nel corso della più grande esercitazione per la difesa navale contro attacchi missilistici che si tiene in Europa ogni due anni, la Royal Navy ha testato per la prima volta l’intelligenza artificiale per la difesa delle proprie unità e

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Con una cerimonia tenutasi il 22 giugno presso i cantieri del gruppo Mitsubishi Heavy Industries di Nagasaki, è stata varata la fregata di nuova concezione NOSHIRO (FFM 3) della classe «Mogani» o tipo «30FFM» (JMSDF).

di quelle alleate. La Royal Navy ha partecipato all’esercitazione «Formidable Shield 2021» con tre unità navali: il caccia lanciamissili Dragon (D 35) classe «Daring» o «Type 45» e le fregate Lancaster (F 229) e Argyll (F 231) della classe «Duke» o «Type 23». L’unità maggiore e la fregata Lancaster hanno sperimentato applicazioni di intelligenza artificiale e «machine learning» che hanno offerto uno sguardo sul futuro della difesa aerea sul mare. Personale dell’agenzia DSTL (Defence Science and Technology Laboratory) del ministero della Difesa e i partner industriali Roke, CGI e BAE Systems hanno sfruttato l’esercitazione della durata di tre settimane per testare i loro sistemi «Startle» e «Sycoiea». Il primo è stato progettato per aiutare ad alleviare il carico di lavoro degli operatori del sistema di combattimento delle navi interessate che monitorano il «quadro aereo» nella sala operativa fornendo supporto e segnalazioni in tempo reale. Il sistema «Sycoiea» si basa su queste informazioni ed è in prima linea nella valutazione delle minacce e nell’assegnazione automatizzata di piattaforme e armi, consentendo alle squadre della sala operativa di identificare con efficacia i missili in arrivo e supportare gli stessi operatori nella selezione dell’arma migliore per affrontarli più rapidamente. Secondo le prime esperienze, gli operatori sarebbero stati in grado di identificare le minacce missilistiche più rapidamente e indifferentemente dall’alta esperienza dell’operatore. Sebbene i test con l’intelligenza artificiale siano stati condotti in precedenza, questa è la prima volta che viene testata contro missili reali. Mentre tali tecnologie sono in fase di sperimentazione e valutazione, la fregata Argyll, prima unità della Royal Navy a essere dotata del missile di difesa aerea MBDA «Sea Ceptor», ha testato software aggiornato e sviluppato tattiche per sfruttare al meglio il radar BAE Systems «Artisan» e il sistema missilistico MBDA «Sea Ceptor».

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Velivoli «F-35» e «Apache» sulla portaerei Prince of Wales (R 09)

La Royal Navy riceve il terzo USV contromisure mine

La Royal Navy ha raggiunto un altro importante traguardo operativo all’inizio del mese di giugno quando il primo «F-35B» del 207 Squadron della Royal Air Force ha effettuato il primo atterraggio e decollo corto con skyjump dal ponte della portaerei Prince of Wales (R 09). In aggiunta alle attività con i velivoli ad ala fissa che consentiranno nel prossimo futuro alla Royal Navy di disporre di due ponti di volo in grado d’impiegare il velivolo stealth «F-35B», attualmente imbarcato soltanto sulla portaerei Queen Elizabeth (R 08), impegnata quale nave ammiraglia nella missione del Carrier Strike Group (CSG) 21 in Estremo Oriente, a bordo dell’unità gemella sono stati imbarcati anche gli elicotteri «Chinook» della Royal Air Force e «Apache» del British Army. Sebbene questi ultimi siano stati impiegati dal ponte di volo della LPH Ocean durante la crisi libica del 2011 e successivamente sporadicamente, come recentemente si è verificato per attività di test a bordo della portaerei Queen Elizabeth, l’imbarco a bordo della gemella di tre «Apache», con un centinaio di operatori del British Army, ha consentito sia a quest’ultimo che alla Royal Navy di prendere le misure con l’impiego imbarcato e le necessità e difficoltà del medesimo di operare in un ambiente completamente diverso da quello terrestre. In particolare, i tre «Apache» sono in servizio con il 656 Squadron, l’unità dell’Army Air Corps dedicata all’impiego imbarcato della macchina. In aggiunta alle verifiche d’impiego e alla gestione dell’«Apache» sul ponte di volo da parte del personale della Royal Navy e di supporto operativo e manutentivo del British Army, l’imbarco con 161, fra decolli e atterraggi, ha permesso la qualifica di un nuovo pilota all’impiego imbarcato e al mantenimento della qualifica di un gruppetto di altri otto.

La terza e ultima piattaforma per le contromisure mine a controllo autonomo, remoto o con equipaggio della Royal Navy è stata consegnata alla base navale di Clyde. La RNMB Hebe si è unita alle imbarcazioni sorelle Harrier e Hazard quali elementi cardine del programma di cacciamine senza equipaggio della Royal Navy denominato «Project Wilton». In realtà la RNMB Hebe è più lunga di quattro metri rispetto alle due sorelle e dispone di una suite di comando, controllo e missione più sofisticata delle altre due. L’imbarcazione ha una lunghezza di 15 metri ed è fornita come le altre due sorelle da Atlas Elektronik UK che ha equipaggiato la medesima con un sistema di missione che le permette di controllare l’impiego della gemella Harrier. L’imbarcazione ha anche la capacità d’imbarcare e trainare un sistema sonar a scansione laterale per il monitoraggio delle acque da controllare. Le barche sono in grado di lavorare in diverse configurazioni — manualmente, in remoto o in autonomia — per rilevare e classificare mine e ordigni improvvisati a mare. Il team di «Project Wilton» sta effettuando prove sempre più complesse e un programma di sviluppo delle capacità per assicurarsi di essere pronto a fornire capacità di monitoraggio e neutralizzazione di eventuali minacce alle vie d’accesso ai principali porti e installazioni militari nel Regno Unito e dove sia necessario oltremare.

La Royal Navy ha raggiunto un altro importante traguardo operativo all’inizio del mese di giugno quando il primo «F-35B» ha operato dal ponte della portaerei PRINCES OF WALES (R 09) - (Royal Navy/UK Crowncopyright).

ITALIA XIV Campagna di Solidarietà per nave Italia La Campagna di Solidarietà 2021 di nave Italia ha preso il via lo scorso 22 giugno alla presenza dell’ammiraglio Giorgio Lazio, Comandante Marittimo Nord e Presidente della «Fondazione Tender to nave Italia» che ha salutato il Cigno e il suo primo equipaggio «speciale» in partenza dal porto della Spezia, dove farà ritorno l’ultima decade di ottobre. Nel corso della medesima si terranno diversi progetti educativi a favore di associazioni no profit, ONLUS, scuole, ospedali, servizi sociali, aziende pubbliche e private, dedicati ai propri assistiti e alle loro famiglie. In questi mesi il brigantino più grande del mondo, è nuovamente al servizio dei più fragili, impiegando la cultura del mare e della navigazione a vela quali strumenti di educazione, di riabilitazione e inclu-

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sione sociale. Pur con le difficoltà legate alla pandemia in atto, la Campagna di Solidarietà 2021 svolge 14 progetti educativi, nel pieno rispetto delle misure di sicurezza sanitarie, affrontando tre macro-aree di intervento: disabilità, disagio sociale e salute mentale. I nostri giovani marinai speciali, provenienti da tutta Italia, sono accompagnati da medici, psicologi, educatori e operatori. La nave sta toccando diversi porti del Mar Ligure e Tirreno. Undici ragazzi dell’Associazione italiana Sindrome di Williams e i loro accompagnatori hanno avuto modo di trascorrere cinque giorni a bordo del brigantino partito da Livorno, seguiti dai ragazzi del CSV di Padova e Rovigo imbarcati a Civitavecchia.

Nave Doria completa l’aggregazione al CSG 21 Dal 28 maggio al 15 giugno nave Andrea Doria (D 553) si è integrata nel Carrier Strike Group (CSG) inglese per partecipare alla scorta della portaerei Queen Elizabeth (R 08). L’attività è iniziata alla fine dell’esercitazione «Steadfast Defender 2021» in oceano Atlantico per terminare dopo 19 giorni nel Mediterraneo. Durante il periodo di aggregazione nave Doria è stata e rimarrà l’unico assetto esterno al CSG a partecipare alla scorta della portaerei nel «periodo mediterraneo» dello schieramento inglese. L’unità italiana ha svolto attività addestrativa e operazioni con il gruppo britannico. Durante le interazioni è avvenuto l’appontaggio, sulla Queen Elizabeth, di un elicottero italiano e l’esercitazione tra gli «F-35B» nazionali con quelli inglesi, quest’ultimi, inoltre, per la prima volta, controllati tatticamente dal Doria. L’aggregazione al Gruppo portaerei Queen Elizabeth ha permesso a nave Doria di integrarsi appieno con le Forze navali britanniche, incrementando l’interoperabilità in termini di sistemi e procedure. Durante la propria presenza nel Mediterraneo, il Gruppo navale ha espresso l’azione diplomatica inglese sia nella scelta delle rotte di transito, sia nella definizione dei porti in cui è stata richiesta l’ospitalità per la portaerei e per le unità di scorta. L’Italia ha giocato un ruolo chiave nella prima fase del deployment britannico in Mediterraneo, accogliendo la portaerei Queen Elizabeth nel porto di Augusta, dove sono stati svolti importanti incontri diplomatici. Ciò conferma il ruolo centrale del nostro paese e della Marina italiana nello scenario geopolitico del Mediterraneo, «Mare nostrum».

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Dal 28 maggio al 15 giugno nave ANDREA DORIA (D 553) si è integrata nel Carrier Strike Group (CSG) inglese, per partecipare alla scorta della portaerei QUEEN ELIZABETH (R 08).

Al via la Campagna d’istruzione 2021 su nave Vespucci Con il classico «Buon vento e mare calmo» augurato dall’onorevole Stefania Pucciarelli, sottosegretario di Stato alla Difesa, e dal Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, ha preso il via lunedì 5 luglio, a bordo di nave Vespucci (A 5312) la campagna degli allievi ufficiali della prima classe dell’Accademia navale. Da oggi e fino al 6 settembre i 104 allievi, in rappresentanza di quasi tutte le regioni d’Italia, e 14 cadetti di Marine estere, «avranno occasione di consolidare la formazione marinaresca attraverso un percorso formativo basato sul lavoro di squadra, che caratterizza ogni marinaio nell’assolvimento dei compiti della Forza armata al servizio della collettività, e ricevere il cosiddetto “battesimo del mare”», ha sottolineato il comandante di nave Vespucci, capitano di vascello Gianfranco Bacchi. Una tradizione che si rinnova anno dopo anno, quella della campagna d’istruzione, quest’anno la numero 85 a bordo dell’unità, che di anni ne ha appena compiuti 90 ed è oggi l’unità della Squadra navale più anziana e longeva in servizio. Una pietra miliare nella formazione dei futuri ufficiali della Marina Militare che si ripete con rinnovato impulso all’innovazione.

Ultimo Ammaina bandiera per nave Espero (F 576) Con una cerimonia tenutasi lo scorso 30 giugno presso la Stazione navale Mar Grande di Taranto, alla presenza del Comandante in capo della Squadra navale, ammiraglio Paolo Treu, è stato celebrato l’ultimo Ammaina bandiera di nave Espero. A questo importante momento, in aggiunta alle autorità civili, religiose e mi-

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Riprende la cooperazione italo-francese nelle immersioni profonde

Lo scorso 30 giugno, presso la Stazione Navale Mar Grande di Taranto, è stato celebrato l’ultimo Ammaina bandiera di nave ESPERO (F576), qui ripresa in operazione. In basso: a quasi quattro mesi dalla partenza dalla Spezia, nave LUIGI RIZZO (F 595) ha concluso il suo impiego nel Golfo di Guinea.

litari, hanno partecipato gli ex comandanti dell’unità tra cui, il Sottocapo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Aurelio De Carolis e lo stesso ammiraglio Paolo Treu. Settima delle otto fregate della classe «Maestrale», nave Espero è stata un’unità missilistica e antisommergibile che dal 1985 al 2018 ha svolto un ruolo fondamentale in molte delle principali missioni e operazioni internazionali con complessive 675.000 miglia nautiche percorse, circa 31 volte la lunghezza dell’equatore. Grande la commozione del comandante dell’unità, capitano di fregata Mauro Paolizzi, nel momento in cui la Bandiera di Combattimento è stata consegnata nelle mani del Comandante in capo della Squadra navale, per essere poi custodita definitivamente nel Sacrario delle Bandiere a Roma, all’interno dell’Altare della Patria.

La Marina Militare a fianco del MiTE per i controlli ambientali La nave polifunzionale ad alta velocità (UNPAV) Angelo Cabrini (P 420) con il personale del GOS (Gruppo Operativo Subacquei), del COMSUBIN (Comando Subacquei ed Incursori) e la collaborazione del personale del MiTE (Ministero della Transizione Ecologica), ha effettuato, nei giorni 8-10 giugno, attività di campionamento acque di alcune piattaforme del campo off-shore «Barbara», ubicato a nord di Ancona, nel Mar Adriatico. Tale attività, nel quadro dei controlli ambientali del MiTE a cui la Marina Militare concorre in virtù sia dei compiti istituzionali sia dell’accordo di collaborazione siglato a settembre 2020, tra la Forza armata e la Direzione Generale per le infrastrutture e la sicurezza dei sistemi.

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Un meeting di esperti nel campo subacqueo presso il Comando Subacquei ed Incursori della Marina Militare (COMSUBIN) del Varignano (La Spezia), nei giorni 15-16 giugno, ha visto la partecipazione degli operatori francesi del CEPHISMER (CEllule Plongée Humaine et Intervention Sous la MER) e FOST (Force Océanique STratégique). Dopo un periodo di stallo, la cooperazione tra le due Marine riprende intensamente con l’obiettivo di implementare procedure e tecniche d’impiego degli assetti subacquei dedicati alle immersioni in alto fondale per il soccorso dei sommergibili sinistrati e i lavori subacquei in generale.

Conclusa l’operazione Gabinia di nave Rizzo A quasi quattro mesi dalla partenza, avvenuta il 23 febbraio scorso, nave Luigi Rizzo (F 595) ha concluso il suo impegno nel Golfo di Guinea a tutela degli interessi nazionali e della sicurezza delle vie marittime per il libero uso del mare, rientrando alla Spezia lo scorso 18 giugno. L’impegno dell’unità classe «Bergamini» si è subito sviluppato, una volta giunta in area di operazioni, con la partecipazione a importanti eventi multi-nazionali, catalizzatori del crescente interesse nell’area da parte degli stakeholder internazionali. Fin da subito coinvolta nell’esercitazione marittima «Obangame Express 2021», ha condotto attività addestrativa e operativa con le Marine e le forze di sicurezza marittime di quasi tutti i paesi dell’Africa occidentale, oltre che di unità europee, americane e canadesi, e alla promozione della collaborazione tra i paesi del Golfo di Guinea e le organizzazioni di sicurezza dell’architettura di Yaoundé. Il Golfo di Guinea è divenuto il principale hotspot della pirateria mondiale e la missione italiana è finalizzata alla prevenzione e al contrasto degli atti criminali a protezione degli interessi nazionali. Nello specifico, a cornice della costante attività di supporto al comparto nazionale marittimo operante in area, nave Rizzo ha condotto esercitazioni congiunte con Assarmatori, Confitarma, Eni e Saipem al fine di verifi-


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care la catena d’allarme nazionale e confermare il perfetto connubio tra il cluster marittimo nazionale e la Marina Militare. I numeri che hanno caratterizzato questa missione: 116 giorni di attività operativa continuativa; circa 165 ore di volo per ricognizione; contatti quotidiani con oltre 100 unità mercantili di interesse nazionale in transito nell’area; concorso nel maxi-sequestro di un carico di oltre 6 tonnellate di cocaina diretto verso le coste africane e partecipazione diretta al contrasto di tre eventi di pirateria. Nell’ambito di questo crescente network di cooperazione tra le unità in mare, il naviglio mercantile, le autorità locali e le Marine rivierasche, si sono concretizzati molteplici episodi di pirateria in cui nave Rizzo è stata chiamata a intervenire con successo.

Cambio al Comando Logistico… Con una cerimonia tenutasi il 15 giugno a Napoli presso il Comando Logistico, l’ammiraglio ispettore capo Giuseppe Abbamonte, precedentemente a capo della Direzione Informatica, Telematica e Tecnologie Avanzate (TELEDIFE), del Segretariato Generale della Difesa/Direzione Nazionale Armamenti, è succeduto all’ammiraglio Eduardo Serra che ha lasciato il servizio attivo lo scorso 19 maggio. Istituito il 1° maggio del 2013, il Comando Logistico, dal quale dipendono organicamente/funzionalmente oltre 40 comandi ed enti della Forza armata, dirige, coordina e controlla le attività di supporto allo strumento operativo aeronavale, vero core business della Marina Militare.

…e al Comando delle Scuole L’ammiraglio Enrico Credendino ha lasciato il Comando delle Scuole della Marina il 15 luglio, con una cerimonia tenutasi presso la sede del Quartier Generale della Marina, dopo un incarico della durata di poco più di un anno. La designazione del nuovo comandante delle Scuole è in corso di formalizzazione. La cerimonia si è tenuta alla presenza del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, il quale ha sottolineato come «nonostante il periodo difficile la formazione non si è mai fermata, garantendo risultati di altissima qualità, centrata sia sullo studio sia sulle attività professionali sul campo. La Marina Militare da tempo investe le sue migliori risorse in questo vitale settore».

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Avvicendamento al Comando Forze aeree Con una cerimonia tenutasi il 7 luglio presso la Stazione aeromobili della Marina Militare di Grottaglie, si è svolto l’avvicendamento tra il contrammiraglio Placido Torresi, comandante delle Forze aeree (COMFORAER), che lascia l’incarico dopo quasi 4 anni, e il capitano di vascello Marco Casapieri, alla presenza del Comandante in capo della Squadra navale, ammiraglio Paolo Treu. Le Forze aeree della Marina fanno capo al COMFORAER, che si occupa dell’organizzazione e del coordinamento delle attività di tutti i mezzi aerei della Marina, comprendendo anche la manutenzione, la gestione delle infrastrutture logistiche e l’addestramento del personale di volo e di terra.

L’Italia cede il Comando della Forza anfibia italo-spagnola Con una cerimonia tenutasi a bordo della nave d’assalto anfibio San Giusto, ormeggiata presso la base navale di Brindisi, alla presenza dell’ammiraglio Paolo Treu e dell’ammiraglio Eugenio Diaz Del Rio Jaudenes, rispettivamente Comandanti in capo delle rispettive Squadra navali, ha avuto luogo lo scorso 2 luglio la cerimonia di avvicendamento tra l’Italia e la Spagna al comando della Forza anfibia italo-spagnola (Spanish-Italian Amphibious Force - SIAF) e della Forza da sbarco italo-spagnola (Spanish-Italian Landing Force - SILF). Dopo due anni di comando italiano, il contrammiraglio Alberto Sodomaco, comandante della 3a Divisione navale, e il contrammiraglio Luca Anconelli, comandante della Forza da Sbarco della Marina Militare, hanno ceduto rispettivamente il comando della SIAF e della SILF al contrammiraglio Ignacio Cespedes Camacho, comandante del Grupo anfibio y de Proyecciòn della Marina spagnola, e al generale Josè Luis Souto Aguirre, comandante del Tercio de Armada. La Marina Militare, nell’ambito della naturale turnazione fra nazioni, riassumerà il comando della SIAF-SILF nel 2023.

Avvicendamento del Comando in capo della Squadra navale L’ammiraglio Paolo Treu ha passato il timone della Squadra navale (CINCNAV) all’ammiraglio Enrico Credendino, con una cerimonia tenutasi il 16 luglio a bordo della nave ammiraglia della Squadra navale, la portaerei

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costituito dal velivolo di 5a generazione, l’«F-35B». Anche questo cruciale obiettivo è stato raggiunto con grande successo e ha consentito di gettare le basi per il rinnovamento della capacità strategica della portaerei, elemento distintivo del rango internazionale del paese. «Sono stato onorato e felice di essere stato al comando della Squadra navale proprio in questo periodo storico, riuscire ad assolvere tutte le missioni e operazioni programmate è stato sicuramente sinonimo di impegno e dedizione a dimostrazione di un’Italia combattiva e resiliente», L’ammiraglio Paolo Treu ha passato il timone della Squadra navale all’ammiraglio ha concluso l’Ammiraglio. Prima della cerimonia Enrico Credendino, con una cerimonia tenutasi a Taranto il 16 luglio a bordo della del passaggio di consegne, si è svolta una rassegna nave ammiraglia della Squadra navale, la portaerei CAVOUR (CVH 550). navale con gli equipaggi schierati sui ponti scoperti di alcune navi della Marina, un simbolico saluto alle diCavour, ormeggiata nella Stazione Navale Mar Grande pendenze organiche di CINCNAV che si compone di di Taranto. «Il comando della Squadra navale ha in cacirca 18.000 militari, 91 navi, 6 sommergibili, 75 aerei ed rico la cruciale gestione della funzione operativa e adelicotteri e comandi importanti quali la brigata Marina destrativa della Forza armata e l’approntamento San Marco, il centro telecomunicazioni e il C4S. operativo dello strumento aeronavale per assicurare la sicurezza degli spazi marittimi nazionali, ma anche la proiezione avanzata con funzioni di deterrenza attiva, Nave Marceglia completa l’attività in Atlantico monitoraggio, presenza, sorveglianza e prontezza d’inCon il completamento della partecipazione all’esercitervento a tutela degli interessi nazionali quasi interatazione NATO BALTOPS 50, la fregata multi-missione mente dipendenti dalla dimensione marittima», ha Antonio Marceglia (F 597) ha concluso anche il suo disottolineato il sottosegretario di Stato alla Difesa, senaspiegamento nei mari del Nord Europa, dopo aver ottetrice Stefania Pucciarelli. «Siamo stati sottoposti a tagli nuto importanti successi addestrativo-operativi fin da drammatici ma abbiamo cercato di operarli il più possiquando l’unità ha lasciato la base navale d’appartenenza bile lontano dalla Squadra navale perché, per tutta la Didella Spezia. Nave Marceglia è, infatti, reduce da un infesa, è lo strumento più flessibile, versatile, efficace, che tenso periodo di attività internazionale in oceano Atlantico può rischierarsi lontano, dove si originano le crisi e ine nei mari del Nord, dove l’unità — inquadrata nei dispotervenire prima che arrivino a toccare le nostre coste», sitivi NATO — ha rappresentato l’Italia alle esercitazioni così il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, am«At Sea Demonstration/Formidable Shield 21» (ASD/FS miraglio Giuseppe Cavo Dragone. Nel suo discorso di sa21) e «BALTOPS 50». In particolare, la partecipazione luto, l’ammiraglio Treu ha ripercorso un mandato ricco all’esercitazione «ASD/FS 21» ha consentito di verificare di sfide, durante il quale è stata affrontata l’emergenza sul campo le performance e l’affidabilità dei sistemi imCovid-19, che ha messo a dura prova la prontezza dello barcati in un contesto estremamente realistico, impegnastrumento aeronavale. Grazie a un accurato protocollo di tivo e di piena integrazione con le altre unità partecipanti. contrasto alla pandemia, sviluppato in collaborazione con L’unità è equipaggiata con sistemi di scoperta, traccialo Stato Maggiore della Marina Militare, la Squadra namento e ingaggio anti-missile allo stato dell’arte. Il radar vale ha onorato tutti gli impegni operativi programmati, 3D multifunzionale «Kronos MFRA» (Multi-Function in ambito sia nazionale sia internazionale. Particolarmente Radar Active) di bordo con antenna a scansione elettroardua è stata la sfida posta dalla campagna «Ready For nica attiva (AESA) sviluppato e prodotto da Leonardo, Operations» della portaerei Cavour, per il conseguimento nella sua versione migliorata denominata «MFRA Plus» della certificazione all’impiego del nuovo sistema d’arma, ha consentito la scoperta e il tracciamento di missili bali-

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stici a corto e medio raggio, mentre il sistema missilistico superficie-aria «SAAM ESD» sviluppato e prodotto da MBDA Italia con la famiglia di munizioni «Aster 15» e «30» del gruppo MBDA in comune con la Marine Nationale e la Royal Navy, e il sistema cannoniero Leonardo da 76/62 mm «Super Rapido MF» nella configurazione «Davide», con il munizionamento guidato DART (Driven Ammunition Reduced Time of flight) rappresentano i sistemi d’arma per contrastare le minacce che sono state simulate in modo realistico nel corso dell’esercitazione. La situazione tattica della Forza navale NATO era costantemente aggiornata mediante l’impiego della più recente versione «EVO» del sistema MDLP (Multi Data Link Processor), per lo scambio in tempo reale d’informazioni e dati mediante i data link presenti e di nuova adozione e il sistema IFF aggiornato allo standard NATO Mode 5. Secondo quanto dichiarato da Leonardo, il radar «Kronos MFRA», nella configurazione sperimentale imbarcata, ha dimostrato di poter seguire il bersaglio sin dalla fase inziale, in cui il missile balistico arriva a raggiungere velocità superiori ai 1.800 m/s e accelerazioni oltre i 6G, per poi mantenere il tracciamento oltre i 200 km di quota e acquisire il bersaglio. I principali obiettivi conseguiti da nave Marceglia nel corso dell’esercitazione sono stati: la sinergica contribuzione — di concerto con gli altri assetti presenti — al tracciamento e all’ingaggio di missili balistici a corto e medio raggio e di bersagli supersonici; la scoperta, il tracciamento e l’intercetto di una minaccia aerea a bassa quota con il lancio effettivo di missile superficie-aria «Aster 30»; l’individuazione e la neutralizzazione di un bersaglio aereo con l’impianto d’artiglieria 76/62 in configurazione «Davide», impiegando la munizione guidata DART; la validazione della solidità del sistema di comando e controllo dell’unità inserito all’interno di molteplici reti tattiche e strategiche necessarie per la IAMD e la BMD. Tale risultato rappresenta la conclusione di un percorso di approntamento e addestramento che è iniziato quando l’unità ha «mollato gli ormeggi» dal porto di assegnazione, La Spezia, lo scorso marzo, per intraprendere un ciclo di preparazione all’ASD/FS-21, volto alla massimizzazione del ritorno addestrativo e operativo di tale pregiato evento. Durante la navigazione, la fregata ha partecipato a diverse attività tecnico-addestrative in mar Tirreno, mar Ionio e oceano

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Atlantico effettuando attività di lancio di sistemi d’arma missilistici superficie-aria («Aster 30»), superficie-superficie («Teseo») e aria-superficie («Marte Mk2/S» da elicottero SH-90A) presso il Poligono interforze di Salto di Quirra (NU), l’esercitazione nazionale «Phibex 21» con unità nazionali e alleate appartenenti al Gruppo navale permanente NATO Standing Naval Maritime Group 2 (SNMG2) e l’esercitazione «Contex Phibex 21», organizzata dalla Marina portoghese con la partecipazione di numerosi assetti aerei e navali di Portogallo e Stati Uniti.

QATAR Prima uscita in mare della corvetta Damsah (F 102) La seconda corvetta classe «Al Zubarah» per la Marina del Qatar in fase d’allestimento da parte di Fincantieri presso il cantiere del Muggiano, ha iniziato le prove in mare lo scorso 14 giugno. Si tratta dell’unità Damsah, che nel frattempo ha effettuato ulteriori uscite e altre seguiranno in vista della consegna nel 2022.

RUSSIA Entra in servizio il primo rifornitore «Progetto 03182» Secondo quanto riportato dall’ufficio stampa del ministero della Difesa russo, l’unità capoclasse per il rifornimento e il soccorso Vice-admiral Paromov del tipo «Progetto 03182», è entrata in servizio con la Flotta del Mar Nero presso la base navale di Sebastopoli, in Crimea. Progettata dal bureau Zelenodolsk e costruita dal cantiere navale Volga shipyard a Nizhny Novgorod nell’area del Volga, l’unità si caratterizza per un dislocamento a pieno carico di 3.500 t, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 78,8 e 15,4 metri, un pescaggio di 5 metri e uno scafo rinforzato per poter operare a qualsiasi latitudine, comprese i mari artici con ghiaccio spesso fino a 0,6-0,8 metri. La nuova classe di unità per il rifornimento di navi di superficie con carichi di diverso tipo presenta una piattaforma poppiera per elicotteri tipo Ka-27 nonché una sezione centrale con gru per l’imbarco e scarico/trasferimento di materiale nonché zona per lo stivaggio di container standard e altri materiali. Queste unità posso trasportare e trasferire carichi liquidi e solidi nonché pompare in proprie cisterne acque inquinate per la

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difesa dell’ambiente. Grazie agli spazi ed equipaggiamenti di bordo con imbarcazioni veloci, l’equipaggio può svolgere missioni di salvataggio, antincendio e tutela dell’ambiente nonché supporto a campagne di ricerca. Il ministero della Difesa russo ha ordinato quattro unità «Progetto 03182», di cui la capoclasse è stata impostata nel settembre 2016, mentre una seconda battezzata Vasily Nikitin è stata impostata presso il medesimo cantiere nel marzo 2017. Altre due navi del tipo saranno costruite presso il cantiere Vostochnaya Verf di Vladivostok.

Il sottomarino nucleare «Progetto 09852» effettua le prime prove a mare Secondo l’agenzia TASS che riporta fonti contattate in occasione dell’International Maritime Defence Show 2021 tenutosi a San Pietroburgo fra il 23 e 27 giugno scorso, il battello per compiti speciali a propulsione nucleare Belgorod (K 329), unica piattaforma «Progetto 09852», ha iniziato le prove a mare del cantiere il 25 giugno nel Mar Bianco. Al completamento di queste ultime, seguiranno quelle del ministero e della Marina, con consegna a quest’ultima nel tardo 2021. Secondo altre fonti, l’unità dovrebbe entrare in servizio con la Flotta del Pacifico. Il più grande battello a essere realizzato negli ultimi 30 anni dopo gli SSBN classe «Typhoon», il «Progetto 09852» si basa su di una versione ingrandita della classe «Oscar II» con una lunghezza e larghezza stimate rispettivamente di 178 e 15 metri circa, mentre il dislocamento in immersione dovrebbe essere significativamente superiore alle circa 19.000 t dei battelli classe «Oscar II». Destinato a essere operato dal GUGI, il principale direttorato per la ricerca subacquea, la nuova unità dovrebbe assicurare un salto di qualità all’intelligence russa ma al tempo stesso assicurare una capacità siluristica a controllo autonomo e propulsione nonché testata nucleare. Il Belgorod, secondo fonti russe e occidentali è in grado di svolgere la missione di piattaforma madre per i midget a propulsione nucleare quali l’unità «Progetto 01831» e classe «Losharik» (AS-31), in fase di rimessa in servizio a seguito dell’incendio a bordo che ha causato la morte di 14 operatori d’equipaggio. Questi ultimi mezzi vengono utilizzati per operazioni ad alte profondità e compiti di raccolta informazioni inserendosi sulle fibre ottiche dei cavi sottomarini dedicati alle comunicazioni

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e ricerca relitti o equipaggiamenti di particolare interesse. Allo stesso tempo il Belgorod è armato con tubi lanciasiluri per il sistema d’arma «Poseidon» di oltre 20 metri, equipaggiato con propulsore e testata nucleare. Un mix di capacità che consentono al Belgorod capacità difensive e offensive senza precedenti ma al tempo stesso contradditorie per i compiti speciali di raccolta informazioni a cui è dedicato con piattaforme subacquee pilotate e non.

STATI UNITI La portaerei Gerald R. Ford (CVN 78) completa i primi test di shock Completati con successo i primi test di shock da esplosione subacquea per la portaerei Gerald R. Ford (CVN 78) nell’ambito della campagna FSST (Full Ship Shock Trials). L’unità capoclasse è stata progettata utilizzando avanzati metodi di modellazione computerizzata, test e analisi per garantire che la piattaforma sia protetta per resistere alle situazioni di combattimento e queste prove d’urto forniscono i dati che vengono utilizzati per convalidare le capacità di protezione contro tali eventualità. Le prove d’urto vengono condotte al largo della costa orientale degli Stati Uniti, all’interno di un programma ridotto temporalmente per rispettare i requisiti di mitigazione ambientale, rispettando i modelli di migrazione della vita marina conosciuti nell’area dei test. La Marina ha anche impiegato protocolli specifici per garantire la sicurezza del personale militare e civile che partecipa alla campagna dei test. Al completamento della medesima, entro la fine dell’estate, la portaerei Gerald F. Ford entrerà in un periodo di manutenzione pianificata per sei mesi nel corso della quale saranno svolte attività di manutenzione, ammodernamento e revisione, prima del suo impiego operativo. L’ultima Completati con successo i primi test di shock da esplosione subacquea per la portaerei GERALD R. FORD (CVN 78) nell’ambito della campagna FSST (Full Ship Shock Trials) - (US Navy).


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portaerei a eseguire FSST è stata la Theodore Roosevelt (CVN 71) nel 1987 ma la US Navy ha condotto attività FSST per diversi decenni, più di recente per le Littoral Combat Ships Jackson (LCS 6) e Milwaukee (LCS 5) nel 2016; così come per l’unità da trasporto anfibio Mesa Verde (LPD 19) nel 2008, la nave d’assalto anfibia Wasp (LHD 1) nel 1990 e l’incrociatore lanciamissili Mobile Bay (CG 53) nel 1987.

Procede il programma LCS Con una cerimonia tenutasi lo scorso 25 giugno presso il porto di Savannah, è entrata in servizio con l’US Navy la quattordicesima LCS classe «Independence». Si tratta dell’omonima unità (LCS 28), la settima consegnata dai cantieri Austal USA in meno di due anni. L’unità è stata costruita e consegnata in meno di tre anni, con un riduzione temporale di 12 mesi rispetto alle prime della classe realizzate presso i medesimi cantieri. Ulteriori cinque LCS sono in costruzione presso Austal USA e una sesta è stata contrattualizzata. Il 6 giugno è stata invece la volta del battesimo della quindicesima LCS realizzata dai medesimi cantieri a cui è stato dato il nome Canberra (LCS 30), seconda unità in servizio con l’US Navy a ricevere il nome della capitale federale dell’Australia. Il 18 giugno è stata invece la volta della cerimonia d’impostazione della futura LCS Cleveland (LCS 31), quarta unità dell’US Navy a ricevere tale nome presso i cantieri Fincantieri Marinette Marine di Marinette Marine (Wisconsin).

Leonardo fornisce il primo elicottero «TH-37A» Il primo elicottero da addestramento «TH-37A» è stato consegnato all’US Navy lo scorso 10 giugno in occasione di una cerimonia tenutasi presso lo stabilimento Leonardo di Filadelfia, alla presenza di alti ufficiali dell’US Navy, di rappresentanti del gruppo Leonardo e della Divisione elicotteri nonché di istituzioni locali, statali e federali. La piattaforma ad ala rotante «TH-73A» è basata sulla variante IFR (Instrument Flight Rules, in grado di operare secondo le regole del volo strumentale) dell’«AW119Kx» commerciale ed è l’unico elicottero monomotore certificato in grado di soddisfare gli attuali requisiti IFR sviluppati negli ultimi decenni, consentendo ai piloti di operare in sicurezza il velivolo in condizioni

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meteorologiche difficili e di bassa visibilità, grazie all’avionica avanzata fornita da Genesys Aerosystems e ai sistemi di volo ridondanti dell’elicottero. All’inizio del 2020, Leonardo, attraverso AgustaWestland Philadelphia Corp., si è aggiudicata un contratto per la produzione e la consegna di 32 elicotteri «TH-73A» insieme a un pacchetto iniziale di parti di ricambio, supporto ed equipaggiamento dedicato oltre a servizi di addestramento per piloti e tecnici addetti alla manutenzione, da realizzare presso lo stabilimento Leonardo di Filadelfia. Alla fine del 2020, il dipartimento della Difesa statunitense ha annunciato la decisione di esercitare le opzioni per la produzione e la consegna di ulteriori 36 elicotteri «TH-73A», che verranno prodotti sempre presso il sito di Filadelfia. Il requisito complessivo è per 130 elicotteri con consegne previste fino al 2024.

TURCHIA Lancio finale di qualifica per il sistema missilistico ATMACA Il sistema missilistico antinave ATMACA, prodotto dal gruppo turco Rocketsan, è entrato ufficialmente in servizio lo scorso 19 giugno dopo aver completato con successo il lancio finale di qualifica contro un bersaglio rappresentato dall’unità da ricerca in disarmo Isin (ex unità Safeguard dell’US Navy). È stato lo stesso presidente turco Recep Tayyip Erdogan ad annunciarlo con un proprio tweet lo stesso giorno del lancio, che secondo quanto riportato dal ministero della Difesa turco è stato effettuato dalla corvetta Kinaliada (F 514) classe «Ada» tipo MILGEM. Secondo sempre quanto riportato, il missile avrebbe colpito l’obiettivo volando a un’altitudine di 1-1,5 metri dal pelo dell’acqua. Il lancio, che consente di passare alla produzione del sistema ad alta cadenza, ha visto la partecipazione della piattaforma di superficie senza pilota o USV «Ulaq» prodotta localmente che, posizionandosi a circa 5-6 km dal bersaglio, ha consentito di riprendere da vicino le ultime fasi dell’attacco senza mettere in pericolo personale e mezzi della Marina o del ministero della Difesa turco. Con una portata di oltre 200 km, il nuovo sistema missilistico antinave ha la capacità di ricevere informazioni aggiornate sul bersaglio e altri comandi durante la missione grazie a un data link. Luca Peruzzi

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«The Biden 100 - Days Progess Report» FOREIGN POLICY, SPRING 2021 - AFFARINTERNAZIONALI, 5 MAGGIO 2021

I primi cento giorni del primo mandato di un presidente marcano tradizionalmente negli Stati Uniti una data simbolica per giudicare tutta la sua politica futura ed è per questo che l’autorevole rivista bimestrale di relazioni internazionali — originariamente pubblicata a cura della fondazione Carnegie Endowment for International Peace e ora di proprietà del Washington Post — vi ha voluto dedicare la propria analisi critica in una maniera invero originale. «Il motto di politica estera del presidente Joe Biden è “L’America è tornata” — leggiamo sulla rivista — e il presidente non perde tempo: forse nell’inizio più trafficato di una nuova amministrazione dai tempi di Ronald Reagan nel 1981, Biden e la sua nuova squadra di sicurezza nazionale hanno unito alleati in Asia e in Europa, si sono ricongiunti alle istituzioni globali e hanno alzato il fuoco sui regimi autoritari. Biden si è mosso rapidamente per revocare i divieti di immigrazione dell’amministrazione Trump e promettere denaro per vaccinare i più poveri del mondo [e successivamente, in occasione del summit del G7, Biden ha annunciato che gli Stati Uniti doneranno 500 milioni di vaccini per aiutare i paesi che ne hanno bisogno!]. Inoltre, ha fatto tutto questo in mezzo a quella che è ancora una pandemia devastante e dopo la prima violenta transizione presidenziale nella storia degli Stati Uniti». Di seguito, su «nove questioni chiave» della politica americana, la rivista ha chiamato a esprimersi venticinque studiosi ed esperti di chiara fama, i cui giudizi, oltre che essere riportati integralmente, sono stati pure riassunti, a beneficio del lettore, in una sorta di sintesi subliminale secondo il seguente schema: «Alliances: Leadership Restored/Economy: Tough Love on Trade/Pandemic: Making up for lost time/Democracy and Human rights: Enlist

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Europe/China: Accelerate the pace [il passo]/Middle East: no Damage, no Achievements/Russia: Engage, Deter, Speak Up/Immigration: But Can he Fight?/Climate: Practical, not Grandiose». Sulla politica estera statunitense che si complica specialmente in Asia orientale, giudizi più in dettaglio possiamo poi leggerli nel Focus bimestrale di AffarInternazionali intitolato «Dall’Atlantico al Pacifico», a cura dello IAI e di China Files (china-files.com), dedicato ai fragili equilibri che regolano inimicizie e alleanze nella regione. Innanzitutto l’accento batte sul futuro incerto di Taiwan, a firma di Francesca Ghiretti, cioè sull’isola definita dall’Economist (nel fascicolo di May 1st, 2021) «il posto più pericoloso del mondo». Le tensioni nello Stretto di Formosa sono, infatti, cruciali nel determinare l’esito del gioco della deterrenza tra Pechino e Washington attualmente in atto. Due aspetti rendono Taiwan, nell’analisi dell’Autrice, una poten-

ziale area di collisione armata: l’importanza geopolitica e quella economica. «A queste, per quanto riguarda Pechino, si va ad aggiungere poi il valore storico-politico che la rilevanza della riunificazione della Cina intera ha per il Partito e in particolare per l’eredità di Xi Jinping. Né l’importanza geopolitica di Taiwan né quella economica [Taiwan è sede del più grande produttore di semiconduttori globale (Tsmc), non solo di grande importanza economica ma anche strategica e militare] sono segrete o tantomeno nuove,

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tuttavia è andata crescendo la percezione che quello che prima poteva dirsi un «improbabile» scontro armato tra Cina e Stati Uniti stia progressivamente diventando plausibile, anche se ancora improbabile [… nel senso che] il rischio, nel breve termine, che Taiwan si veda al centro di uno scontro armato tra le due superpotenze rimane limitato». Quindi Lorenzo Lamperti pone in risalto «la grande intesa» tra Tokyo e la nuova amministrazione statunitense, soprattutto in ordine alla necessità di unire i propri sforzi in risposta alle provocazioni della Cina (nei cui confronti Tokyo ha sempre mantenuto la politica del «doppio binario», cioè competizione strategica e cooperazione commerciale), anche se una tale condivisione di intenti di carattere generale sembra venire meno quando si tratta di dover far coincidere le priorità strategiche (come le perplessità giapponesi sul rilancio del QUAD (Quadrilateral Security Dialogue), l’alleanza indo-pacifica in funzione anticinese che Washington vorrebbe rilanciare come una vera e propria «NATO asiatica»). E infine, Paola Morselli analizza la strategia attendista di Biden nei confronti della Corea del Nord, laddove «i test missilistici dello scorso marzo sono stati un chiaro segnale di impazienza da parte di Pyongyang a cui tuttavia gli Stati Uniti non sembrano ancora aver avuto modo di dare risposta». Come dimostrano, infatti, i fallimenti del recente passato «non esiste una soluzione semplice per poter risolvere la questione nordcoreana», tanto più che le tensioni tra Washington e Pechino rischiano di condannare in partenza ogni tentativo da parte di Biden. E c’è infine chi (come Federico Rampini sulle colonne de La Repubblica del 28 aprile 2021) intravede nelle prime mosse politiche Biden una chiara analogia storica, nel senso che «Joe Biden vuole “rifare” Franklin D. Roosevelt e come il presidente del New Deal ha promesso un attivismo eccezionale nei suoi primi 100 giorni di governo».

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«Sun Tzu versus AI: Why Artificial Intelligence can fail in Great Power Conflict» U.S. NAVAL INSTITUTE PROCEEDINGS, VOL. 147, N.5, MAY 2021

Quando il presidente russo Putin ha dichiarato nel 2017 che «l’intelligenza artificiale rappresenta il futuro e chi diventerà il leader in questa sfera diverrà sovrano del mondo» (rt.com/news/401731-ai-rule-world-putin/), ha sostanzialmente ragione anche se, precisa l’Autore del presente articolo, il Navy Captain (ret.) Sam J. Tangredi, direttore dell’Istituto per gli studi della guerra futura del Naval War College di Newport, la realtà è che non chi avrà la «migliore IA» dominerà il processo decisionale politico-militare, ma quello che avrà «i dati più accurati, significativi e … senza inganni». Nel dibattito statunitense in corso, sul fatto che l’IA è destinata a cambiare la natura o il carattere della guerra, bisogna tener sempre presente che, se la natura della guerra è sempre la violenza, che piega un avversario alla propria volontà, come scriveva Clausewitz ai suoi tempi, questa è una definizione che l’IA non può cambiare. Del pari, se «tutta la guerra si fonda sull’inganno», come teorizzato dal grande maestro di strategia cinese Sun Tzu (o Sunzi nella trascrizione pinyin), vissuto tra il VI e il V secolo a.C. (al riguardo vds. Bīngfǎ/Arte della Guerra, cap.7, para 14), anche questo non può cambiare. Perché allora l’allarme per l’inganno? Perché, senza informazioni accurate, l’IA può essere facilmente … ingannata. Se l’IA è «l’insieme di tecniche statistiche che insegna al software a prendere decisioni sui dati passati», un calcolo dunque di livello superiore che può correlare rapidamente enormi quantità di dati e che ha dimostrato anche la capacità di simulare due attributi umani: il riconoscimento vocale e visivo, che richiedono enormi quantità di dati. Queste abilità si basano su metodi statistici in cui le informazioni in arrivo vengono confrontate con una grande quantità di dati di training fino a quando gli 1 e gli 0 del calcolo elettronico binario percepiscono un adattamento approssimativo. Il miglior algoritmo però non è nulla senza dati accurati.

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Pertanto, il DoD (Department of Defense), non dovrebbe investire denaro in una particolare soluzione di IA senza considerare tre questioni importanti, ammonisce il Nostro. In primo luogo, i dati da cui dipende il sistema saranno disponibili in un ambiente controverso? In secondo luogo, il sistema di IA fornirà un’assistenza ragionevole al processo decisionale se dispone solo di dati incompleti o parzialmente inesatti? In terzo luogo, il sistema di intelligenza artificiale può essere progettato per anticipare e identificare l’inganno nei dati? Purtroppo i sistemi di IA civili esistenti, ai quali i militari spesso si sono ispirati, non sono stati sviluppati senza tener conto di nessuna di queste domande! Durante la Guerra Fredda — l’ultimo periodo di grande competizione di sistemi degli Stati Uniti — l’ammiraglio della flotta sovietica, Sergey G. Gorshkov, si riferì alle operazioni e alle manovre prima delle ostilità, tipo la raccolta e l’elaborazione di informazioni, come la «lotta per la prima salva». In questa visione, le forze con le informazioni più accurate, e che possono posizionarsi per colpire per prime, otterranno la vittoria. Attaccare per primi in modo efficace, richiede però la capacità di elaborare informazioni accurate più velocemente e più correttamente del nemico. Quindi, ancora una volta, l’accuratezza delle informazioni è il pre-requisito essenziale. L’intelligenza artificiale potrebbe essere di per sé uno strumento per determinare questa accuratezza, ma solo se è progettata «per riconoscere che tutte le informazioni (non solo i dati selezionati) che sta ricevendo potrebbero essere manipolate». Dai momenti iniziali dell’operazione Desert Storm, le forze statunitensi hanno avuto un enorme vantaggio sui loro nemici in termini di informazioni disponibili, prevalentemente accurate e la possibilità di inganno strategico o operativo è stata raramente presa sul serio. L’inganno tattico fu riconosciuto come una possibilità, poiché rimase un evidente carattere di guerra al primo livello. Tuttavia, aumentare il numero di sensori per raccogliere ancora più informazioni è stata considerata una soluzione probabile per eliminare la possibilità di inganno, tanto più che, all’epoca, la capacità dei sensori era arrivata già a un punto tale che alcuni leader militari suggerirono di aver finalmente «sollevato la clausewitziana nebbia della strategia», anche se gli antagonisti erano stati di volta in volta l’Iraq di Saddam Hussein, i talebani, la Serbia di Slobodan Milošević e la Libia di

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Muammar Gheddafi, che nella lotta dei dati non potevano certo entrare in competizione con gli Stati Uniti. La situazione odierna, quando i possibili antagonisti sono invece la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping (la cui capacità di inserire malware nell’IA commerciale degli Stati Uniti e, per estensione, nelle applicazioni di intelligenza artificiale militare sviluppate commercialmente, è definita dall’Autore addirittura «prodigiosa»), la lotta per un’informazione accurata nella grande concorrenza dei sistemi sarà più difficile e l’IA militare, secondo l’Autore, deve essere costruita con questo come principio di base. Tutto ciò atteso, conclude il Nostro — vincitore col presente articolo del primo premio nel concorso per saggi professionali «General Prize Essay Context» bandito dall’U.S. Naval Institute — per gestire con successo lo sviluppo dell’IA militare, il DoD deve investire più tempo, maggiori ricerche e più risorse finanziarie «per superare gli inganni dei dati e adattare l’intelligenza artificiale alle applicazioni militari». L’inganno torna così a essere un fattore primario, come ci aveva insegnato Sun Tzu e per smascherarlo l’IA deve essere progettata all’uopo fin dall’inizio.

«Rodi 1480: Il Grande Assedio» MEDIOEVO. UN PASSATO DA RISCOPRIRE, N.292, MAGGIO 2021

Nel 1453 Maometto II aveva conquistato Costantinopoli, la «seconda» Roma che, tra alti e bassi, era sopravvissuta quasi mille anni alla caduta della «prima» nel 476 d.C. (con la meno cruenta deposizione di Romolo Augustolo da parte del generale barbaro Odoacre) e, nel giro dei decenni successivi, per dirla in sintesi, attraverso brillanti campagne militari, dopo la Grecia, aveva spinto le sue forze vittoriose nel Mar Nero (contro le colonie genovesi di Crimea e l’impero comneno di Trebisonda sulla costa nord-orientale dell’Anatolia). Quindi, aveva lanciato il suo attacco verso l’Occidente cristiano, sia per terra (Serbia e Albania) sia per mare (con l’assedio di Rodi e il sacco di Otranto, le cui drammatiche vicende sono state ripercorse da Vito Bianchi nel bel libro Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista del 2016). Ormai nel fatidico anno 1480, soltanto l’isola di Rodi, prospiciente la costa dell’Anatolia — scrive l’Autore del presente articolo, Federico Canaccini — rappresentava il principale avamposto cristiano contro l’avanzata ottomana nell’Egeo. Nell’isola potentemente fortificata che

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aveva fatto parte dell’impero bizantino (già oggetto di attacchi arabi prima e turchi poi, di cui l’Autore ripercorre rapidamente la storia), dopo il crollo dei regni crociati in Terrasanta e l’estrema difesa della piazzaforte di San Giovanni d’Acri, avevano infine trovato rifugio nel 1310 i Cavalieri Ospitalieri dell’Ordine di San Giovanni. Un ordine «religioso e caritatevole», nato per l’assistenza ai pellegrini in Terrasanta e riconosciuto ufficialmente da Papa Pasquale II nel 1113, che però nei decenni successivi aveva subito una svolta militare, «da caritatevole a cavalleresco», con la Regola ratificata da Papa Eugenio II nel 1157. In seguito, dopo la condanna e soppressione dei Templari nel 1312, l’importanza e la potenza degli Ospitalieri crebbe enormemente quando vennero nominati «eredi» del disciolto Ordine da Papa Clemente V.E. contro Rodi, in cui alle vecchie fortificazioni bizantine si sovrapponevano i più recenti ritrovati dell’architettura militare, difesa da 600 Cavalieri e 3.400 mercenari, secondo il costume dell’epoca, il 23 maggio 1480 si riversò la flotta turca di Mesih Pasha, forte di 130 navi e 40.000 uomini, le cui milizie sbarcarono sulla costa settentrionale dell’isola, iniziando con le artiglierie di grande calibro il bombardamento della torre strategica di San Nicola, che dominava il porto. E accanto ai cannoni, comparvero macchine da lancio e arcieri con frecce incendiarie (contro cui gli Ospitalieri avevano predisposto una sorta di «corpo di pompieri d’assalto» così da neutralizzare prontamente gli incendi che devastavano la città, spargendo il panico tra la popolazione). Gli Ottomani tentarono allora di attaccare la città anche via mare, ma ben due «assalti anfibi» vennero respinti dai difensori, mentre una vera e propria guerra di trincee venne iniziata dai Turchi per avvicinarsi sempre più al fossato e alle mura della città. L’attacco finale del 27 luglio, combattuto tra le ma-

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cerie delle mura cittadine, portò a un terribile corpo a corpo, senza però successi significativi da parte dei Turchi, tanto che Mesih Pasha, alla fine d’agosto, dovette prendere atto della propria sconfitta (dei 40.000 uomini con cui era sbarcato, quasi un quarto aveva perso la vita) e decidere quindi di ritirarsi. Così, dopo aver resistito all’assedio turco, l’isola dei Cavalieri era salva, ma solo per poco, fino a quando cioè non venne di nuovo assediata e questa volta conquistata da Solimano il Magnifico nel 1522! Ma nel feroce scontro di civiltà tra la Croce e la Mezzaluna che caratterizza la storia del Mediterraneo, i Cavalieri già di Rodi, dopo il trasferimento a Malta, concessa loro dall’imperatore Carlo V, cambiando la propria denominazione in «Ordine di Malta», si presero la loro rivincita respingendo epicamente nel 1565 il grande assedio dell’isola lanciato dal visir Mustafa Pasha e dall’ammiraglio Piyale Pasha! Ezio Ferrante

L’armata turca si prepara all’attacco di Rodi (miniatura da un manoscritto di Guillaume Coursin) - (teutonic.altervista.org).

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