OTTOBRE 2021
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MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
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OTTOBRE 2021 - Anno CLIV
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Al comando di nave Vespucci Quattro ufficiali di Marina “raccontano” la Diplomazia Navale Gianfranco Bacchi, Curzio Pacifici, Angelo Patruno, Roberto Recchia
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Sommario PRIMO PIANO
6 Al comando di nave Vespucci. Quattro ufficiali di Marina «raccontano» la Diplomazia Navale Gianfranco Bacchi, Curzio Pacifici, Angelo Patruno, Roberto Recchia
SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
72 Diplomazia Navale alla corte di San Giacomo Michele Cosentino
18 Diplomazia ed equilibrio di potenza nel XXI secolo Gino Lanzara
PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
STORIA E CULTURA MILITARE
34 La cooperazione marittima tra i paesi adriatici
82 Il Principe e il Poeta
Fabio Caffio
Enrico Cernuschi
44 L’impiego dei droni nelle operazioni specialistiche in ambito civile, tra realtà operativa e prospettive di ulteriori opportunità
RUBRICHE
Alessandro Zampone
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Nuove frontiere della fabbricazione additiva nel settore navale: la stampa 3D di grandi dimensioni Francesco Pignatelli, Gianluca Percoco, Giovanni Pietro Schirano
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Istituti di formazione della Marina: Mariscuola La Maddalena, dove nascono i marinai
Mauro Panarello
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Focus diplomatico Osservatorio internazionale Marine militari Scienza e Tecnica Che cosa scrivono gli altri
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MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
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DIRETTORE RESPONSABILE Capitano di vascello Daniele Sapienza
CAPO REDATTORE Capitano di fregata Gino Lanzara
REDAZIONE Capitano di corvetta Danilo Ceccarelli Morolli Sottotenente di vascello Margherita D’Ambrosio Guardiamarina Giorgio Carosella Secondo capo scelto QS Gianlorenzo Pesola Tel. + 39 06 36807254
IN COPERTINA: Genova, 15 ottobre 1931, consegna della Bandiera alla R.N. A. VESPUCCI: “Alza Bandiera”.
SEGRETERIA DI REDAZIONE Primo luogotenente Riccardo Gonizzi Addetto amministrativo Gaetano Lanzo
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COMITATO SCIENTIFICO DELLA RIVISTA MARITTIMA Prof. Antonello BIAGINI Ambasciatore Paolo CASARDI Prof. Danilo CECCARELLI MOROLLI Prof. Piero CIMBOLLI SPAGNESI Prof. Massimo DE LEONARDIS Prof. Mariano GABRIELE Prof. Marco GEMIGNANI C.A. (aus) Pier Paolo RAMOINO A.S. (ris) Ferdinando SANFELICE DI MONTEFORTE
OTTOBRE 2021 - anno CLIV HANNO COLLABORATO: Capitano di vascello Gianfranco Bacchi Capitano di vascello Curzio Pacifici Capitano di vascello Angelo Patruno Capitano di vascello Roberto Recchia Capitano di fregata Gino Lanzara Ammiraglio ispettore (ris) Fabio Caffio Professor Alessandro Zampone Ingegner Francesco Pignatelli Professor Gianluca Percoco Ingegner Giovanni Pietro Schirano Capitano di vascello Mauro Panarello Contrammiraglio (ris) Michele Cosentino Dottor Enrico Cernuschi Ambasciatore Maurizio Melani, Circolo di Studi Diplomatici Dottor Enrico Magnani Dottor Luca Peruzzi Ammiraglio ispettore (aus) Claudio Boccalatte Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante
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E ditoriale
L’
Italia è un paese tecnologicamente avanzato, fortemente energivoro e dotato di un solido sistema economico industriale e imprenditoriale, centrato su dinamiche produttive a prevalente connotato di trasformazione, che nel mare e nei traffici marittimi trova un vitale fattore di sostenibilità e prosperità. Posta dalla natura nel baricentro del Mediterraneo (o forse diventata com’è proprio perché si è sviluppata ed evoluta nel mare che è stato culla della civiltà occidentale), l’Italia è un pilastro riconosciuto della NATO e dell’Unione europea. Oggi si torna a parlare con insistenza di Difesa europea, pur sapendo tutti benissimo che un simile passo, di per sé storicamente decisivo, è tutt’altro che facile. Proprio per questo, la cosiddetta «Diplomazia Navale» europea riveste un aspetto fondamentale, qualsiasi sia l’evoluzione delle cose. La stessa, pur fondamentale adozione delle nuove e indispensabili tecnologie necessarie per garantire la sicurezza marittima su scala internazionale, non può fare a meno della Diplomazia Navale. Quest’ultima, volendo ricorrere all’inglese, è comunemente definita come: «a wide range of peace time naval activities whose purpose is to influence the behaviour of another nation» (1). Data questa definizione, è evidente che l’European Union Maritime Security Strategy (EUMSS) Action Plan del 26 giugno 2018 non è un mero esercizio retorico, ma una precisa realtà estesa alle seguenti 5 macro aeree d’azione: cooperazione internazionale; sorveglianza marittima; sviluppo di capacità, ricerca e innovazione; gestione del rischio; educazione e addestramento (2). In altre parole, si tratta di un’iniziativa diplomatica a largo spettro il cui obiettivo principale è quello di contribuire ad assicurare la pace, la sicurezza e la stabilità internazionali. Poste queste premesse, cosa richiede, esattamente, l’esercizio della Diplomazia Navale nel XXI secolo? Tanto per cominciare è necessario che ciascuna nazione disponga di un moderno e adeguato strumento marittimo che — per un’azione credibile e di ampia portata — dovrà essere bilanciato in tutte le sue componenti: aeronavale, anfibia, subacquea, di forze speciali e di contromisure mine, il tutto supportato da un solido sistema di supporto formativo, amministrativo e tecnico-logistico. Tali componenti dovranno inoltre essere regolarmente addestrate e dovrà essere anche curata la formazione velica, avendo a riferimento SEGUE A PAGINA 4
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la plurisecolare esperienza maturata dalla marineria tradizionale. La Marina Militare italiana punta a disporre di uno strumento aeronavale bilanciato, di dimensioni adeguate rispetto ai crescenti impegni derivanti dai mutati scenari internazionali. Particolare rilevanza rivestono, in questo contesto, il Task Group portaerei incentrato su nave Cavour e il Task Group anfibio su nave Trieste. La componente subacquea è a sua volta basata, in termini moderni, sui sottomarini del tipo «U212A». Al loro fianco le componenti specialistiche: forze speciali, forze di contromisure mine, unità navali da pattugliamento, la rete radar costiera, servizio idrografico e, non ultime, navi a vela. Lo strumento marittimo deve integrarsi, naturalmente, nel più generale quadro militare interforze nazionale, e deve potersi dispiegare con indispensabile prontezza operativa e persistenza nel tempo, in maniera agile ed efficace, ovunque siano presenti o minacciati i legittimi interessi nazionali. Insomma, deve esprimere idonee capacità operative per assicurare, senza preavviso, un’appropriata ed efficace deterrenza convenzionale. Va da sé che l’acquisizione di una grande capacità, come una portaerei, una nave anfibia, un sottomarino, oppure un velivolo da combattimento come l’F-35, sia, inevitabilmente, un atto politico che, come tale, si basa su una maggioranza concorde in termini di propositi legislativi ed esecutivi, oltre che finanziari, militari, tecnici e industriali. Esso assume, poi, una precisa valenza internazionale. Cessati ormai da un pezzo i confortanti equilibri della Guerra Fredda, il sorgere (o risorgere) delle singole realtà nazionali e regionali, tutte tra loro di pari dignità e tutte volte ad affermare i propri interessi, ha moltiplicato a dismisura le combinazioni e i problemi in vista di un equilibrio il cui baricentro resta e rimane, per noi come per tutti, la tutela del proprio lavoro, del proprio risparmio e del proprio futuro. E tutto questo avviene in primo luogo sul mare e dal mare. Come ha sottolineato il capo di Stato Maggiore della Marina Militare: «Le nostre Marine sono chiamate, infatti, a svolgere un compito, se possibile, ancora più decisivo in vista della ripresa economica mondiale in quanto tutto, e sottolineo tutto, passa dal mare» (3). Non è quindi un caso che si stia assistendo, sotto tutti i mari del mondo, a un diffuso rafforzamento delle componenti subacquee, classica «scorciatoia» delle Marine minori di paesi ambiziosi. Spetta, per contro, alle grandi Marine (tra le quali — ci sia concesso — viene da sempre annoverata, nel resto del mondo, la nostra) gestire il proprio ben più equilibrato «Tridente» navale, aereo e anfibio, vero e proprio asse portante dell’equilibrio e della pace globale. La posta in gioco è presto detta: libertà di transito e sicurezza delle SLOC, ovvero le Sea Lines of Communications e i cosiddetti passaggi obbligati (choke points). È un tema che è già stato affrontato su queste pagine (4), eterno come è il mare. In questo classico quadro strategico, l’esercizio del Potere Marittimo esalta i compiti diplomatici esercitati dalle Marine. La storia individua, in questo senso, due precise attività: il «mostrare bandiera» e la cosiddetta «diplomazia delle cannoniere» (Gunboat Diplomacy). Sono missioni proprie ed esclusive delle Marine militari: esse si aggiungono, in linea avanzata, a quella che è la difesa del territorio, a sua volta associata al «Sea Control» e la «Power Projection Ashore» o, alla peggio, col «Sea Denial», la guerriglia navale in potenza o in atto delle realtà minori (5). Sulla vecchia Gun Boat Diplomacy c’è poco da dire. Fu definita dallo storico Sir James Cable (6): «L’impiego o la minaccia d’impiego di Forze navali per assicurarsi un vantaggio politico o negarlo all’avversario senza provocare un vero e proprio conflitto». Fu il frutto di un’epoca passata, quando il divario tra le potenze navali europee (in pratica la sola, per quasi un secolo, superpotenza britannica) e il resto del pianeta era tale da permettere di ottenere risultati cospicui con pochi e limitati mezzi. Diverso e ben più articolato il caso, per esempio, del confronto verificatosi all’epoca della crisi dei missili di Cuba, quando il blocco navale statunitense costrinse l’Unione Sovietica a scendere a un compromesso non in seguito
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all’invio di alcuni cacciatorpediniere residuati di guerra intorno a quell’isola, ma perché dietro loro c’era, ben evidente, la potenza aerea, sottomarina e di superficie dell’US Navy. Non si tratta di far tornare di moda la vecchia Gunboat Diplomacy bensì declinarla e attagliarla in chiave moderna ai nuovi scenari internazionali. Essa va, infatti, inclusa nel contesto, ben più ampio, sottile e discreto, della Diplomazia Navale (7). Si incomincia, pertanto, con il «mostrar bandiera» avendo immediatamente dietro la linea dell’orizzonte (o sotto la superficie del mare) la necessaria e indispensabile «deterrenza convenzionale». Il tutto alla luce di un chiaro e severo obiettivo strategico (ovvero diplomatico, economico e politico) identificato dai poteri dello Stato. Non si tratta di mostrare cannoni o missili, ma di dare un’immagine quanto più possibile aggiornata della nazione in termini di legittimi interessi da tutelare, al pari dell’espressione della storia e della cultura sottostanti. Una carta d’identità ben precisa. In questo modo la Diplomazia Navale copre l’intero spettro dei suoi pressoché infiniti campi d’azione favorendo la reciproca comprensione e prevenendo le crisi, salvo dover intervenire, se del caso, rapidamente e a ragion veduta (8). Anche il Sea Power Symposium di Venezia, evoluto in chiave trans-regionale, è parte della Diplomazia Navale (9), in quanto assicura le correlate attività di confronto, conoscenza, discussione e scambio, tutte tra loro fondamentali per «prevenire» e «influenzare» (10). Questo è anche il senso del «mostrar bandiera». Possiamo quindi dire che la diplomazia navale, sviluppata anche nel quadro delle Alleanze ovvero dei simposi internazionali, è espressione di multilateralismo e quindi di modernità. Una modernità che non prescinde dalle tradizioni e dallo storico modo di fare diplomazia, sul mare e dal mare. Ne è validissimo esempio l’efficacia che ancora oggi esprime nave Vespucci, a 90 anni da quel 15 ottobre 1931, in cui ricevette a Genova la bandiera di combattimento. Non un gesto banale, né un atto dovuto, ma la conferma, tra gli altri compiti, di una specifica missione in capo a quell’unità: assicurare anche il compito di strumento della Diplomazia Navale, in aggiunta all’addestramento e alla formazione degli allievi ufficiali dell’Accademia navale. Dopo 90 anni, nel corso dei quali sono state assolte con successo — anche in guerra — tutte le missioni affidategli, il Vespucci prosegue nel segno della propria tradizione, che è poi quella della Marina tutta: ambasciatore dell’eccellenza del prodotto italiano e della sua cultura, realtà basate sul progresso e sullo scambio economico e sociale a ogni latitudine. Nel rispetto del diritto e tutelando l’ambiente marino, con la maestosità e il silenzio di quel primato, sempre ricercato sin dagli anni Trenta, delle ore di moto «alla vela». In questo numero ricordiamo questa nave, pressoché unica al mondo, attraverso gli scritti di quattro comandanti di quest’unità: una testimonianza diretta, intrisa di salmastro. NOTE (1) Ambasciatore Paolo Casardi, intervento al Sea Future, La Spezia 28 settembre 2021. (2) https://ec.europa.eu/oceans-and-fisheries/ocean/blue-economy/other-sectors/maritime-security-strategy_it, 14/10/2021. (3) Atti del XII Regional Seapower Symposium, p. 2, introduzione del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare. (4) Rivista Marittima marzo 2020: editoriale p. 4. (5) In Italia, l’autorità politico-militare assegna alle Forze armate 4 missioni. Primo: difesa dello Stato (integrità dello spazio territoriale, difesa degli interessi vitali, delle vie di comunicazione e di accesso al Paese). Secondo: difesa degli spazi euro-atlantici ed euro-mediterranei. Terzo: contributo alla pace e alla stabilità internazionale. Quarto: concorso in caso di pubbliche calamità. (6) Sir James Cable, Gunboat Diplomacy , MacMillan, Londra 1971. (7) Ammiraglio Pier Paolo Ramoino, Rivista Marittima, marzo 2020, p. 22. (8) Linee di Indirizzo Strategico dello Stato Maggiore Marina 2019-2034. Capire, prevenire, intervenire, rappresentano le macro-attività dove la Marina Militare dovrà esprimere, mantenere e acquisire le capacità necessarie (Supplemento alla Rivista Marittima, aprile 2019, p. 12). (9) Ambasciatore Paolo Casardi, intervento al Sea Future, La Spezia 28 settembre 2021. (10) Linee di Indirizzo Strategico dello Stato Maggiore Marina 2019-2034, p. 19, Supplemento alla Rivista Marittima, aprile 2019.
DANIELE SAPIENZA Direttore della Rivista Marittima
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Al comando di nave Vespucci
Quattro ufficiali di Marina “raccontano” la Naval Diplomacy ARTICOLO EDITO SU INVITO DELLA DIREZIONE
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Al comando di nave Vespucci. Quattro ufficiali di Marina “raccontano” la Naval Diplomacy GIANFRANCO BACCHI. Capitano di vascello, nato a Forlì. Dopo aver frequentato il Liceo scientifico a Forlì, nel 1988 è entrato all’Accademia navale di Livorno. Appassionato di vela sin da ragazzo, ha partecipato a importanti gare internazionali. Tra il 2002 e il 2005 ha comandato la nave a vela Capricia, donata dalla famiglia Agnelli alla Marina Militare italiana nel 1993. Nella sua carriera ha assunto numerosi incarichi ed è stato insignito di vari riconoscimenti. Ha comandato il cacciamine Milazzo e il pattugliatore di squadra Bersagliere, è stato docente di Comunicazione presso l’Istituto Studi Militari Marittimi di Venezia dal 2010 al 2013. Dopo 3 anni alla NATO, dal 2013 al 2016, presso il Joint Force Command di Brunssum (Paesi Bassi), con il grado di capitano di vascello, ha ricoperto l’incarico di Capo Ufficio relazioni esterne e cerimoniale presso lo Stato Maggiore della Marina. Da ottobre 2019 a settembre 2021 è comandante della nave scuola della Marina Militare italiana Amerigo Vespucci, veliero varato nel 1931 e conosciuto in tutto il mondo. La nomina è stata effettuata dal Capo di Stato Maggiore della Marina. La decisione si è basata su una serie di fattori: i meriti acquisiti in carriera, le capacità generali e il curriculum. Determinanti sono stati il suo background nella vela e il precedente incarico nell’ambito del Cerimoniale e delle Relazioni esterne. Attualmente la sua destinazione di servizio è Venezia, presso Maristudi, dove nell’ambito della Direzione Corsi cura la progettazione del XIII Trans-Regionale Seapower Symposium of the wider Mediterranean, un convegno di interesse planetario che coinvolge i Capi di Stato Maggiore delle Marine del mondo oltre ai massimi rappresentanti di industria e organizzazioni internazionali. Il Simposio si terrà fra il 5 e il 7 ottobre 2022.
CURZIO PACIFICI. Capitano di vascello, nato a Livorno il 19 novembre 1964. Dopo aver conseguito la maturità scientifica, ha frequentato l’Accademia navale nel quadriennio 1983-87. Al termine della stessa ha partecipato ai corsi di pilotaggio presso l’US Navy conseguendo i brevetti di pilota di ala fissa e ala rotante. Rientrato in Italia nel 1990, ha effettuato il passaggio macchina sull’elicottero AB 212 ASW presso la Stazione elicotteri di Catania, al termine del quale è stato imbarcato su unità della Squadra navale, fregate e caccia, nella base navale della Spezia e di Taranto, assolvendo numerosi incarichi operativi. Nel corso di questi imbarchi ha partecipato alle missioni in Golfo Persico e in mar Adriatico, sia sotto bandiera NATO sia UE. Nel comandato il cacciamine Termoli e nel 2003 la fregata Bersagliere. Nel 1996 è stato imbarcato sul cacciatorpediniere Mimbelli, dove ha svolto l’incarico di capo Reparto operazioni e Comandante in II. Tra gli incarichi di rilievo a terra, è stato assegnato al Comando Operativo di vertice Interforze (COI) come ufficiale di staff del Capo di Stato Maggiore della Marina, nel settembre 2006 è stato destinato presso il quartier generale NATO a Norfolk - Stati Uniti (Allied Command Transformation - ACT), quale responsabile della policy della Education & Training delle forze alleate e nel triennio 2009-12 è stato vice capo del 6° Reparto aeromobili dello Stato Maggiore Marina. Dal 29 ottobre 2012 è stato al comando della nave scuola Amerigo Vespucci fino al 4 ottobre 2016, compiendo due Campagne di istruzione in Nord Europa, nel 2013 e 2016, intervallate dai grandi lavori di ammodernamento dell’unità. Dal 30 ottobre 2017 è stato destinato all’ambasciata d’Italia a Mosca quale addetto navale, rientrando nell’aprile del 2016 all’Ufficio Pubblica Informazione e Comunicazione - UPICOM della Marina Militare. È laureato in Scienze marittime e navali, Scienze politiche e ha conseguito il master in Defence Studies presso il King’s College London.
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Al comando di nave Vespucci. Quattro ufficiali di Marina “raccontano” la Naval Diplomacy ANGELO PATRUNO. Capitano di Vascello, nato a Bari il 30 maggio 1967. Ha frequentato l’Accademia navale di Livorno, uscendone con il grado di guardiamarina nel 1989. Al termine del corso di Artiglieria navale presso il Centro di Addestramento navale della Marina Militare di Taranto (MARICENTADD) nel 1990, ha prestato servizio in qualità di ufficiale Addetto armi dapprima sull’incrociatore Andrea Doria e successivamente sulla corvetta Chimera. Nel 1997-98 è stato il comandante dell’unità ausiliaria Tremiti. Dal 1998 al 2000 ha prestato servizio in qualità di capo Reparto operazioni sulle fregate Lupo e Perseo. Dal 2000 al 2002 ha prestato servizio a Taranto presso il Centro di Addestramento della Marina Militare in qualità di ufficiale istruttore della Componente armi. Dal 2003 al 2005 è stato il comandante dei corsi del ruolo truppa presso la Scuola Sottufficiali di Taranto (MARISCUOLA). Nel 200607 è stato il comandante della nave scuola a vela Palinuro. Dal 2007 al 2009 ha prestato servizio come ufficiale responsabile della Lotta antiaerea e successivamente a capo del Reparto addestramento tattico presso MARICENTADD. Dal 2010 al 2016 ha prestato servizio presso il Comando NATO a «framework» italiano delle Forze marittime (COMITMARFOR), prima in qualità di capo Ufficio piani e, successivamente, in qualità di Capo di Stato Maggiore. Ha conseguito la Laurea in Scienze marittime della navigazione presso l’Università di Pisa e in Scienze politiche presso l’Università di Trieste. Ha frequentato il 6º Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze (ISSMI) presso il Centro Alti Studi per la Difesa (CASD) di Roma. Nel 2016-17 è stato il comandante della nave scuola a vela Amerigo Vespucci. Dal 2017 al 2019 ha prestato servizio presso il comando della Seconda Divisione navale (COMDINAV DUE) a Taranto in qualità di Capo di Stato Maggiore. Da agosto 2019 ha assunto l’incarico di direttore della Direzione Fari e Segnalamenti del Comando Logistico della Marina Militare. ROBERTO RECCHIA. Capitano di vascello, nato a Putignano (Bari). Ottenuta la maturità scientifica presso il Liceo scientifico statale di Putignano (1987) ha svolto il Corso Normale all’Accademia navale di Livorno (1987-91) conseguendo la laurea in Scienze marittime e navali presso l’Università di Pisa. Nel 2005 ha conseguito anche la laurea in Scienze politiche presso l’Università degli Studi di Trieste. Svolto il Corso di «Lotta sotto la superficie», «Lotta antisommergibile e Armi subacquee» presso il Centro di Addestramento aeronavale di Taranto (1992) e ottenuto il brevetto di operatore subacqueo abilitato al lavoro in carena presso il COMSUBIN della Marina Militare (1993) è stato capo Componente sonar e capo Reparto subacqueo della fregata Euro dal 1992 al 1995, partecipando tra l’altro all’operazione Sharp Guard (Ex-Jugoslavia). Ha conseguito la specializzazione in Contromisure mine e dragaggio presso l’Accademia navale di Livorno (1995) per poi essere capo Servizio operazioni del cacciamine Chioggia (1996-97), ufficiale in 2a del cacciamine Alghero (1997-98) e comandante del cacciamine Vieste (1999-2000) con cui ha partecipato, tra l’altro, alle operazioni di bonifica da ordigni bellici in mar Adriatico. Dopo l’abilitazione al «Comando navale» presso il Centro di Addestramento aeronavale e la Scuola comando di Augusta (1998) e il Corso Normale di Stato Maggiore presso l’Istituto di Guerra marittima di Livorno (1999) è stato designato quale «Principal Staff Officer» (capo dello Staff) della Forza navale NATO di Contromisure mine del Sud Europa (2000-01) imbarcato su unità navali delle Marine militari greca e turca. Successivamente ha svolto l’incarico di ufficiale di collegamento della Forza navale NATO di Contromisure mine del Sud Europa presso il Comando navale alleato del Sud Europa (2001-03). A completare gli incarichi all’estero, la designazione quale addetto Sezione operazioni ed esercitazioni UE presso la Rappresentanza militare italiana ai comitati militari della NATO e UE di Bruxelles (2003-06). In qualità di comandante in 2a di nave Bersagliere dal 2006 al 2008 ha partecipato all’operazione NATO Active Endeavour (lotta al terrorismo internazionale). È stato comandante di nave Anteo (2008-09), unità altamente specializzata quale nave appoggio subacquei e incursori della Marina. Prima di assolvere l’incarico di comandante di nave Amerigo Vespucci, dal 2017 al 2018, ha svolto diversi incarichi di staff presso gli Stati Maggiori Difesa e Marina. Attualmente è capo Ufficio sport, delegazione CISM e attività paraolimpica presso lo Stato Maggiore Difesa e, in virtù di tale incarico, capo Delegazione italiana presso il Consiglio internazionale dello sport militare (CISM) e vice presidente del Gruppo Sportivo Presidente Difesa (GSPD). Riveste, inoltre, l’incarico di presidente del Circolo ufficiali MM «Caio Duilio» di Roma ed è membro del Consiglio direttivo nazionale della Lega Navale italiana in quota Ministero della Difesa.
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a mia esperienza è nata l’8 ottobre 2019, anche se sarebbe forse più opportuno affermare che ha avuto origine il 5 luglio 1989, giorno in cui per la prima volta ho potuto leggere la frase «non chi comincia ma quel che persevera» sul quadro in legno fissato a proravia dell’osteriggio di poppa. In quel momento ho sentito l’odore caratteristico del Vespucci, un misto fra canapa, manilla, legno e scarico dei diesel prodieri che fuoriesce dal fumaiolo sul ponte delle barche. Quello stesso odore, memorizzato dai miei recettori olfattivi, si è ripresentato 30 anni dopo ed è stato immediatamente riconosciuto. Questo è il primo elemento identificativo di questa nave, che la rende già di per sé unica e inconfondibile. Ho vissuto, con ogni probabilità, il biennio più controverso della storia del Vespucci: un periodo nato con un progetto di straordinario impatto relazionale, un Giro del Mondo su 33 tappe e 18 mesi di fuori sede, finito nell’isolamento di due Campagne d’Istruzione «locali» condotte senza la possibilità di ricevere visitatori e guardando il mondo dal mare. Un dramma sociale come la pandemia da Covid-19 ha trasformato la straordinarietà di un’emergenza sanitaria in una delle più grandi opportunità formative e comunicative mai sperimentate. Io, il 122o comandante dell’Amerigo Vespucci, da «timoniere» di un’icona nazionale in giro per il mondo con programmi pianificati, concordati e approvati, a nocchiero di una vascello in giro per il mare alla ricerca del vento e delle migliori condizioni di navigazione. Nel maggio del 2020, al termine di un durissimo lockdown nazionale, ho ricevuto il più bello degli ordini che un marinaio possa mai augurarsi: «molla gli ormeggi e vai dove vuoi, dove ritieni più opportuno veleggiare massimizzando il risultato formativo». E così ho fatto. Il bilancio di questi due anni è nelle parole di un mio ufficiale che alla domanda «cosa abbiamo perso con l’annullamento del Giro del Mondo?» Ha risposto «tanto». «Cosa abbiamo guadagnato in questi due anni di navigazione insieme in Mediterraneo, alla ricerca del vento e delle onde?» Ha risposto «di più». Cosa sono stati questi due anni di comando per me? Di più. Gianfranco Bacchi
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Al comando di nave Vespucci. Quattro ufficiali di Marina “raccontano” la Naval Diplomacy
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ome ufficiale di Marina, ho sempre ritenuto il comando di una nave militare lÊambizione più elevata che si possa raggiungere nella propria ÿvita operativaŸ di marinaio. E il comando di nave scuola Amerigo Vespucci, la nave più bella del mondo, è stata lÊesperienza più significativa, impegnativa e appagante della mia vita professionale, il coronamento di una carriera e di una vita dedicata al mare e alla Marina. Comandare vuol dire impiegare al meglio, uomini e mezzi per assolvere una missione, e nel caso di nave Vespucci unÊulteriore funzione risulta fondamentale, determinata soprattutto dalla tipologia di questa nave del tutto sui generis: addestramento e rappresentanza, ovvero attività formativa ed educativa a bordo e diplomatica a terra e allÊestero. Quindi addestrare e soprattutto formare il personale alla vita di bordo, allÊandar per mare, allÊarte marinaresca, a vivere e lavorare in squadra, e per gli allievi a diventare parte di un corso di Accademia e a rappresentare il proprio paese. UnÊesperienza impegnativa ed esaltante che li legherà tutta la vita. E questo per il comandante non è affar da poco: lÊesempio è insito nella funzione, ma avere quale massima priorità anche lÊeducare assorbe un grande impegno e, al contempo, grandissima soddisfazione, nel portare avanti con il suo stile personale le molteplici attività a bordo; ciò rende ogni campagna dÊistruzione unica sia per chi la vive in navigazione sia per chi la scopre come visitatore. LÊallievo, nel suo battesimo del mare, impara le fondamenta dellÊarte marinaresca, dallÊuso della bussola magnetica e del sestante, alle manovre fisse e volanti dellÊalberatura, dal lavorare in squadra a valorizzare il tempo. Patrimonio di conoscenze che arricchirà tutta la sua vita professionale e personale. Questa varia e interessante, quanto faticosa, attività a bordo, rende questo incredibile vascello ancora più attraente e di successo nella sua missione di rappresentanza. Dovunque approdi, le persone che si accalcano per visitare la nave e le autorità invitate a bordo oltre ad ammirarne la bellezza, sono colpite dalla poliedricità delle attività che si svolgono a scopo formativo. Una volta affascinati da questo contesto, apprezzano anche lÊospitalità italiana e le sue eccellenze enogastro-
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nomiche, presentate senza sfarzi ma con elegante semplicità e qualità. Ancor di più la disponibilità e lÊattenzione dellÊequipaggio e degli allievi nellÊaccompagnare i visitatori e presentare la nave, le sue caratteristiche e di concerto lÊItalia. La nave, infatti, è pur sempre un pezzo dÊItalia che viaggia e ormeggia nei paesi stranieri. Inoltre, nave Vespucci, nella sua unicità ed eccellenza, risulta peraltro decisamente economica ed ecosostenibile. Grazie alla sua magnifica progettazione (lo stesso ingegner Rotundi aveva costruito già nel 1931 lÊunità con una propulsione diesel-elettrica) e ai grandi lavori di ammodernamento del 2014, la nave ha tutte le predisposizioni per un impiego rispettoso dellÊambiente, dal razionale trattamento dei rifiuti liquidi e solidi, alla propulsione elettrica e al basso impatto acustico, un vero connubio di tradizione e innovazione che permette a oltre 400 persone di vivere e lavorare insieme, spostandosi a 10 nodi a vela, con un impatto minimo per lÊambiente, se comparato con la stessa realtà a terra. La Marina è la Forza armata più abituata a lavorare in contesti internazionali e tutto il personale ha esperienza, sin dalla giovane età, a rappresentare la propria nazione. Va evidenziato, infatti, che una nave militare quando entra in un porto straniero svolge anche unÊattività diplomatica; sin dallÊepoca dei vascelli del XVII secolo, stimola la comunicazione, lo scambio culturale, il confronto costruttivo. E nave Vespucci è una perfetta ambasciatrice itinerante che svolge il suo compito in maniera diretta ed efficace. Parlando di diplomacy è interessante raccontare lÊesperienza della Campagna di istruzione del 2013 in Nord Europa, ove risalimmo il Tamigi fino a Londra, lÊElba fino ad Amburgo, lo Schelda fino ad Anversa e il Tago fino Lisbona. Soprattutto lÊesperienza di Londra fu straordinaria. LÊingresso allÊormeggio a Canary Wharf, nellÊEast End di Londra, avvenne in piena notte a causa delle maree e così la manovra fu vista da pochi cittadini occasionali. Ma al mattino, dai vari palazzi di vetro della City, tutti gli impiegati di una delle piazze finanziarie
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più importanti del mondo, poterono ammirare il Vespucci con gli alberi che svettavano al cielo tra i grattaceli e i vari nocchieri a 50 metri di altezza che lavoravano alle vele. Eravamo arrivati nel cuore di Londra e i cinque giorni di sosta furono un successo di visite, eventi e manifestazioni a bordo. Molte autorità locali, colleghi britannici della Royal Navy compresi, davvero non si aspettavano che una nazione, peraltro lÊItalia, potesse ancora avere una tale unità in efficienza e soprattutto in grado di esprimere in pieno la sua capacità di formazione, una tradizione mantenuta e anche innovata. Per gli anglosassoni fu una vera espressione di meraviglia e stupore: per la bellezza e imponenza dellÊalberata, per lÊordine e la complessità dellÊarmamento, con tutte le manovre rigorosamente manuali, in fibra naturale di canapa, manilla e sisal. LÊapprezzamento da parte dei locali fu unanime, lo stesso ambasciatore dÊItalia rimase profondamente emozionato dal successo di questa sosta e alla partenza, pianificata sempre in funzione delle maree il sabato dopo mezzogiorno, volle imbarcare per sperimentare lÊuscita sul Tamigi. Gran parte della popolazione era assiepata lungo i docks, per vedere il disormeggio: grazie allÊaddestramento già raggiunto dagli allievi e alla preparazione dellÊintero equipaggio, dal nostromo ai suoi fedeli nocchieri, lÊimpresa fu un successo: lasciare Londra ÿa velaŸ lungo il Tamigi, con il tricolore a riva. Attività che ha dimostrato non solo la bellezza della nostra amata nave, ma anche la capacità di navigare ancora a vela con unÊunità di oltre 4.000 tonnellate, mantenuta in piena efficienza e splendore grazie al nostro personale, militare e civile. E quindi il Vespucci conferma la capacità di fare naval diplomacy per lÊintero comparto ÿMade in ItalyŸ a tutta la comunità internazionale, inorgogliendo il sentimento patriottico in ambito nazionale. Una diplomacy che riesce a promuovere un messaggio di solidità del paese, di concretezza e professionalità del personale, di passione e dedizione dei nostri giovani, di bellezza ed efficienza dei nostri tesori. UnÊimmagine altamente positiva di una Italia che funziona. Curzio Pacifici
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Al comando di nave Vespucci. Quattro ufficiali di Marina “raccontano” la Naval Diplomacy
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uglio 1986, New York; nave Amerigo Vespucci entra nella baia di Hudson per partecipare alle celebrazioni del bi-centenario della Statua della Libertà. Il famoso fiume che attraversa la città simbolo degli Stati Uniti ha sostituito il manto azzurro di cui normalmente si veste con un manto bianco punteggiato dalle migliaia di candide vele delle piccole e grandi imbarcazioni che in un numero imprecisato hanno mollato gli ormeggi tanto dai piccoli porticcioli di stazionamento quanto dai lussuosi Yachting Club e sono accorse a salutare la nave scuola della Marina Militare italiana, al secolo «la nave più bella del mondo». Tale fu, infatti, lo storico apprezzamento pervenuto circa sessanta anni fa dall’USS Indipendence, portaerei americana della classe «Forrestal» che incrociò il nostro veliero in navigazione e volle sancire con un messaggio trasmesso a lampi di luce quello che diventerà uno degli aneddoti maggiormente conosciuti che ha coronato la lunga storia della «Signora dei mari». Ma in quel giorno d’estate del 1986, mentre tutti gli skipper, da quelli provetti ai meno esperti, fanno a gara per passare il più vicino possibile alla fiancata a strisce bianche e nere del Vespucci, su uno dei pennoni dell’albero di maestra, con lo sguardo fiero rivolto verso i grattacieli della «Grande mela» e nella mente un bagaglio di sogni non ancora realizzati, un allievo dell’Accademia navale, al termine della prima classe, sta vivendo una grande e irripetibile emozione. È allineato e a stretto contatto di gomito con i suoi compagni di corso, anch’essi rapidamente schierati dopo la «salita a riva» per il «saluto alla voce». Ha poco più di diciott’anni, e in quel momento, a bordo di quel maestoso bastimento, amato e acclamato da tutti, si sente al centro del mondo. Luglio 2017, sono trascorsi trentun’anni dai festeggiamenti a New York ma lo scenario si presenta immutato. Migliaia di imbarcazioni rendono gli onori all’Amerigo Vespucci che, di ritorno dal Canada, primo Stato del continente americano visitato dopo la partenza per la campagna d’istruzione di quell’anno, si dirige al posto d’ormeggio, al «Pier», assegnato all’interno dell’enorme sorgitore commerciale della città che «non dorme mai». Il veliero solca ancora le acque della baia di Hudson e sfila nuovamente, questa volta a vele spiegate, di fronte alla fiaccola simbolo della democrazia
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americana. Il ragazzo che trentun’anni prima guardava verso un orizzonte ancora incerto e non definito, è a bordo della nave e anche se con qualche ruga sul volto ha conservato lo stesso sguardo fiero di un tempo. Questa volta però il suo «posto di manovra» è sul «banco di quarta», ha un binocolo al collo e una radio portatile nella mano destra; i suoi occhi passano rapidamente e alternativamente dal profilo dello scafo alla banchina in avvicinamento e la sua voce e i suoi gesti sono rivolti agli ufficiali che in plancia ripetono i suoi ordini al timoniere e alle macchine. Quel ragazzo è tornato a bordo dell’Amerigo Vespucci e ne è adesso il suo comandante. Mi è sembrato essenziale, cercare di condensare in un momento specifico, quasi in una sola immagine l’esperienza che senza ombra di dubbio rimarrà il più bel «regalo» che la Forza armata mi ha fatto in tutti questi lunghi ed entusiasmanti anni di servizio. Comandare l’Amerigo Vespucci è stato un condensato di emozioni che non è semplice elencare, perché di fatto non sono riconducibili a una semplice lista. Ognuna di esse mi ha continuamente accompagnato sia di giorno sia di notte lungo i 365 meravigliosi giorni di comando e ha assorbito le mie giornate fondendomi e rendendomi corpo unico con la «mia» nave. Il Vespucci ha questo magico potere, riconosciuto da tutti quelli che hanno avuto la fortuna di essere parte del suo equipaggio. Riesce a stimolare un senso di appartenenza non comune. Si sente di far parte di qualcosa di unico. Si è pervasi dall’orgoglio di appartenere a pieno titolo a quell’indiscusso gioiello della marineria italiana che prevale senza rivali in ogni ipotetico confronto con altri velieri sulla scena internazionale. Mentre sfoglio i ricordi di quel fantastico anno trascorso con Lei, mi soffermo su di una foto. A prora, impettiti e soddisfatti vi sono il comandante e il nostromo che posano felici a prora. Alle loro spalle troneggiano in primo piano i famosi «scopamare», vele aggiuntive di «bel tempo» che i bastimenti utilizzavano durante le traversate oceaniche caratterizzate da brezze leggere per raccogliere la maggiore quantità di vento possibile e «guadagnare» così qualche decimo di nodo in più velocizzando così il viaggio. La foto è stata scattata durante la traversata dell’Atlantico verso ovest, condotta tra Sines, graziosa cittadina del Portogallo, famosa per aver
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dato i natali al famoso navigatore Vasco de Gama e Port Hamilton nelle isole Bermuda, dopo una breve e consueta sosta a Funchal, nell’arcipelago di Madeira, storico «trampolino di lancio» dei navigatori oceanici prima del grande salto. Di quei giorni ho ancora ben impressi nella mente il silenzio prodotto dallo spegnimento del motore, il movimento lento ma imponente della nave sulle onde, il suono prodotto dal vento nelle vele, le formazioni nuvolose libere di spostarsi negli immensi spazi acquei, le limpide stellate notturne e un profondo senso di pace e di benessere. La gioia di essere esattamente nel posto in cui si è sempre sognato di essere. Ma, una nave è un magnifico amalgama tra l’acciaio con cui è costruita e gli uomini e donne che la abitano. E io infatti ho ancora un limpido ricordo dei loro occhi, gli occhi degli uomini e donne del mio equipaggio mentre con grande professionalità guidano i visitatori sul ponte di coperta della nave e con dovizia di particolari provano a raccontarla. L’equipaggio del Vespucci si nutre, infatti, della consapevolezza dell’ammirazione di quella gente che sbalordita cammina tra gli ottoni luccicanti e le «manovre correnti», chilometri di cavo di fibra vegetale, la cosiddetta «manilla», ordinatamente e impeccabilmente raccolte e fasciate in ritagli di tela olona (il materiale di costruzione tradizionale delle vele del Vespucci) su cui qualche ispirato nocchiere di bordo ha dipinto il profilo della nave e le sue iniziali dorate «A» e «V». E per ognuno di loro, per ognuno di quegli ufficiali, sottufficiali o militari di truppa con cui ho condiviso quell’avventura, ho un ricordo che conservo gelosamente nel mio cuore. Ognuno di loro ha contribuito a far sì che la missione della nave fosse portata a termine con successo e forse inconsapevolmente ma con grande generosità ha contribuito affinché il mio sogno fosse realizzato. Sono oggi consapevole di aver richiesto loro tanto, tantissimo, ma l’importanza e la rilevanza degli eventi che ci hanno visto protagonisti, primo fra tutti l’aver ospitato a bordo il Capo dello Stato in visita ufficiale in Canada, lo imponevano senza alcun risparmio di energie. Ma non è stato solo l’equipaggio «fisso» della nave a regalarmi delle forti emozioni e a rendere indelebile il ricordo di quel fantastico anno trascorso a bordo. Sono stati, infatti, gli allievi in formazione e addestramento a
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bordo del Vespucci, coloro che hanno vieppiù impreziosito la mia esperienza. Per tramite loro, ho sentito su di me e sul mio equipaggio un’enorme responsabilità. Le famiglie di provenienza di quei ragazzi in primo luogo, ma nondimeno la Forza armata, stavano affidando a me e ai miei uomini e donne il compito di plasmare i marinai di domani. Sono stato sempre consapevole che l’immagine e l’esempio forniti loro durante quell’unico e inimitabile battesimo del mare, li avrebbero accompagnati lungo tutto il percorso professionale che era lì ad attenderli. Nei loro sguardi ho potuto leggere giorno per giorno la maggiore consapevolezza di sé unita a una crescita individuale e di gruppo. Tra di loro, come è sempre accaduto e sempre accadrà sul Vespucci si sono creati legami inscindibili che andranno al di là del tempo e delle differenti strade che ognuno di loro percorrerà. Si è generata quella forza invincibile che è la forza del gruppo. Nelle difficoltà e nel confronto costante con i propri limiti e con il tentativo di superarli, essi hanno trovato linfa vitale per alimentare la coesione e la condivisione degli obiettivi. «E pluribus unum», da molti uno, come recita il motto iscritto sulla bandiera del mio corso di Accademia. Ho trascorso un’esperienza indimenticabile, a cui dedico ogni giorno un piccolo ma intenso ricordo benché siano trascorsi ormai più di quattro anni da quando ho disceso per l’ultima volta il barcarizzo della «Signora dei mari» e ho mollato personalmente e simbolicamente il cavo alla lunga durante il suo disormeggio dal porto di Civitavecchia, con a bordo ormai il mio successore, nuovo comandante della nave, proprio per tagliare anche fisicamente con un gesto il cordone ombelicale che visceralmente mi aveva legato a quella nave fino a un istante prima. Da allievo a comandante, da New York a New York, il cerchio della vita, dopo traiettorie imprevedibili, è ripassato magicamente dopo trent’anni dal punto di partenza. Questo è il messaggio che vorrei trasferire a quei giovani che avranno la voglia e la pazienza di leggere queste righe. Basta crederci e volerlo fortemente. In fondo, se a pensarlo era quell’indiscusso genio italico che fu Leonardo da Vinci dobbiamo necessariamente credergli: «Non chi comincia ma quel che persevera». Angelo Patruno
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ave Vespucci ha rappresentato una delle più intense, gratificanti e significative esperienze della mia carriera. Non potrò mai smettere di ringraziare la Marina per l’opportunità che mi ha fornito, per l’onore e il privilegio che mi ha concesso sia di viverla nel mio primo imbarco da allievo, sia nell’affidarmi, esattamente a 30 anni di distanza da quel battesimo del mare, il comando della nave più bella del mondo. Ricordo che la sola notizia della designazione, comunicatami dal capo di Stato Maggiore, aveva emotivamente travolto me e i miei cari, ma ben presto, l’iniziale entusiasmante gioia per il prestigioso impiego che mi veniva prospettato in quella lettera, ha lasciato pian piano posto alla pressione di quella enorme responsabilità che sarebbe derivata dal dover rappresentare, in quel ruolo, nelle interazioni con l’ambiente civile esterno che si vengono a creare quotidianamente, la Marina Militare e l’istituzione agli occhi dei cittadini ma anche il paese nelle occasioni di sosta in porti esteri. Un’altra responsabilità che sentivo molto chiaramente era quella, ormai consolidata dalle precedenti esperienze, di divenire riferimento e guida per l’equipaggio e ancor più a bordo del Vespucci, anche per gli allievi della prima classe dei Corsi normali dell’Accademia navale che sarebbero imbarcati in occasione della Campagna addestrativa estiva per vivere il loro primo approccio con il mare. Mi sono ritornate alla memoria, in modo molto chiaro, le immagini di quel film che era stata la Campagna di Istruzione del 1988 e il fatto di ricordare nitidamente il comandante dell’epoca, gli ufficiali di bordo, tanti membri dell’equipaggio che avevano condiviso con noi quell’ingresso nella grande «famiglia» della Marina ma anche, e soprattutto, i singoli episodi, gli eventi, gli avvenimenti, che in qualche modo erano stati una lezione appresa e un termine di paragone per il prosieguo della carriera, mi avevano dato conferma del fatto che l’esempio che avrei potuto, e dovuto, dare ai miei ufficiali, all’equipaggio e soprattutto a quelle future generazioni di ufficiali, sarebbe stato di fondamentale importanza nonché concreto elemento di supporto all’attività formativa dei giovani ufficiali di Marina. In sostanza sono state queste le considerazioni di cui ho reso partecipe l’equipaggio nel corso della mia prima assemblea generale. Nave Vespucci è un simbolo dell’ec-
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cellenza del paese all’estero, vettore/strumento di diplomazia e pertanto era di fondamentale importanza che tutto l’equipaggio fosse all’altezza di quel compito, che tutti sentissero quella responsabilità di sentirsi «ambasciatori» dell’italianità nel mondo. Parimenti, lo stesso concetto valeva nel contesto nazionale e ancor più in quello Marina, per cui nave Vespucci rappresenta un’appendice delle attività formative svolte in Accademia. Pertanto, le indicazioni fornite erano state quelle di improntare l’agire di ognuno di noi secondo tre caratteristiche: la passione, il buonsenso e la coerenza. Con il termine passione intendevo trasmettere all’equipaggio il concetto di vivere ogni giorno a bordo con intensità, entusiasmo e partecipazione, con lo spirito di chi è appunto appassionato per il proprio lavoro e che sostiene questa passione nella continua ricerca del migliorarsi attraverso lo studio, la documentazione, l’approfondimento, la sperimentazione di nuove attività e soluzioni, la cura e l’attenzione nelle attività di competenza. Così come è indispensabile che si faccia sempre riferimento a una buona dose di buonsenso inteso come presenza di spirito e raziocinio che ci porti a considerare al meglio la situazione e ci consigli nell’adottare la soluzione più efficace e corretta nella risoluzione di una qualsiasi problematica o assolvimento di un determinato compito laddove i regolamenti o le norme non siano totalmente esaustive. L’ultimo requisito, quello della coerenza, sicuramente il più difficile da rispettare, lo ritengo determinante nell’affermare quell’azione di guida, esempio e riferimento che non solo il comandante ma qualsiasi ufficiale di bordo e membro dell’equipaggio deve esercitare nei confronti di colleghi, subalterni, allievi. Professare il «fate come dico ma non come faccio io» è sempre stato, in ogni organizzazione, non solo impopolare ma anche decisamente deleterio. In definitiva, come ogni comandante, avevo inteso impostare la mia azione di comando secondo il mio stile e le mie peculiarità caratteriali, sulla base delle esperienze professionali pregresse. Di certo, essere comandanti del Vespucci era qualcosa di più. Il solo pensiero di vedere inciso il proprio grado, nome, cognome e data di inizio di quella splendida avventura su una di quelle targhe di ottone che riportavano i nomi degli illustri predecessori, dava già da sé il senso di essere entrati nella storia, di quella nave, ma
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anche della Marina Militare. Significava essere ricordati per il solo fatto di essere stati lì. Tuttavia, la sensazione era che ciò non poteva essere sufficiente, come non lo era mai stato per nessuno dei miei predecessori e come non avrebbe potuto esserlo per tutti coloro che mi avrebbero seguito. In ogni comandante nasce spontaneamente l’idea di legare il proprio nome a una qualche attività svolta in quel ruolo e ancor più sentita è questa prospettiva a bordo di nave Vespucci dove molto spesso, un evento, una circostanza, una particolarità aveva condizionato gli allievi nella scelta del nome del Corso. Per quanto mi riguarda, l’occasione di fare qualcosa di particolare e di unico, nacque allorquando mi fu resa nota, dal comando in capo della Squadra navale, la pianificazione della campagna addestrativa 2018. Tra le varie soste in porto programmate fra Mediterraneo, Oceano Atlantico e Mar del Nord, spiccava la sosta nella capitale islandese di Reykjavík dove nave Vespucci non aveva mai ormeggiato prima di allora. Già da sé, si trattava di qualcosa di unico, oltre a fare sosta in un porto per la prima volta, la nave avrebbe contestualmente superato il precedente limite di latitudine nord oltre il quale avesse mai navigato. Poteva sembrare sufficiente, ma era lì a portata di mano la possibilità di fare qualcosa di più. La programmazione della campagna addestrativa prevedeva, dopo la sosta a Reykjavík, di raggiungere il porto di Amburgo facendo rotta sud-est verso il Mar del Nord costeggiando a est la Gran Bretagna prima di intraprendere la navigazione fluviale dell’Elba. La pianificazione condotta dall’ufficiale di rotta mi prospettava, fra le due ipotesi di trasferimento, quella di intraprendere una navigazione un po’ più lunga, con la possibilità alla partenza dall’Islanda di dirigere verso ovest, costeggiare l’isola e, una volta assunta rotta nord, superare il limite dei 66°33'39" di latitudine nord del parallelo che segna il Circolo Polare Artico, e portare la nave più bella del Mondo a solcare onde fino ad allora impensabili. Così fu. Lasciato il porto di Reykjavík all’alba e in anticipo sui consueti orari di partenza, con la sua maestosa lentezza, il vascello si è diretto verso il suo obiettivo. Alle ore 00:27 locali dell’8 agosto 2018, nave Vespucci oltrepassa il Circolo Polare Artico e in-
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traprende, per la prima volta nella sua storia, la navigazione nell’Oceano Artico/Mar Glaciale Artico. Grandi festeggiamenti a bordo, battesimo del «ghiaccio» e un comune diffuso entusiasmo per aver raggiunto un obiettivo di una assoluta unicità! Ma non basta, le ore del mattino portano con sé un favorevole vento (decisamente freddo) da ovest che sembra voler accompagnare la navigazione artica. È immediata la chiamata al posto di manovra alle vele. Con un entusiasmo e una eccitazione mai apprezzata prima, nocchieri e allievi si arrampicano velocemente sulle sartie e in men che non si dica, mettono la nave in vela. Leggere la soddisfazione sui loro volti osservando i loro occhi brillare nel vedere in alto le vele gonfie spingere silenziosamente la nave, è impagabile. Sono appena stati protagonisti di un evento unico che influenzerà le loro vite, che segnerà indelebilmente le loro memorie. Il 6 settembre 2018 in Oceano Atlantico a largo di Cabo Finisterre nasce a bordo di nave Vespucci il Corso Akraton. Il loro motto: «Temprati dal ghiaccio, del mare i padroni», riporta alle esperienze estreme vissute durante la Campagna d’Istruzione a bordo di nave Vespucci, che li ha portati a spingersi fino alle terre islandesi e oltre, raggiungendo il Circolo Polare Artico, limite mai oltrepassato prima dalla Signora dei Mari. Aver superato le avversità della natura nordica ha più che mai consolidato l’intimo sentimento di unità e fratellanza, forgiando un Corso coeso e agguerrito. Nave Vespucci rimarrà un’indimenticabile esperienza professionale e di vita che mi terrà per sempre, profondamente ed emotivamente, legato alla sua storia e al suo splendido equipaggio. Roberto Recchia
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La fregata MARGOTTINI impegnata nella campagna navale in Medio Oriente e Mar Arabico (MOMA 19), finalizzata ad assicurare presenza, sorveglianza marittima e rafforzare la cooperazione con nazioni alleate e amiche anche nell’ottica di supporto al sistema Paese, avviando e consolidando relazioni con nuovi potenziali partner.
Gino Lanzara Capitano di fregata (CM); laureato in Management e Comunicazione d’impresa e anche in Scienze diplomatiche e strategiche. Analista e studioso di geopolitica e di sicurezza, collabora in materia con diverse testate. Ha pubblicato il saggio Guerra economica: quando l’economia diventa un’arma.
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econdo André Maurois (1) «La diplomazia è l’arte di esporre l’ostilità con cortesia, l’indifferenza con interesse e l’amicizia con prudenza», una summa apprezzabile fin dalle prime tavole di 300, magistralmente disegnate da Frank Miller, impegnato nella rappresentazione dei (brevissimi) negoziati tra i messi imperiali persiani e Leonida e i suoi Spartani. Una τέχνη complessa, intrisa di politica e di una storia che non è mera elencazione, ma analisi approfondita di fatti sociali e bellici e che raggiunge considerevole vetta nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, quando il servizio diplomatico assurge a piena dignità professionale con specifiche norme e prescrizioni, che affondano le loro radici nell’infinita e variegata complessità del mondo classico. Dal VI sec. a.C. gli Elleni, istituzionalizzando la prassi di scegliere i loro legati tra oratori e uomini di legge, fanno comprendere l’importanza di poter disporre di soggetti capaci di instaurare relazioni proficue con le altrui e paritetiche autorità: dal diritto privato si sviluppa il principio di immunità che, sia pur non codificato esplicitamente, diviene prima regola e poi prassi consolidata insieme con il principio di reciprocità. Dando credito alle intuizioni di Machiavelli e Guicciardini, tra le pieghe della storia delle relazioni politiche, si teorizza la liceità, per un diplomatico, di operare anche con l’inganno, poiché se è vero che egli non è propriamente al di sopra della legge, è tuttavia soggetto a un corpus regolamentare diverso, poiché sottoposto, nel corso del suo mandato, alla giurisdizione del signore di cui è riconosciuto rappresentante. L’operato dei messi è dunque in simbiosi con la volontà del principe: la ragion di Stato oltrepassa
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la morale individuale. È con Bisanzio che si comprendono l’utilità delle ambasciate e la rilevanza degli inviati, cui demandare sia l’onere di rappresentare e difendere gli interessi dello Stato rappresentato, sia di inviare relazioni dettagliate circa la situazione dei paesi stranieri di residenza. Si delinea, con sempre maggior precisione, la poliedrica e complessa figura dell’inviato: retore, osservatore arguto, politico fine e dotato di visione ad ampio spettro, tutte doti peraltro riscontrabili in uno dei corpi diplomatici più antichi, quello pontificio, forte del potere primaziale concesso, a suo tempo, dalle autorità imperiali. È l’Italia rinascimentale della seconda metà del 1400 che, oltre a essere madre e progenitrice di arte e cultura europee, diviene artefice dell’istituto giuridico diplomatico, destinato a segnare la vita politica mondiale in fieri. La diplomazia all’italiana si avvale dell’autorevolezza di personaggi di rara eccezionalità, come Dante, Petrarca, Boccaccio e, successivamente, Machiavelli e Guicciardini (2), tutti addentro al coevo contesto storico e politico. Il modello italiano (3) si estende al resto d’Europa e, con il passare del tempo, per naturale evoluzione del concetto degli Stati nazione, viene indirizzato alla cura esclusiva degli interessi del singolo paese, interessi ormai prevalenti rispetto ad un’attività diplomatica in via primigenia plasmata dall’arbitrio del Principe, volgendosi a perseguire un obiettivo rimasto immutato nei secoli: l’equilibrio di potere. L’arte rinascimentale della dissimulazione, lascia il posto a sistemi di comunicazione formali, reciprocamente accettati. È nel 1625 che Ugo Grozio (4), pubblicando il suo De jure belli ac pacis, ritenendo che tutti gli aspetti delle relazioni tra paesi dovessero soggiacere a una legge sovraordinata, comincia a dare forma più compiuta al diritto internazionale (5). Nel pensiero di Grozio, pur permanendo il concetto di guerra giusta, ovvero finalizzata alla realizzazione di un giusto diritto, si affaccia la necessità di regolamentarne le procedure, unitamente al bisogno di improntare un sistema valido e orientato alla pacifica definizione delle controversie (6). Nel 1648 la Pace di Westfalia, con l’affermazione del principio del cuius regio eius religio, segnando la dissoluzione del predominio di Papato e Impero, strutturandola su una base paritetica, fa sorgere la moderna società internazionale,
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«Nel 1648 la Pace di Westfalia, (...) segnando la dissoluzione del predominio di Papato e Impero, (...) fa sorgere la moderna società internazionale, caratterizzata dall’intensificazione dei rapporti tra Stati con la diffusione del reciproco stabilirsi di missioni diplomatiche permanenti» (Nell’immagine: il momento della ratifica, Gerard Terborch 1648 - wikipedia.it).
caratterizzata dall’intensificazione dei rapporti tra Stati con la diffusione del reciproco stabilirsi di missioni diplomatiche permanenti. La storia è stata dunque sempre accompagnata dall’evoluzione politico diplomatica degli eventi, passando per le vicende della Grande Guerra, che inaugurò la diplomacy by conference, volta a eliminare il dogma della segretezza, e duramente criticata non senza elementi di fondatezza dal diplomatico scozzese Harold Nicolson (7). A questa si aggiunse la vincolante diplomazia multilaterale, peraltro a tutt’oggi ancora invisa alle potenze dominanti, avvinte al pericolosamente prezioso principio del divide et impera, con la fondazione della Società delle Nazioni, seguita dalle NU e dalle altre agenzie a carattere specialistico (8). Successivamente al Secondo conflitto mondiale, la diplomazia multilaterale si è ulteriormente estesa grazie al ruolo rivestito da organizzazioni, regionali o internazionali, come la NATO, l’AIEA, l’FMI (9), la WTO: alla diplomazia classica si affianca la cooperazione economica bilaterale e multilaterale con i suoi crediti agevolati volti a promuovere ricostruzione e sviluppo. Hans Morgenthau (10), tra le macerie ancora fumanti della Seconda guerra mondiale, nel 1948 pubblica Politica tra le nazioni e riassume i nuovi e moderni princìpi cui fa appellare la diplomazia al fine
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«(...) successivamente al Secondo conflitto mondiale, la diplomazia multilaterale si è ulteriormente estesa grazie al ruolo rivestito da organizzazioni, regionali o internazionali, come l’FMI, l’AIEA, la WTO e la NATO» (nelle immagini, da sinistra, i loghi delle organizzazioni citate).
di evitare ulteriori conflitti: in primis la liberazione dallo spirito di crociata con un’osservazione consapevole delle situazioni da molteplici punti di vista, e con Forze armate non più dominae absolutae delle relazioni internazionali ma strumento a supporto della politica estera. Tutti propositi che, alla luce delle dinamiche onusiane, portano a valutare gli squilibri manifestatisi nel tempo come giustificazioni per dei paradossi che Giovanni Giolitti avrebbe stigmatizzato affermando che«per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano». La diplomazia può dunque essere letta come mezzo cooperativo per alleati e avversari per risolvere i conflitti senza l’uso della forza, assecondando una visione più ampia che la colloca al centro stesso delle relazioni internazionali in associazione con potenza economica o militare per consentire a un attore internazionale di raggiungere i propri obiettivi politici. Cos’è dunque la politica estera se non azione strategica dello Stato nella sua dimensione internazionale, in connessione con la geopolitica, che è studio delle relazioni esistenti tra l’azione del potere politico sviluppate nella dimensione internazionale unitamente al contesto geografico entro cui prendono forma, e la politica internazionale? Le relazioni internazionali esistono dal momento della certificata esistenza di unità politiche indipendenti, così coese da riuscire a discernere tra dinamiche interne e dinamiche che ciascuna intrattiene vicendevolmente con le altre paritetiche unità; le relazioni internazionali pertanto non possono sussistere in
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tutti quegli ambiti storici carenti sia in quanto a distinzione tra interno ed esterno, sia per effetto di confini imprecisi sia per l’esistenza di vincoli connessi a fedeltà multiple come nel Medioevo europeo. Le relazioni internazionali, in quanto a teoria, sono disciplina recente, nata in Galles nel 1919 nel segno della corrente idealista, con l’istituzione della prima cattedra di International Politics, affidata ad Alfred Zimmern (11) che la intitola al presidente Wilson (12) e poco dopo migrata negli Stati Uniti in un contesto connotato da una transizione egemonica che ha segnato politica, economia, ideologie, Forze armate, con una caratterizzazione che ha inciso sia sulla qualità del vaglio concernente gli eventi da considerare, sia per quanto riguarda l’evo storico. Al di là della restrizione di orizzonte nello studio delle relazioni internazionali, che ha determinato una distorsione tale da indurre a valutare per normale ciò che resta un’eccezione, rimane il fatto che il punto di focalizzazione di tutti i maggiori dibattiti teorici e metodologici sono gli Stati Uniti, con il loro complesso di università, centri studio, riviste scientifiche. Pur in presenza di riflessioni più o meno autonome, perché queste potessero essere considerate parte integrante del corpo disciplinare delle relazioni internazionali, hanno dovuto subire un accurato processo selettivo che ne ha recepite alcune al prezzo della rimozione di altre. Non c’è dunque dubbio che, come disciplina accademica, le relazioni internazionali siano rimaste in nuce una scienza americana che conserva la centralità dei temi posti da opinione pubblica, policy makers e comunità
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scientifica degli Stati Uniti e che offre spunti consistenti alle teorie istituzionalistiche anziché concentrarsi sulle istituzioni di lungo periodo quali la diplomazia, tralasciando questioni fondamentali come la fine della centralità europea e la conseguente dissoluzione della sua architettura politica. Finisce un’epoca, forse mai sorta, dalle cui ceneri prende il volo il realismo (13) che, eleggendo multipolarismo e bipolarismo (14), mette a nudo il fallimento delle utopie idealiste e l’impossibilità di mutare la natura della politica internazionale, affidando di nuovo alla guerra e alla sua minaccia il compito di garantire la pace presupponendo l’inutilità di perseguire quest’ultima a ogni costo, contrapponendo all’aggressione certa una più vantaggiosa guerra preventiva. La crudezza oggettiva e veritiera del realismo, ancora vivo e pregnante, non viene scalfita dai cicli storici che propongono l’insorgenza del neomarxismo, con il riorientamento delle dinamiche globali dall’asse Est/Ovest all’asse Nord/Sud, e l’evoluzione della capitalistica economia-mondo che porta sugli scudi sia il Dragone cinese sia il fallimento ideologico di Karl Marx; dell’istituzionalismo liberale, ugualmente avvinto all’aspetto economico capitalista; del costruttivismo che impone la comprensione delle istituzioni superando solo ipoteticamente la dimensione statocentrica. Nulla di strano, dunque, nel constatare come la teoria delle relazioni internazionali si sia sistematicamente rivolta alla questione della Guerra Fredda, figlia della seconda metà del ‘900, omettendo il legame tra il XX e i secoli precedenti, e smarrendo la consapevolezza che la politica internazionale analizzata altro non è che un modello determinato in via storica e geografica, privo di assolutezza concettuale. Questo conduce a considerare che globalizzazione e politica interstatale sono il risultato di un processo storico recente e dunque di per sé prive di validità universale, in ragione del fatto che ancora e solo gli Stati rimangono i detentori sovrani della facoltà di esercizio legittimo della violenza. Mentre per Raymond Aron (15) le relazioni internazionali hanno a che vedere con «lo studio della guerra e della pace, nonché di tutto ciò che esiste lungo il continuum che corre fra questi due elementi estremi» (16), per Stanley Hoffmann (17) «se la scienza politica è la scienza del potere, le relazioni
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internazionali sono la scienza dell’assenza di potere o della molteplicità dei poteri» (18) che implicano la compresenza di diverse condizioni, ovvero l’esistenza di attori, l’identificazione di un assetto che distribuisca gli attori stessi nello spazio, un sistema di interazione tra soggetti nell’ambito di un contesto che consideri la polarità del sistema politico definendone l’intrinseco carattere anarchico che individua la dimensione della sovranità, definendo gli Stati quali unici detentori di legittimità politica e che si richiama alla filosofia di Hobbes (19), Grozio, Kant (20); Stati che soggiacciono a precisi elementi che portano a indirizzare i coefficienti di volitività verso popolazione, posizione strategica, risorse economiche, volontà di potenza. Sotto quest’ottica, sempre considerando quale possa essere o diventare il campo d’azione della diplomazia, il sistema internazionale deve essere contemplato dove poter individuare gli elementi fondanti di una politica di potenza esercitata da attori indipendenti animati dal principio del superiorem non recognoscens. È diplomaticamente un gioco di equilibrio, che vede egemonia e stabilità sistemica dipendenti dalla concentrazione di potenza, con una distribuzione spesso diseguale, ma comunque ottimale; se le teorie del bilanciamento e teorie egemoniche inquadrano l’ordine quale elemento di attenuazione ancorché temporanea delle condizioni di anarchia. Ciò che è interessante tuttavia, è la visione incombente della guerra, che può figurare persino sia come il contrario del disordine secondo il principio della guerre en forme in linea con l’accezione conferita dal giurista Vattel (21), sia in quanto chiamata a interpretare un ruolo basilare nel mantenimento stesso dell’ordine internazionale. La stabilità dell’ordine dipende da quantità e natura delle risorse possedute, dalla configurazione del sistema, dal tipo di egemonia, dalla leadership economica, dall’esercizio della supremazia militare con il potere marittimo sotto l’ottica suggerita dalla direzione egemonica, culturale e morale teorizzata da Antonio Gramsci (22). La differenziazione tra politica interna ed esterna individua dunque lo stigma del sistema politico internazionale moderno, ovvero l’inesistenza di un governo mondiale, condizione che, costringendo ogni soggetto ad avere cura di sé stesso, ricade nell’accezione dell’anarchia internazionale, con
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condizione afferente al dilemma della sicurezza, che induce ad accumuli incontrollati di potenza secondo un movimento a spirale legittimato dalla mancanza di un’entità internazionale che controlli l’uso della forza da parte dei singoli Stati. È qui che, ancora realisticamente, si inserisce la tematica dell’equilibrio di potenza, uno dei teoremi più delicati delle relazioni internazionali, dove ci si riferi-
L’ammiraglio statunitense Alfred T. Mahan. Le sue idee sul potere marittimo hanno influenzato il pensiero navale nel mondo, e Julian Corbett, importante storico e geostragista britannico (usni.org). Accanto: l’accademico statunitense dell’Università di Princeton, Robert Keohane (Chatham House).
il sostantivo anarchia che non riveste il significato comune e corrente. Quale contraddittorio storico concettuale, anticipando le tematiche che tratteremo, cominciando a saggiare le profondità oceaniche, nel XIX secolo di Mahan e Corbett, la multipolarità affaristica globale e l’ordine mondiale non erano poi così anarchici, ma associati alla presenza di un potere dominante, quello Britannico, supportato dalla potenza della Royal Navy; Robert Keohane (23), in questo senso, ha parlato di stabilità egemonica per descrivere la situazione in cui una pace più ampia è il risultato di diplomazia, coercizione e persuasione da parte della potenza leader. Pur nella considerazione che il sistema politico internazionale è privo di governo, non può tuttavia dirsi che lo stesso sia per questo disordinato; ciò che è dunque difficile comprendere nelle relazioni internazionali, consiste nel porre a sistema come in un sistema anarchico si possa giungere all’ordine. Del resto va rammentato che, sebbene la cultura contemporanea sia adusa ad associare una complessa connotazione concreta e sostanziale all’anarchia, è tuttavia opportuno rammentare che la stessa è stata a lungo simbolo del pluralismo e delle libertà occidentali, in opposizione al dispotismo asiatico. Il rischio, come dimostrato dalla storia, è che i freni sociali, culturali, istituzionali, relazionali, potendo cessare dall’operare, indirizzino l’anarchia verso la
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sce a una situazione nella quale nessun attore anche solo grazie ad alleanze, può ambire al dominio sugli altri soggetti. È del resto evidente che in politica internazionale esistono leggi immutabili che si rifanno comunque all’idea di Stato, di sicurezza contrapposta all’anarchia, fattori che portano immancabilmente a un lavorio diplomatico che segue sia il principio del selfhelp, che conduce a schierarsi con il più debole contro il più forte, sia la teoria del domino (24), secondo la quale anche un piccolo spostamento nella distribuzione di potenza, o della minaccia, scatena cambiamenti dello stesso segno. Quasi superfluo rammentare che la distribuzione di potenza è rimasta sottesa a logiche concrete e non a preferenze meramente ideologiche, dato che le alleanze di equilibrio non sono mai state pro ma sempre contra aliquem, in relazione alla potenza in quel momento disponibile. Se per Cobden (25) l’equilibrio è pura illusione, Ikenberry (26) individua tre possibili tipi di ordine, quello spontaneo dell’equilibrio, quello costituzionale negoziato, quello egemonico e imposto
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dalla grande potenza o con il dominio o con la leadership. Sotto questa prospettiva, la politica internazionale è raffigurabile come una successione di ordini imposti dall’egemone di turno, ragion per cui l’evoluzione sistemica è stata caratterizzata dall’emersione di Stati che hanno governato stabilendo i modelli delle interazioni e le regole del sistema L’ammiraglio tedesco e segretario di Stato per il ministero della Marina attraverso guerre di imperiale A. von Tirpitz (wikipedia.it). Nella pagina accanto: il matematico ampia portata. A tal proed economista statunitense, John posito va rimarcato che F. Nash (britannica.com). nessuna teoria considera sic et simpliciter la forza bellica quale fonte sufficiente di egemonia, per sua natura temporanea, ma quasi tutte evidenziano la necessità di una supremazia militare. Egemonia è dunque la capacità proiettiva globale di forza militare tale da consentire la conquista di una posizione economica dominante, sia grazie all’hard power sia all’attraente e seduttivo soft power. Non a caso una rilevanza cruciale è rivestita dal potere marittimo, del cui fascino fu interprete anche l’ammiraglio A. von Tirpitz, Segretario di Stato dell’Ufficio della Marina Imperiale tedesca, che permette all’egemone di creare un sistema di transazioni commerciali a vasto raggio traendone profitto. Di rilievo l’osservazione che Keohane muove circa il fatto per cui l’egemonia facilita la cooperazione mentre il declino la complica, benché l’egemonia stessa non sia condizione indispensabile per ottenerla. Nel contesto delle relazioni internazionali, ci piace rammentare due figure di altissimo spessore politico-diplomatico: Metternich (27) e Kissinger (28), comparando, noblesse oblige, quanto traspare da Diplomazia della Restaurazione (29) riferita al Principe Klemens e da Gli anni della Casa Bianca fino a L’Arte della diplomazia del segretario di Stato statunitense. L’accostamento austro-statunitense fa emergere un approccio realista da parte di
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entrambi che culmina con la strategia della diplomazia triangolare, riscontrabile in Metternich nella trattazione della questione sassone emersa durante il Congresso di Vienna, con il triangolo formato da Austria, Prussia e Francia e, per quanto concerne Kissinger, per il rapporto tra Stati Uniti, Unione Sovietica e Cina, elemento fondante della détente russo-americana. Sia Metternich sia Kissinger inclusero alleati inattesi: Francia e Cina. Con i transalpini, il Principe aveva scongiurato il rischio di un compromesso geopolitico aprendo una nuova fase verso lo Stato che pure aveva sovvertito l’ordine europeo, usando Parigi quale elemento di disturbo volto a contenere gli ingombranti interessi prussiani. La mossa austriaca, segnando il ritorno francese sulla scena dell’equilibrio europeo, consentì a Vienna di porsi al centro di un sistema utile per consentire la legittimazione politica franco-prussiana; Kissinger, da parte sua, sfruttò l’inattesa frattura sino-sovietica per imprimere una svolta al sistema bipolare, includendo nella propria orbita un paese ritenuto ostile. Gli Stati Uniti divennero il fulcro di un sistema attorno al quale far ruotare Unione Sovietica e Cina, e dove i due exalleati competevano per ottenere l’assenso del maggior rappresentante del capitalismo. Sia Metternich sia Kissinger furono al governo in un momento in cui la coesione interna era indebolita da una congiuntura critica caratterizzata da un mondo in trasformazione in cui recuperare il senso di sicurezza smarrito. Capacità di connessione logica, abilità nel tessere la rete diplomatica, perseguimento dell’interesse nazionale, flessibilità strategica fanno rientrare i due consiglieri in un ambito realista attento alla geopolitica e all’analisi dei rapporti di forza. Nel riconoscere quali caratteristiche comuni la prudenza rispetto all’uso della forza e il ricorso al negoziato anche per via non convenzionale quale quella offerta dalla diplomazia segreta, si deve ammettere che sia l’austriaco che l’americano hanno saputo farsi trovare pronti al mutare delle circostanze adattandovi una strategia di successo, accantonando le crociate ideologiche pur di raggiungere il proprio obiettivo. Quanto si sarebbero divertiti i professori von Neumann (30), Morgenstern (31) e Nash (32)? Molto, tra geni c’è un’ironica e inestinguibile affinità elettiva. Nella Teoria dei Giochi anche a loro attribuibile, la liaison tra
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competizione e collaborazione avrebbe trovato, tra il 1815 e gli anni Settanta del XX secolo, spunti interessanti. Ieri come oggi, sarebbe esistita la possibilità di prevedere ragionevolmente le mosse della controparte così come concettualizzato dal professor Bueno de Mesquita (33)? Quali strategie avrebbero condotto al massimo beneficio? Cosa avrebbe potuto dare di più la scienza che analizza situazioni di interessi contrastanti per verificare, attraverso modelli matematici, soluzioni competitive o cooperative, simmetriche o asimmetriche, dinamiche o sequenziali? Diplomaticamente parlando, si sarebbe ottenuto di più collaborando o competendo su una base rigorosamente razionale con la controparte? Non è un caso se alla Teoria dei Giochi è stata ispirata la c.d. MAD (34), la dottrina che ha presieduto all’intero periodo della Guerra Fredda. Dire che la diplomazia sia un gioco appare azzardato, ma non v’è dubbio che essa si fondi su una raffinata razionalità massimizzante i vantaggi, dunque quanto mai vicina all’equilibrio di Nash (35) e comunque a un pensiero che non trascura i giochi cooperativi, molto più frequenti dei competitivi, dove invale il principio del the winner takes it all; giochi cooperativi dove secondo il prodotto di Nash esiste un’unica soluzione volta a produrre la massimizzazione dei vantaggi per entrambi. Vista la costante interpolazione tra le attività diplomatiche e quelle belliche, è possibile affermare l’esistenza di una concreta diplomazia militare? In fondo, l’idea stessa della mediazione, accostata all’esercizio ancorché legittimo della forza, sembra creare un ossimoro. Non è così, la risposta è molto più complessa, e passa attraverso l’excursus che contempla l’evoluzione del rapporto tra politica estera, uso della forza e natura dei nuovi conflitti che non possono prescindere dalla con«(...) La vicinanza tra le nostre navi e le vostre (...), per le ragioni che può immaginare è estremamente pericolosa, molte guerre sono cominciate così, caro signor ambasciatore; la citazione, tratta dal film Caccia a Ottobre Rosso, sintetizza i rischi della diplomazia delle cannoniere». Sotto, un sommergibile sovietico della classe «Typhoon» (ilsole24ore.com).
nessione tra aspetti operativi e quadro giuridico e mediatico. Come è rimasto deluso chi si attendeva il diplomatico tratteggiato in redingote, così rimarrà scontento chi ancora immaginava il militare in mimetica avulso dal contesto in cui è immerso. Accanto allo spettro comportamentale individuato da Joseph Nye, associato al concetto accettato di àmbito del conflitto, c’è un altro spettro corrispondente entro il quale la forza militare può essere utilizzata per sostenere obiettivi politici; è di ciò che Robert J. Art (36) coglie l’essenza affermando che il potere militare può essere esercitato non solo con la forza ma anche pacificamente. Non è più una novità che il perseguimento degli obiettivi di politica estera possa essere conseguito anche grazie all’impiego di assetti militari, specialmente dalla fine della Guerra Fredda, con la comparsa di attori non più vincolati al confronto bipolare, in sinergia con il c.d. sistema paese, e con gli altri elementi commerciali, politici, economici; una netta controtendenza storica rispetto alla diplomazia delle cannoniere del XIX secolo (37), strumento intimidatorio utilizzato per stringere accordi grazie alla dimostrazione della propria superiorità militare (38), cui ora si oppone il concetto dello human terrain system che richiede il dispiegamento sul terreno di sociologi e antropologi. Tanto per rimanere sul cinematografico, vale la pena rammentare che «(…) La prudenza (…) impone di schierare le nostre navi per osservare le vostre. Il suo governo farebbe bene a considerare che tale vicinanza tra le nostre navi e le vostre, tra la vostra flotta aerea e la nostra, per leragioni che può immaginare è estremamente pericolosa, molte guerre sono cominciate così, caro signor ambasciatore»; la citazione, tratta dal film Caccia a Ottobre Rosso, sintetizza i rischi della diplomazia delle cannoniere.Sebbene non costituisca la ragion d’essere
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può essere attualmente paragonabile al potere di attradelle Marine, la diplomazia navale ha un ruolo duraturo zione di Joseph Nye (39), il principale teorizzatore del da interpretare nell’àmbito dell’esercizio del potere mapensiero sul soft power nella politica internazionale rittimo; a partire dalla coercizione esercitata dalla flotta contemporanea, cui si sono aggiunti professionisti naateniese di epoca tucididea fino alla stabilità egemonica vali e accademici come Mike Mullen (40) e Geoffrey fornita dalla Royal Navy del XIX secolo, le grandi poTill (41), che hanno esaminato le precedenti teorie attenze hanno utilizzato le Forze navali per governare il traverso una lente postmoderna. I principi diplomatici mondo secondo la loro visione, seguite a ruota dalle sottesi da Mahan risiedevano in prevenzione e deterpotenze emergenti. Che comunque per alcuni le flotte renza. Si è dovuti giungere all’era contrassegnata dalla siano tornate sul proscenio, o che vi siano saldamente Guerra Fredda per cominciare a definire una forma di rimaste per altri, è indiscutibile, come è evidente che i diplomazia navale quale oggetto di studio a sé stante, Gruppi navali siano ancora funzionali all’esercizio di ma comunque condizionato dalla situazione geopolitica pressioni diplomatiche, per esempio da parte americontingente con gli approfondimenti di sir James Cable cana, ma anche russa, cinese e turca, cosa che impone (42) e Ken Booth (43), a cui si deve il riconoscimento un’osservazione: se i talassocrati rimangono padroni delle difficoltà operative e Edward delle onde, gli altri aspiranti, nuovi Luttwak (44) con la sua suasion o decaduti, hanno perfettamente in(45) in Occidente e Sergej teso la necessità, per la loro politica Georgievič Gorshkov (46) in Rusdi potenza, di gettare le basi di a sia. Di Corbett, cui associamo il classic coercive diplomatic meameno noto ma non meno importante sure. Del resto diplomazia navale, sir Herbert Richmond (47), in tema da intendersi come una forma di più di diplomazia, si possono comunampio sforzo politico e dunque que astrarre i principi di blocco namezzo di comunicazione nei rapvale e commerciale e di fleet in porti di potere, per la sua estensione being inquadrabili in un contesto concettuale non è termine agevolcoercitivo. Attualmente le flotte ocmente intuibile. Il ruolo diplomacidentali controllano ancora gli tico del potere marittimo ha sempre oceani, vista anche la penuria di porivestito una particolare rilevanza, tenze regionali in grado di contened è di esclusivo appannaggio navale dato che non ha eguali negli L’ammiraglio e politico sovietico Georgievič dere l’estensione marina; la loro Comandante in capo della Marina sovietica posizione preminente si è accompaaltri domini. Va tuttavia anche detto Gorshkov, per quasi trent’anni (wikipedia.it/mil.ru). gnata tuttavia a una diversificazione che Mahan e Corbett, così ben addel ruolo in funzione delle operazioni assegnate, non dentro agli aspetti preparatori e di condotta della guerra più ristrette al combattimento, anche in considerazione in mare, non molto offrono come approfondimento didella volitività delle potenze orientali e delle loro straplomatico, benché non si possa disconoscere da parte tegie. È possibile affermare che la diplomazia navale di Mahan l’importanza attribuita alle Marine in tempo ha continuato a esistere durante le due guerre mondiali, di pace e al fatto che il requisito strategico navale difma non c’è dubbio che abbia risentito del clima politico ferisca da quello terrestre poiché sempre necessario e post ’45, che ha posto limiti più vincolanti all’uso della onnipresente. Se è vero che Mahan non utilizza il terforza, quando il focus strategico si è indirizzato alla demine diplomazia, è però vero che l’Ammiraglio centra terrenza nucleare. Di rilievo Navies and Foreign Policy due grandi temi, ovvero quelli inerenti all’hard e al soft di Ken Booth, che ha introdotto una sorta di trinità power, per cui le Marine vengono viste sia come strudelle funzioni navali, concetto che suggerisce i ruoli menti coercitivi che come agenti sostenitori della reprincipali delle forze marittime: militare, di polizia e putazione nazionale; il fattore connesso al prestigio
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Bretagna, che non aveva concesso tale posizione alla diplomatico che contempla una gestione della politica Germania neanche con lo scontro diretto, grazie a poestera senza per questo dover ricorrere all’impiego tenti forze navali in grado di occupare posizioni oceadella forza. Booth asserisce che gli obiettivi politici di niche strategiche, mercé forze mobili, persistenti, uno Stato trovano realizzazione attraverso tre mezzi indipendenti, schierabili e ritirabili a seconda di mosussidiari: negoziazione attraverso la forza, negoziamento e necessità. Le Guerre locali dell’imperialismo zione pura, prestigio, da cui trarre l’utilità funzionale di Gorshkov, definizione politicamente potente, può esdelle Marine grazie a sette caratteristiche chiave delle sere equiparata a quella dell’uso limitato di mezzi naunità navali quali strumenti diplomatici: versatilità, vali della Gunboat Diplomacy di Cable, non solo dal controllabilità, mobilità, capacità di proiezione, potenpunto di vista coercitivo, ma anche del controllo eserziale di accesso, simbolismo, e resistenza. Traslando citabile sugli alleati nella gestione delle relazioni di poqueste caratteristiche e applicandole all’ambito operatere. Il 1990, quale termine finale della Guerra Fredda, tivo, Booth ha teorizzato specifici principi fondamenha caratterizzato il momento geopolitico con elementi tali suddivisi in due gruppi: il primo, battezzato politica connotati da trasformazione e incertezza; se la diplodel potere navale, comprende dimostrazioni permamazia navale della Guerra Fredda nenti di potenza navale e specifici era stata inquadrata come strumento schieramenti operativi; il secondo, di equilibrio bipolare, la sua nuova denominato politica di influenza naversione non fu così marcata. In vale, consiste in aiuti navali, visite merito alla diplomazia coercitiva, operative specificamente finalizPeter Viggo Jakobsen (49) ha afferzate. La diplomazia navale, anche mato che la teoria poteva essere sotto forma di diplomazia di difesa, considerata ancora valida ma cotuttavia, non ha trovato teorizzamunque bisognosa di un affinazione solo in Occidente, ma anche a mento. Le osservazioni, tuttavia, Est, grazie all’ammiraglio sovietico non hanno sopito il dibattito, anzi lo Sergey Gorshkov, artefice della hanno ravvivato aprendolo a nuove flotta (48) del Cremlino durante la e dinamiche concettualizzazioni: Guerra Fredda, e autore di The Sea oltre alla costante presenza dottriPower of the State del 1979. Gornale dell’US Naval War College, si shkov, studioso di storia navale, attento osservatore dell’Occidente, e «Navies and Foreign Policy di Ken Booth, libro che ha è affiancata anche la Royal Navy introdotto una sorta di trinità delle funzioni navali (...): che, negli anni Novanta, ha pubbliconvinto assertore dell’idea per cui militare, di polizia e diplomatico». cato per la prima volta le sue linee la crescita navale post bellica fosse dottrinali con il formale riconoscimento della diplomastata gestita quale risposta ai progressi navali americani zia navale, pur se sofferente per una troppo marcata foe non quale semplice promozione della politica estera calizzazione occidentale: il post Guerra Fredda non ha sovietica, ha utilizzato esempi dell’impiego diplomariservato particolari attenzioni alle flotte in ascesa, ora tico delle Marine antagoniste dell’Ovest per persuadere però più che mai oggetto di studio ed espressione di la leadership sovietica, focalizzata sulle forze di terra, rinnovata vitalità diplomatica. Malcolm Murfett (50), dell’indispensabile utilità di un potere marittimo da non a caso giunge alla conclusione che la diplomazia volgere verso le distese aperte, lontano dalle coste, con navale ha e avrà ancora rilevanza nella modernità peruna Marina utile anche in operazioni diverse dalla ché utilizzabile in un’ampia varietà di occasioni al fine guerra. Gorshkov, non a torto, vedeva la NATO come di ottenere risultati tangibili, così come dimostrato con «un’alleanza di Stati marittimi», caratterizzata dalla cale operazioni fuori area compiute negli ultimi anni dalla pacità statunitense di raggiungere una posizione preMarina cinese. Queste considerazioni riportano alminente grazie alla collaborazione con la Gran
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l’aspetto coercitivo, coinvolgente minaccia ed effettivo uso della forza, e inducono a chiedersi se, in mare, possono davvero realizzarsi alleanze e coalizioni. Possiamo comunque affermare, fin d’ora, che la diplomazia navale non è semplice filiazione della diplomazia coercitiva, visto che esistono numerose iniziative di soft power che rientrano nel novero tematico di ciò che effettivamente fanno le Marine piuttosto che ciò per cui si addestrano, aspetto rilevante dato che dopo la fine della Guerra Fredda il ruolo puramente bellico delle Marine postmoderne occidentali è diminuito e solo ora, con l’insorgenza cinese, potrebbe tornare in auge. Ciò non toglie che le Marine, sia in tempo di pace che in tempo di guerra, siano sempre state strumenti strategici e politici dello Stato oltre che combat-
Simulazione grafica della CVN-78, la superportaerei statunitense USS GERALD R. FORD, prima di 10 unità previste in costruzione per l’US Navy (wikipedia.it).
tenti, e di questo è possibile trovare riscontro nelle parole di Oliver Cromwell che dichiarò che «a man o’ war is the best Ambassador!», affermazione che trova la giusta equivalenza nel XXI secolo con l’US Navy raffigurata come una portaerei con le sue «90.000 tonnellate di diplomazia». Non tutta l’attività diplomatica svolta, in e dal mare, è opera di cannoniere, come non tutta l’attività diplomatica svolta, in e dal mare, è coercitiva: cooperazione, collaborazione e assistenza reciproca sono elementi comuni nell’odierno mondo globalizzato. Ma è diplomazia navale o marittima? Se la diplomazia navale contemporanea è attualmente
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poco intellegibile è forse perché è ricompresa in un sottoinsieme tematico più esteso caratterizzato dalla percezione del significato attribuito alla diplomazia dalla Convenzione di Vienna del 1961 sulle relazioni diplomatiche, ricadenti nelle consuete comunicazioni da Stato a Stato. Può essere utile mettere in relazione la diplomazia con l’esercizio del potere, in modo da chiarirne ruolo e scopo in accordo con la descrizione che ne fa Joseph Nye, che la definisce come la «capacità di influenzare il comportamento degli altri per ottenere i risultati desiderati» (51), uno strumento che comunicativamente cerca di favorire gli interessi di un attore internazionale, anche magari agevolando l’insorgere di una c.d. diplomazia di nicchia, definizione coniata da Andrew Cooper (52) negli anni Novanta. La citata definizione fa riferimento ad attori in possesso di particolari punti di forza e che sono in grado di farli pesare nei rapporti di potere, ragion per cui la diplomazia non deve essere limitata agli Stati riconosciuti, ma estesa a organismi internazionali e ad amministrazioni di fatto come Hezbollah, Hamas, Daesh (53) che, comunque, controllano un territorio, considerando che la forza militare possa essere ritenuta nicchia sfruttabile per scopi diplomatici Secondo L.W. Martin (54) la qualità essenziale di una Marina militare è la sua capacità di ingaggiare il nemico, anche se per la maggior parte della sua esistenza non è impegnata in combattimento ma ad esercitare un’influenza sugli affari internazionali: in alto mare i beni comuni globali forniscono uno spazio di manovra tradizionalmente indisponibile in altri ambiti. L’impiego di assetti militari per perseguire vantaggi politici al di fuori del contesto bellico rientra dunque in una forma di diplomazia di nicchia da parte dei detentori di capacità adeguate, che troverebbe applicazione sia come hard che come soft power e in questo contesto le Forze navali sono le chiavi inglesi capaci di stringere o allentare a seconda della situazione. Opportuno al proposito fare tesoro di quel che ha scritto Roger W. Barnett (55) nel suo libro Navy Strategic Culture: Why the Navy Thinks Differently (56), quando sottolinea che mentre a terra sono imposti i controlli sui visitatori esterni, e che il sorvolo dei ter-
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ritori deve essere autorizzato preventivamente, il mare aperto rimane disponibile all’uso collettivo, fattore per cui la natura politicamente non regolata degli oceani rende irripetibile l’ambiente marino, dove tuttavia l’etimologia del termine marittimo, pur compendiando molteplici aspetti del contesto, non si attaglia agli aspetti diplomatici, di più stretta pertinenza navale in quanto riferibile esclusivamente alle flotte; questo induce a ritenere la diplomazia navale sia quale sottoinsieme della diplomazia generale, sia quale mezzo di comunicazione degli Stati marittimi nel perseguimento dell’interesse nazionale, aspetti che consentono quindi di affermare che questa stessa forma di diplomazia si estrinseca nell’utilizzo di asset navali, quali strumenti comunicativi nelle relazioni di potere internazionali atte a favorire gli interessi degli attori coinvolti. Sono stati gli studiosi moderni del post Guerra Fredda e del dopoguerra a estendere il dibattito esaminando il complesso degli effetti del potere hard e soft attraverso coercizione, protezione, persuasione e assistenza, dimostrando che, a prescindere se si tratti di Guerra Fredda classica o post moderna, le strutture della diplomazia navale palesano caratteri costanti. Partendo da Mahan e Corbett è possibile constatare come i primi modelli si basino sulle concezioni realista o liberale, caratteristiche ripetute dagli esegeti della Guerra Fredda, tra cui Sir James Cable e cristallizzate in forma statocentrica. Nonostante l’enfasi globalista, pur riconoscendo l’importanza di diritto internazionale e coalizioni, lo Stato rimane alla base di ogni concettualizzazione (57) visto che, peraltro, ogni modello è basato su una metodologia meccanicistica fondata sui principi di azione e reazione di natura binaria aggressore-vittima, basati su risultati che richiedono l’assunzione di decisioni. In questa prospettiva va ricordato che, secondo Thomas Schelling (58), il successo dipende dall’accuratezza della previsione dei risultati da parte dell’individuo chiamato a tentare la manipolazione del processo cognitivo. In sintesi, i soggetti politici utilizzano la capacità navale inutilizzata delle Marine militari quando non sono in guerra, al fine di influenzare altri attori. Quali sono gli elementi di novità nell’era del post Guerra Fredda, alla luce di globalizzazione e crescente rilevanza degli attori non statali?
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Flussi commerciali transfrontalieri, natura transnazionale dei processi decisionali, interdipendenza statuale sono tutte problematiche, aumentate dal 1991 con la dissoluzione dell’entità sovietica, che hanno richiesto, nell’ambito di un ordine planetario, soluzioni globali entro cui considerare la capacità delle flotte, visto l’uso sempre più accentuato del mare e delle sue risorse per la promozione dei propri obiettivi (59); puntuale l’osservazione di Simon Serfaty (60) quando ha illustrato la visione di un mondo post-occidentale, in cui non si assiste al declino occidentale, quanto all’ascesa di tutti gli altri soggetti politici. Attualmente la diplomazia navale è svolta principalmente, ma non in via esclusiva (61), dagli Stati, tanto che sembra lecito prevedere un aumento della pressione sul sistema internazionale da gestire non necessariamente con l’uso della forza. Volendo sintetizzare i concetti, è possibile sì ipotizzare uno scostamento poco significativo dei principi della diplomazia navale, ma un suo uso comunque molto più diffuso di quanto non suggerisca in tema la pubblicistica. Posto che esiste sempre un vantaggio da trarre dalla preponderanza navale, c’è da chiedersi se i modelli esistenti siano ancora validi, o se necessitino di una revisione, specialmente quando relazionata alla mutata percezione del pubblico e alla rinnovata complessità degli eventi, spesso non più restringibili in via binaria a solo due attori, come è possibile constatare dalle dinamiche in corso e.g. nel Golfo Persico. Una visione diplomatico-navale più attagliata ai tempi richiede un modello fondativo basato non solo sulla valutazione degli eventi, ma anche sulle teorie comunicative, sulla considerazione della rilevanza dei vari stakeholder, sulla disponibilità e la tipologia dei mezzi impiegabili, sia in termini qualitativi sia quantitativi. Secondo Geoffrey Till, il mondo postmoderno richiede Marine facenti parte di Stati attagliati all’economia dell’informazione piuttosto che a quella di tipo industriale; in un mondo differente da quello disegnato dal bipolarismo, le Marine si indirizzano su quattro missioni chiave: controllo, operazioni expeditionary, ordine marittimo, mantenimento del consenso, con una significativa presenza navale avanzata (62), un punto debole se si considera la dimensione necessaria delle forze associata alle restrizioni di bilancio. Christian Le
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«Le potenze sfruttano le Marine attraverso funzioni principali e altre secondarie ma non meno importanti. Fra queste, la partecipazione alle spedizioni tecnico scientifiche». Qui nelle immagini, nave ALLIANCE, unità polivalente di ricerca della Marina Militare, giunta alla quinta campagna di ricerca in Artico denominata High North (IIM).
Miere (63) ha aggiornato il concetto di diplomazia navale con il suo libro La diplomazia marittima nel XXI secolo, introducendo due ulteriori classificazioni: diplomazia marittima cooperativa (più facilmente comprensibile) e diplomazia persuasiva, che compendia nebulosamente presenza e prestigio; a questo va aggiunta una rinnovata considerazione della Teoria dei Giochi in cui la realtà delineata dall’autore presenta un insieme complesso di stakeholder militari, paramilitari, commerciali e responsabili delle ONG. L’assunto logico imporrebbe che il mondo, in una fase di transizione, con una parziale adesione al modello della Guerra Fredda e con l’avvicinamento a un ambiente militare marittimo ibrido in cui coesistono Marine moderne e postmoderne, contempli la coesistenza di entrambi i paradigmi. La comparazione dei vari modelli di diplomazia navale individua temi suddivisibili in due categorie: costrutto (64) e contenuto (65). A prescindere dai pareri forniti da Luttwak, Booth, Nye e Le Miere, i modelli di diplomazia navale, esercitabile più facilmente su scala regionale che su scala globale, non
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«Nel notare che mezzi e personale di serie televisive e film ispirati allo spazio si rifanno a terminologie marinaresche, che tradiscono una segreta passione per le Old Navies, anche la flotta stellare di Star Trek riconduce a una sorta di diritto internazionale, e soprattutto allo studio e all’uso della diplomazia cui è richiesto (...)» (Fonte immagini: brainstudy.info).
sono il semplice prodotto dell’epoca a cui appartengono, ma si fondano su quattro cardini: tradizione teorica realista e focalizzazione sui rapporti di potere, «stato-centrismo», metodologia meccanicistica, importanza del conseguimento di risultati, cui si associano coercizione, deterrenza, costruzione di immagini, prestigio, cooperazione, rassicurazione, attrazione e assistenza. Scopo della diplomazia navale rimane quindi quello di comunicare un messaggio, esplicito o implicito, a uno o più destinatari. Le potenze sfruttano dunque le Marine attraverso funzioni principali e altre secondarie ma non meno importanti: ilwar-fighting, la sicurezza marittima e il defense engagement, in cui rientra la diplomazia navale, tre esplicazioni essenziali per l’acquisizione dell’abilità di impiegare le capacità militari in e dal mare per poterinfluenzareil corso degli eventi e mantenere la capacità del ruoloexpeditionary (66), la partecipazione alle spedizioni tecnico scientifiche (67). Nel corso della trattazione siamo stati accompagnati, alternativamente, da tavole di fumetti e dalle immagini dell’Ottobre Rosso
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in fuga; con l’auspicio di aver suscitato interesse verso un aspetto tutto sommato mai troppo dibattuto, non potevamo non rivolgerci alla fantascienza. Nel notare (simpaticamente, non ce ne voglia nessuno) che mezzi e personale di serie televisive e film ispirati allo spazio si rifanno a terminologie marinaresche, che tradiscono una segreta passione per le Old Navies, anche la flotta stellare di Star Trek riconduce a una sorta di diritto internazionale, e soprattutto allo studio e all’uso della diplomazia cui è richiesto, con l’uso accorto di eloquenza e tatto, il raggiungimento di un vantaggio strategico o di una situazione di mutuo interesse, in risposta a una problematica comune. È interessante constatare, tuttavia, che malgrado l’evoluzione tecnologica, oltre che all’infinito si continui a guardare alla diplomazia delle cannoniere. Forse, almeno in questo e malgrado tutto, un piccolo vantaggio lo stiamo ottenendo. 8 31
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Diplomazia ed equilibrio di potenza nel XXI secolo NOTE (1) André Maurois,pseudonimodiÉmile Salomon Wilhelm Herzog, è stato unoscrittorefrancese. (2) Ambasciatore nel 1512 presso Ferdinando il Cattolico in Spagna, ritenne l’azione diplomatica assoggettabile alla ragion di Stato, sostenendo la necessità che godesse di una certa autonomia. Latore di una visione spregiudicata, influì sulla situazione italiana, investita dalle lotte egemoniche europee. Adoperatosi per creare la Lega di Cognac tra Vaticano, Stati italiani e Francesco I di Francia contro il potere imperiale di Carlo V, non poté né impedire la sconfitta della lega né il saccheggio di Roma del 1527. (3) I primi ad adeguarsi al nuovo corso furono, nel 1519, gli inglesi, con due ambasciatori permanenti — sir Thomas Boleyn e il dottor West — accreditati come diplomatici a Parigi. (4) Huig de Groot latinizzato inHugo Grotius, da cui Ugo Grozio, è stato ungiurista,filosofo,teologo,umanista,storico,poeta,filologo, nonchépolitico, di nazionalitàolandese. (5) Associabile alla legal diplomacy. (6) Individuò tre metodi: conferenze e negoziazioni tra i due contendenti; il compromesso, in cui ciascuno dei contendenti rinuncia/accetta concessioni; scelta casuale. Indispensabile la presenza di un giudice esterno, dedicato all’accertamento della legittimità delle negoziazioni. (7) SirHarold Nicolson è stato unpolitico,diplomaticoescrittorebritannico. (8) FAO, UNESCO, ecc. (9) Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e Fondo Monetario Internazionale. (10) Hans Joachim Morgenthau (Coburgo, 17 febbraio 1904-New York, 19 luglio 1980) è stato un politologo statunitense. (11) Sir Alfred Eckhard Zimmern(1879-1957) è stato uno studioso, storico e politologo inglese. Fu eminenteinternazionalista liberale. (12) Woodrow Wilson, natoThomas Woodrow Wilsonè stato unpoliticoeaccademicostatunitense. È stato il 28opresidente degli Stati Uniti(in carica dal 1913 al 1921), mentre in precedenza fugovernatore dello StatodelNew Jersey; anche uomo accademico, ricoprì la carica di rettore dell’Università di Princeton. (13) Nella tradizione realista lo scopo della diplomazia è quello di essere un mezzo attraverso cui agire secondo la logica che si dice inerente a un sistema anarchico di potere distribuito tra massimizzatori di potere interessati e autosufficienti. (14) Mentre il multipolarismo garantisce flessibilità degli allineamenti, ma rigidità strategica vincolata alle necessità degli alleati, nei sistemi bipolari la rigidità degli allineamenti offre una spiccata flessibilità nelle strategie. Se da un lato gli Stati temono di essere abbandonati dai propri alleati nel momento del bisogno, temono altresì di venire intrappolati dai propri partner a perseguire obiettivi altrui solo per poter mantenere l’alleanza in vita (dilemma della sicurezza delle alleanze). (15) Raymond Claude Ferdinand Aronè stato unfilosofo,sociologo,storicoepolitologo francese. (16)Aron, R.,Paix et guerre entre les nations, Paris 1962 (17) Stanley Hoffmannè stato unpolitologoaustriacocon cittadinanzafrancese, docente diScienze politicheall’Università di Harvard. (18) Luigi Bonanate, Prima lezione di relazioni internazionali, Laterza, 2010 (19) Thomas Hobbesè stato unfilosofobritannico, antesignano del Giuspositivismo e autore nel1651dell’opera difilosofia politicaLeviatano. La descrizione di Hobbes dellanatura umanacome sostanzialmente competitiva edegoista, esemplificata dalle frasiBellum omnium contra omnes(«la guerra di tutti contro tutti» nellostato di natura) eHomo homini lupus(«ogni uomo è lupo per l’altro uomo»), ha trovato riscontro nel campo dell’antropologia politica. (20) Immanuel Kantè stato unfilosofotedesco, considerato uno dei più importanti del pensiero occidentale. Fu il più significativo esponente dell’Illuminismo tedesco, anticipatore degli elementi basilari dellafilosofia idealisticae di gran parte di quella successiva. Kant concepì la propria filosofia come una rivoluzione filosofica volta a superare ildogmatismometafisico, che per Kant caratterizzava il pensiero precedente, e ad assumere i caratteri di una ricercacriticasulle condizioni delconoscere. (21) Emer(Emmeric,EmerichoEmmerich)de Vattelè stato ungiurista,diplomaticoefilosofosvizzero, le cui teorie portarono alla fondazione del modernodiritto internazionalee della modernafilosofia politica. (22) L’egemonia culturaleè un concetto che indica le varie forme di «dominio»culturalee/o di «direzione intellettuale e morale»da parte di un gruppo o di unaclasseche sia in grado di imporre ad altri gruppi, attraverso pratiche quotidiane e credenze condivise, i propri punti di vista fino alla loro interiorizzazione, creando i presupposti per un complesso sistema di controllo. L’analisi dell’egemonia culturale, anche in quanto distinta dal mero dominio, è stata formulata per la prima volta daAntonio Gramsciper spiegare perché lerivoluzionicomunistepredette daKarl Marxnei paesiindustrializzatinon si fossero verificate. (23) Robert Keohaneè unaccademicostatunitense. Dopo la pubblicazione diAfter Hegemony(1984), fu associato alla teoria dell’istituzionalismoneoliberale, nonché alle relazioni transnazionali e la politica mondiale nelle relazioni internazionali negli anni Settanta. È professore discienze politichenella Woodrow Wilson School all’Università di Princeton.Un sondaggio del 2011 di studiosi di relazioni internazionali ha posto Keohane al secondo posto in termini di influenza e qualità del sapere negli ultimi venti anni. (24) Teoria geopolitica statunitense, avanzata sia dai democratici sia dai repubblicani durante la Guerra Fredda; asseriva che se una nazione chiave in una determinata area fosse stata presa dai comunisti, le nazioni vicine sarebbero cadute come pezzi di un domino, diventando anch’esse comuniste una dopo l’altra. Interessanti e suggerito argomento di studio sono le concettualità portanti del realismo: il bandwagoning ovvero la salita sul carro del vincitore, il buckpassing o scaricabarile, il chainganging o coinvolgimento di tutti gli Stati nel conflitto. (25) Richard Cobdenè stato unpoliticoedeconomistabritannico. (26) John Ikenberryè unpolitologostatunitense. Teorico delle relazioni internazionali e della politica estera degli Stati Uniti, è professore allaPrinceton University. (27) Klemens Wenzel Nepomuk Lothar von Metternich-Winneburg-Beilstein,contee, dal1813,principediMetternich-Winneburgè stato undiplomaticoepoliticoaustriaco, dal1821al1848cancelliere di Stato. (28) Henry Kissinger, natoHeinz Alfred Kissingerè unpolitico,diplomatico tedesco naturalizzato statunitense. Membro delPartito Repubblicano, fuconsigliere per la sicurezza nazionaleeSegretario di Stato degli Stati Unitidurante le presidenze diRichard Nixone diGerald Fordtra il 1969 e il 1977. Nel 1973 fu insignito delpremio Nobel per la pace. (29) Tesi di dottorato sul Congresso di Vienna, Metternich, Castlereagh di Henry Kissinger; traduzione di E. Brambilla, Collezione Saggi, Milano, Garzanti, 1973. (30) John von Neumann, natoJános Lajos Neumannè stato unmatematico,fisicoeinformaticoungheresenaturalizzatostatunitense. È generalmente considerato come uno dei più grandi matematici della storia moderna e una delle personalità scientifiche preminenti delXX secolo. A lui si devono contributi fondamentali in numerosi campi dellaconoscenzacome lateoria degli insiemi,analisi funzionale,topologia,fisica quantistica,economia,informatica,teoria dei giochi,fluidodinamicae in molti altri settori dellamatematica. (31) Oskar Morgensternè stato uneconomistaaustriaco, cofondatore insieme aJohn von NeumanndellaTeoria dei Giochi. (32) John Forbes Nash, jr.è stato unmatematicoedeconomistastatunitense. Tra i matematici più brillanti e originali delNovecento, ha rivoluzionato l’economiacon i suoi studi di matematica applicata allaTeoria dei Giochi, ricevendo ilPremio Nobel per l’economianel 1994. (33) Bruce Bueno de Mesquitaè uno scienziato politico, docente presso laNew York University, e Senior Fellow presso la Stanford University- Hoover Institution. (34) Mutual Assured Destruction. (35) Equilibrio di Nash: combinazione di strategie che offrono la migliore risposta nei confronti una dell’altra. Strategia di Nash: strategia che prefigura la miglior risposta rispetto all’altra. (36) Robert Jeffrey Art, professore di Relazioni internazionali presso la Brandeis University, e Fellow presso il MIT Center for International Studies. Teorico del neorealismo, che sostiene che la forza è ancora alla base della struttura del potere nel mondo moderno. È membro del Council on Foreign Relations, un think tank statunitense specializzato in politica estera e affari internazionali degli Stati Uniti. (37) Il termine è identificato con l’ideologia «Big Stick» del presidente statunitenseTheodore Roosevelte il viaggio della sua «Great White Fleet» nel 1909. La minaccia del potere militare divenne uno strumento ufficiale della politica estera degli Stati Uniti nel 1904 come parte del «Corollario della dottrina Monroe» del presidente Roosevelt. La flotta di «Black Ships» comandata dal commodoro americano Matthew Perry è un esempio di questo primo periodo diplomatico.Nel luglio 1853, Perry fece navigare la sua flotta di quattro solide navi da guerra nere nella baia di Tokyo in Giappone.Senza una flotta propria, il Giappone accettò di aprire i suoi porti al commercio con l’Occidente. Con la crescita della potenza militare degli Stati Uniti all’inizio del XX secolo, la diplomazia delle cannoniere di Roosevelt è stata temporaneamente sostituita dalladiplomazia del dollaro, una politica di «sostituzione dei proiettili con i dollari» attuata dal presidenteWilliam Howard Taft.
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Diplomazia ed equilibrio di potenza nel XXI secolo (38) L’effetto della semplice comparsa delle navi era spesso sufficiente a raggiungere l’obiettivo senza la necessità di ulteriori azioni (Don Pacifico 1850; cannoniera tedesca Panther e crisi di Agadir 1911, preceduta dalla crisi di Tangeri del 1905). (39) Politologo statunitense, Nye ha descritto il potere come la capacità di realizzare risultati comportamentali negli altri identificando 3 mezzi utili per il raggiungimento del fine: coercizione, ricompensa, attrazione. Da questi 3 elementi ha ricavato uno spettro di azioni estendibili dall’hard power (con il denaro e la forza) all’intangibilità di idee, valori e cultura costituenti il soft power. (40) Ammiragliostatunitense, noto per essere statoCapo dello Stato Maggiore congiuntodal1º ottobre2007al30 settembre2011. (41) Storico navale britannico e professore emerito di studi marittimi presso il Dipartimento di studi sulla difesa del King’s College di Londra. È il direttore del Corbett Center for Maritime Policy Studies. (42) Cable, autore di The Gunboat diplomacy, riteneva che la coercizione fosse implicita nella maggior parte delle relazioni internazionali e che se un governo fosse stato disposto a «premiare gli amici» punendo i nemici, «avrebbe ricevuto un’attenta considerazione». Questa prospettiva realista rispecchia il pensiero dominante della seconda metà del periodo della Guerra Fredda. «Per essere coercitiva una minaccia deve essere più di una previsione generalizzata di conseguenze disastrose, per quanto plausibili, nell’immediato futuro (...) esprimendo la disponibilità a fare qualcosa di dannoso (...) per gli interessi di un altro governo a meno che quel governo non desista o si astenga»; questo anche in relazione ad atti compiuti in funzione di possibili e imminenti avvenimenti nocivi (v. bombardamento di obiettivi a Beirut da parte della USS New Jersey nel 1983). (43) Autore di Navies and Foreign Politics, 1977. (44) Edward Nicolae Luttwak autore di The Political Uses of Sea Power, 1974 (45) Secondo Luttwak Suasion è un «termine convenientemente neutro (...) il cui significato suggerisce indirettamente qualsiasi applicazione politica della forza navale». La latenza della persuasione di Cable è correlabile, concettualmente, alla forza espressa da Cable. Il lavoro di Luttwak, oltre a risentire del post Guerra Fredda fu influenzato anche dal pensiero di Thomas Schelling, economistastatunitense, professore dipolitica estera,sicurezza nazionale, strategie nucleari econtrollo degli armamentiall’Università del Maryland, premio Nobel nel 2005 condiviso con Robert Aumann «per aver fatto avanzare la nostra comprensione del conflitto e della cooperazione tramite laTeoria dei Giochi»; ha pubblicato Arms and Influence, che stabilisce i principi di una strategia coercitiva e il suo effetto sui decisori. (46) Sergej Georgievič Gorškovammiraglioepoliticosovietico. (47) Sir Herbert William Richmond, ammiraglio della Royal Navy. (48) Ricordiamo la costruzione di navi di grande superficie, come gli incrociatori da battaglia della classe «Kirov», così come la portaerei della classe «Kuznetsov»; il programma come noto si interruppe con il dissolvimento dell’Unione Sovietica e il nuovo bilancio dedicato alla Marina. (49) Docente part time presso il Center for war studies - University of Southern Denmark. (50) Visiting Professor presso il King’s College di Londra. (51) Joseph Nye, Soft Power: The Means to Success in World Politics, 2005, Public Affairs (52) Autore di Niche Diplomacy, Middle Powers after the Cold War. (53) Michele Flournoy e Shawn Brimley hanno attirato l’attenzione su quelli che hanno definito «i beni comuni contestati» in un articolo del 2009 pubblicato per il Naval Institute statunitense del 2009, evidenziando le tattiche marittime di Hezbollah e al-Qaeda. (54) Autore di The Sea in Modern Strategy, 1967. (55) Ufficiale superiore dell’US Navy. (56) Naval Institute Press, 2009. (57) Mike Mullen non ha proposto la sua visione di una Marina di 1.000 navi o di una partnership marittima globale per ragioni altruistiche. Voleva che gli Stati Uniti, il suo paese, ne fossero al centro e lo guidassero. (58) Armi ed Influenza (1966). (59) V. Cina e India, che hanno trovato nell’espansione navale lo strumento necessario per la crescita economica e l’influenza globale. Quanto espresso vale per la sola Cina. L’India al momento pur incanalata nell’idea di Sea Power inglese al momento non è in grado di essere annoverata tra le potenze Talassocratiche. L’eccezionale sviluppo economico indiano va ricercato in altre tematiche come la strategia del micro credito, la spiccata propensione per l’informatica e la cibernetica e l’incremento demografico ed altri. (60) Professore, analista geopolitico, politologo, docente presso la Old Dominion University di Norfolk. (61) Tigri tamil, Hezbollah, organizzatori della flottiglia per la libertà di Gaza, Greenpeace hanno contestato l’assunto che la diplomazia navale sia affare esclusivo di uno Stato nazionale. (62) A questo proposito l’ammiraglio Mullen avanzò l’ipotesi delle «1.000 navi». Mullen era capo delle operazioni navali quando lanciò l’idea in un discorso all’US Navy War College nel 2005, asserendo che cambiamenti globali richiedevano una nuova immagine della potenza marittima. (63) Fondatore di Arcipel, una società di consulenza strategica con sede a Londra e L’Aia, che aiuta le organizzazioni a comprendere e adattarsi all’imprevedibilità. (64) Inquadramento nel contesto delle relazioni internazionali. (65) Esiti ed effetti desiderati dall’egemone. (66) Esempio di tale impiego è stato il dispiegamento di un cacciatorpediniere britannico al largo delle coste delle isole Falkland quale monito per l’Argentina. (67) Un esempio concreto è rappresentato dalle missioni condotte dall’Italia con nave Alliance. BIBLIOGRAFIA Andreatta F., Colombo A., Clementi M., Archibugi M., Parsi V.E., Relazioni Internazionali, Il Mulino, 2012. AA.VV., Naval Diplomacy and Maritime Power Projection, Proceedings of the Royal Australian Navy Sea Power Conference, 2013. Barnett R.W., Strategic Culture and Its Relationship to Naval Strategy, US Naval War College Review, 2007. Bueno de Mesquita B., Prediction: How to See and Shape the Future with Game Theory, Vintage, 2010. Bueno de Mesquita B., The predictioneer’s game; Random House, 2009. Bufis A., La «naval diplomacy» nell’attuale contesto, geopolitica.info, 2021. Chamberlain P., The Royal Canadian Navy and Naval Diplomacy, Niobe papers n. 14, 2021. Cunningham F., La Gran Bretagna s’illude sulla diplomazia delle cannoniere degli USA contro la Cina, Strategic Culture, 2020. Di Nolfo E., Storia delle Relazioni Internazionali, Laterza, 2015. 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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
La cooperazione marittima tra i paesi adriatici Il ruolo guida dell’Italia Fabio Caffio
Ammiraglio ispettore (ris), esperto diritto marittimo, collabora con la Rivista Marittima dal 1986. È autore del Glossario di Diritto del Mare, V edizione, supplemento Rivista Marittima novembre 2020; pubblica anche articoli sulle riviste on line Affarinternazionali e Analisi Difesa.
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L’Italia ha introdotto nella sua legislazione l’istituto della Zona Economica Esclusiva (ZEE). Dopo che un accordo di delimitazione per la futura ZEE è già stato concluso con Atene nel giugno 2020, Roma ha già aperto trattative con la Croazia cui è associata la Slovenia. La governance dell’Adriatico potrà dunque cambiare secondo i parametri della certezza dei confini marittimi e della gestione sostenibile di ambiente e risorse ittiche. L’Italia può candidarsi a ricoprire un ruolo guida nel portare a termine una cooperazione marittima già avviata che ora potrà essere improntata alla transizione energetica verso le energie rinnovabili (Fonte immagine: wikiwand.com).
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La cooperazione marittima tra i paesi adriatici
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l 19 dicembre 2020, i ministri degli Esteri di Italia, Croazia e Slovenia si sono riuniti a Trieste per discutere le modalità per potenziare la cooperazione trilaterale nel mare Adriatico in vista della proclamazione di rispettive Zone Economiche Esclusive (ZEE) (1). Successivamente, sono iniziate trattative tra l’Italia e la Croazia per la delimitazione delle rispettive ZEE: nel frattempo la Croazia ha approvato la legge per la sua istituzione (2), mentre la nostra iniziativa è divenuta legge lo scorso 9 giugno (3). Roma e Zagabria (cui va associata Lubiana) sono molto interessate a dare un assetto stabile ai limiti delle loro zone marine di giurisdizione, non foss’altro perché hanno un notevole sviluppo costiero. Le loro relazioni marittime avevano, tra l’altro, subìto un rallentamento quando, nel 2003, la Croazia aveva creato la Zona di protezione ittica ed ecologica definendo
Maritime Boundary
Internal Waters (IW)
Provisional Equidistance Line
Territorial Sea (TS)
Implied Maritime Limit
Exclusive Economic Zone (EEZ)
Straight Baseline Claim
Hight Seas
unilateralmente un confine provvisorio non concordato con noi (4), coincidente con quello della piattaforma continentale italo-iugoslava del 1968. L’Adriatico, un tempo culla della Repubblica di Venezia che lo considerava il «suo» Golfo, è oggi un mare su cui si affacciano anche Bosnia-Erzegovina (5), Montenegro e Albania. Varie questioni di confine tra questi paesi attendono di essere risolte (6). Quella che è rimasta incompiuta è la definizione di una generale e condivisa governance del bacino (e dell’adiacente Alto Ionio). L’Italia può giocare un ruolo di primo piano per la sua realizzazione.
Le ZEE come spazio di cooperazione Sempre più spesso si parla di territorializzazione dell’alto mare alludendo alle pretese eccessive di quegli Stati che vedono nella ZEE uno spazio di sovranità piena. Il problema è sorto negli anni Ottanta
Figura 1. Il confine della piattaforma continentale italo-iugoslava del 1968 come validato da Italia e Croazia nel 2005 (Sovereign Limits). Nella pagina accanto: Figura 2. Ipotetiche linee di equidistanza della piattaforma continentale italo-jugoslava (IBRU).
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La cooperazione marittima tra i paesi adriatici
del secolo scorso quando, dopo l’approvazione della Convenzione del diritto del mare del 1982 (UNCLOS), è apparsa con evidenza la contrapposizione tra Stati (ma sarebbe più appropriato dire Potenze marittime) interessati alla libertà di navigazione delle loro Forze navali e Stati costieri (7). Questi ultimi erano, infatti, orientati a estendere ultra vires, al di là del dettato dell’UNCLOS, la loro giurisdizione extraterritoriale nello spazio della ZEE. Da questo punto di vista, può dirsi come alcuni paesi abbiano visto nella stessa zona una possibilità di acquisire nuovi territori, quasi si trattasse di spazi da conquistare. Potremmo far riferimento a quel che accade nel Mar di Levante; a occidente la proclamazione algerina della ZEE a nostro danno si presenta anche come un caso di scuola (8). Il fatto innegabile è, invece, che la ZEE è solo un’area di esercizio di diritti sovrani: questi sono relativi, tra l’altro, a sfruttamento di risorse ittiche, energie rinnovabili prodotte da vento, maree e correnti, come anche a protezione dell’ambiente marino (9). Sinora la competizione aveva riguardato le energie fossili e le risorse minerarie della piattaforma continentale (idrocarburi, noduli polimetallici, «terre rare», ecc.). Negli ultimi anni, sempre più spesso in Mediterraneo si è però affermata la prassi di far coincidere il limite del fondale con quello della soprastante colonna d’acqua (10). In sostanza, si dice ZEE ma ci si riferisce implicitamente anche alla piattaforma continentale. Il fatto è che per la piattaforma sono prevalenti gli aspetti per così dire patrimoniali, in quanto essa appartiene per diritto originario allo Stato costiero e ne rappresenta un prolungamento del territorio emerso. Qualcuno ritiene quindi che la piat-
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taforma è intangibile essendo un bene della nazione, con la conseguenza che le pretese contrarie sarebbero configurabili come una minaccia all’integrità territoriale (11) del paese di riferimento. Se si pensa alle royalties che lo Stato percepisce dalle concessioni offshore o ai benefici che alla sua economia vengono da petrolio e gas estratti, si ha una chiara idea di quella che è la valenza finanziaria delle risorse del fondale. Il futuro, tuttavia, va verso la dematerializzazione delle fonti energetiche: da quelle fossili si passerà infatti alle rinnovabili: per esempio, sole, vento e anche, quando la tecnologia lo permetterà, correnti e maree. Tutto questo ha già trovato collocazione nel concetto di transizione energetica verde, il cui avvio è già avvenuto nei paesi del Nord Europa. L’Italia, per parte sua, si sta rapidamente riposizionando, ma con un suo profilo esclusivo: moratoria delle concessioni offshore di idrocarburi (12), uso del gas liquefatto (LGN) importato dall’estero in appositi hub, installazioni di impianti eolici in mare (si veda cartina in Figura 3 nella pagina successiva).
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Intanto, la Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse (UNMIG) del ministero dello Sviluppo economico, cui competeva sinora la concessione dei permessi estrattivi in zone di piattaforma continentale aperte alla ricerca, è passata — assieme ad altre unità organizzative del ministero dell’Ambiente — alle dipendenze del neocostituito ministero della Transizione ecologica (13). Il problema è che la visione italiana in Mediterraneo non è ancora condivisa dagli altri paesi; né l’UE — che sinora incoraggiava gli Stati membri a estrarre più energia fossile nell’ambito della strategia di «Energy Security» (14) — sembra abbia elaborato una chiara politica dedicata alla transizione energetica in mare. Per noi, la sfida sarà quindi di realizzare soluzioni congiunte con i paesi frontisti per lo sfruttamento delle rinnovabili, nel momento in cui concorderemo i confini delle ZEE. A oggi, questo non è stato possibile per l’estrazione degli idrocarburi; anzi, ci sono stati casi in cui Montenegro (15) e Grecia (16) hanno debordato sul versante italiano nel condurre attività offshore. Per non dire della Croazia cui viene addebitato, com’è noto, di captare anche il gas da giacimenti a cavallo, che noi non sfruttiamo adeguatamente. Domani, ragionando sulla colonna d’acqua, potremmo convincere i nostri vicini a con-
Categories of area protection in the Adriatic sea
EU Natura sites (2014) Nationaly designated areas (2014) Emerald network sites (AL) Emerald network sites (MN) Tegnue sites (IT) Artificial_reefs (IT) Jabuka pit fishery protection zone Biological protection zone - ZTB (IT) Adriatic EBSAs (CBD) Miramare SPAMI (IT) Torre Guaceto SPAMI (IT) Potential SPAMI site
dividere soluzioni innovative come le wind farms offshore, qualora si scelga di localizzarle in aree di sfruttamento congiunto ricadenti sui due versanti della ZEE.
La situazione della cooperazione adriatica
Figura 3. Tipologia di impianti a energia eolica offshore (La Stampa). In alto: Figura 4. Ipotetiche linee di equidistanza Italia-ex Juogoslavia (Maritime Briefings, Durham University, IBRU 1996).
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La cooperazione tra gli Stati rivieraschi dell’Adriatico dovrebbe essere molto spinta in tutti i settori del dominio marittimo come, pesca, infrastrutture ed energia, ambiente, turismo, nello
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Gli Accordi di Ancona del 2000 Nel corso della Conferenza per la sicurezza e lo sviluppo dell’Adriatico (Ancona, 19-20 maggio 2000), l’Italia ha firmato vari accordi riguardanti la sicurezza marittima, tra i quali, con: 1) la Slovenia, la Croazia, l’Albania e la Grecia per la cooperazione nelle operazioni di ricerca e salvataggio in mare mediante la definizione dei limiti delle rispettive zone SAR; 2) la Slovenia, la Croazia, l’Albania, la Grecia, per l’adozione di un comune sistema di VTS (Vessel Traffic Service); 3) la Croazia e l’Albania per l’adozione di un sistema comune di rotte e di schemi di separazione del traffico; 4) la Slovenia e Croazia concernente un sistema di rapportazione obbligatoria (Ship Reporting Mandatory SystemADRIREP) per navi petroliere e navi trasportanti carichi pericolosi e inquinanti. 5) la Slovenia e la Croazia per un sistema comune di rotte e uno schema di separazione del traffico nell’Adriatico centrosettentrionale e nel Golfo di Trieste.
spirito dell’art. 123 dell’UNCLOS che per i «mari semi chiusi» la prevede come un obbligo. Di questo si occupa l’Iniziativa Adriatico-Ionica (IAI) lanciata dalla Dichiarazione di Ancona del 2000 sulla sicurezza e lo sviluppo dei paesi della regione ionico-adriatica (17), nel cui ambito l’Italia ha concluso nel 2000 ben 13 intese di collaborazione in materia di safety marittima (si veda Riquadro accanto) con tutti gli Stati della sponda balcanica, Grecia compresa (18). Prima ancora, il nostro paese aveva stipulato l’Accordo di Belgrado del 1974 per la salvaguardia dagli inquinamenti delle acque dell’Adriatico e analoga iniziativa aveva assunto nel 1979, con l’Accordo di Roma dedicato alla protezione dello Ionio. Nel 1996 da parte croata fu ipotizzato anche di dichiarare un’area dell’Adriatico: «area particolarmente
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sensibile» ai sensi della Convenzione MARPOL, ma la proposta (19) non ebbe seguito, forse per non limitare ulteriormente la libertà di navigazione del bacino. Un framework per riavviare la cooperazione nel settore della protezione ambientale è attualmente la European Union Maritime Strategy for the Adriatic and Ionian Seas (20) che è incentrata sulla Blue Economy. Sul piano bilaterale Italia e Croazia hanno inoltre dimostrato la loro capacità di attuare, congiuntamente, una gestione sostenibile delle risorse ittiche: essi hanno stabilito una nursery incentrata su misure di contenimento dello sforzo di pesca in un’area ricadente a cavallo dei due versanti delle acque di giurisdizione (21). Una zona congiunta di pesca era stabilita in passato nel Golfo di Trieste. In futuro se ne potrebbe dare attuazione alla zona promiscua di pesca prevista nelle acque territoriali di Pelagosa, dal Trattato di Pace del 1947 (22). Il quadro del vigente spazio della cooperazione adriatica va completato con ADRION, iniziativa discendente dalla succitata Dichiarazione di Ancona del 2000 (23), relativa alla cooperazione tra le Marine di Albania, Croazia, Grecia, Italia, Montenegro e Slovenia: nel suo ambito è stata prevista l’attivazione di una On Call Maritime Force (OCMF) dedicata ad attività addestrative e/o reali
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nia, è necessario avviare quanto prima il dialogo. Podgorica non si è detta vincolata — come Stato successore della ex Iugoslavia — al trattato del 1968, sicché sarà per noi necessario negoziare ex novo un accordo per colonna d’acqua e fondale. Le nostre relazioni con Tirana sono eccellenti: basterebbe un tavolo negoziale aperto a tutte le questioni marittime per trovare anche un’intesa sulla ZEE. D’altronde, l’Albania ha mostrato di essere ben consapevole di quale sia il quaFigura 5. La zona di ripopolamento ittico della Fossa di Pomo-Jabuka con le adiacenti AMP (AMP Torre del Cerano). dro giuridico applicabile nel momento in cui ha ottenuto dalla Grecia di deferire nei settori della presenza e sorveglianza, assistenza alla Corte internazionale di giustizia il problema umanitaria, Disaster Relief, ricerca e soccorso. Di della delimitazione laterale di ZEE e acque territorilievo è anche la cooperazione stabilita tra i paesi riali nelle acque prospicienti Corfù (26). aderenti per garantire la maritime security mediante scambio di informazioni concernente il trafL’Italia è interessata più di tutti alla governance fico marittimo e l’inquinamento marino. del bacino adriatico, in primis per la tutela ambientale e la gestione della pesca sostenibile, ma anche Il ruolo guida dell’Italia per lo sfruttamento delle fonti energetiche rinnovabili, senza tuttavia abbandonare del tutto le fossili. Dopo anni di stasi delle relazioni marittime tra i Periodicamente si ventila anche l’ipotesi di utilizzare paesi dell’Adriatico ora sembra arrivato il momento siti estrattivi non più utilizzati per adibirli, al largo della ripartenza. Il vento delle ZEE che spira dal verdi Ravenna, a stoccaggio di anidride carbonica (27). sante italiano e dallo Ionio (dove Italia e Grecia, con Un ulteriore tema di impegno in Adriatico, per accordo del 9 giugno 2020, hanno confermato il preel’Italia, è la libertà di navigazione. Il nostro paese è sistente confine della piattaforma continentale ai fini inoltre sempre stato l’alfiere della libertà di navigadella ZEE) (24) ha ridato slancio al processo di defizione da quando ha assunto, sin dalla firma dell’UNnizione dei confini marittimi. Sullo sfondo resta anCLOS, una netta posizione contro le restrizioni alla cora aperta la disputa tra Croazia e Slovenia per la mobilità delle Forze navali nelle ZEE e nelle acque delimitazione della Baia di Pirano e per l’accesso territoriali (28). Alcuni Stati adriatici hanno purdella Slovenia alle acque internazionali mediante un troppo mantenuto in materia, come retaggio della corridoio di transito. Guerra Fredda, una policy limitativa (29). Valgano La sentenza del 2017 della Corte arbitrale (25) per tutti le ricorrenti contestazioni rivolte a nostre non è stata ancora accettata dalla Croazia, anche se unità, militari, mercantili o da diporto, per presunte si colgono segnali di cambiamento nel fatto che Zaviolazioni ai principi del transito inoffensivo. È dogabria si coordinerà con Lubiana nel corso delle cumentato, per esempio, un episodio in cui fu cointrattative per la ZEE. Quanto a Montenegro e Alba-
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liano sia da quello orientale antistante Montenegro e Albania. Presto la situazione dovrebbe però cambiare a seguito di una proclamazione generalizzata di ZEE. Possiamo dire che questo trend evidenzia ricadute positive per lo sviluppo di quella Blue Economy che l’EU inquadra nell’ambito della propria politica marittima integrata (33). La certezza dei confini delle zone di giurisdizione dei paesi costieri sarà anche un ulteriore fattore che faciliterà l’ordinato svolgimento di tutte le attività marittime, evitando che vi siano aree franche di insicurezza. Con l’introduzione nella legislazione italiana dell’istituto della ZEE si porranno ora le condizioni per un nuovo assetto di un bacino troppo a lungo lasciato privo di un’architettura condivisa di goTHE IMO TRAFFIC SEPARATION SCHEME IN THE NORTH ADRIATIC AND vernance. La ZEE si sovrappone alla FOR APPROACHES TO THE GULF OF TRIESTE AND TO/FROM KOPER piattaforma continentale e quindi ha una Legend: Traffic lane for incoming ships (including to the port Koper) portata concettualmente più vasta: non Traffic lane for outcoming ships (including from the port Koper) Traffic separation zones solo idrocarburi fossili ma anche protezione ambientale, gestione sostenibile delle risorse ittiche e lotta alla pesca illegale praticata da paesi non mediterranei, energia verde dal vento prodotta in wind farms galleggianti. Tutti obiettivi che fanno parte dell’agenda mediterranea ed europea e che dovrebbero perciò essere Figura 6. Schemi di separazione del traffico Nord Adriatico e Golfo di Trieste (PCA). condivisi dai nostri vicini. In Adriatico ci sono tutte le premesse per una coovolto nel Golfo di Trieste il nostro Cavour (30). Se perazione ispirata ai principi guida dell’UNCLOS. In così è, è opportuno che in futuro si assuma in materia primis, quello secondo cui istituire ZEE non vuol dire una posizione comune tra tutti i paesi rivieraschi, appropriarsi di spazi di alto mare per territorializzarli, provvedendo anche a inserire norme di salvaguardia in quanto in esse — ferma restando la libertà di nanei prossimi accordi di delimitazione della ZEE. Non vigazione — la giurisdizione nazionale è dedicata a caso il citato accordo con la Grecia sulla ZEE del 9 alla Blue Economy e alla connessa tutela ambientale, giugno 2020 (31) contiene, al riguardo, una clausola pesca sostenibile e sfruttamento energie rinnovabili. dedicata a confermare l’applicabilità dell’art. 58 Tutti obiettivi da tempo già considerati prioritari dell’UNCLOS (32) nella ZEE italo-ellenica. dall’Italia, anche grazie al ruolo di garanzia affidato Conclusioni alla Marina Militare dal Codice dell’Ordinamento Militare per la polizia dell’alto mare (34) e per la preL’Adriatico è al momento un bacino in cui vi sono senza e sorveglianza nella ZEE nazionale (35). 8 ancora ampie zone di alto mare sia dal versante ita-
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La cooperazione marittima tra i paesi adriatici NOTE (1) In https://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati. (2) Zagreb, 05 February 2021 - Parliament unanimously declares Exclusive Economic Zone in the Adriatic, http://www.mvep.hr/en/info-servis/pressreleases/,36364.html. (3) È stato approvato, nella sua formulazione originaria, l’Atto Senato n. 2007; testo in http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/53462.htm. (4) La decisione di istituire una siffatta zona di protezione (indicata in croato come ZERP, acronimo di Zaštićeni ekološko ribolovni pojas) è stata motivata con il fatto che il mar Adriatico è un mare chiuso o semi chiuso e che per le sue ristrette dimensioni le conseguenze di un eventuale inquinamento sarebbero molto più gravi che in altri mari. Rilevante anche la finalità di lotta alla pesca illegale indicata come prioritaria dalla Conferenza FAO di Venezia del 2003. Quella croata è quindi una ZEE minus generis in cui si esercitano parzialmente i diritti sovrani teoricamente spettanti secondo l’UNCLOS. Il confine della ZERP e� stato fissato a titolo provvisorio — in attesa di un accordo con l’Italia — sino al limite della piattaforma continentale stabilito dall’Accordo italo-iugoslavo del 1968. La decisione è stata da noi contestata, con Nota verbale del 15 marzo 2006, assumendo che la coincidenza tra i confini di fondale e colonna d’acqua non è automatica ma va negoziata con lo Stato frontista. (5) La Bosnia-Erzegovina, essendo provvista di una fascia costiera (sia pur della limitata estensione di circa 10 km) è a tutti gli effetti uno Stato costiero del mare Adriatico. Gli Accordi di pace di Dayton del 21 novembre 1995 hanno, infatti, previsto l’assegnazione di una zona di mare, in prossimità della citta bosniaca di Neum. Il regime delle acque di tale zona è quello delle acque territoriali: esse sono tuttavia inglobate interamente dentro le acque interne della Croazia nel Canale di Mali Stan sì da costituire una vera e propria enclave. Con Accordo del 30 luglio 1999, Croazia e Bosnia hanno stabilito che il relativo confine marittimo sia costituito dalla mediana tra la Penisola bosniaca di Klek e la Penisola croata di Peljesac. (6) Vedi T. Scovazzi, Recent Developments As Regards Maritime Delimitation In The Adriatic Sea, Maritime Delimitation (ed. by R. Lagoni), 197, Brill 2006. Un quadro di situazione generale, in parte ancora valido, è anche in M. Sersic, The Adriatic Sea: Semi-enclosed Sea in a Semi-enclosed Sea, La Mediterranee et le droit de la mer a l’aube du XXIe siecle (ed. G. Cataldi) Bruylant, Bruxelles 2002. Per la decisione arbitrale che ha definito l’assetto del Golfo di Pirano si rinvia alla successiva nota (25). (7) Cfr. F. Caffio, Il G7 e la libertà di navigazione, Rivista Marittima, 5, 2017, 8. (8) Vedi F. Caffio, Non lasciamo ad altri la delimitazione del Canale di Sicilia, in Limes, L’Italia è il mare, 10, 2020, 209. (9) Il testo dell’art. 56 dell’UNCLOS è il seguente: «1. Nella zona economica esclusiva lo Stato costiero gode di: a) diritti sovrani sia ai fini dell’esplorazione, dello sfruttamento, della conservazione e della gestione delle risorse naturali, biologiche o non biologiche, che si trovano nelle acque soprastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo, sia ai fini di altre attività connesse con l’esplorazione e lo sfruttamento economico della zona, quali la produzione di energia derivata dall’acqua, dalle correnti e dai venti; b) giurisdizione conformemente alle pertinenti disposizioni della presente Convenzione, in materia di: i) installazione e utilizzazione di isole artificiali, impianti e strutture; ii) ricerca scientifica marina; iii) protezione e preservazione dell’ambiente marino; (…)». (10) Un’approfondita trattazione è in I. Papanicolopulu, Il confine marino: unità o pluralità?, Milano, Giuffrè, 2005. (11) Cfr., con riguardo al caso di Malta, U. Leanza, Il nuovo diritto del mare e la sua applicazione nel Mediterraneo, Torino 1993, 321, nota (206). (12) Con il provvedimento «Milleproroghe 2021» (legge 21-2021) è stato stabilito che la moratoria sulle concessioni per le ricerche di idrocarburi continui fino al prossimo 30 settembre. (13) La riorganizzazione ministeriale è stata attuata con il decreto-legge 1° marzo 2021, n. 22. (14) Sulla European Energy Security Stretegy del 2014 v. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN. (15) https://energiaoltre.it/il-paradosso-delle-trivelle-italiane. (16) https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/1172406/il-no-triv-e-la-beffa-del-giacimento-di-leuca-sara-sfruttato-solo-dalla-grecia.html. (17) L’Iniziativa Adriatico-Ionica (IAI) è un forum intergovernativo per la cooperazione regionale nella regione adriatico-ionica. La IAI nasce il 19-20 maggio 2000 con la firma da parte dei ministri degli Esteri di 6 paesi rivieraschi (Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Grecia, Italia, Slovenia) della Dichiarazione di Ancona sulla cooperazione regionale quale strumento di promozione della stabilità economica e politica e del processo di integrazione europea». Iniziativa Adriatico-Ionica (IAI), esteri (https://www.esteri.it/mae/it). Informazioni aggiornate sulla IAI possono trarsi dal sito del Segretariato permanente (https://www.aii-ps.org/). (18) Su questi accordi si veda M. Gestri, I rapporti di vicinato marittimo tra l’Italia e gli Stati nati dalla dissoluzione della Iugoslavia, in N. Ronzitti (ed.), I rapporti di vicinato dell’Italia con Croazia, Serbia-Montenegro e Slovenia, Roma 2005, Luiss University Press-Giuffrè, 209. (19) Cfr. P. Komadina-D. Zec, The Adriatic Sea: a particularly sensitive area, Trasporti Europei, 1996, 42. (20) The strategy rests on 4 pillars: a stronger blue economy, a healthier marine environment, a safer maritime space, and responsible fishing activities. It builds on the Commission’s Blue Growth initiative and on the “Limassol Declaration on a marine and maritime agenda for growth and jobs”. (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/IP_12_1306). (21) Le misure di protezione sono state recepite in Italia con il D.M. 1o giugno 2017, n. 467. (22) Questo Trattato, nel prevedere all’art. 11 la cessione all’ex Iugoslavia della piena sovranità sull’isola di Pelagosa e sulle isolette adiacenti, stabilisce che «l’Isola di Pelagosa rimarrà smilitarizzata» e che «i pescatori italiani godranno nelle acque adiacenti degli stessi diritti di cui godevano i pescatori iugoslavi prima del 1941». (23) https://www.marina.difesa.it/cosa-facciamo/cooperazione-internazionale/Pagine/adrion.aspx. (24) Greece and Italy Agree Maritime Boundary, 18 June 2020, Durham University, IBRU. (25) Accessibile in https://pca-cpa.org/en/cases/3. (26) Vedi, tra i tanti, Greece, Albania agree to go to Hague over maritime zones, says FM, Ekathimerini, 20.1020. (27) Vedi Cattura, stoccaggio e riutilizzo della CO�, ENI, https://www.eni.com/it-IT/attivita/gestione-anidride-carbonica.html. (28) Nel firmare l’UNCLOS nel 1984 e nel ratificarla nel 1994, l’Italia ha dichiarato che «Lo Stato costiero non gode, secondo la Convenzione, di diritti residuali nella zona economica esclusiva. In particolare, i diritti e la giurisdizione dello Stato costiero in tale zona non includono il diritto di ottenere la notifica di esercitazioni o manovre militari o di autorizzarle». Il nostro paese ha anche depositato una dichiarazione di analogo contenuto relativa alle pretese di subordinare a preventiva notifica/autorizzazione il transito inoffensivo di qualsiasi categoria di navi, comprese quelle da guerra. (29) Sulla posizione italiana in materia di ZEE in relazione ai compiti NATO, cfr. B. Vukas, The extension of jurisdiction of the coastal State in the Adriatic Sea in N. Ronzitti (ed.), I rapporti di vicinato dell’Italia con Croazia, Serbia-Montenegro e Slovenia, cit., 251. (30) Sulla vicenda del presunto sconfinamento della Cavour in acque territoriali slovene avvenuto il 22 gennaio 2015 in fase di navigazione nel Golfo di Trieste sulla rotta di accesso del versante sloveno vedi La Cavour in acque Slovene: vale la libertà di navigazione?, Il Piccolo, 30/1/2015 in https://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2015/01/30/NZ_33_02.html. (31) La legge di ratifica dell’Accordo è stata approvata dal Parlamento italiano il 28 maggio 2021. (32) Il I comma di questo articolo così recita: «Nella zona economica esclusiva tutti gli Stati, sia costieri sia privi di litorale, godono, conformemente alle specifiche disposizioni della presente Convenzione, delle liberta� di navigazione e di sorvolo, di posa in opera di condotte e cavi sottomarini, indicate all’articolo 87, e di altri usi del mare, leciti in ambito internazionale, collegati con tali libertà, come quelli associati alle operazioni di navi, aeromobili, condotte e cavi sottomarini, e compatibili con le altre disposizioni della presente convenzione». (33) https://ec.europa.eu/maritimeaffairs/policy/blue_growth_it. (34) Vedi in materia, F. Caffio, La sicurezza dell’alto mare: ruolo primario della nostra Marina, Rivista Marittima, 5, 2019, 12. (35) L’articolo 115,1 del Codice dell’Ordinamento Militare (D.LGS 66/2010) affida alla Marina Militare il «servizio di vigilanza sulle attività marittime ed economiche, compresa quella di pesca, sottoposte alla giurisdizione nazionale nelle aree situate al di là del limite esterno del mare territoriale». Va da sè che questo servizio — il quale ha valenza autonoma rispetto alla c.d. Polizia dell’Alto Mare disciplinata dall’art. 111 dello stesso codice — si integra e coordina con le funzioni svolte in mare, per istituto, da Capitanerie di porto, Guardia costiera e Guardia di Finanza. Al riguardo cfr. V. Montanaro, A. Bielli, D. Panebianco, La Marina Militare per una strategia nazionale, Limes «L’Italia è il mare», n. 10/2020, 287.
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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
L’impiego dei droni nelle operazioni in ambito civile, tra realtà operativa e prospettive di ulteriori opportunità Una breve riflessione sull’attuale quadro normativo europeo
Alessandro Zampone
È professore ordinario di Diritto della navigazione presso l’Università «Sapienza» di Roma. È avvocato cassazionista e si occupa prevalentemente di Diritto della navigazione, delle infrastrutture e dei trasporti. È autore di numerosi contributi scientifici in volumi e riviste giuridiche di classe «A» e autore di due monografie. Dal 2019 è codirettore della rivista Diritto dei trasporti. Profesor Invitado presso l’Università Externado de Colombia (Bogotà - Colombia). Membro permanente del Comitè Asesor de la Carrera de Postgrado Universitario Especializaciòn en Derecho Aeronautico, Espacial y Aeroportuariodell’Instituto Nacional de Derecho Aeronautico y Espacial de Buonos Aires (Argentina). Membro del Collegio dei docenti del dottorato in autonomia privata, impresa, lavoro e tutela dei diritti nella prospettiva europea e internazionale, «Sapienza» Università di Roma. Miembro Corrispondente dell’Istituto Nacional de Derecho Aeronautico y Espacial di Buenos Aires (Argentina). Miembro Corrispondente de ALADA Associacion Latino Americana de Derecho Aeronautico y Espacial. Membro dell’I.S.Di.T. - Istituto per lo studio del diritto dei trasporti. Membro dell’AIDIM - Associazione italiana di diritto marittimo (Comitato romano). Membro dell’AIDINAT - Associazione italiana di diritto della navigazione e dei trasporti. Componente del Circle of Experts di ESAM - European Society of Aerospace Medicine. Membro di commissioni di studio e gruppi tecnici presso l’Amministrazione dei trasporti. Relatore in numerosi convegni e seminari in ambito nazionale e internazionale. Dal 2008 è componente degli Organi della Giustizia sportiva presso la Federazione Italiano Giuoco Calcio (FIGC); attualmente è Sostituto giudice sportivo FIGC presso la Lega nazionale professionisti di Serie A.
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«Con l’inizio dell’anno 2021 si è aperta una nuova fase per il settore dei mezzi aerei pilotati a distanza. Dal 1° gennaio 2021, infatti, sono divenute applicabili le disposizioni del regolamento di esecuzione (UE) 2019/947 della Commissione del 24 maggio 2019 relativo a norme e procedure per l’esercizio di aeromobili senza equipaggio» (Fonte immagine: airway.it).
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L’impiego dei droni nelle operazioni in ambito civile, tra realtà operativa e prospettive ...
Il compimento del «pacchetto droni». Uno sguardo alle principali novità Con l’inizio dell’anno 2021 si è aperta una nuova fase per il settore dei mezzi aerei pilotati a distanza. Dal 1° gennaio 2021, infatti, sono divenute applicabili le disposizioni del regolamento di esecuzione (UE) 2019/947 della Commissione del 24 maggio 2019 relativo a norme e procedure per l’esercizio di aeromobili senza equipaggio dopo i rinvii imposti dall’esplosione della pandemia da Covid-19. Il reg. UE 2020/746 del 4 giugno 2020 ha, infatti, differito di sei mesi il termine originario proprio per consentire di porre rimedio ai ritardi maturati sia nell’istituzione dei sistemi di registrazione, sia nell’adattamento dei modelli delle autorizzazioni, delle dichiarazioni e dei certificati rilasciati in base al diritto di ciascun Stato membro, sia nel perfezionamento di tutte quelle attività di carattere tecnico indispensabili secondo gli standard di conformità dei prodotti stabiliti dal regolamento delegato (UE) n. 945/2019. Ritardi che, come è evidente, rappresentavano un ostacolo all’applicabilità operativa della nuova disciplina nel suo complesso. Si tratta quindi di una svolta molto significativa cui l’ENAC si è prontamente adeguato pubblicando «(...) nuove disposizioni, applicabili a partire dal gennaio 2023, permetteranno la realizzazione del sistema Unmanned Traffic Management (UTM) U-Space volto a creare le condizioni necessarie per consentire che droni (UAS) e aeromobili con equipaggio convivano nel medesimo contesto in condizioni di sicurezza, prevenendo collisioni e mitigando i rischi sulla superficie (...)» (Fonte immagini: airbus.com; pagina accanto, usatoday.com).
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un nuovo regolamento, il Regolamento UAS-IT del 4 gennaio 2021, che va a completare, negli ambiti di propria competenza, le disposizioni previste dalla normativa europea. Emerge un corpo notevole di norme indirizzato a consentire la piena integrazione della navigazione di aeromobili a pilotaggio remoto — gli UAS (Unmanned Aerial System) secondo la nuova nomenclatura — nel sistema del cielo unico europeo. Il quadro è completato dalle disposizioni del Regolamento di esecuzione (UE) 2020/639 della Commissione del 12 maggio 2020 che modifica il regolamento 2019/947 per quanto riguarda gli scenari standard per le operazioni effettuate entro o oltre la distanza di visibilità (il Regolamento di esecuzione UE 2021/1166 della Commissione del 15 luglio 2021, da ultimo ha modificato il Regolamento 947 per quanto riguarda il rinvio delle date d’applicazione degli scenari standard per tali operazioni), da quelle del Regolamento (UE) 2018/1139 recante norme comuni nel settore dell’aviazione civile e che istituisce un’Agenzia dell’Unione europea per la sicurezza aerea (c.d. regolamento basico), da quelle del già citato Regolamento delegato (UE) 2019/945 della Commissione del 12 marzo 2019, relativo ai sistemi aeromobili senza equipaggio e agli operatori di paesi terzi di sistemi aeromobili senza equipaggio. Inoltre, nuove disposizioni, applicabili a partire dal gennaio 2023, permetteranno la realizzazione del sistema Unmanned Traffic Management (UTM) U-Space
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volto a creare le condizioni necessarie per consentire che droni (UAS) e aeromobili con equipaggio convivano nel medesimo contesto in condizioni di sicurezza, prevenendo collisioni e mitigando i rischi sulla superficie (si tratta dei regolamenti di esecuzione della Commissione UE n. 2021/664, n. 2021/665, n. 2021/666 del 22 aprile 2021; il primo realizza il quadro normativo per l’U-Space, il secondo e il terzo introducono emendamenti al Regolamento (EU) 2017/373 e Regolamento (EU) 923/2012 SERA). Tale quadro, voluminoso e tecnicamente molto dettagliato, inteso nel suo insieme, conduce verso la razionalizzazione e l’armonizzazione del sistema che, in estrema sintesi, propone le seguenti principali novità: a) il venire meno della distinzione tra volo professionale e volo ricreativo; b) la parificazione degli UAS agli aeromobili tradizionali; c) l’introduzione di un sistema di «registrazione» riconosciuto a livello EASA dell’operatore UAS; d) la previsione dell’immatricolazione dell’UAS solo qualora si tratti di velivolo certificato da impiegare per determinate tipologie di attività; e) la suddivisione delle modalità di impiego in tre ambiti (Open, Specific e Certified). Secondo quest’ultima distinzione, che presuppone una considerazione progressiva quanto a livelli di rischio, le operazioni si distinguono in: i) «open»: sono le operazioni condotte con droni dotati di marcatura CE di peso non superiore ai 25 kg, in condizioni di «visual line of sight» e
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a un’altezza massima di 120 m; tale impiego non pretende alcuna autorizzazione o dichiarazione da parte dell’operatore, salvo che non voglia impiegare il drone in spazi aerei controllati. Si suddivide a sua vola in tre sottocategorie (A1, A2, e A3) in funzione delle caratteristiche del drone (C0, C1, C2, C3 e C4) e delle capacità del pilota; ii) «specific»: si tratta delle operazioni che presentano requisiti di rischio superiori, diversi dalla precedente categoria e che non rientrano in quella successiva; in tal caso è richiesta l’autorizzazione operativa da parte dell’Autorità aeronautica nazionale o la dichiarazione preventiva da parte dell’operatore UAS; iii) «certified»: si tratta di quelle operazioni connotate da un rischio tale da imporre la preventiva autorizzazione operativa da parte dell’Autorità aeronautica, la certificazione dell’operatore, il possesso, in capo al pilota remoto, della specifica licenza prevista dal regolamento (UE) 2019/945, la immatricolazione (rectius, registrazione) dell’UAS (in Italia, ai sensi dell’art. 8 reg. UAS-IT del 4 gennaio 2021). Queste tre categorie generali sono quindi stabilite in funzione di un crescente grado di rischio riconducibile all’operazione per caratteristiche del velivolo e tipologia di servizio cui viene impiegato. La progressione che se ne ricava, pur tenendo ancora conto della disciplina transitoria (si pensi alla categoria c.d. «open limited» che riduce i limiti di peso della categoria «open» e consente l’impiego dei droni oggi in circolazione e in commercio che non posseggono ancora le specifiche della categoria
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«open CE»), consente già oggi di comprendere scenari relativi all’impiego del drone, una volta considerati fantascientifici ma, sebbene ancora non perfettamente collaudati, assai concreti e di prossima affermazione. È di pochi mesi fa la notizia della sottoscrizione tra ENAC e la città di Venezia di un protocollo per la sperimentazione di sistemi intelligenti di «Urban Delivery» e «Urban Air Mobility» che possano incidere significativamente sulla qualità e l’efficienza dei collegamenti in una realtà del tutto particolare sotto il profilo naturalistico, ambientale e storico-culturale. Disciplinari di analogo contenuto sono stati sottoscritti da ENAC in relazione ad altri ambiti e indicazioni similari emergono anche da altri contesti, lasciando ipotizzare una ulteriore forte accelerazione del fenomeno complessivo sempre più riguardato nell’ottica del supporto efficiente ed evoluto di molteplici attività specialistiche in ambito civile tra le quali le attività di controllo e monitoraggio di attività di rilevanza collettiva, di infrastrutture critiche e dell’esecuzione di attività pericolose. Si pensi, per esempio, all’attività di prevenzione e contrasto dell’inquinamento marino derivante da sversamenti di idrocarburi e di altre sostanze nocive (la Corte dei Conti, nella delibera n. 6 dell’11 marzo 2021, ipotizza, con particolare riferimento alla razionalizzazione dei costi del dispositivo di sorveglianza delle piattaforme petrolifere, l’impiego di forme di controllo, sostitutive o integrative di quelle attualmente in uso mediante le attività della società affidataria del servizio antinquinamento, realizzate a distanza con l’apporto di nuove tecnologie). Del resto, lo sguardo verso sistemi tradizionalmente molto evoluti dal punto di vista delle attività aeronautiche, quale quello nordamericano, conferma lo straordinario fermento che coinvolge il settore. La Federal Aviation Authority ha recentemente pubblicato nuove regole per l’esecuzione di servizi commerciali, incluse le operazioni di delivery, mediante UAS di piccole dimensioni che comportino il sorvolo di insediamenti abitati anche in orari notturni (la Final Rule emenda la Part 107 del Title 14 del Code of Federal Regulations).
Aspetti problematici. Il meccanismo assicurativo Queste ultime osservazioni confermano come gli scenari operativi e le prospettive di ulteriore sviluppo di un settore tanto complesso siano ancora estrema-
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mente fluide. Occorre quindi interrogarsi se lo stato cui è giunta la disciplina, in ambito europeo, possa garantire efficienza e immediatezza di risposte anche alla luce del necessario rapporto sinergico che, seppure in termini attenuati rispetto al passato, si pretende tra la normativa unionale e quella dei singoli Stati membri. A tale riguardo è la stessa disciplina europea a tradire una malcelata consapevolezza della limitatezza delle proprie soluzioni in alcuni specifici ambiti. In termini generali, peraltro, il regolamento 947/2019 riserva espressamente agli Stati membri la possibilità di stabilire regole che subordinino l’esercizio degli UAS a ulteriori presupposti che, quindi, rispondano a ragioni diverse rispetto a quelle contemplate dal regolamento «basico» n. 1139/2018. Tra questi, di notevole rilevanza si presentano le questioni relative alla copertura assicurativa e all’eventuale relativo obbligo in capo all’operatore. Infatti, le norme di recente applicabilità demandano alle normative europee o nazionali in materia di responsabilità civile e coperture assicurative la previsione dell’adozione di uno strumento assicurativo obbligatorio (l’art. 14.2 lett. «d» reg. 947/2019 stabilisce che della polizza assicurativa venga dato conto all’atto dell’immatricolazione se l’obbligo è previsto dai diritti nazionali o dell’UE). È opportuno sottolineare che, in Italia, già il Regolamento ENAC sui mezzi aerei a pilotaggio remoto del 16 dicembre 2013, la cui terza edizione risale all’11 novembre 2019, imponeva la stipulazione obbligatoria di un’assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi ai fini dell’esecuzione delle operazioni di volo con i droni, stabilendo espressamente che la copertura assicurativa dovesse essere «adeguata allo scopo» (art. 32). In maniera corrispondente, il Regolamento ENAC UAS-IT del 4 gennaio 2021, conformandosi alle indicazioni in chiave di ulteriore armonizzazione provenienti dalla disciplina europea, stabilisce all’art. 27 che non è consentito condurre operazioni con un drone in assenza di una copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi che sia in corso di validità, idonea allo scopo, assistita dalla previsione della azione diretta (mediante rinvio all’art. 1015 c. nav.) e i cui massimali non siano inferiori ai parametri minimi stabiliti dalla tabella proposta dall’art. 7 del regolamento
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CE 785/2004 che riguarda, per espressa definizione, la «responsabilità dei vettori per il trasporto e degli esercenti in caso di incidente». Ebbene, proprio la valutazione della potenziale idoneità allo scopo che la copertura assicurativa deve garantire appare particolarmente disagevole qualora la si compia tenendo conto, come è doveroso, del contesto estremamente peculiare nel quale è destinata a collocarsi che aspira al più alto grado possibile di efficienza, armonizzazione e uniformità. Sotto questo aspetto, il richiamo esplicito ai minimi assicurativi stabiliti nel regolamento CE 785/2004 se, da un lato, consente una valutazione presupposta, criticabile o meno, e comunque condivisa della idoneità della copertura dal punto di vista economico secondo parametri già stabiliti a livello europeo (seppure in un contesto profondamente diverso), dall’altro, non apporta alcun utile elemento perché si possa pervenire a risultati altrettanto certi circa la corrispondenza del rischio assicurato rispetto alle finalità delle diverse tipologie di impiego del velivolo pilotato a distanza che la disciplina in discussione propone. Allora è indispensabile chiedersi attraverso quali parametri debba essere intesa la relazione funzionale tra lo strumento che si individua a lo scopo che dovrebbe realizzare. Trattandosi di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile, il concetto di idoneità allo scopo impone che si abbia chiarezza, in primo luogo, di quale sia il regime della responsabilità nel quale lo strumento assicurativo si deve innestare. Quali siano gli interessi coinvolti e a quali soggetti vadano riferiti. Questa operazione è normalmente eseguita dalla stessa previsione normativa sul presupposto di un rapporto di stretta accessorietà tra posizione potenziale d’obbligo dell’esercente di una determinata attività e la relativa garanzia. In questo caso, tuttavia, il quadro di riferimento è chiaramente manchevole. Di fronte a un sistema di norme che, da questo punto di vista, si rivela esplicitamente non definito, il lavoro dell’interprete, pur complicandosi notevolmente, rimane quello abituale; ricondurre il fenomeno nuovo nell’ambito dell’ordinamento esistente e proporre soluzioni che rispondano al meglio ai criteri di proporzionalità e funzionalità. In questo modo sarà possibile,
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in attesa di un intervento chiarificatore, disinnescare il rischio che le incertezze che potrebbero alimentarsi nel complementare mercato assicurativo finiscano per rappresentare un freno al pieno affermarsi e all’ulteriore sviluppo del fenomeno di cui si discute. Ma quali devono essere i corretti criteri di analisi? Certamente, il definitivo inserimento dei droni nel cielo unico europeo risolve quello che è stato sempre avvertito come un problema non solo definitorio ma anche sostanziale: la piena equiparazione degli UAS agli aeromobili tradizionali. Assimilazione risolta a suo tempo esplicitamente dal nostro legislatore, mediante il rinvio alle definizioni delle leggi speciali e dai regolamenti ENAC operato dalla riforma dell’art. 743 c. nav. (anni 2005-06), e successivamente dalle norme europee di cui si discute. Tuttavia, a mio giudizio, tale assimilazione finisce per allontanare l’attenzione da quello che pare un dato di fatto del quale occorre tenere conto. Secondo la definizione funzionale, l’aeromobile è una macchina destinata al trasporto (dove per trasporto intendiamo il fenomeno materiale e tecnico, non quello strettamente giuridico). Il drone, o l’UAV, è invece una macchina volante in relazione alla quale è difficile configurare quel rapporto teleologico con il momento del trasporto — inteso anche quale solo movimento — così immediato e diretto. Rapporto che, al contrario, connota esplicitamente la prima nozione. Il drone, infatti, consente lo svolgimento di attività che non necessariamente coincidono con il trasporto, anche se inteso fine a sé stesso. L’impiego dei droni si sviluppa vertiginosamente in ambito civile proprio perché diviene un elemento strumentale per l’esecuzione di una moltitudine di altre attività che hanno una propria fisionomia a prescindere dal supporto materiale che ne permette l’esecuzione. Si tratta proprio delle attività specialistiche nelle quali i droni sono solitamente impiegati in ambito civile e che indeboliscono il senso di un collegamento funzionale così intenso col trasporto. Il ritorno a una relazione teleologica particolarmente intensa tra macchina unmanned e trasporto si registra invece a proposito delle operazioni riconducibili al settore di impiego «certified». È questo il contesto nel quale scenari un tempo futuribili, premonizioni del passato — quale il drone taxi del film Blade Runner di Ri-
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dley Scott del 1982 — si realizzeranno. Sistemi di c.d. Urban Air Mobility (UAM) o Urban Air Delivery (UAD) sembrano di imminente attuazione mediante l’impiego di velivoli, anche di modeste dimensioni, in ambito «certified». Del resto, solo per questa ultima categoria, analogamente al settore degli aeromobili manned e in conformità dei principi della Convenzione di Chicago 1944 (art. 31), è richiesto un certificato di aeronavigabilità del velivolo a ulteriore riprova della effettiva integrazione degli UAS non solo nel cielo unico europeo ma nel sistema dei trasporti in generale (molto interessanti sono le indicazioni raccolte in un recente studio dell’International Transport Forum sull’integrazione dei droni nel sistema dei trasporti: Ready for takeoff? Integrating drones into the trasnsport system).
Gli irrisolti problemi di liability nell’esecuzione delle attività specialistiche Legata a queste ultime considerazioni è la questione delle responsabilità riconducibili all’impiego dei droni. Occorre, infatti, tenere conto dell’inevitabile incremento dei livelli di rilevanza del tema, proprio in funzione della molteplicità delle potenziali modalità di impiego degli UAS. Aspetto questo che distingue palesemente, come detto, questi velivoli dagli aeromobili tradizionali. E infatti, quanto a questi ultimi, la responsabilità per l’impiego è normalmente riconducibile alle attività aeronautiche in senso stretto e in sé considerate; sia in ambito contrattuale, e in particolare nella disciplina del contratto di trasporto, sia in ambito extracontrattuale. Diversamente, la responsabilità per l’impiego di droni, ove non avvenga solo per finalità lusorie e ricreative, appare molto spesso primariamente ricollegabile a una moltitudine di attività di diversa natura nell’ambito delle quali il drone rappresenta essenzialmente uno strumento esecutivo. Partendo da questa constatazione, si avverte una sostanziale incompletezza nel complesso di disposizioni di cui stiamo parlando. Manca una integrazione sinergica a livello normativo tra la regolazione multilivello dell’esercizio e quella relativa all’impiego del drone nell’esecuzione delle attività specialistiche cui il velivolo può e deve essere impiegato. Tale esigenza e l’esistenza del problema è in realtà ben avvertita da tempo. Ne rappresenta una riprova la
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«Il ritorno a una relazione teleologica particolarmente intensa tra macchina unmanned e trasporto si registra invece a proposito delle operazioni riconducibili al settore di impiego «certified». È questo il contesto nel quale scenari un tempo futuribili, premonizioni del passato — quale il drone taxi del film Blade Runner di Ridley Scott del 1982 (nell’immagine: mirror.co.uk) — si realizzeranno» (Fonte immagine sfondo a pagina precedente: reuters.com).
circostanza che l’ENAC, autonomamente, nel regolamento del 2013 aveva inserito una norma, non riproposta nel regolamento UAS-IT del 4 gennaio 2021, che, muovendo dalla consapevolezza della intensità della relazione tra i due ambiti di responsabilità, aveva tentato di risolvere in chiave preventiva gli esiti (nei confronti dei terzi) della loro potenziale conflittualità indicando lo strumento cui affidare la funzione compositiva dell’eventuale conflitto. La soluzione, infatti, era offerta in chiave esclusivamente contrattuale, pertanto, con efficacia limitata alle sole parti del contratto di impiego del drone. All’art. 7.3, era stabilito che «fatto salvo quanto previsto al comma 1, nel caso di operazioni specializzate per conto terzi, deve essere stipulato un accordo tra operatore del SARP e committente nel quale le parti definiscono le rispettive responsabilità e concordano sull’idoneità del SARP per la specifica operazione di volo e sulle eventuali limitazioni e condizioni connesse, anche con riguardo alle disposizioni in materia di protezione dati di cui all’art. 22 del presente Regolamento». Tale disposizione presupponeva evidentemente il chiaro dilatarsi dell’area delle posizioni potenziali d’obbligo nei confronti dei terzi, riconducibili non
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tanto all’impiego tecnico aeronautico del mezzo, quanto all’esecuzione delle attività specializzate. Rimane il fatto che, nel caso in cui colui che compie tali attività si serva di un velivolo il cui esercizio è assunto da soggetto diverso (l’operatore UAS), le responsabilità andranno in linea di principio suddivise (come infatti considerava, pur con scarsa efficacia, la citata disposizione regolamentare). Tuttavia, al di là dei rapporti interni tra l’operatore dell’UAS e il committente dell’attività specialistica, l’individuazione inequivoca delle norme di riferimento è indispensabile. È altamente auspicabile che una indicazione anche in questo senso venga al più presto fornita (in realtà, in tema di privacy e trattamento dei dati personali, la disciplina del reg. UE 2016/679 fornisce, all’art. 26, una indicazione simile a quella sopra richiamata, stabilendo che il soggetto titolare e quello responsabile del trattamento che condividano una iniziativa riguardo finalità e mezzi di un determinato trattamento stipulino un accordo di ripartizione interna delle responsabilità che ne possano derivare). Il confronto con il settore della aeronavigazione tradizionale potrebbe rivelarsi senz’altro utile. E infatti, per gli aeromobili manned, il problema sembra essere stato meritoriamente risolto dal legislatore nazionale mediante una norma, l’art. 940 quater c. nav., inserita nel codice con la riforma della parte aeronautica del 2005/2006. Tale disposizione distingue, infatti, a proposito della disciplina del contratto di no-
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leggio, le responsabilità verso i terzi per le obbligazioni contratte in relazione all’impiego commerciale dell’aeromobile, affidate al sistema della solidarietà passiva secondo le norme internazionali vigenti nella Repubblica; e la responsabilità nei rapporti interni tra le parti del contratto (di noleggio), attribuendole in funzione della natura dei rischi: quelli relativi all’esercizio del velivolo assegnati all’esercente; quelli relativi all’impiego commerciale attribuiti al noleggiatore/committente. L’assimilazione degli aeromobili a pilotaggio remoto a quelli tradizionali espressamente contemplata dall’art. 743 c. nav. potrebbe consentire l’impiego di questa disposizione anche nel caso dei droni qualora sia applicabile la legge italiana e il contratto di utilizzazione del drone abbia le caratteristiche del noleggio. Tuttavia, l’indicazione potrebbe rivelarsi utile anche in prospettiva più generale de iure condendo.
La responsabilità per i danni provocati ai terzi dall’esercizio del drone Tornando alle attività strettamente aeronautiche, l’ingresso dei droni in uno scenario unico, condiviso con l’aviazione civile tradizionale, ripropone con urgenza la questione di quale sia il regime della responsabilità per danni arrecati a persone e cose sulla superficie in conseguenza dell’esercizio del velivolo pilotato a distanza. Alcuni dati che emergono dalla lettura delle nuove disposizioni europee sono comunque significativi. L’art. 14 del reg. 947/2019 e, conseguentemente, l’art. 6 del regolamento ENAC UAS-IT, stabiliscono un link di associazione, mediante l’impiego di un QR Code tra il drone, o i droni, e l’operatore «immatricolato» o, secondo la nomenclatura più corretta del regolamento ENAC, l’operatore «registrato». Si tratta di un codice di operatore EASA, per il nostro paese rilasciato mediante la piattaforma D-Flight, che deve essere apposto su tutti i mezzi di un determinato operatore. Tale connessione, oltre a consentire l’immediata individuazione dell’operatore, permette che siano veicolate, secondo i richiamati articoli, sul medesimo soggetto le responsabilità, civili e penali, che sorgono dall’esercizio del drone. Tuttavia, questo meccanismo che vuole ricondurre la liability, mediante un criterio formale e meccanico, su colui che risulta «immatricolato» sembra non coin-
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«(...) l’ingresso dei droni in uno scenario unico, condiviso con l’aviazione civile tradizionale, ripropone con urgenza la questione di quale sia il regime della responsabilità per danni arrecati a persone e cose sulla superficie in conseguenza dell’esercizio del velivolo pilotato a distanza» (Fonte immagini: avionews.com; pagina accanto, mercedes-benz.nl).
cidere con le indicazioni che provengono proprio dalla Convenzione di Roma del 1952 la quale, come è noto, sebbene non ratificata da un notevole numero di Stati, è stata recepita dall’Italia e rappresenta comunque la disciplina di maggiore riferimento anche in questo contesto dal momento che, secondo una opinione diffusa, riceverebbe applicazione in relazione all’esercizio degli UAS. Invero, a differenza del codice della navigazione italiano, la Convenzione privilegia, nella definizione di esercente, l’aspetto effettivo e fattuale piuttosto che quello formale della registrazione dell’operatore, tanto da consentire di ritenere tale anche l’utente temporaneo o quello occasionale dell’aeromobile. Ci sono poi aree di responsabilità potenziali che esulano dall’ambito della disciplina sulla responsabilità per danni a terzi sulla superficie. Limitatezza che appare particolarmente significativa se si riflette sul principio della esclusività dell’azione enunciato dalla Convenzione di Roma 1952. Esso rappresenta, infatti, uno dei cardini intorno al quale ruota il sistema di responsabilità della Convenzione la quale impedisce che nei confronti dei soggetti chiamati a rispondere in virtù delle proprie norme (operator abituale e operator abusivo, occasionale o temporaneo) possano essere proposte altre azioni, fondate su un diverso titolo, rispetto a quella stabilita dalla medesima disciplina uniforme. Ciò significa che se l’operatore di UAS è riconducibile alle figure contemplate dalla Convenzione, sarà chiamato a rispondere solo in funzione di essa; se non è riconducibile in tale ambito, sarà chiamato a rispondere secondo le regole del diritto comune sull’illecito civile. Tra le ipotesi di responsabilità che esorbiterebbero
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dall’ambito della disciplina uniforme in tema di responsabilità per danni a persone e cose sulla superficie, particolarmente rilevante, per la potenziale frequenza che la potrebbe caratterizzare, è quella dei danni da c.d. drone strike, ossia l’urto tra un drone e un aeromobile tradizionale. Anche il tema della drone disruption o interference, ossia l’ipotesi dei danni provocati dall’interferenza del drone con il traffico aereo e, in particolare, con quello aeroportuale (danni diretti e indiretti quali quelli provocati alle compagnie costrette a corrispondere ai passeggeri indennità o ristori ai sensi del reg. CE 261/2004 qualora la circostanza non sia considerata extraordinary), appare particolarmente grave e tale da imporre una urgente soluzione.
Conclusione Il problema di non potere disporre, allo stato, di un regime armonizzato per la responsabilità civile per i danni causati dall’impiego dell’aeromobile a pilotaggio remoto a persone e cose può essere fronteggiato mediante l’applicazione in concreto del principio dell’assimilazione dei droni agli aeromobili tradizionali dal quale consegue la condivisione di un unico cielo europeo. Non altrettanto accessibile appare la risoluzione della questione della problematicità dei rapporti tra responsabilità per l’esercizio e le ipotesi in cui l’operatore è chiamato a rispondere, anche a titolo concorrente, per l’esecuzione delle attività specializzate nei confronti delle quali la navigazione del velivolo rappresenta un momento attuativo. Proprio in questo contesto si pongono i delicatissimi problemi in termini di tutela della privacy, di responsabilità per le conseguenze delle interferenze informatiche, della
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responsabilità per inquinamento, contaminazione e intossicazione, delle responsabilità contrattuali. Da questo punto di vista il sistema merita sicuramente un rapido completamento. Si tratta in sostanza di consentire che evolvano verso la declinazione delle responsabilità le numerose previsioni volte a puntellare e incoraggiare forme di «consapevolezza» di carattere non solo tecnico, quale la «geoconsapevolezza», ma anche giuridico (consapevolezza delle norme e dei rischi). Le numerose disposizioni che enumerano le diverse responsabilities rispondono a questo interesse, pur muovendo dal carattere prevalentemente tecnico della regolazione europea di recente introduzione (si veda l’allegato IX reg. 1139/2018; il considerando n. 20, l’art. 12.1 lett. c e l’Allegato «Operazioni UAS nelle categorie “Aperta” e “Specifica”» del Reg. (UE) 2019/947; gli artt. 28 (Security) e 29 (Privacy) del Regolamento ENAC UAS-IT). Il tema è sicuramente
molto importante perché incide sulla effettività dei principi di prevenzione e, soprattutto, di precauzione e quindi non solo su quegli aspetti volti a orientare l’azione degli operatori ma anche su quelli descrittivi del perimetro della responsabilità penale e della liability di colui che li disattenda. La relativa giovane età del settore, come pure i limiti della sperimentazione rispetto alla completa espressione delle diverse potenzialità dell’impiego civile inducono a ritenere indispensabile che si provveda a individuare con esattezza quali regole di responsabilità porre a servizio dell’imponente regolazione tecnica che caratterizza il settore. Non trascurando ovviamente di compiere un approfondito screening di tutti gli interessi coinvolti, realizzando conseguentemente le più appropriate soluzioni di tutela sia a livello generale, mediante l’intervento del legislatore, che a livello operativo, mediante il perfezionamento degli strumenti esecutivi. 8
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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
Nuove frontiere della fabbricazione additiva nel settore navale La stampa 3D di grandi dimensioni (*) Francesco Pignatelli (**) Gianluca Percoco (***) Giovanni Pietro Schirano
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Nuove frontiere della fabbricazione additiva nel settore navale: la stampa 3D di grandi dimensioni
(*) Nato a Taranto il 6 agosto 1994. Ingegnere meccanico, laureato presso il Politecnico di Bari. Attualmente è dottorando presso lo stesso Politecnico e conduce ricerche riguardanti le tecnologie di large scale additive manufacturing (Stampa 3D di grandi dimensioni) ed estrusione da pellet. (**) È docente di «Sistemi Produttivi per l’Industria Portuale» per il corso di laurea magistrale in «Scienze Strategiche Marittime e Portuali». Il Corso nella classe di laurea DS (Difesa e Sicurezza) è erogato congiuntamente da Università degli Studi di Bari e Politecnico di Bari e mira a formare professionisti nel settore portuale. La sua attività di ricerca è concentrata sulla Fabbricazione Additiva, o Stampa 3D, e Scansione 3D. È responsabile scientifico dell’IAM Lab, laboratorio interdisciplinare di stampa 3D del politecnico di Bari, sede di Taranto. (***) È un Ingegnere meccanico laureatosi presso il Politecnico di Bari. Ha un’esperienza pluriennale nel settore eolico, dapprima nella Jonica Impianti s.r.l. e successivamente presso la IAS Energy Società Cooperativa. Nello specifico le sue competenze tecniche riguardano la progettazione meccanica di componenti per rotori eolici e analisi fluidodinamica di blades.
Sebbene siano uno dei più antichi mezzi di trasporto e sebbene l’industria marittima sia stata sempre basata su tecniche, tecnologie e pratiche tradizionali, le navi sono costantemente soggette ad evoluzioni guidate da miglioramenti tecnologici nei materiali e nelle tecniche di costruzione per ottenere vantaggi economici e performance più elevate. L’applicazione di tecnologie dell’Industria 4.0 come quelle di Additive Manufacturing, così come già avviene in molti settori produttivi, potrebbe aiutare il settore navale in tale sviluppo. In apertura: in basso, Figura 1 - 3DIRIGO, barca stampata in 3D utilizzando un composito di plastica e legno. La barca aveva una lunghezza di 7,5 m, un peso di 2,25 t ed è stata stampata in 72 ore nell’Università del Maine (Stati Uniti) - (mainepublic.org); in alto, Figura 2 - WAAMPeller, la prima elica per nave stampata in 3D al mondo (portofrotterdam.com).
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differenza di altri mezzi (automobili, aerei, treni ecc.) caratterizzati da produzioni in serie, ogni nave viene progettata separatamente secondo le esigenze degli armatori e presenta problematiche importanti dal punto di vista progettuale, produttivo e manutentivo (1). Il processo di progettazione di tali mezzi è molto complesso e dispendioso: il sistema di propulsione deve essere opportunamente dimensionato e lo scafo della nave deve essere ottimizzato idrodinamicamente e rinforzato meccanicamente per superare le forze di resistenza che si oppongono al suo movimento nell’acqua (2). Stesse complessità le presenta la fase di produzione: lo scafo viene fabbricato saldando lastre la cui forma viene generalmente ottenuta con metodi di pressatura idraulica, inoltre sono presenti molte parti a doppia curvatura come elica, timone e bulbo di prua con elevate criticità dal punto di vista produttivo. Queste operazioni sono caratterizzate da processi di produzione aventi tempi e costi considerevoli e presentano criticità aggiuntive dal punto di vista dello spreco di materiali e della pericolosità delle lavorazioni (3). Per comprendere le problematiche che caratterizzano le navi dal punto di vista manutentivo basta pensare a quanti dispostivi e componenti sono montati su di esse e al fatto che durante la loro vita esse operano in aree remote lontano dalla base, percorrendo decine di migliaia di chilometri. Per evitare guasti imprevisti e fermi della nave le autorità per la sicurezza navale impongono la presenza a bordo di una certa quantità di pezzi di ricambio. Tale inventario, sebbene necessario, costa sia in termini di capitale, sia di spazio occupato sulla nave. Inoltre, qualora un ricambio non sia presente in inventario esso deve essere spedito nel luogo in cui si trova la nave, comportando tempi e costi di consegna molto elevati (4). Tali problematiche, che già sono significative in campo civile, potrebbero assumere aspetti ancor più gravi in campo militare in caso di conflitto, così come sottolineato da Eric Ver Hage, comandante della Marina degli Stati Uniti del «Navy’s Regional Maintenance Center, and Surface Ship Maintenance and Modernization Office» in una recente intervista (5): «We’re not as effective or efficient — we have so much to be proud of — but we cant get ships
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delivered on time with the predictability we need today» («Non siamo così efficaci o efficienti — abbiamo così tanto di cui essere orgogliosi — ma non possiamo consegnare le navi in tempo con la prevedibilità di cui abbiamo bisogno oggi»). L’implementazione delle tecnologie incluse nel concetto di Industria 4.0, così come già avviene in altri settori, può portare grandi vantaggi al settore navale riducendo le criticità appena evidenziate. Le tecnologie di Additive Manufacturing sono tra le tecnologie chiave dell’Industria 4.0 e possono soddiFigura 3 - Vantaggi della stampa 3D nel settore navale (M. Ziółkowski e T. Dyl, «Possible applications of additive manufacturing technologies in shipbuilding: A review», Machines).
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sfare i paradigmi di sostenibilità indicati con la sigla LARG (Lean, Agile, Resilient, Green) (6). Tramite l’applicazione di tali tecnologie è possibile produrre piccole serie di prodotti con forte orientamento al cliente, con tempi e costi molto contenuti e con sprechi di materia prima minimi. Il tema dell’applicazione delle tecnologie di Additive Manufacturing nel settore navale è stato già trattato dall’Ammiraglio ispettore del Genio Navale C. Boccalatte in un articolo pubblicato su Rivista Marittima nel 2017 (7). Tali tecnologie si stanno sviluppando a ritmi molto elevati: il fatturato del mercato globale generato da questo settore ammonta a 12 miliardi di dollari nell’anno 2020 e si prevede che rag-
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giungerà circa 78 miliardi di dollari entro l’anno 2028, con un tasso di crescita annuale del 26%-32% durante il periodo di previsione 2020-28 (8). Lo sviluppo di tali tecnologie nel futuro permetterà di ottenere parti stampate in 3D con proprietà meccaniche e fisiche sempre più elevate e consentirà di aumentare considerevolmente i volumi di stampa che attualmente, per la maggior parte delle tecnologie, sono inferiori al metro cubo. Bisogna considerare che questi sono i principali motivi che limitano l’applicazione di queste tecnologie in particolari settori industriali quali quello della cantieristica navale. In Figura 3 sono riassunti i principali vantaggi che potrebbero ottenersi utilizzando la stampa 3D in questo settore.
Lo sviluppo dell’Additive Manufacturing e le sue possibili applicazioni nel settore navale Secondo la norma ASTM F2792 (9) il termine «Additive Manufacturing» (AM) indica il processo di unione dei materiali per creare oggetti, solitamente
strato su strato (layer-by-layer), dai dati contenuti in un modello CAD 3D. La nascita di tali tecnologie si ebbe negli anni Ottanta, con la deposizione del brevetto relativo alla Stereolitografia (SLA). Nei primi anni, queste tecnologie furono indicate con il termine «Rapid Prototyping» (Prototipazione Rapida), e venivano utilizzate soprattutto per la produzione di prototipi e modelli dimostrativi. Il loro sviluppo a partire dal 1995 ha permesso la loro applicazione per la fabbricazione di stampi e utensili (Rapid Tooling). Dagli anni Duemila fino ai giorni nostri si è avuta Figura 4 - Le sette tecnologie di Additive Manufacturing. Material Extrusion – Il materiale termoplastico una volta riscaldato fonde e viene depositato sul piano di stampa dove solidifica. Vat Polymerisation – Utilizzano dei raggi UV per solidificare resine e fotopolimeri contenuti in vasche. Binder Jetting – Un legante liquido viene depositato selettivamente su materiale in polvere ei reagisce chimicamente solidificando. Material Jetting – Uno strato di resina liquida viene spruzzato e solidificato tramite raggi UV. Powder Bed Fusion – Un letto di polvere, spesso metallica, viene depositata sul letto di stampa e viene fusa (sinterizzata) utilizzando un laser. Sheet Lamination – I fogli di materiale, opportunamente sagomati, vengono saldati tramite applicazione di calore. Directed Energy Deposition – Utilizza una fonte di energia (laser o fascio di elettroni) per fondere del materiale di base, solitamente metallico, che è sotto forma di polvere o filamento (R.M. Carew and D. Errickson, «An Overview of 3D Printing in Forensic Science: The Tangible Third-Dimension», J. Forensic Sci).
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un’esplosione delle tecnologie additive, che oggi permettono di lavorare un’ampia gamma di materiali (polimeri, metalli, resine, ecc.) e di ottenere prodotti finiti con proprietà meccaniche e dimensionali in molti casi comparabili con quelle ottenibili con tecnologie tradizionali. Le tecnologie di Additive Manufacturing secondo la norma ASTM F42 (10) sono classificate in sette categorie (Figura 4) che differiscono tra loro in termini di materia prima impiegata e di tecniche utilizzate per depositare e unire tra loro gli strati di materiale che vanno a costituire gli oggetti tridimensionali. Queste tecnologie, a differenza di settori come quello aerospaziale o automotive, sono ancora poco utilizzate in campo navale. Il forte sviluppo avuto negli ultimi anni, e quello che continuerà ad aversi in futuro, le renderanno sempre più applicabili anche in questo settore. Le tecnologie di AM possono essere utilizzate sia per la fabbricazione di nuove parti ma anche per produzione di pezzi di ricambio o rigenerazione di componenti usurati. Per quanto riguarda lo sviluppo di nuovi prodotti, esse permettono vantaggi come la possibilità di ottimizzare la forma e ridurre il peso dei componenti, la possibilità di limitare gli sprechi di materia prima durante la lavorazione e l’elevata capacità di customizzazione dei prodotti secondo le richieste dei clienti, il tutto con tempi e costi di lavorazione molto ristretti. Un’altra applicazione molto interessante riguarda la produzione di pezzi di ricambio, a terra o addirittura a bordo. Bisogna considerare, infatti, che nell’industria marittima i tempi di fermo sono molto costosi: le navi, indipendentemente dal tipo, sono progettate per il trasporto e realizzano profitto quando sono in movimento, qualsiasi arresto imprevisto genera costi enormi. Nel caso in cui avviene un guasto imprevisto che non può essere riparato con i pezzi di ricambio presenti a bordo, gli equipaggi devono affrontare il problema nel porto più vicino, utilizzando le risorse disponibili sul sito oppure è necessario spedire i ricambi nel luogo in cui si trova la nave. In quest’ultimo caso però ai costi di consegna vanno ad aggiungersi anche quelli di permanenza della nave in porto. Un modo per risolvere, o quantomeno migliorare queste problematiche può essere l’utilizzo di tecnologie additive. Ciò consentirebbe di avere i pezzi di ricambio entro poche
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Figura 5 - Schema di funzionamento FDM. Il filamento termoplastico raccolto in bobine viene spinto da un meccanismo formato da due ruote dentate verso l’estrusore, dove materiale viene riscaldato e una volta fuso viene depositato sul letto di stampa. L’estrusore si muove seguendo percorsi tracciati da software depositando il materiale in strati fino a formare l’oggetto 3D (J. Gonzalez-Gutierrez, S. Cano, S. Schuschnigg, C. Kukla, J. Sapkota, and C. Holzer, «Additive manufacturing of metallic and ceramic components by the material extrusion of highly-filled polymers: A review and future perspectives», Materials).
ore anziché giorni o settimane. Quanto detto appare interessante soprattutto per le navi datate e specializzate, nelle quali si trovano tanti componenti non standard che devono essere realizzati su ordinazione. Una applicazione di questo tipo si ha nel porto di Rotterdam, dove un consorzio di aziende come Damen, Shell, Autodesk, Lincoln Electric, MAN Energy Solutions e le università di Delft e Twente hanno permesso la creazione del «RAMLAB», un laboratorio dotato di macchinari per la fabbricazione additiva di pezzi di ricambio per impiego marino. Nel 2019 l’Autorità marittima e portuale di Singapore in collaborazione con compagnie come Wärtsilä o DNV GL (11), ha condotto delle ricerche sulla possibilità di implementare la stampa 3D nella costruzione navale. L’analisi ha previsto la classificazione di una serie di pezzi di ricambio in tre classi (Figura 5):
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— componenti stampabili in 3D senza necessità di certificazione: parti non cruciali per la sicurezza della nave (alloggiamento compressore, diffusore turbina, rotore, ecc.); — componenti stampabili in 3D con necessità di certificazione: parti montate in aree sensibili della nave come il motore principale o quello ausiliario (perni, linguette, giranti, O-ring, ecc.); — componenti non stampabili in 3D: parti che non garantirebbero i requisiti minimi tecnicamente o commercialmente (guarnizioni, viti, ingranaggi, ecc.). Ivaldi, una delle società coinvolte nel progetto, ha creato una piattaforma che consente di produrre quasi qualsiasi parte per i propri clienti, facendo affidamento sulla documentazione tecnica inviata. Utilizzando tale piattaforma Wilhelmsen Ship Services (WSS) ha avviato la produzione di questi componenti in 3D. Un problema che ancora affligge la maggior parte delle tecnologie di produzione additiva, e che limita il suo sviluppo in campo navale, riguarda la produzione di parti di grandi dimensioni: i macchinari comuni (desktop printer) hanno volumi di stampa inferiori al metro cubo e presentano basse velocità di deposizione del materiale. Dalla letteratura scientifica, due acronimi inglesi molto utilizzati per descrivere tecnologie di stampa 3D applicabili alla cantieristica navale sono BAAM (Big Area Additive Manufacturing) e WAAM (Wire Arc Additive Manufacturing). Il primo si può tradurre in «Fabbricazione additiva di grandi dimensioni» ed è a oggi praticata principalmente utilizzando il principio della Material Extrusion (Figura 4), con materia prima polimerica sotto forma di pellet (granuli) mentre il secondo in «Fabbricazione additiva a filo continuo», che permette la realizzazione di componenti metallici mutuando la tecnologia della saldatura a filo continuo.
Tale tecnologia è simile a quella FDM (Fused Deposition Modeling) (Figura 5), che è la più conosciuta e utilizzata tecnologia di AM: entrambe, partendo da un modello CAD, permettono di realizzare componenti tridimensionali sovrapponendo strati di materiale depositato. La differenza che vi è tra le due consiste nella materia prima utilizzata, che nella stampa FDM è in forma di filamento mentre nella BAAM è in granuli (pellet). Tale differenza comporta un differente processo di fabbricazione che a sua volta influenza la dimensione dei componenti ottenibili e la velocità di stampa. Nello specifico avviene che a causa di problemi tecnici della tecnologia FDM i volumi e la velocità di stampa hanno limiti piuttosto bassi, che non permettono di realizzare oggetti di dimensioni superiori al metro cubo. Per queste applicazioni conviene invece utilizzare la tecnologia BAAM. La parte fondamentale dei macchinari BAAM è l’estrusore (Figura 6), nel quale vi è una vite elicoiFigura 6 - Schema di funzionamento BAAM (J. Gonzalez-Gutierrez, S. Cano, S. Schuschnigg, C. Kukla, J. Sapkota, and C. Holzer, «Additive manufacturing of metallic and ceramic components by the material extrusion of highly-filled polymers: A review and future perspectives», Materials).
Tecnologie BAAM e WAAM e loro applicazioni nel settore navale BAAM è l’acronimo di Big Area Additive Manufacturing, questa tecnologia fa parte della categoria Material Extrusion e permette la realizzazione di componenti 3D di grandi dimensioni in materiali plastici (polimerici).
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enorme gamma di materiali e la capacità di produzione di compositi aggiungendo elementi come fibre di carbonio, fibre di vetro o particelle metalliche al pellet polimerico. La tecnologia BAAM è nata da pochi anni, uno dei primi sistemi ad utilizzarla fu sviluppato negli Stati Uniti da Cincinnati Incorporated e ORNL (Oak Ridge National Laboratories) nel 2015 (14), ciò dimostra che questa tecnologia è ancora in fase di sviluppo: studi e ricerche sono necessarie per migliorare il processo di produzione e i macchinari presentano ancora costi molto elevati. Il potenziale della BAAM è stato però già evidente in varie applicazioni in diversi settori industriali: — in campo automotive l’azienda Local Motor (Stati Uniti) dopo aver compiuto degli studi che hanno dimostrato la facilità con cui è possibile produzione di un intero chassis di un’automobile con tale tecnologia (15) (Figura 7), ha avviato la produzione di «Olli»: un veicolo a guida autonoma la cui struttura è stampata in 3D per circa l’80%; — nel settore delle costruzioni ci sono esempi di produzione di unità abitative (16) (Figura 8), di stampi per la produzione di prefabbricati in calcestruzzo (17) o di elementi architettonici (18); — nel settore aeronautico e in quello energetico tale tecnologia è stata invece utilizzata soprattutto per la produzione di stampi. Nel 2016 è stato sviluppato uno stampo per la produzione di una parte di un’ala di un Boeing 777x che è stato riconosciuto come il componente più grande mai stampato in 3D (19). Anche nel settore navale ci sono degli esempi di interessanti applicazioni della tecnologia BAAM, a dimostrazione del fatto che essa nel futuro potrebbe trovare largo impiego in tale settore. Una delle più famose applicazioni della stampa 3D di grandi diFigura 7: «Strati», la prima automobile stampata in 3D - (wikipedia.org). Sopra: Figura 8 - Unità abitativa avente una superficie interna di 20 m2 e costruita per circa l’80% con mensioni è la barca fabbricata dall’Univertecnologie additive (K. Biswas et al., «Additive Manufacturing Integrated Energy-Enabling sità del Maine (20) che nel 2019 ricevette tre Innovative Solutions for Buildings of the Future», J. Sol. Energy Eng. Trans. ASME). Guinness World Record come più grande dale che convoglia il pellet verso una zona riscaldata dove esso fonde e successivamente viene fatto fuoriuscire da un ugello e depositato sul piano di stampa. L’estrusore può essere montato su sistemi a portale o su robot a delta o antropomorfi, che permettono di aumentare in maniera considerevole le dimensioni di stampa. Studi dimostrano che utilizzando questi sistemi si può ottenere una riduzione significativa di tempi (fino a duecento volte) (12) e costi (fino a dieci volte) (13) di produzione, rispetto all’utilizzo di sistemi FDM. Altri vantaggi di questa tecnologia riguardano la possibilità di utilizzare una
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Figura 9 - Prototipo di sottomarino fabbricato interamente in 3D (M. Ziółkowski e T. Dyl, «Possible applications of additive manufacturing technologies in shipbuilding: A review», Machines). In basso: Figura 10 - Illustrazione del processo WAAM (A.R. McAndrew et al., «Interpass rolling of Ti-6Al-4V wire + arc additively manufactured features for microstructural refinement», Addit. Manuf.).
prototipo, più grande oggetto e più grande barca stampata in 3D (Figura 1). Un’altra applicazione molto interessante è la fabbricazione di un prototipo di un sottomarino (21) avente una lunghezza complessiva di 9 metri, completamente realizzato con tecnologia BAAM (Figura 9). Se si fossero utilizzate tecnologie tradizionali la costruzione di uno scafo di questo tipo avrebbe richiesto mesi di tempo e oltre mezzo milione di dollari, invece con la tecnologia BAAM si è potuto risparmiare sia dal punto di vista dei tempi di fabbricazione che sono stati di qualche settimana e sia nei costi di produzione, tagliati del 90%. Infine, come già è stato evidenziato in altri settori produttivi, questa tecnologia appare molto vantaggiosa per la produzione di stampi. Applicazioni di
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questo tipo si sono registrate anche nel settore navale a opera di ORNL and Alliance MG (22), che produssero lo stampo per uno scafo di catamarano avente una lunghezza di oltre 10 metri. Lo stampo, una volta completato con un processo di finitura CNC fu utilizzato per la fabbricazione dello scafo con ottimi risultati. Un’altra tecnologia che appare avere grande potenziale dal punto di vista della produzione navale è la WAAM - Wire Arc Additive Manufacturing. Essa infatti permette la produzione di componenti metallici di grandi dimensioni e con forme anche molto complesse. Questa tecnologia è classificata tra quelle Direct Energy Deposition ed è basata sui concetti di saldatura automatizzata MIG/MAG: un arco elettrico costituisce la fonte di calore utilizzata per fondere il
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Figura 11 - Modello 3D del gancio RAMLAB (ramlab.com).
filo metallico, il metallo fuso viene depositato in cordoni che andranno a formare i vari strati che costituiscono i componenti da realizzare (Figura 10). Tramite WAAM è possibile utilizzare un’ampia gamma di materie prime per stampare in 3D componenti metallici: leghe contenenti titanio, alluminio, rame, acciai o materiali refrattari. Il processo di fabbricazione è simile a tutti gli altri processi di Additive Manufacturing: si parte preparando un modello CAD del componente, si utilizzano dei software per impostare i parametri di stampa e per generare il G-Code attraverso il quale si può passare alla fase di produzione vera e propria, che avviene di solito utilizzando dei bracci robotici a sei assi. Al termine del processo di stampa il componente subisce una lavorazione di finitura per ottenere le proprietà dimensionali e superficiali desiderate ed infine può essere sottoposto a prove non distruttive come test a ultrasuoni o test radiografici per rilevare eventuali difetti e cricche generate durante la produzione. Tra i primi ad applicare la tecnologia WAAM in ap-
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plicazioni navali sono stati i ricercatori del RAMLAB di Rotterdam, nel quale sono stati realizzati con buoni risultati due componenti che hanno trovato successivamente implementazione in questo settore: un’elica e un gancio di una gru. Per quanto riguarda l’elica, chiamata WAAMpeller (Figura 2), essa è stata realizzata con una lega di NichelAlluminio-Bronzo completamente con tecnologia WAAM. Essa aveva un diametro di 1.3 metri, un peso di 180 Kg ed è stata montata su un’imbarcazione della DAMEN. Il gancio (Figura 11) invece era costituito da quattro bracci ed era caratterizzato da una luce di 1 metro e un peso di una tonnellata. Il design del gancio fu studiato in modo da ottenere un guscio cavo che permettesse di ridurre notevolmente il suo peso mantenendo elevati i valori di resistenza. Un design di questo tipo sarebbe stato molto complesso se si fossero utilizzate tecnologie tradizionali. Oltre a queste applicazioni ci sono varie parti di una nave per la cui produzione la tecnologia WAAM appare essere una promettente soluzione alternativa ai metodi tradizionali. Componenti come il timone o il bulbo di prua per svolgere efficientemente la loro funzione devono presentare forme molto complesse che causano difficoltà e costi elevati durante la produzione con tecnologie tradizionali. Tutte queste difficoltà non si riscontrerebbero utilizzando tecnologie additive, che garantirebbero la possibilità di ottimizzare liberamente la geometria di tali componenti permettendo al contempo vantaggi come la riduzione del loro peso ed elevate proprietà meccaniche.
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Conclusione Le tecnologie di Additive Manufacturing sono ancora giovani rispetto a quelle applicate tradizionalmente in ambito industriale. Lo scopo del presente articolo è quello di descrivere alcuni vantaggi che l’utilizzo di tali tecnologie potrebbe portare nel settore navale, facendo riferimento a interessanti applicazioni che sono state registrate negli ultimi anni. Nello specifico si è posta maggiore attenzione su due tecnologie, quella BAAM e quella WAAM, che permettono di realizzare componenti di grandi dimensioni e che quindi appaiono maggiormente applicabili in campo navale rispetto alle altre tecnologie additive che invece spesso presentano limitazioni da questo punto di vista. Come evidenziato, l’utilizzo delle tecnologie di AM potrebbe garantire notevoli vantaggi se esse fossero utilizzate nel settore navale: si avrebbe una drastica riduzione dei tempi di attesa dei ricambi, si potrebbe disperdere la produzione o produrre parti su richiesta, la forma dei componenti potrebbe essere ottimizzata per ottenere una riduzione del peso complessivo o per ridurre il numero di assemblaggi richiesti (costruendo i componenti monoliticamente). Il desiderio di mantenere lo status quo e la riluttanza al rischio associato al cambiamento del sistema di produzione spesso limita l’im-
plementazione di queste tecnologie in campo industriale. Bisogna precisare che in generale le proprietà dei componenti realizzati con tecnologie additive sono inferiori rispetto a quelli realizzati in maniera tradizionale dal punto di vista dimensionale e meccanico, caratteristiche fondamentali in campo navale. Tuttavia, i vantaggi del loro utilizzo sono molteplici e sono testimoniati dall’interesse di grandi aziende che negli ultimi anni hanno sviluppato diverse applicazioni molto interessanti in campo navale. Sicuramente nel futuro questo lavoro di ricerca svolto da aziende e università continuerà, permettendo di migliorare i processi di produzione additiva e consentendo una loro sempre maggiore applicazione. Bisogna inoltre evidenziare che affinché i componenti prodotti con questo tipo di tecnologie possano trovare effettiva applicazione nel settore navale è necessario sviluppare degli standard normativi appositi per certificare la loro qualità. Le tecnologie di fabbricazione additiva probabilmente non potranno mai soppiantare completamente le lavorazioni tradizionali, soprattutto per la produzione di componenti da installare in assiemi critici come i motori. Il loro sviluppo, però, potrà permettere un loro affiancamento sempre maggiore alle tecniche utilizzate convenzionalmente, garantendo i vantaggi sopracitati. 8
NOTE (1) Eric Tupper, «Introduction to Naval Architecture», Introd. to Nav. Archit., 2013. (2) Thomas Lamb and Ann Arbor, «Engineering for ship production» no. January, 1986. (3) Ahmet Taşdemir and Serkan Nohut, «An overview of wire arc additive manufacturing (WAAM) in shipbuilding industry», Ships and Offshore Structures, 2020. (4) E. Kostidi and N. Nikitakos, «Exploring the potential of 3D printing of the spare parts supply chain in the maritime industry», in Safety of Sea Transportation - Proceedings of the International Conference on Marine Navigation and Safety of Sea Transportation, 2017. (5) https://breakingdefense.com/2020/08/navy-plans-for-wartime-ship-surge-looks-to-small-commercial-yards/?_ga=2.232791006.1750671507.1598354039166538539.1594386069. (6) Helena Carvalho, Susana Duarte, and V. Cruz Machado, «Lean, agile, resilient and green: Divergencies and synergies», Int. J. Lean Six Sigma, 2011. (7) Claudio Boccalatte, «La quarta rivoluzione industriale e le tecnologie di fabbricazione additiva (additive manufacturing), possibili applicazioni navali», Rivista Marittima, 2017. (8) «Global Additive Manufacturing Market and Technology Forecast to 2028», Res. Mark., 2020. (9) ASTM International, F2792-12a - Standard Terminology for Additive Manufacturing Technologies. 2013. (10) ASTM International, «Committee F42 on Additive Manufacturing Technologies», Comm. F42 - AM Technol., 2014. (11) https://www.mpa.gov.sg/web/wcm/connect/www/99a3720f-abfc-4b07-9c9b-467220c1000a/Additive+Manufacturing+Market+Feasibility+Study_Public+ Version. pdf?MOD=AJPERES&id=1572312102868. (12) Chad Duty et al., «Structure and Mechanical Behavior of Big Area Additive Manufacturing (BAAM) Materials», Rapid Prototyp. J., 2017. (13) B.K. Post, R.F. Lind, P.D. Lloyd, V. Kunc, J.M. Linhal, and L.J. Love, «The economics of big area additive manufacturing», in Solid Freeform Fabrication 2016: Proceedings of the 27th Annual International Solid Freeform Fabrication Symposium - An Additive Manufacturing Conference, 2016. (14) Lonny J. Love et al., «Breaking barriers in polymer additive manufacturing», in International SAMPE Technical Conference, 2015. (15) Lonnie J. Love, «Utility of Big Area Additive Manufacturing (BAAM) for the rapid manufacture of customized electric vehicles», 2014. (16) Kaushik Biswas et al., «Additive Manufacturing Integrated Energy-Enabling Innovative Solutions for Buildings of the Future», J. Sol. Energy Eng. Trans. ASME, 2017. (17) Lonny Love, Brian Post, Alex Roschli, Philip Chesser, and Diana E. Hun, «Feasibility of Using BAAM for Mold Inserts for the Precast Concrete Industry», ORNL Report. 2019. (18) Giulia Grassi, Sonia Lupica Spagnolo, and Ingrid Paoletti, «Fabrication and durability testing of a 3D printed façade for desert climates», Addit. Manuf., 2019. (19) https://oakridgetoday.com/2016/08/30/ornl-boeing-set-guinness-world-record-with-3d-printed-tool-for-boeing-777x-wing-part/. (20) https://umaine.edu/news/blog/2019/10/10/umaine-composites-center-receives-three-guinness-world-records-related-to-largest-3d-printer/. (21) https://www.3dnatives.com/en/3d-printed-submarine260720174/#! (22) Brian K. Post et al., «Using Big Area Additive Manufacturing to directly manufacture a boat hull mould», Virtual Phys. Prototyp., 2019.
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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
Istituti di formazione della Marina
Mariscuola La Maddalena, dove nascono i marinai (*) Mauro Panarello
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«Poco dopo il giuramento, che sancisce formalmente il termine del corso e l’ingresso in Marina, ogni allievo conoscerà la prima destinazione e il comando dove inizierà a prestare servizio, una volta salutati i compagni di corso e varcato il cancello di Mariscuola». In riquadro: veduta aerea del comprensorio di Mariscuola La Maddalena, sede della «Scuola Sottufficiali Marina Militare MOVM Domenico Bastianini». Le immagini dell’articolo sono fornite dall’Istituto.
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Istituti di formazione della Marina: Mariscuola La Maddalena, dove nascono i marinai
(*) Capitano di vascello, comandante della Scuola Sottufficiali di La Maddalena dal settembre 2020. In precedenza ha lavorato all’Ufficio Pubblica informazione e Comunicazione della Marina (UPICOM); si è occupato di formazione e addestramento sia nello staff di CINCNAV, sia alla Scuola di Comando navale che presso US Naval Academy. Nel corso della sua carriera ha trascorso più di 15 anni a bordo di numerose navi, ricoprendo varie posizioni, tra le quali il comando del cacciamine Numana, della nave scuola Palinuro e della Prima squadriglia pattugliatori. ARTICOLO EDITO SU INVITO DELLA DIREZIONE
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iproponiamo, nella prima parte di questo articolo un estratto dal volume Le Mariscuola, di Marco Amatimaggio, edito da Sinapsi nel 1998. L’estratto traccia un excursus storico di Mariscuola La Maddalena, premessa importante per descrivere, nel proseguo dell’articolo, l’istituto di formazione maddalenino com’è oggi, la sua struttura, i compiti e le peculiarità. Mariscuola La Maddalena fu costituita il 15 febbraio del 1949. Questa la data ufficiale, anche se, in previsione della costituzione delle Scuole CEMM (Corpo Equipaggi Militari Marittimi), già nel novembre del 1948 era stato trasferito a La Maddalena un capitano di vascello che sarebbe stato il primo comandante delle Scuole. All’epoca la Marina Militare disponeva a La Maddalena di due comprensori, il primo, dedicato alla Medaglia d’Oro al Valor Militare colonnello GN Domenico Bastianini, prima della Seconda guerra mondiale era diviso tra il Regio Esercito, che vi aveva ubicato la caserma Regina Elena in cui era ospitato il 59o Battaglione Fanteria, e la Regia Marina che vi aveva mantenuto gli apprestamenti per una direzione di commissariato, un ente amministrativo e per un deposito CREM denominato «Sede di concentramento – Gruppo Centro». Cessato il conflitto, in esecuzione di una clausola del trattato di pace, la base della Maddalena venne smantellata e l’intero comprensorio passò alla Regia Marina; qui nel 1949 vennero insediate le Scuole CEMM per le Categorie Nocchieri, Segnalatori, Furieri, Cuochi e Infermieri. Il secondo comprensorio della Marina era il Faravelli, dal nome della preesistente Caserma Regia Ma-
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Immagini storiche dell’Istituto e, accanto, allievi schierati durante lezioni pratiche. Sullo sfondo, attività velica del passato.
rina «Vice Ammiraglio Luigi Faravelli», prospiciente la Cala Camiciotto del porto della cittadina sarda, che già nel 1935 era adibita a caserma sommergibili della Regia Marina. Nel 1948 la Caserma Faravelli fu destinata a ospitare i corsi per motoristi di leva e dal 1965 al 1980 fu sede della Scuola Nocchieri del Gruppo Scuole CEMM della Maddalena. L’inizio ufficiale delle attività di Mariscuola La Maddalena fu sancito con il Foglio d’Ordini 21 del 10 marzo 1949 che stabiliva che i corsi ordinari per Nocchieri, Segnalatori, Furieri, Cuochi e Infermieri si sarebbero tenuti nelle nuove Scuole CEMM. I corsi ordinari per tutte le altre categorie si sarebbero svolti alle Scuole CEMM di Taranto, mentre, in base all’organizzazione didattica «orizzontale» in vigore in quel periodo, presso le Scuole Sottufficiali di Venezia si sarebbero tenuti tutti i corsi propedeutici all’avanzamento di carriera dei Sottufficiali (corso IGP - Istruzione Generale e Professionale - e corso P - Perfezionamento). L’organizzazione orizzontale fu abbandonata tre anni più tardi, in favore di una nuova organizzazione «verticale» che prevedeva, per ogni categoria o per categorie affini, l’istituzione di una scuola dove si
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Istituti di formazione della Marina: Mariscuola La Maddalena, dove nascono i marinai
sarebbero svolti tutti i corsi progressivi, sia i corsi ordinari per gli allievi che quelli IGP e P per i sottufficiali. La dizione di «Scuole CEMM» fu quindi sostituita da quella più appropriata di «Gruppo Scuole CEMM» che indicava il concentramento in un’unica sede di più scuole di diverse categorie. Infatti il Foglio d’Ordini 79 del 26 settembre del 1952 disponeva la nascita del Gruppo Scuole CEMM rispettivamente di Taranto, Venezia e La Maddalena, essendo quest’ul-
tima incaricata di svolgere tutti i corsi (corso Ordinario, corso IGP, corso P) delle categorie MC (Meccanici e carpentieri) e MN (Motoristi Navali). Questo passaggio è particolarmente importante nella storia dell’Istituto di formazione della Maddalena perché sancisce di fatto la connotazione che avrebbe mantenuto fino ai giorni nostri, ovvero quella di scuola per la formazione e l’addestramento del personale delle categorie più propriamente «navali» della Forza armata. Tale processo si sarebbe completato nel 1960 quando, in seguito alla soppressione del Gruppo Scuole CEMM di Portoferraio, le Scuole Nocchieri, Noc-
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chieri di Porto e Palombari sarebbero state trasferite alla Maddalena. Per un lungo periodo La Maddalena fu anche sede delle Scuole Infermieri e delle Scuole Furieri, l’odierno personale SSAL (Supporto e Servizio Amministrativo-Logistico), precisamente dal 1962 al 1975, anno in cui le Scuole di queste categorie furono definitivamente trasferite a Taranto. Nel 1952 il trasferimento alla Maddalena delle Scuole Meccanici e Motoristi Navali comportò anche l’avvio di un programma di potenziamento delle infrastrutture logistiche e didattiche della base, mediante l’ammodernamento delle strutture esistenti e la costruzione di nuovi edifici, tra cui due fabbricati adibiti a dormitori per Allievi, una piscina coperta, una grande officina didattica, una palazzina per aule di studio e un’altra per gli alloggi dei Sottufficiali frequentatori dei corsi. Intanto, il 17 maggio 1957 il Gruppo Scuole CEMM della Maddalena, fino a quel momento designato solo dal nome della cittadina sarda, viene intitolato alla Medaglia d’Oro al Valor Militare colonnello GN Domenico Bastianini. Il primo maggio 1978 la denominazione di Gruppo Scuole CEMM mutò in «Scuola Allievi Sottufficiali Marina Militare»; questa rimase in vigore per circa due anni, fino a quando il Foglio d’Ordini 59 del 20 agosto del 1980 dispose che fosse adottata l’attuale denominazione di «Scuola Sottufficiali Marina Militare MOVM Domenico Bastianini La Maddalena», con indirizzo telegrafico «Mariscuola La Maddalena». Sempre nel 1980 fu chiusa la Caserma Faravelli, mentre si avviava il programma di riorganizzazione interna, completato due anni più tardi, che prevedeva il passaggio dalla precedente strutturazione del Gruppo Scuole, articolata su più scuole, a una nuova, comprendente un’unica scuola, articolata su più direzioni.
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Oggi Mariscuola La Maddalena si sviluppa in un comprensorio esteso quasi 160.000 metri quadrati, con un’area edificata di 73.000 metri quadrati, dove si trovano 55 fabbricati. La recettività dell’Istituto consente di alloggiare nelle tre palazzine allievi, circa 700 frequentatori, prevalentemente in camere da 3 a 5 posti, oltre ai circa 150 posti disponibili all’interno della scuola, in altre due strutture, per il personale in organico. La capacità didattica, invece, con le 62 aule delle palazzine studi, dove si trovano anche diversi laboratori e un simulatore di plancia, insieme a un’ampia aula magna, consente di ospitare in istituto più di 1.000 frequentatori al giorno e la cucina principale della scuola, con le sue quattro grandi sale per la distribuzione, è in grado di somministrare altrettanti pasti caldi. I frequentatori dei corsi possono disporre di diversi impianti sportivi, tra cui una palestra polivalente, una piscina, un campo di atletica e da calcio, pallavolo, tennis e basket, oltre a un’ampia area dedicata alle attività marinaresche, con una sezione velica e un’area per il canottaggio. Il servizio sanitario di Mariscuola assicura il primo Lezione al simulatore di plancia. In basso, allievi nocchieri durante una lezione sui nodi. Accanto: in alto, personale di altre Forze armate impegnato ai sistemi di propulsione; in basso, corso frigoristi in apprendimento pratico.
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soccorso, controllo e supporto ai frequentatori e al personale che lavora in istituto, oltre che le ordinarie attività di medicina del presidio: medicina legale, servizi di psicologia e consultorio psicologico, varie prestazioni specialistiche (radiologia, laboratorio analisi, oculistica, otorino), assistenza alle operazioni e alle esercitazioni. Mariscuola La Maddalena dipende, con gli altri istituti di formazione, dal Comando Scuole della Marina, con sede ad Ancona, responsabile della selezione del personale e dell’organizzazione formativa della Forza armata. Il compito principale della Scuola è di provvedere alla formazione del personale non direttivo della Marina. Più in particolare Mariscuola La Maddalena svolge corsi di formazione di base per le categorie Nocchieri, Nocchieri di Porto e Tecnici di Macchina del ruolo Sergenti, Graduati e Truppa. La scuola, inoltre, assicura la formazione di altro personale — sottufficiali e graduati — della Forza armata, di quello di altre Forze armate o Corpi armati dello Stato, di personale civile e, in base agli accordi internazionali in vigore, di militari di Forze armate estere. Mariscuola svolge inoltre importanti funzioni logistiche e di supporto quale comando di Presidio per gli enti e comandi che insistono sul territorio, nonché assistenza alle navi della Squadra navale, come base navale di appoggio operativo della sede, attraverso un nucleo servizi portuali.
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I corsi di formazione sono suddivisi in due macro categorie, i corsi ordinari, per la formazione di base dei VFP1 e VFP4 (Volontari in Ferma Prefissata di 1 o 4 anni) e dei graduati (corso Sergenti - SGT) e i corsi speciali, per la formazione specialistica e l’abilitazione di sottufficiali o graduati di diverse categorie (corsi per guardia in plancia, per equipaggi delle motovedette e dei piccoli natanti, per la gestione degli apparati motore, dei sistemi di refrigerazione, ecc.). I corsi hanno una spiccata connotazione pratica, con una importante fetta di attività svolte sul mare. Si passa dall’addestramento ai mezzi navali, alla vela, la voga, il nuoto da salvamento, le esercitazioni di ricerca e soccorso, la conduzione di motori e macchinari marini e le esercitazioni marinaresche. In questo ambito La Maddalena e le strutture di Mariscuola, che dispone di un’ampia banchina e diversi mezzi nautici, oltre a laboratori e officine con macchinari marini, offre una cornice unica, dove i frequentatori passano dalle lezioni in aula alle attività in mare, alle prove in piscina ed esercitazioni in officina, sempre rimanendo all’interno dello stesso istituto. In questo ambito Mariscuola La Maddalena si pone come polo di riferimento per il conseguimento di una ventina di diverse abilitazioni specialistiche per il personale militare (della Marina e non).
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Per dare qualche numero, il 2021, nonostante i vincoli imposti dalla pandemia, vedrà ben 54 corsi attivi e quasi 1.700 frequentatori complessivi, aumentati dell’80% negli ultimi 5 anni. La maggior parte dei frequentatori, circa il 75%, partecipa ai corsi ordinari (corsi VFP1, VFP4 e SGT), la restante ai corsi di specializzazione, a quelli per altre Forze armate e per le Marine straniere. Tra i corsi più significativi c’è sicuramente quello VFP1 che vede per la prima volta entrare in Marina centinaia di ragazzi e ragazze, vincitori del concorso per il Corpo delle Capitanerie di Porto. Gli incorporamenti si svolgono quattro volte l’anno. Il primo giorno, al mattino presto, si comincia a creare una fila ordinata e ben distanziata di giovani provenienti da tutta Italia che attendono di entrare a Mariscuola. Dopo le pratiche di accettazione e incorporamento inizia la vestizione, con la prova divisa nel magazzino vestiario e gli aggiustamenti nella sartoria della Scuola. Seguono quindi quattro settimane molto intense, tra addestramento formale, prove di nuoto e voga, lezioni in aula ed esercitazioni di tiro con le armi. Poco dopo il giuramento, che sancisce Lezione del corso sanitario in aula Magna. In basso, attività pratica dei maestri cucina e mensa. Accanto: in alto, lezione marinaresca per il corso VFP1 Nocchieri e, in basso, marescialli nocchieri durante una lezione di navigazione.
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Addestramento del corso Servizi Difesa installazioni. Sopra: dall’alto, uscita in mare a favore degli allievi nocchieri; voga al palischermo e attività velica. Sullo sfondo, allievi durante il giuramento.
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formalmente il termine del corso e l’ingresso in Marina, ogni allievo conoscerà la prima destinazione e il comando dove inizierà a prestare servizio, una volta salutati i compagni di corso e varcato il cancello di Mariscuola. Il 2021 ha visto anche introdurre quattro nuovi corsi nel calendario di Mariscuola La Maddalena, tutti per VFP1, con l’avvio del corso per Maestri Cucina e Mensa (NP-MCM), del corso per addetti al Servizio Difesa Installazioni (NP-SDI), di quello per VFP1 delle componenti marinaresche della Squadra navale (CEMM-Orientati Nocchieri) e, presto, dei VFP1 Tecnici Motoristi navali (TM). Il panorama dell’attività didattica svolta a Mariscuola La Maddalena si arricchisce inoltre con i corsi velici, che si svolgono abitualmente nel periodo estivo. Quest’anno hanno partecipato trenta allievi marescialli della Scuola Sottufficiali di Taranto che a luglio hanno trascorso tre settimane di formazione alla vela, navigando nell’Arcipelago della Maddalena, famoso per le stimolanti condizioni ambientali e meteorologiche, con i suoi caratteristici venti, una palestra unica per apprendere l’arte dell’andar per mare a vela. L’organico della Scuola è di 230 militari, affiancati da 130 dipendenti civili che per una piccola località come La Maddalena rappresenta una importante presenza territoriale. La struttura dell’organico vede dipendere dal Comandante gli uffici Comando e Presidio, la Direzione Amministrativa, l’Ufficio Consulenza Legale e il Comandante in Seconda. Da quest’ultimo dipendono i pilastri che garantiscono le principali funzioni formative dell’istituto, le direzioni Corsi, Studi e Supporto, l’Ufficio difesa, il nucleo Servizio d’ordine e il Servizio sanitario. Una piccola città nella città, dedicata prevalentemente, ma non solo, alla formazione dei «marinai» di domani e alla specializzazione di quelli già in servizio, che affianca gli altri istituti di formazione della Marina, l’Accademia navale di Livorno e la Scuola Sottufficiali di Taranto, in modo complementare e che costituisce inoltre una storica importante presenza della Forza armata nel Nord della Sardegna, area dalla significativa vocazione marinara, oggi più che mai proiettata sul mare. 8 Rivista Marittima Ottobre 2021
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SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
Diplomazia Navale alla corte di San Giacomo Il ruolo del panfilo reale
Michele Cosentino
Contrammiraglio (r) del Genio Navale. Ha frequentato l’Accademia navale nel 1974-78 e ha successivamente conseguito la laurea in Ingegneria navale e meccanica presso l’Università «Federico II» di Napoli. In seguito, ha ricoperto vari incarichi a bordo dei sottomarini Carlo Fecia Di Cossato, Leonardo Da Vinci e Guglielmo Marconi e della fregata Perseo. È stato successivamente impiegato a Roma presso la Direzione generale degli armamenti navali, il Segretariato Generale della Difesa/Direzione Nazionale degli Armamenti e lo Stato Maggiore della Marina. Nel periodo 1993-96 è stato destinato al Quartier generale della NATO a Bruxelles; nel periodo 2005-11 ha lavorato al «Central Office» dell’Organisation Conjointe pour la Cooperation en matiere d’Armaments (OCCAR) a Bonn. Transitato nella riserva della Marina Militare nel 2014, è stato eletto consigliere nazionale dell’ANMI per il Lazio settentrionale. Dal 1987 collabora con numerose riviste militari italiane e straniere (Rivista Marittima, Storia Militare, Rivista Italiana Difesa, Difesa Oggi, Tecnologia & Difesa, Panorama Difesa, Warship, Proceedings, ecc.) e ha pubblicato oltre 600 fra articoli, saggi monografici, ricerche e libri su tematiche di politica e tecnologia navale, politica internazionale, difesa e sicurezza e storia navale. Fa parte del Consiglio Direttivo del Centro Studi Geopolitica e Strategia Marittima (CeSMar).
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Immagine al computer di una possibile futura National Flagship britannica, la cui costruzione è stata annunciata dal governo britannico a maggio 2021. L’unità svolgerà anche compiti di rappresentanza, diventando uno dei simboli concreti del concetto di Global Britain (National Flagship Board).
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l 30 maggio 2021, il governo britannico ha formalmente annunciato la costruzione di una nuova unità che fungerà sia da nave ammiraglia «nazionale» sia da panfilo per la famiglia reale inglese, una serie di funzioni che va dunque al di là di quella esclusivamente «regale» perché abbraccia anche gli ambiti della diplomazia navale. Sotto il profilo concettuale, la decisione di Downing Street, di investire in questo nuovo tipo di unità è stata accolta in alcuni ambienti e circoli d’opinione britannici con polemiche e scetticismo, ma gran parte della diatriba deriva da un fraintendimento dello scopo della nave. Infatti, questa futura «National Flagship» non dev’essere considerata come un orpello decorativo, né tantomeno come uno yacht d’altri tempi a uso esclusivo della
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famiglia reale: invece, essa sarà una piattaforma per promuovere la Gran Bretagna all’estero, contribuendo anche ad attuare alcuni principi codificati nella recente grand strategy di Londra (1). Sebbene non siano trapelate indiscrezioni su una decisione di Downing Street dal sapore decisamente politico-diplomatica, essa è stata verosimilmente il frutto di un processo di mediazione e negoziato fra Buckingham Palace e il governo britannico: il processo è stato probabilmente accelerato verso la conclusione dalla scomparsa del principe Filippo, Duca d’Edimburgo, l’esponente della famiglia reale più affezionato al Britannia, il cui ritiro dal servizio nel 1997 ha chiuso, ma forse solo temporaneamente, un sipario su una lunga tradizione di yacht reali britannici che risale al 1660 e al regno di
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A sinistra: lo yacht reale BRITANNIA nella rada di Hong Kong, in una foto risalente al 1986 che evidenzia le linee dello scafo, i tre alberi e il fumaiolo (Foto G. Arra). In basso: lo yacht reale VICTORIA AND ALBERT III in navigazione: nonostante il nome assegnato all’unità, la regina Vittoria non vi mise mai piede (Library of Congress). Nella pagina accanto: in alto, lo yacht reale ALEXANDRA in ingresso a Malta, nel 1911: in servizio nel 1908, l’unità fu impiegata come nave ospedale durante la Grande Guerra e ritirata dal servizio nel 1925 (Richard Ellis, public domain); in basso: un’immagine della «drawing room» a bordo del VITTORIA AND ALBERT III. La costruzione e l’allestimento dell’unità furono influenzati dalle richieste della famiglia reale britannica (Naval Historical and Heritage Center, US Navy, NH 110443).
Carlo II. Senza scomodare i più lontani antenati dell’attuale sovrana britannica, è opportuno raccontare le vicende delle due unità che hanno preceduto la futura «National Flagship», il Britannia appunto e il suo predecessore, il Victoria and Albert III, evidenziandone sia gli aspetti tecnici, sia le principali attività finalizzate a esercitare sul mare una funzione diplomatica di elevata qualità.
I predecessori: la travagliata costruzione del Victoria & Albert III Costruito per volontà della regina Vittoria per onorare l’unione con il suo amato e defunto consorte, il Victoria & Albert III (2) fu il primo yacht reale di tipo moderno, realizzato secondo principi che si discostavano da una tradizione costruttiva risalente alla monarchia Stuart i cui principi riguardavano essenzialmente la propulsione velica (alberi, vele e manovre fisse e correnti) o dei primi modelli a pale. Viceversa, il V &A III era realizzato secondo criteri moderni, con propulsione a vapore (caldaia, macchina e asse dell’elica). La decisione di realizzare una nuova unità di questo tipo
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fu annunciata il 1o gennaio 1897, anno del giubileo di diamante di Vittoria, ed era sostanzialmente derivante da una questione di prestigio: infatti, lo yacht reale all’epoca in servizio, Victoria & Albert II, era tecnicamente ed esteticamente superato da altre unità similari in servizio nelle principali potenze monarchiche europee più o meno rivali della Gran Bretagna, segnatamente l’Hohenzollern II di Federico Guglielmo II alla testa del Reich tedesco e lo Shtandart imperiale della dinastia russa dei Romanov (3). La costruzione del V&A III era necessaria non solo perché il V&A II era in cattive condizioni (scafo in legno, caldaie e altri impianti) e necessitava di costose manutenzioni, ma anche per disporre di un nuovo simbolo della potenza marittima britannica, cioè un nuovo yacht reale, il V&A III. La scelta dell’Ammiragliato, per la realizzazione del nuovo yacht reale, cadde sui Pembroke Dockyard, un cantiere navale statale situato sulle coste gallesi che aveva costruito le precedenti similari unità: la responsabilità complessiva del progetto fu invece affidata a sir William White, a capo del dipartimento delle Costruzioni navali dell’Ammiragliato e assistente del Controller (4). La famiglia reale si intromise nel progetto sin dall’inizio, in special modo per tutti gli aspetti legati al posizionamento, alle dimensioni e all’allestimento dei locali destinati a ospitarne i membri e il loro nutrito seguito, nonché gli ospiti stranieri che probabilmente avrebbero alloggiato a bordo per periodi più o meno lunghi. Sin dall’inizio del progetto, ebbe dunque luogo un fitto scambio di corrispondenza, non sempre pacata, fra i vari soggetti coinvolti nella costruzione del Victoria & Albert III: i progettisti tendevano a difendere le scelte di natura più
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propriamente tecnica, non sempre concordi con i desideri della regina Vittoria e della corte, e che l’Ammiragliato non poteva certamente ignorare. Il risultato di questo «contenzioso» fu sostanzialmente uno scafo con caratteristiche di stabilità trasversale tanto scarse che il 3 gennaio 1900, quando il Victoria & Albert III doveva uscire dal bacino dove aveva ultimato l’allestimento, per poco non si capovolse: la scarsa stabilità trasversale era legata all’eccesso di pesi in alto, in particolare all’interno delle sovrastrutture, ma se lo yacht fosse stato completato in banchina anziché in bacino, l’inconveniente si sarebbe manifestato in anticipo, consentendo di adottare le misure necessarie. Sia come sia, mentre si cercava di rimediare ai problemi attraverso interventi che incrementarono i costi complessivi dell’impresa (5), scoppiò una polemica che giunse in parlamento e che alla fine costrinse sir William White alle dimissioni, ufficialmente per motivi di salute e nonostante i brillanti successi che ne avevano caratterizzato la carriera. Informata di tutti i fatti e gli avvenimenti, la regina Vittoria non ebbe tuttavia modo di salire a bordo del Victoria & Albert III, perché concluse il suo lungo regno il 22 gennaio 1901. Il nuovo yacht reale entrò in servizio sei mesi dopo, non senza aver subito alcune modifiche minori di allestimento volute dal nuovo sovrano, Edoardo VII: in questo caso, gli interventi furono accuratamente registrati e controllati, eseguendo tutti i calcoli necessari a verificare che la stabilità trasversale dello scafo non fosse compromessa. Edoardo VII fu un assiduo utilizzatore del Victoria & Albert III, facendone un efficace strumento di diplomazia navale in quel primo decennio del XX secolo, soprattutto nelle acque nordeuropee e in Mediterraneo, dove maggiormente acute erano le tensioni fra le principali potenze navali del Vecchio Continente. Edoardo VII morì il 6 maggio 1910 e ascese al trono dell’Impero britannico il figlio Giorgio V, convinto assertore di una forte politica marittima: la prosecuzione dell’attivismo diplomatico del padre — cui contribuì anche il Victoria & Albert III, soprattutto nelle acque nor-
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deuropee — non riuscì tuttavia a impedire lo scoppio della Prima guerra mondiale, durante la quale gran parte dell’equipaggio dello yacht reale fu trasferito a bordo della corazzata Agincourt per tutta la durata del conflitto: in quel frangente, il personale dello yacht fu limitato a una ridotta aliquota per una minima manutenzione dello scafo e degli impianti e apparati. Già prima del conflitto e intuendo comunque le potenzialità di questo tipo di bastimenti, la Royal Navy aveva fatto costruire un nuovo yacht reale, in servizio nel 1908 e battezzato Alexandra in onore della consorte di Edoardo VII. Normalmente utilizzato dai membri della famiglia reale nei porti europei, durante la Grande Guerra, l’Alexandra fu impiegato come nave ospedale: esso fu venduto a una società privata norvegese nel 1925, dopo soli 17 anni di servizio. Infatti, la crisi economica e sociale che investì anche la Gran Bretagna nel primo dopoguerra non era certamente uno scenario favorevole per mantenere in servizio due yacht reali e le priorità della Royal Navy erano di conseguenza ben diverse: il Victoria & Albert III rimase al servizio della
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Accanto: lo yacht reale VICTORIA AND ALBERT III alla fonda al largo dell’isola di Wight, in occasione della Cowes Regatta e della concomitante parata navale del 1909 (Tumblr, public domain). Sotto: il BRITANNIA a Brisbane, in occasione della visita in Australia e Nuova Zelanda di Elisabetta II e del principe Filippo compiuta all’inizio del 1963 per rinsaldare i legami fra Londra e le ex-colonie dell’impero britannico (Queensland Archive).
famiglia Windsor, ma non fu assiduamente impiegato rispetto al periodo prebellico. Lo yacht reale fu comunque utilizzato in occasione delle due parate navali — note come Coronation Reviews — svoltesi a Spithead, Portsmouth, nel 1935 e nel 1937 per celebrare, rispettivamente, il 25o anno di regno di Giorgio V e l’ascesa al trono del figlio Giorgio VI, dopo l’abdicazione del discusso fratello maggiore Edoardo VIII. In entrambe le occasioni, il Victoria and Albert III fu la location ideale per una serie di incontri e riunioni ad alto livello che sancirono il ruolo dello yacht in un momento storico in cui la diplomazia britannica cercava in tutti i modi di contribuire al mantenimento della stabilità politica e della pace nel Vecchio Continente (6). Nella Coronation Review del 1937, il Victoria and Albert III aveva tuttavia più l’aspetto di un museo galleggiante che non quello di un’unità navale moderna ed efficiente: lo scafo e l’apparato motore si stavano gradualmente deteriorando e i locali destinati all’equipaggio erano scomodi e affollati. Era dunque palese che lo yacht reale non era più in grado di soddisfare i requisiti peculiari per il quale era stato concepito, né tantomeno quelli di diplomazia navale tanto necessari in quel periodo storico: anche gli interventi, peraltro invasivi, per un suo eventuale ammodernamento ne avrebbero esteso il servizio utile per pochi anni, dimostrandosi perciò assai onerosi se confrontati con i risultati attesi.
Il Britannia e il suo tempo Nel suo ruolo di capo del Commonwealth (7) e in un’epoca in cui il trasporto aereo era poco diffuso, Giorgio VI aveva dunque bisogno di un nuovo yacht reale per gli spostamenti sulle lunghe distanze. Nel 1938 il sovrano bri-
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tannico annunciò così la decisione di realizzare una nuova unità, concepita anche per essere convertita in nave ospedale in caso di guerra, ma l’esigenza di potenziare la linea combattente della Royal Navy era diventata, in quella seconda metà degli anni Trenta, una priorità ineludibile: ormai prossimo alla soglia dei 40 anni di vita, il Victoria & Albert III proseguì pertanto a svolgere un suo ruolo fino al 1939, quando fu ritirato dal servizio nella funzione che era alle sue origini (8). Lo scoppio del Secondo conflitto mondiale e l’impegno planetario della Royal Navy fecero passare in secondo piano la realizzazione di un nuovo yacht reale: tuttavia, nel 1939 la Royal Navy aveva svolto alcune attività progettuali preliminari e inviato alle principali società cantieristiche nazionali un elenco di requisiti iniziali, invitando ad avanzare proposte tecnico-economiche più dettagliate. Le operazioni militari obbligarono i soggetti interessati a sospendere ogni attività sul nuovo yacht reale: anche dopo la conclusione della guerra, la questione non venne presa in considerazione perché la Gran Bretagna dovette affrontare una nuova crisi socio-economica non dissimile da quella occorsa nel primo dopoguerra e che avrebbe obbligato il governo a mantenere il razionamento, seppur selettivo, fino al termine degli anni Quaranta. Le attività progettuali per la nuova unità poterono riprendere solamente nel 1951, enfatizzandone peraltro il
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Diplomazia navale alla corte di San Giacomo
ruolo di nave ospedale: quest’aspetto creò non pochi problemi al team di progettisti guidati da sir Victor Shepheard (9), all’epoca in carica nella veste di Director of Naval Construction, così come l’esigenza di procedere in tempi oltremodo rapidi per far sì che l’impiego del nuovo yacht reale potesse contribuire a migliorare il cattivo stato di salute di Giorgio VI. Ma il sovrano britannico morì nel febbraio 1952, lasciando sul trono l’allora giovane Elisabetta II che, assieme al consorte Filippo, fornì a progettisti e costruttori diverse indicazioni di quello che la nuova sovrana aveva deciso di battezzare Britannia: di conseguenza, anziché proseguire con una tradizione legata ai personaggi della famiglia reale, il nome del nuovo yacht — pubblicamente svelato il giorno del varo, come da protocollo — fu associato alla tradizione marittima britannica e di conseguenza a un ruolo di Londra che non voleva essere secondario nei nuovi scenari geopolitici del pianeta. La necessità di limitare i costi dell’impresa rimase un obbligo ferreo da considerare in ogni fase del progetto e dell’allestimento, assicurando al contempo che il futuro yacht reale avesse buone doti di tenuta al mare anche durante le previste lunghe navigazioni oceaniche: ci si orientò quindi verso un dislocamento convenientemente limitato e configurando il progetto in modo da ridurre al massimo l’entità e il costo degli interventi necessari per trasformare il Britannia in nave ospedale in caso di guerra (10). Giorgio VI aveva chiesto di progettare il nuovo yacht secondo linee moderne, ma senza esagerare: il risultato fu uno scafo con prora a clipper e poppa a incrociatore, con tre lunghi alberi a palo necessari per lo stendardo del Lord Ammiraglio (trinchetto) (11), quello reale (maestra) e l’Union Jack (mezzana), con un unico fumaiolo centrale dalle linee eleganti e pitturato in modo da non scolorire più di tanto durante l’esercizio. La scelta per la costruzione del Britannia cadde sui cantieri John Brown & Co., sull’estuario del fiume Clyde, in Scozia, una società con una lunga esperienza di costruzioni navali militari e mercantili. Impostato il 16 giugno 1952, il Britannia fu varato dalla regina Elisabetta II esattamente dieci mesi dopo ed entrò in servizio l’11 gennaio 1954. Una delle misure per ridurre i costi fu il reimpiego di parte degli arredi sbarcati dal Victoria and Albert III e di quelli utilizzati sul pi-
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roscafo Gothic, usato dalla giovane sovrana per il Commonwealth Tour del 1953-54, un’occasione importante per rinsaldare i legami con le residue colonie britanniche e rafforzare quelli diplomatici con le «nuove» nazioni create con il processo di decolonizzazione. L’equipaggio del Britannia era formato da 21 ufficiali e 250 fra sottufficiali, graduati e truppa, selezionati con un accurato processo a cui non disdegnava di partecipare anche il principe Filippo, naturalmente assai lieto di poter trascorrere a bordo lunghi periodi e familiarizzare con il personale imbarcato. In caso d’impiego come nave ospedale, l’equipaggio sarebbe stato formato da personale proveniente dalla Marina mercantile, affiancato da medici e infermieri/e militari e civili: le principali caratteristiche del Britannia sono riportate nella Tabella a pagina successiva. La prima crociera del Britannia ebbe luogo nell’aprile del 1954: Elisabetta II e il suo seguito imbarcarono al largo di Malta e poi lo yacht reale si diresse verso il Tamigi; numerose furono le successive crociere, con i membri della famiglia reale a bordo, soprattutto, per attività di rappresentanza, finalizzate a conseguire obiettivi politici, diplomatici e commerciali, certamente più facilmente raggiungibili grazie alla maggior visibilità garantita da un’unità navale rispetto a un aeroplano, relegato in un aeroporto probabilmente situato nella periferia cittadina. Nel corso della sua carriera, il Britannia fu dunque residenza ufficiale e privata di Elisabetta II e degli altri membri della famiglia reale, con in testa il principe Filippo: oltre a svolgere un’importante funzione politica e diplomatica, lo yacht reale è stato anche un ambasciatore per gli affari economici di Londra, promuovendo il commercio e l’induIl principe Filippo duca di Edimburgo, qui ritratto assieme agli ufficiali del BRITANNIA, apprezzava molto i periodi trascorsi a bordo dello yacht reale (Royal Yacht Britannia Trust).
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PRINCIPALI CARATTERISTICHE DELLO YACHT REALE BRITANNIA Cantiere di costruzione
John Brown and Co. Shipbuilding, Clyde
Periodo di costruzione
Impostazione, 16 giugno 1952; varo, 16 aprile 1954; ingresso in linea, 11 gennaio 1954
Lunghezze: - fuori tutto - al galleggiamento - tra le perpendicolari
125,75 metri 115,52 metri 109,44 metri
Larghezze: - massima scafo - al ponte di coperta
16,72 metri 16,56 metri
Altezza alberatura (sul livello del mare)
Albero di trinchetto, 40,5 metri: albero di maestra, 42 metri; albero di mezzana, 38,6 metri
Dislocamento a pieno carico
4.715 tonnellate
Immersione media corrispondente
4,72 metri
Apparato motore
Due caldaie Foster Wheeler tipo D (21 kg/cm2 e 365°C) e due gruppi turboriduttori a semplice riduzione John Brown and Co, per una potenza complessiva di 12.000 cv; due eliche tripala
Generazione energia elettrica
Tre gruppi turbogeneratori da 500 kW ciascuno, un gruppo diesel-generatore da 270 Kw, un gruppo diesel-generatore di emergenza da 60 kw
Prestazioni - velocità massima continuativa - autonomia
21 nodi 2.000 miglia a 20 nodi
Equipaggio
21 ufficiali e 250 fra sottufficiali, graduati e comuni
Costo
Circa 2,1 milioni di sterline
stria britannici in tutto il mondo. Le missioni di natura commerciale svolte nei teatri marittimi di tutto il mondo erano conosciute come «Sea Days» e un invito a imbarcare sul Britannia era considerato il massimo privilegio per numerose figure della galassia economica e politica del pianeta: il British Overseas Trade Board (12) ha stimato che solamente nel periodo 1991-95 l’erario della Gran Bretagna ha guadagnato 3 miliardi di sterline grazie ad attività commerciali condotte a seguito dei predetti «Sea Days». Mentre si recava in Nuova Zelanda con la regina Elisabetta II a bordo, un’emergenza militare mise alla prova il Britannia. Nelle ore serali del 17 gennaio 1986, lo yacht
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gettò l’ancora a Khormaksar Beach, al largo di Aden: la guerra civile scoppiata nello Yemen richiedeva l’impiego urgente di unità britanniche per evacuare connazionali e cittadini di altre nazionalità intrappolati dai combattimenti. A cura di una task force comprendente cacciatorpediniere, fregate e navi ausiliarie, la spola fra le spiagge yemenite e quest’ultime si protrasse per diversi giorni: prima di riprendere il viaggio verso la Nuova Zelanda e grazie alla disponibilità dei locali, il Britannia contribuì all’evacuazione di oltre 1.000 persone su un totale di quasi 1.380 civili portati in salvo da tutte le unità della Royal Navy coinvolte nelle operazioni. Alla presenza di Elisabetta II visibilmente
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commossa, il Britannia concluse la sua carriera a Portsmouth il 10 dicembre 1997: lo yacht reale è rimasto in linea per 43 anni e, a parte il famosissimo Victory, rimane l’unità navale che ha svolto il più lungo servizio continuativo nella Royal Navy. Forse proprio per questo, il Britannia ha iniziato una nuova vita, e non solo museale, a Edimburgo, sotto l’egida del Royal Yacht Britannia Trust, il cui scopo principale è rivolto a enti e organizzazioni di beneficienza e a cui contribuiscono sia le visite alla nave, sia la possibilità di organizzare eventi a bordo (13).
Diplomazia navale, commercio e «National Flagship» Prendendo spunto dalle occasioni in cui la Rivista Marittima si è occupata di diplomazia navale (14), si può affermare che quest’attività ha assunto una valenza assai significativa nell’ambito del blue century, rafforzando soprattutto il ruolo di strumento navale «soft» — con il Vespucci e il Britannia esempi tangibili e palesi — rispetto al contributo fornito dalle unità navali combattenti. Non deve dunque stupire la proposta del governo britannico di costruire un nuovo yacht reale quale «National Flagship», cioè una nave ammiraglia che rappresenti un simbolo concreto del concetto di Global Britain introdotto nella grand strategy divulgata da Downing Street nella primavera del 2021 (15): va inoltre sottolineato che il concetto di «National Flagship» è differente da quello, più circoscritto, di «Royal Navy Flagship» o «Fleet Flagship», funzioni queste affidate alla portaerei Queen Elizabeth all’inizio del 2021, ma che rientra esclusivamente in un ambito operativo. Ospitando anche vertici politici, colloqui diplomatici, conferenze ed eventi di alto livello, la futura National Flagship svolgerà anche la funzione di vetrina per mostrare il design e le capacità ingegneristiche della Gran Bretagna. E lungi dall’essere il «costoso orpello» criticato dai suoi detrattori, il progetto per la nuova unità ha il potenziale per spingersi ben oltre il recupero dei costi — valutati in 200-250 milioni di sterline — per la sua realizzazione, potendo assicurare accordi commerciali e creando anche posti di lavoro, nonché rappresentare un patrimonio di opportunità per le costruzioni navali militari e mercantili britanniche. Al ritiro dal servizio del Britannia era seguita una stagione di «decadenza» marittima che toccò il suo punto più basso nel 2010, quando fu pub-
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blicata una Strategic Defence and Security Review che avrebbe portato da lì a qualche anno anche alla soppressione della componente aerotattica imbarcata della Royal Navy. Col passare del tempo, i governo succedutisi alla guida della Gran Bretagna hanno gradualmente modificato il loro atteggiamento, comprendendo l’importanza dello strumento aeronavale, delle industrie legate al comparto marittimo e della dipendenza della Gran Bretagna dal mare: se la strada da percorrere per raggiungere gli obiettivi della Global Britain appare ancora molto lunga, la National Flagship è certamente in linea con gli intendimenti delineati nella National Shipbuilding Strategy. Per la Royal Navy, la preoccupazione per questa proposta di National Flagship era inizialmente legata a ripercussioni negative per il proprio bilancio, creando possibili ulteriori pressioni sulla carenza di personale che l’affligge. Sebbene in servizio nella Marina britannica e gestita operativamente dal ministero della Difesa britannico, la costruzione e la gestione della National Flagship saranno finanziate in un modo completamente separato: il ricorso a un’estesa automazione e a tecnologie innovative consentirà di ridurre la consistenza dell’equipaggio, un aspetto che ha permesso alla Royal Navy di dimostrarsi favorevole al concetto e di riconoscere il valore della nave e delle peculiari esperienze di cui beneficeranno i componenti di un equipaggio comunque selezionato. Da parte sua e accettando la necessità di una monarchia ridimensionata, la famiglia reale britannica non ha fatto pressioni per un nuovo yacht né è stata coinvolta nel nuovo progetto di National Flagship: per qualche tempo è circolata la voce che essa si sarebbe chiamata «HMS Prince Philip», ma ufficializzare una siffatta decisione è stato ritenuto prematuro e avrebbe forse aggiunto elementi all’erronea percezione che la National Flagship fosse esclusivamente uno yacht reale. Così, una decisione sul nome potrebbe essere rimandata fino al momento del varo della nuova unità, seguendo il protocollo a suo tempo adottato per il Britannia. Il concetto della nuova National Flagship è stato sviluppato da un apposito gruppo di lavoro e ha il pieno sostegno del governo, nonché il supporto dell’industria britannica. Dalle prime indiscrezioni trapelate, la National Flagship dovrebbe avere un dislocamento di 7.500 tonnellate e una lunghezza di 125 metri: a poppa vi sarà un ampio
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ponte di volo per le operazioni di elicotteri, e anche se non ci sarà un hangar, la superficie potrà essere impiegata per eventi all’aperto. La costruzione seguirà gli standard commerciali e si tratterà in sostanza di una piccola nave da crociera con alcune peculiarità legate al suo ruolo; l’assenza di sistemi d’arma e sensori elettronici specializzati e sofisticati contribuirà a contenere i costi. La propulsione sarà diesel-elettrica, introducendo tutti gli accorgimenti per minimizzare le emissioni e rispettare l’ambiente. Particolare attenzione sarà devoluta alle funzioni di rappresentanza per le delegazioni estere e i visitatori: vi sarà un centro conferenze (per esempio utilizzabile per vertici multilaterali di elevato livello come il G7), una sala conferenze stampa, una sala ricevimenti per un massimo di 200 persone e una zona riservata alla famiglia reale. Al momento dell’approvazione del finanziamento per la costruzione della National Flagship, si definirà se i fondi saranno prelevati direttamente da quelli assegnati dal ministero del Tesoro a quello della Difesa, se vi saranno contributi provenienti dal Foreign Commonwealth and Development Office, dal Department for International Trade e dal Department for Business, Energy & Industrial Strategy (che comunque hanno manifestato interesse per l’impresa), o se Whitehall riceverà fondi aggiuntivi dedicati ad attuare il concetto (16): a tal proposito si può ri-
cordare che, in sede di presentazione di Global Britain, il primo ministro Boris Johnson ha rivelato che nei prossimi quattro anni il bilancio della Difesa sarà incrementato di 16 miliardi di sterline. Intanto, il 28 luglio 2021 il ministro della Difesa Ben Wallace ha riaffermato la volontà di procedere, avviando una competizione rigorosamente limitata ai cantieri britannici destinata a protrarsi fino a ottobre 2021: l’intenzione è la scelta di un vincitore entro la fine dell’anno, in modo da iniziare la costruzione della nave nel 2022 e giungere al suo varo nel 2023-24. I detrattori della National Flagship — inclusa una parte della stampa britannica — evidenziano una serie di priorità alternative per spendere 200 milioni di sterline, a seconda delle loro aree di interesse, vale a dire salute, istruzione, assistenza sociale, trasporti, e quant’altro. Ma nel grande schema delle cose, il costo della nuova unità è oggettivamente modesto, pari a circa lo 0,03% del bilancio di Whitehall, ed equivalente a 12 ore di funzionamento del servizio sanitario nazionale. Sia come sia, la National Flagship si pone come un indubbio strumento di diplomazia marittima del XXI secolo, un’ambasciata galleggiante per promuovere l’immagine e gli interessi della Gran Bretagna nel mondo, creando nuovi posti di lavoro e fungendo da catalizzatore per il commercio internazionale e le esportazioni. 8
NOTE (1) HM Government, Global Britain in a competitive age. The Integrated Review of Security, Defence, Development and Foreign Policy, March 2021, CP 403, HM Stationery Office. (2) Nella Marina britannica, lo yacht reale non è una nave da guerra in senso classico: infatti, il prefisso usato non è HMS, «His/Her Majesty’s Ship», ma HMY, «His/Her Majesty’s Yacht». (3) Risalente all’ormai lontano 1855, il Victoria & Albert II era uno yacht propulso da due ruote a pale, con scafo in legno e tre alberi a palo molto alti. L’Hohenzollern II era entrato in servizio nel 1893, mentre lo Shtandart russo era in linea dal 1896. In Gran Bretagna, erano inoltre in linea altri tre yacht reali di dimensioni più contenute — Alberta, Osborne ed Elfin —, tutti con scafo in legno e impiegati soprattutto per attività circoscritte alle isole britanniche. (4) Il Controller, o anche Terzo Lord del mare, era l’ufficiale ammiraglio responsabile dei nuovi progetti e costruzioni nell’ambito dell’Ammiragliato britannico. All’epoca, il Controller era l’ammiraglio, poi diventato famoso, sir John Fisher. (5) Il costo complessivo, a valle degli interventi correttivi, del Victoria & Albert III ammontò a circa 512.000 sterline, mentre quelli stimati dell’Hohenzollern II e dello Shtandart furono stimati in, rispettivamente, 220.000 e 350.000 sterline. (6) Lo storico militare Paul Willmott descrisse la Coronation Review del 1937 come «l’ultima parata navale della Royal Navy nella veste della più potente e prodigiosa Marina del mondo». (7) L’organismo fu inizialmente creato (1926) come British Commonwealth of Nations e formalizzato nel 1931 con un apposito statuto parlamentare. (8) Dopo aver servito con stile e funzionalità quattro sovrani britannici (Edoardo VII, Giorgio V, Edoardo VIII e Giorgio VI), durante la Seconda guerra mondiale il Victoria and Albert III fu impiegato come nave deposito e nave caserma a Portsmouth e venduto per demolizione in Scozia nel 1954. (9) Sir Victor Shepheard, Her Majesty’s Yacht Britannia, Royal Institution of Naval Architects, RINA, Londra, 7 Aprile 1954. (10) Si decise perciò di installare sin dall’inizio una coppia di pinne stabilizzatrici, un impianto di condizionamento centralizzato e un’ampia e attrezzata lavanderia. (11) Sostituito in seguito da quello dell’ammiraglio in comando della «flotta» reale (FORY, Flag Officer Royal Yacht) composta dallo yacht reale vero e proprio, da unità minori dedicate allo scopo e dalle principali imbarcazioni di servizio. (12) Il British Overseas Trade Board era l’ente per la promozione delle esportazioni di prodotti britannici, inquadrato nel ministero dell’Industria e del commercio. (13) Per dovere di cronaca, va ricordato che oltre agli yacht reali propriamente detti e realizzati a tal scopo, la famiglia reale britannica fece anche uso, seppur per qualche saltuaria e breve occasione, di altre unità navali ritenute adeguate per svolgere questa funzione specifica. In particolare, nel 1911-12 fu la volta del piroscafo Medina, mentre nel 1916 fu impiegato l’incrociatore da battaglia Renown. I transatlantici Empress of Britain ed Empress of Australia furono invece utilizzati negli anni Trenta, mentre nel 1947 toccò alla corazzata Vanguard. (14) Per i dettagli su definizione e attuazione della diplomazia navale, si rimanda alla serie di articoli pubblicati dalla Rivista Marittima nei numeri di ottobre 2019 e marzo 2020. (15) M. Cosentino, Global Britain e il ruolo della Royal Navy, Rivista Marittima, giugno 2021. (16) Il governo britannico sta cercando un metodo per affidare alla National Flagship anche un ruolo legato alla sicurezza nazionale (per esempio sorveglianza e pattugliamento in acque d’interesse di Londra), in modo da evitare che la sua costruzione sia soggetta a una competizione internazionale da cui potrebbero essere esclusi i cantieri britannici.
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STORIA E CULTURA MILITARE
Il Principe e il Poeta Nuovi elementi sull’azione di Capo Matapan del 28 marzo 1941
Enrico Cernuschi
Laureato in giurisprudenza, vive e lavora a Pavia. Studioso di storia navale ha dato alle stampe, nel corso di venticinque anni, altrettanti volumi e oltre 500 articoli pubblicati in Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia dalle più importanti riviste del settore. Tra i libri più recenti «Gran pavese» (Premio Marincovich 2012), «ULTRA - La fine di un mito», «Black Phoenix» (con Vincent P. O’Hara), «Navi e Quattrini» (2013), «Battaglie sconosciute» (2014), «Malta 1940-1943» (2015), «Quando tuonano i grossi calibri», «Gli italiani dell’Invincibile Armata» (2016), «L’ultimo sbarco in Inghilterra, 1547» (2018) e «Venezia contro l’Inghilterra, 1628-1649» (2020).
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In apertura: il Regio Cacciatorpediniere GIOSUÉ CARDUCCI nel 1940 (Fondo Minchilli, g.c. ANMI). Sopra: Sua Altezza Reale il Principe Filippo quando era, nel 1945, tenente di vascello e secondo sul cacciatorpediniere Whelp. Accanto: una pagina del diario dell’allora guardiamarina Principe Filippo (After the Battle).
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el maggio 2021 la Rivista Marittima ha pubblicato un articolo dedicato a una conferma e ad alcune inattese rivelazioni relative alla reazione di fuoco, molto probabilmente da parte dell’armamento di una mitragliera binata da 37/54, dell’incrociatore Zara nel corso della nota azione notturna di Capo Matapan verificatasi il 28 marzo 1941 durante la Seconda guerra mondiale (1). Le convalide e le nuove notizie erano basate su una serie di notizie che il Principe consorte Filippo, Duca d’Edimburgo, aveva disposto fossero pubblicate, dopo la propria scomparsa, in ricordo delle sue esperienze di ufficiale della Royal Navy in occasione di quel conflitto. Trattandosi di un’Altezza Reale, e memore degli insegnamenti del grande Aldo Fraccaroli, maestro di storia navale e di etichetta (2), chi scrive si premurò di contattare le competenti autorità britanniche prima di redigere il pezzo. La risposta, giunta via e-mail in meno di 24 ore, autorizzava il tutto (tanto più che si trattava di brani già rilasciati alla stampa e apparsi sui quotidiani del Regno Unito), con la sola preghiera di voler rimettere, dopo la pubblicazione, una copia cartacea
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della rivista allo scopo di assolvere i consueti obblighi di archivio, richiesta che mi affrettai ad eseguire, trasmettendo all’indirizzo indicato in calce il numero del mensile in parola non appena questo mi arrivò per posta. Ogni cosa sembrò, così, felicemente conclusa e tutto mi sarei aspettato meno di trovare, al ritorno dalle vacanze, una sontuosa busta in cartoncino Bristol rimessami dalla Royal Mail (più banalmente le Poste e Telegrafi inglesi). All’interno c’erano alcune fotocopie e una lettera. La missiva spiegava che il diario personale del Principe (manoscritto, per la cronaca, su un regolamentare Admiralty form S.519, Journal for the Use of Junior Officers afloat) non era destinato, purtroppo, alla pubblicazione; poiché, però, nel 1975 erano state pubblicate, con l’Approvazione Reale, alcune righe immediatamente successive a quelle rilasciate alla stampa in occasione della scomparsa di Filippo d’Edimburgo, nulla vietava di integrare — nell’interesse della storia — ciò che era già stato divulgato. La lettura delle pagine fotocopiate si rivelò, a sua volta, così stupefacente da spingermi ad acquistare quella sera stessa, a scanso di 83
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ogni possibile equivoco, una copia di quella nota rivista britannica (After the Battle, Number 7, 1975), salvo mettermi subito al lavoro nel tentativo di ricostruire compiutamente il nuovo e, per certi aspetti, piuttosto diverso quadro che era emerso da quelle poche righe. Una volta premesso il fatto che la vicenda oggetto di queste pagine rappresenta solo un dettaglio (fino a oggi trascurato e non valutato) di una vicenda — tragica — ben altrimenti più importante e nota, si sottopone, qui di seguito, all’attenzione del lettore il risultato di questi nuovi elementi.
Una cannonata in più Tanto per cominciare le riparazioni in seguito ai danni (e alle perdite) causate dal tiro delle mitragliere da 37 mm dello Zara (fuoco diretto dapprima contro la nave da battaglia inglese Barham e, subito dopo che quest’unità, colpita, aveva spento i propri proiettori, in direzione delle luci della pari classe Valiant, a bordo della quale era imbarcato il Principe, con l’incarico di dirigere le fotoelettriche di quella corazzata) richiesero, per quest’ultimo bastimento, una volta giunto ad Alessandria, una settimana di lavori: «Valiant took a week to patch up». A questa conferma si aggiunge, ora, un fatto nuovo. Filippo osservò e annotò, infatti, «(…) un altro buco di 8 piedi (pari a 2,4 m, nda), stretto ma profondo, a centronave nella controcarena di diritta» (3). Il proietto aveva attraversato, dall’alto verso il basso, la controcarena, per poi esplodere subito fuori, ed era visibile in quanto lo squarcio («the gash») era, in quel momento, immediatamente al di sopra della linea di galleggiamento, avendo la nave consumato buona parte della nafta e dell’acqua per le caldaie dopo quattro giorni di navigazione condotta, per diverse ore, a tutta forza (4). Quel danno richiese, a sua volta, un’altra settimana di L’incrociatore ZARA nell’estate 1940 (Fondo Minchilli, g.c. ANMI).
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lavori per essere riparato sommariamente inclinando (in quel momento il solitario, grande bacino galleggiante di quella base non era disponibile) il Valiant di ben 10 gradi («They spent the next week with a ten degree list while the repair was done»). A questa prima riparazione delle controcarene, effettuata coi mezzi di bordo e con i materiali e le maestranze forniti dalla nave officina Woolwich, seguì finalmente, tra il 13 e il 17 maggio, un’immissione in bacino per un più opportuno refit alle controcarene (di costruzione saldata), lavori peraltro non ancora del tutto ultimati quando la nave fu costretta a uscire da quel mezzo di lavoro per riprendere il mare in vista dell’imminente invasione tedesca di Creta (5). A questo punto viene naturale chiedersi da dove venisse quel colpo, chiaramente non attribuibile, date le caratteristiche del danno, ai proietti scoppianti dotati di autodistruzione delle mitragliere da 37 mm dello Zara. Ed è proprio a questo punto che la situazione si fa, se possibile, ancora più ingarbugliata.
I casi sono due La nuova Commissione d’inchiesta della Marina Militare indetta dopo la guerra, nel luglio 1946, in merito alla disgraziata vicenda di Matapan accertò, alla fine, sulla base della relazione originaria redatta, nel 1941, dall’ammiraglio Angelo Iachino (comandante, a quel tempo, della Squadra navale) che l’unica unità italiana che avesse reagito al tiro avversario era stata il cacciatorpediniere Alfieri. Le tre testimonianze raccolte nel 1941 in merito al fuoco aperto da una mitragliera binata da 37 mm dello Zara furono, viceversa, registrate ma, alla fine, scartate, sia per la mancanza di superstiti direttamente coinvolti in quell’episodio sia perché il fascicolo di propaganda inglese West of Malta East of Suez, pubblicato nel 1943 e unico «documento» a disposizione della nuova Commissione, non ne faceva cenno. Dal 2013 sappiamo, peraltro, che si trattò di una banale omissione (6). A questo punto sarebbe facile fare due più due e attribuire all’Alfieri quel centro casuale (date le circostanze) e poco più che simbolico arrivato a bordo del Valiant visto che, nella migliore delle ipotesi e data la compartimentazione delle controcarene (suddivise tra una metà superiore e una inferiore con paratie tra-
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La sensibile differenza di altezza (nell’ordine dei 10 metri) tra le vedette dello ZARA e quelle in plancia a bordo della nave da battaglia WARSPITE. La notte di Matapan la situazione era ulteriormente peggiorata dal crepuscolo di Giove alle spalle della III Divisione (Disegno di Arianna Cernuschi). In basso: la ricostruzione all’inizio dell’azione notturna di Capo Matapan fatta nel 1941 in occasione della rituale Commissione d’inchiesta istituita per la perdita del CARDUCCI. Dalla relazione del R. CT CARDUCCI, nel corso della quale il comandante affermò, nell’aprile 1941, che: «la formazione fosse composta ... (v. testo nell’immagine)» (USMM).
sversali posizionate ogni 20 piedi), quella corazzata non deve aver imbarcato più di 200-250 t d’acqua, pur restando il fatto che se la non gran che attrezzata base di Alessandria (unico porto disponibile, nel Mediterraneo orientale, per questi lavori dopo l’abbandono, nell’aprile 1939, di Malta a causa della minaccia italiana) impiegò quasi due settimane prima di aver completato tutte le riparazioni resesi necessarie in seguito ai danni minori subiti, quella notte, da quella nave di linea. Le 4 salve tirate dall’impianto binato di prora da 120/50 dell’Alfieri, nel corso della notte del 28 marzo 1941 (7), furono però sparate, alle 23:01, contro il caccia australiano Stuart, dopo cioè che le navi da battaglia britanniche avevano spento, alle 22:35, i propri proiettori e cessato il fuoco allontanandosi, ormai invisibili, nella notte, con direzione di marcia nord. La descrizione dell’orario e dei fatti riportata dallo Stuart («Fire was opened on the burning ship at 23:01, and she returned fire hotly for a few minutes») (8) coincide. A sua volta quel caccia australiano, mancato per pochi metri, fu costretto ad allontanarsi, lasciando al similare Havock il compito di finire quella nave avversaria. In seguito lo Stuart s’imbatté nello Zara, ormai immobilizzato e sbandato, il quale, però, accolse la nave australiana «(…) with a fairly and accurate heavy fire», sia pure senza registrare dei colpi diretti a bordo (9), costringendo, ancora
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una volta, quella silurante australiana ad allontanarsi. La precisa testimonianza in merito a questi stessi precisi minuti, fatta nel 1941 e in maniera del tutto indipendente dall’allora sottotenente di vascello Vito Sansonetti, ufficiale alle armi subacquee a bordo dell’Alfieri, il quale lanciò personalmente (e invano) dalla propria nave, ormai troppo sbandata, due siluri contro una di quelle due unità sottili avversarie, conferma il resoconto conservato a Sydney. Il colpo giunto a bordo del Valiant, dopo l’apertura del tiro, a bruciapelo, da parte dei grossi calibri delle navi da battaglia inglesi avvenuta alle ore 22:30, pertanto, non può essere stato sparato dall’Alfieri. Si potrebbe pensare, a questo punto, a un caso di fuoco amico. La corazzata Barham, infatti, si trovava a poppavia del Valiant a oltre 5 mi-
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Accanto: l’armamento dell’impianto prodiero da 120/50 del cacciatorpediniere CARDUCCI (Fondo Minchilli, g.c. ANMI). Sopra: la nave da battaglia VALIANT nel 1941 (Collezione Enrico Cernuschi). In alto, estate 1940. La plancia dell’ALFIERI. Al centro: l’impianto lanciasiluri trinato prodiero del cacciatorpediniere CARDUCCI nell’estate 1940 (Fondo Minchilli, g.c. ANMI).
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glia di distanza dopo aver effettuato una volta tonda in seguito ai primi colpi dello Zara giunti a bordo. In effetti, tornato in linea di fila mentre la nave ammiraglia Warspite e il gemello Valiant stavano accostando, barra a dritta, per sfuggire al lancio (dato dagli inglesi per scontato) di una salva di siluri da parte dei tre cacciatorpediniere italiani (nell’ordine iniziale Gioberti, Carducci e Oriani), avvistati inaspettatamente dai britannici alle 22:31, il Barham sparò, fino alle 22:35, con i propri grossi calibri e con la batteria secondaria di sinistra da 152 mm colpendo, probabilmente già alle 22:32, l’Alfieri. Né la direzione della nave presa a bersaglio dal Barham, né la traiettoria, inevitabilmente tesa, di un eventuale proietto da 152 mm di quella corazzata coincidono — però — con lo squarcio dall’alto verso il basso riparato, in seguito, a bordo del Valiant. È parimenti impossibile il caso di una bomba aerea tedesca, in quanto l’unico attacco effettuato (il 29 marzo) da alcuni velivoli bimotori Ju 88 della Luftwaffe fu diretto, senza successo, contro la portaerei Formidable. Intendiamoci: come è del tutto naturale, la confusione regnava sovrana quella notte. Il Warspite per esempio, dopo l’avvistamento dei tre caccia italiani, diresse per primo il tiro dei propri impianti singoli da 152 mm in casamatta (i quali, a partire dalla seconda fiancata da 381 mm diretta contro il Fiume e lo Zara, avevano aperto anch’essi il fuoco contro quegli incrociatori), in direzione delle unità sottili avversarie dopo che queste avevano accostato a dritta finendo, però, per illuminare, prendere di mira e sparare contro i cacciatorpediniere Havock, Griffin e Stuart senza causare, apparentemente, danni. In quello stesso frangente i proiettori del lato non impegnato del Warspite inquadrarono, inoltre, la portaerei Formidable, già da qualche minuto in corso di rapido allontanamento, scongiurando solo all’ultimo istante, secondo i resoconti britannici, l’apertura del tiro da parte della batteria di dritta da 152 dell’ammiraglia di Cunningham contro quella nave (10). Il doppio timore dei siluri italiani (in realtà inesistenti) e di una mischia incontrollabile, spinse l’ammiraglio Andrew Browne Cunningham a interrompere, alle 22:31 o appena pochi istanti dopo, l’azione delle corazzate e a ordinare un’ampia accostata a dritta. Ed è proprio a questo punto che il modesto mistero del colpo giunto sul Valiant potrebbe trovare una valida spiegazione.
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Accanto: la nave da battaglia BARHAM ad Alessandria nel novembre 1940 (Collezione Enrico Cernuschi). Al centro: estate 1940. Impianto da 120 mm del cacciatorpediniere ALFIERI (Fondo Minchilli, g.c. ANMI). In basso: il cacciatorpediniere australiano STUART nella tarda estate del 1940 (Collezione Cernuschi).
Il cacciatorpediniere dimenticato A bordo delle navi da battaglia, gli inglesi, infatti, avevano stimato di essere il bersaglio dei siluri italiani non soltanto in seguito all’inatteso avvistamento di quelle unità sottili e alla loro posizione nell’ambito di un cerchio di lancio di 2.000 metri circa, ma anche a causa all’avvistamento di alcune fiammate (giudicate da 2 a 3 a seconda delle fonti) attribuite alle cariche dei lanciasiluri. Sappiamo che a bordo del cacciatorpediniere Carducci un colpo fortunato da 114, appartenente alla prima fiancata del Valiant diretta contro quella silurante italiana aveva interrotto, poco prima che l’Alfieri fosse colpito, i circuiti elettrici che collegavano la Direzione del tiro agli orologi a controindice dell’impianto prodiero da 120. Subito dopo, quel caccia italiano incominciò a far fumo, dal fumaiolo, su ordine del comandante, capitano di fregata Alberto Ginocchio. Sempre sul Carducci (il quale, dopo aver accostato a dritta per imitazione, stava tornando, come l’Alfieri, alle 22:31, nella direzione di marcia originaria, sopravanzando il Gioberti, per portarsi, avanti massima, all’attacco col siluro), fu impartito l’ordine, all’impianto prodiero, di aprire il fuoco mediante i due cannocchiali della punteria locale. Seguì (siamo nell’ordine, incontrollabile, di una manciata di secondi a cavallo tra le 22:31 e le 22:32) un nuovo proietto da 114 che si abbatté, questa volta a prua, sul Carducci, anche se alcune testimonianze italiane parlano, a questo proposito, di due esplosioni. Una decina di minuti dopo, quel caccia, dopo che aveva steso una cortina fumogena a protezione delle altre siluranti della squadriglia, fu nuovamente colpito, questa volta dai cacciatorpediniere avversari, perdendo, poco dopo, la prora. Non ci furono superstiti tra gli uomini dell’impianto prodiero; non possiamo quindi avere la certezza matematica che la seconda esplosione riferita da alcuni testimoni e le fiammate dei supposti tubi di lancio osservate, nel corso di quegli stessi istanti, dagli inglesi non fossero, in realtà, che il fuoco della prima (e, con ogni probabilità, ultima) salva del Car-
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Posizioni approssimative e direttrici di marcia delle navi coinvolte alle ore 22:32 del 28 marzo 1941 (Disegno di Piera Marconi). Nella pagina accanto: superstiti del cacciatorpediniere CARDUCCI nell’aprile 1941 (Fondo Minchilli, g.c. ANMI).
ducci. È però noto il fatto che i cannoni in parola erano caricati, come da regolamento, sin dalla notte del 26 marzo, con granate perforanti da 120 con fondello senza ritardo in vista di un eventuale impiego notturno sotto i 10.000 m. Il comportamento di quel proietto contro la lamiera di acciaio a elevata resistenza da 13,2 mm di spessore della controcarena del Valiant all’altezza del parabordo di quella nave, coincide sia con lo stretto buco iniziale osservato dal Principe Filippo sia con la successiva esplosione (11). Pensare a una salva subito centrata in alzo e cursore, sparata, sia pure a quelle distanze ridotte, di notte mentre il Valiant mostrava ormai la poppa al Carducci è, naturalmente, un caso, quantunque non diverso dal centro che lo stesso Valiant mise a segno, con la propria prima fiancata da 8 proietti da 114 mm (la terza torre di quel calibro, quella centrale, era destinata al tiro illuminante) sparata poco prima contro quello stesso cacciatorpediniere.
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Conclusione Sia tuttavia concesso, in conclusione, a chi scrive, di ricordare un altro caso altrettanto curioso. Più o meno tutti abbiamo dovuto studiare a memoria, al liceo (parlo della mia generazione: 1960), le Odi barbare di Giosuè Carducci e, in particolare, quella dell’ «(…) inconscia zagaglia barbara» — parole che furono inevitabile oggetto di pesanti ironie tra noi studenti — che quel grande poeta (autore, tra l’altro, della ben più celebre, amatissima e musicale San Martino, con «La nebbia a gl’irti colli/piovigginando sale/e sotto il maestrale/urla e biancheggia il mar») scrisse in occasione della morte del nipote di Napoleone, il giovane Principe Eugenio, figlio di Napoleone III e ucciso dagli Zulù nel 1879. Personalmente sono tra i pochi, ormai, che si ricordano il seguito di quella poesia dedicata al mancato, e dimostratosi personalmente coraggioso, Napoleone IV, quando quel poeta d’adozione bolognese scrisse: «Sta ne la notte la còrsa Niobe/sta sulla porta donde al battesimo/le uscíano i figli, e le
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braccia/fiera tende su‘l selvaggio mare:/e chiama, chiama, se da l’Americhe,/se di Britannia, se da l’arsa Africa/alcun di sua tragica prole/spinto da morte le approdi in seno». Se oggi, dopo che Giosuè Carducci rese omaggio al Principe Eugenio Bonaparte, c’è la possibilità che Filippo, un altro Principe del sangue, abbia reso la stessa cortesia alla nave che portava il nome di quel Poeta e ai suoi marinai, ebbene la storia della Marina italiana e quella del mare in generale non avranno che un’altra leggenda vera in più. 8 NOTE (1) Enrico Cernuschi, Le due navi del Principe Filippo, Rivista Marittima, maggio 2021. L’articolo in parola confermava un documento originale britannico del 1945 ritracciato e pubblicato dallo stesso autore, sotto il titolo I sette dello Zara, su Lega Navale, ottobre-novembre 2013. (2) Nell’agosto 1943, per esempio, l’allora sottotenente commissario Aldo Fraccaroli fu convocato da Genova a Roma, dove ricevette l’ordine di studiare uno stendardo da issare a riva durante le ormai frequenti visite del Principe ereditario Umberto. Erminio Bagnasco, Aldo Fraccaroli fotografo navale, Albertelli, Parma 1996, p. 20. (3) «They found another eight-foot hole, narrow but deep, in the starboard torpedo protection bulges amidships». (4) Vale la pena di notare che nel corso degli 80 giorni compresi tra le azioni di Gaudo e Matapan e la vigilia della campagna di Creta, le unità maggiori (navi da battaglia e portaerei) della Royal Navy presenti nel Mediterraneo consumarono, da sole, oltre 80.000 t di nafta, ovvero più di quante non ne abbiano bruciate (79.286 t), tra l’11 giugno 1940 e l’8 settembre 1943, tutte le 7 corazzate armate dalla Regia Marina durante la Seconda guerra mondiale. Un fatto, questo, che corrobora le critiche mosse nel 1961 dall’ammiraglio Odoardo Somigli (fondatore del CASD) all’ammiraglio Romeo Bernotti (padre dell’IGM, oggi Istituto di Studi Militari Marittimi), in occasione della pubblicazione, nel 1960, del volume Storia della guerra nel Mediterraneo, edito da Vito Bianco in Roma, quando quell’ex Sottocapo di Stato Maggiore della Marina affermò, in merito a quel nuovo volume di Bernotti, che: «Il libro segue principalmente, o ne dà l’impressione, qual filo conduttore, la storia ufficiale inglese. Si compiace delle citazioni dei nostri avversari, di tutti i generi (…)». Ufficio Storico della Marina Militare (d’ora in poi USMM), Fondo MARISTAT Ufficio Storico - Titolo E, Collezioni dalla H alla U, Lettera di Somigli a Bernotti del 10 gennaio 1961, p. 3; USMM, Dati Statistici, Roma 1972, p. 71; Anthony Watts, Battleships, Macdonald and Jane’s, Londra 1978, p. 47; David K. Brown, Aircraft Carriers, Macdonald and Jane’s, Londra 1977, p.42 e 44. (5) «The ship was still refitting as the tragedy of Crete rushed to its close». After the Battle, n. 7, p. 30. (6) Per 80 altre, analoghe omissioni, in sede storica, di colpi italiani messi a segno su navi di superficie britanniche tra il 1940 e il 1945, ma confermati da fonti inglesi, si rimanda all’ultimo capitolo di: Enrico Cernuschi e Andrea Tirondola, Venezia contro l’Inghilterra, da Alessandretta a Suda 1628-1649, Mursia, Milano 2020. Da allora le ricerche sono continuate e, con l’episodio specifico oggetto di quest’articolo, è stata toccata la quota, simbolica ma significativa, di 100 colpi esatti. (7) USMM, I cacciatorpediniere italiani, Roma 1971, p. 279. (8) Naval Historical Society of Australia (NSW) Archives, HMAS Stuart I File: A Destroyer’s two Years of War (The Chronicle of H.M.A.S. Stuart). (9) Idem. Si tratta di un altro episodio minore qui riportato per la prima volta e del tutto inedito, anche se coincide, quanto a orario e circostanze, con una delle testimonianze raccolte dalla Commissione d’inchiesta italiana del 1946 in merito a un’altra reazione a opera di un impianto binato da 37 mm, questa volta di dritta; l’affermazione in parola fu però subito dismessa in quanto non corroborata, come al solito, da East of Malta, West of Suez. In seguito, le affermazioni di quel fascicoletto propagandistico (66 pagine in tutto) sono state riprese, fino a oggi, in punta di polemica, da diversi autori italiani col risultato finale di arrivare alla caricatura di una caricatura sullo stile, grottesco, del noto pittore tedesco George Grosz. (10) L’ammiraglio Cunningham scrisse espressamente, in sede di rapporto, in merito ai giustificati timori di una «mêlée» coi cacciatorpediniere avversari. Il grande romanziere inglese Cecil Scott Forester, addetto alla propaganda navale presso il Ministry of Information, integrò, sempre nel precedentemente ricordato East of Malta, West of Suez, quella frase, col seguente scampolo di prosa: «That a contretemps of this nature was already taking place in the ranks of Tuscany was indicated by starshell and heavy firing of a bearing that none of our ships had reached. The Vittorio Veneto is believed to have shelled one of her own cruisers in this action». Circostanza, questa, del tutto inventata e che lasciò perplessa la Commissione italiana del 1946, ma che trova la propria spiegazione nell’uso che Forester aveva già fatto, in omaggio al cosiddetto Chiantishire, del termine «toscani», da lui usato per gli italiani in generale, nel proprio Victor Emanuel II, edito a Londra da Meuthen and Co. LTD nel 1927. (11) A mero titolo di confronto si ricorda che la carica di scoppio di un proietto perforante da 120 mm italiano era di 1,295 kg mentre, per esempio, facendo il confronto con la vicenda della nave gemella Warspite a Punta Stilo, quella di una palla da 320 mm era di 6,38 kg e quella di una granata dirompente da 203 mm ammontava a 7,5 kg. È opportuno aggiungere, inoltre, che la capacità di un’esplosione è regolata dalla legge della radice cubica. Un ordigno 1.000 volte più potente, pertanto, è solo 10 volte più distruttivo. BIBLIOGRAFIA Fondo Commissione d’Inchiesta Speciale (Cis) Navi perdute, Buste Pola, Fiume, Zara, Alfieri e Carducci. Ross Watton, The Battleship Warspite (Anatomy of the Ship), Conway, Londra 2002. S.W.C. Pack, Azione notturna al largo di Capo Matapan, Mursia, Milano 1972. Vito Sansonetti, Benvenuti a bordo, Nauticard, Roma 1998. Giuseppe Chirco, Il sacrificio della Prima Divisione a Capo Matapan, Laurenzana, Napoli 1995. Emilio Brenta, Circa due episodi navali: Pearl Harbour - Gaudo e Matapan, Rivista Aeronautica, febbraio 1948 (si veda pure la recensione di Salvatore Castagna sulla Rivista Marittima, maggio 1948). Giuliano Capriotti, Morte per acqua a Capo Matapan, Lerici, Milano 1965. Aldo Fraccaroli, Iachino e il tormento di Matapan, Storia militare, ottobre 1993.
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RUBRICHE
F OCUS
DIPLOMATICO
Lezioni dall’Afghanistan. Rapporti transatlantici e integrazione europea Si è verificato solo in parte quanto era stato scritto nella Lettera Diplomatica 1302 del 19 aprile scorso (Rivista Marittima, giugno 2021, pp. 98-101), subito dopo la decisione del Consiglio atlantico a livello ministeriale richiesta dal presidente Biden di ritiro totale dall’Afghanistan entro l’11 settembre 2021, data poi anticipata unilateralmente al 31 agosto. Sulla base delle fonti e delle analisi allora disponibili non fu considerata la possibilità che lo sfaldamento del governo e dell’Esercito, peraltro delegittimati e debilitati dagli accordi privi di garanzie conclusi nel febbraio 2020 da Trump, avvenisse in così poco tempo consentendo ai talebani di assumere rapidamente il potere a Kabul. Come praticamente tutti avevamo sbagliato sui tempi e quindi sulle capacità di reazione. E dopo l’irrevocabile decisione di Biden di non cedere alle richieste degli alleati di prolungare di alcuni giorni la protezione dell’aeroporto per proseguire l’evacuazione dei più vulnerabili, subendo invece l’ultimatum dei talebani, appaiono di non facile realizzazione i propositi di concordare con questi ultimi altre partenze. Su questo e su quel che è accaduto durante il caldo mese di agosto appena trascorso è stato già detto tutto ed è inutile soffermarvisi ancora se non per dire che grazie anche all’azione di stimolo svolta dal presidente Draghi e dai suoi colleghi europei, si è sviluppata una iniziativa diplomatica, da noi centrata sul G20 in virtù della presidenza del gruppo da parte dell’Italia, diretta a coinvolgere i principali attori con i quali occorrerà interagire per gestire la crisi afghana: Cina, Russia, India, Turchia, Arabia Saudita, ai quali andranno aggiunti Pakistan e Iran. L’esercizio è molto difficile ma necessario. Si tratta di paesi che hanno interessi divergenti o non coincidenti, che già iniziano ad alzare il prezzo proponendo altri formati e ponendo condizioni. Nei loro confronti occorrerà tuttavia stimolare fattori di convergenza. E questi non sono pochi: — non avere in Afghanistan un regime che destabilizza i paesi vicini, che ospita volente o nolente organizzazioni terroristiche (cosa su cui, per quel che vale, i talebani sembrano essersi impegnati a evitarlo, ma che gli orribili
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recenti attentati smentiscono), che non mantiene standard minimi di dignità delle persone e di sopravvivenza fisica ed economica tali da limitare i flussi migratori; — combattere la produzione e il commercio di oppiacei; — rendere agibili le rilevanti risorse del paese e la sua collocazione, che lo rende un potenziale snodo logistico nei trasporti anche energetici tra est e ovest e tra nord e sud. È necessario che in tutto questo si agisca assieme agli Stati Uniti perché è il nostro destino comune di occidentali a essere in gioco. Ma, occorre che gli americani si convincano ad ascoltare gli alleati, a riconoscere i loro interessi e a condividere le decisioni con loro. Non è detto che su formati e modalità vi sia identità di vedute con Washington, e su questo sarebbe necessario uno stretto coordinamento dell’Italia con Germania e Francia. Quest’ultima ha appena partecipato, il 28 agosto, al massimo livello (il presidente Macron) a un incontro sulla
Immagini del ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan, avvenuto ad agosto scorso e, nella pagina successiva, civili afghani pronti a evacuare dall’aeroporto di Kabul (dall’alto: washingtonpost.com; aljazeera.com e huffingtonpost.it).
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Focus diplomatico
cooperazione e la sicurezza regionale a Baghdad promossa dal governo iracheno su suggerimento francese; presenti il presidente al-Sisi, re Abdullah di Giordania ed emiri, primi ministri o ministri degli Esteri di paesi del Golfo e Iran, con gli ambasciatori del G20 quali osservatori. Che fossero attorno allo stesso tavolo, soggetti la cui cooperazione è necessaria per la sicurezza regionale è di per sé positivo. Ai margini dell’evento Macron ha annunciato la presentazione in Consiglio di Sicurezza assieme al Regno Unito di una risoluzione per la costituzione di una zona di sicurezza a Kabul gestita dalle Nazioni unite con una protezione militare internazionale, per consentire la prosecuzione delle evacuazioni. Le reazioni degli altri P5 (Stati Uniti, Russia e Cina) indicheranno se si tratta di una iniziativa destinata ad avere qualche seguito o se si ridurrà a un esercizio di pubbliche relazioni e di buona volontà da parte di chi lo ha proposto. I talebani si sono già espressi
negativamente ma hanno rilanciato affermando che agli afghani muniti di passaporto (a chi verrà dato?) e di visto di paesi terzi sarà consentito di partire. Un modo per sollecitare la riapertura di ambasciate e uffici consolari e quindi una forma di riconoscimento. Andrà anche considerato il ruolo che potrà avere la resistenza afghana, quella armata con varie componenti e quella destinata verosimilmente a una tragica repressione della società civile. Si tratterà di vedere se sostenerla nei modi possibili possa essere utile assieme alle pressioni economiche a incidere sui comportamenti dei talebani anche rispetto alla lotta al terrorismo e al ruolo che a tale scopo possono avere gli stessi talebani. Bisogna chiarire quali sono gli obiettivi, e su questo le posi-
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zioni dei diversi attori possono essere alquanto diverse. Le vicende afghane hanno messo in discussione la solidità del rapporto transatlantico che i primi mesi della presidenza Biden sembravano aver rinvigorito dopo i gravi guasti prodotti da Trump. Vero è che i rapporti di Washington con gli alleati europei, pur nella consapevolezza dell’indispensabilità dell’Alleanza soprattutto durante la Guerra Fredda, hanno incontrato difficoltà in varie occasioni. Le modalità con cui il presidente Eisenhower gestì la crisi di Suez a scapito di francesi e britannici pose fine alla persistente egemonia di questi due paesi nell’area mediorientale e accelerò i processi di decolonizzazione. Ma, gli effetti furono complessivamente benefici per l’Alleanza. La Gran Bretagna capì la lezione e consolidò il rapporto speciale con gli Stati Uniti. La Francia ne trasse la conclusione di accelerare il processo di integrazione europea e di piena riconciliazione con la Germania, rendendo più flessibili le proprie posizioni nel negoziato per la conclusione dei trattati per la costituzione della Comunità economica europea e dell’EURATOM, firmati l’anno successivo a Roma, allora incoraggiati dagli americani con una visione strategica che considerava del tutto secondari alcuni svantaggi di carattere commerciale che potevano profilarsi per settori più o meno rilevanti dell’economia statunitense. Sta di fatto che la posizione americana sull’intervento franco-britannico a Suez fu condivisa da altri alleati europei come l’Italia e la Germania. Quest’ultima avrebbe concluso pochi anni dopo con la Francia il Trattato dell’Eliseo, consolidando il connubio alla base del processo integrativo europeo e ponendo al tempo stesso un freno alle tendenze centrifughe di De Gaulle che, pur essendo successivamente uscito dall’organizzazione militare dell’Alleanza ed espulso le basi americane e NATO dalla Francia, volle dimostrare più di ogni altro la sua totale solidarietà all’alleato americano in occasione della crisi dei missili a Cuba. Più problematica, colpendo tutti i paesi europei, fu la decisione del presidente Nixon di abolire la convertibilità in oro del dollaro nel 1971, che poneva fine al sistema di cambi fissi su cui si reggeva anche il mercato comune. Fu la spinta a un processo, durato venti anni a causa delle diversità di condizioni economiche tra i paesi membri, che avrebbe portato alla moneta unica.
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Non veniva comunque messo in discussione il trade off che era alla base dell’Alleanza: delega agli Stati Uniti della sicurezza europea e sviluppo sotto l’ombrello americano dell’economia, dello stato sociale e della trasformazione della società cui venivano dedicate risorse sottratte alle spese militari. Contestualmente vi fu la guerra in Vietnam, che fu tra l’altro tra le concause della dichiarazione di inconvertibilità del dollaro. Fu una guerra solo americana, se si esclude un limitato sostegno attivo dell’Australia. Gli europei, diversamente dalla guerra in Corea, non vi parteciparono e diversi ne presero le distanze mentre alcuni, come l’Italia, non andarono al di là di una generica espressione di «comprensione», partecipando però attraverso canali informali a tentativi di mediazione non particolarmente graditi dagli Stai Uniti. La vicenda non ebbe effetti di sostanza sul rapporto transatlantico. La fine della Guerra Fredda sembrava aver fatto venir meno la ragion d’essere della NATO, ma le crisi esplose attorno all’Europa davano una nuova dimensione di produttore di sicurezza all’Organizzazione, accettata da tutti gli europei che ne sono parte, malgrado qualche distinguo francese. Ma un motivo di frattura tra gli alleati, che spaccò l’Unione europea, fu la guerra in Iraq, promossa da Bush e Blair con l’opposizione di Francia e Germania e una posizione iniziale di attesa dell’Italia che si unì assieme a vari altri al processo, anche militare, di nation building, dopo una autorizzazione in tal senso del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite. Su questo si inserì la contemporanea ostilità americana tramitata dal Regno Unito alla proposta franco-tedesca di dotare l’Unione di una capacità autonoma di pianificazione e conduzione di operazioni militari di gestione delle crisi. Il colpo più grave fu inferto, alla fine del decennio successivo, da Trump, che mise in discussione la validità dell’Alleanza e la stessa garanzia di sicurezza agli europei che ne costituisce l’essenza. Assieme alla Brexit, la conseguenza fu l’acquisizione della consapevolezza che l’Europa deve pensare di più alla propria sicurezza. «Deve riprendere in mano il proprio destino», disse la cancelliera Merkel. Fu proposta e approvata dal Consiglio europeo la «Global strategy», che aggiornava quella del 2003, venivano ampliati gli strumenti della Politica Europea di Sicurezza e di Difesa e vi
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«Le vicende afghane hanno messo in discussione la solidità del rapporto transatlantico che i primi mesi della presidenza Biden sembravano aver rinvigorito dopo i gravi guasti prodotti da Trump» (immagini: foxnews.com; bloomberg.com).
venivano dedicate risorse attraverso l’European Defense Fund e altre linee di finanziamento, con una particolare attenzione alla base industriale. È stato individuato un meccanismo di coordinamento delle acquisizioni. Ma l’attuazione concreta di tutto questo resta lenta, e nelle operazioni di gestione delle crisi che l’UE conduce dal Sahel ad altre aree del suo vicinato non vengono usati appieno gli strumenti comuni di pronto intervento posti in essere. Ora vi è la crisi afghana che dà un nuovo stimolo a portare avanti quel che da tempo viene considerata una necessità: dotarsi di capacità in grado di dare all’UE una autonomia per poter affrontare le crisi che la circondano in modo conforme ai propri interessi, auspicabilmente assieme agli americani, ma se necessario anche da soli. Un’altra conseguenza è l’emergente volontà degli europei di rivedere le modalità di funzionamento dell’Alleanza, nella quale finora, malgrado la collegialità che dovrebbe essere assicurata dal Consiglio atlantico, le decisioni strategiche sono prese in sostanziale solitudine dagli Stati Uniti, senza consultare gli alleati e neppure, a quanto pare, previamente informarli come è accaduto per il ritiro dall’Afghanistan. Sta di fatto che l’Alleanza, rivista sull’aspetto di cui sopra, resta indispensabile per l’Europa. Indispensabile resta la protezione nucleare, almeno fino a quando la Francia non sarà disponibile a condividere il controllo della sua limitata, ma comunque in una misura difficile da valutare dissuasiva, «force de frappe», in un contesto di condivisione di sovranità, su questo aspetto, di carattere esistenziale. Ipotesi che non è decisamente alle viste. Indispensabili restano anche le capacità convenzionali in caso di attacco e per le più impegnative missioni di gestione delle crisi in termini di trasporto strategico, intelligence, protezione cyber, e altri «enablers». Questo non significa tuttavia che l’Unione non debba dotarsi
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degli strumenti diretti a fornirgli una autonomia strategica più volte invocata per poter gestire la sicurezza, quanto meno nel suo vicinato attraverso una graduale crescita delle sue capacità. Ed è proprio su questo che si misurerà la possibilità per l’Europa, o di quella parte che lo voglia, di curare i propri interessi in un mondo multipolare, evitando di essere marginalizzata. Va tuttavia considerato che è estremamente difficile se non impossibile la realizzazione di questo richiesto salto di qualità con l’Europa a 27 così come è. Emerge sempre più l’esigenza di una integrazione differenziata o a cerchi concentrici, mantenendo l’esistente per tutti (mercato interno, politiche di coesione e settoriali, incluso il green deal, ma con tutte le condizionalità e le selettività consentite dai trattati) e realizzando però il nuovo necessario con una maggiore condivisione di sovranità a partire dal nucleo di Germania, Francia, Italia e Spagna. L’Italia è oggi in grado di svolgere un ruolo propositivo e il presidente Draghi lo sta dimostrando. È evidente però che se in particolare Francia e Germania non ci stessero, nulla sarebbe possibile. Le imminenti elezioni nei due paesi e i governi che ne usciranno saranno quindi cruciali. Vi sono naturalmente grossi problemi istituzionali da affrontare. I trattati, con le cooperazioni rafforzate e strutturate, danno degli strumenti che per i grandi temi possono tuttavia non bastare. Occorreranno verosimilmente trattati aggiuntivi, non sostitutivi di quelli esistenti, come fu fatto con Schengen, aperti a chi voglia unirsi quando ne avrà la volontà e i requisiti. Il commissario Gentiloni e altri sottolineano giustamente l’esigenza di superare la regola dell’unanimità
in tema di immigrazione e accoglienza ma anche di politica estera, sicurezza, difesa, bilancio e fiscalità comuni. Ma, i trattati lo consentono soltanto se vi è l’unanimità a introdurre su questi temi la regola della maggioranza qualificata. Interpretazioni creative potranno essere tentate ma poi dovranno passare i vagli giurisdizionali. Vi può essere quindi bisogno di qualcosa di nuovo, con una sua membership e sue regole anche se istituzioni esistenti con geometrie e composizioni specificamente adattate potranno essere utilizzate. Con l’UEM (Unione economica e monetaria) lo si sta già facendo. Il percorso è difficile, con rischi per la tenuta di tutto il sistema, ma non credo che vi siano alternative per uscire dall’asfissia dell’Europa nel mondo multipolare in cui non possiamo essere marginalizzati. Il presupposto è ovviamente che vi sia una forte volontà politica a percorrerlo, e in particolare quella dei maggiori paesi membri dell’Unione ad accettare realmente una graduale e incrementale condivisione di sovranità in settori che ne sono l’essenza la cui necessità è stata autorevolmente ribadita a Ventotene il 29 agosto scorso dal presidente Mattarella. Il realismo non ci può far nascondere quanto siano forti difficoltà e ostacoli e che lungo la strada andranno accettati i compromessi necessari evitando forzature intempestive e non adeguatamente preparate che potrebbero impedire di raggiungere i risultati di volta in volta possibili. È quanto in buona parte accaduto durante tutto il processo di integrazione europea, ed è oggi quanto mai necessario non arrestarsi adattandosi a quel che le circostanze richiedono. Su tutto pesa poi il pericolo che con l’indebolimento oggettivo di Biden e della sua squadra vi sia nel 2024 un ritorno di Trump o di qualcuno come lui. Prospettiva per la quale gli europei dovranno tenersi pronti. Maurizio Melani, Circolo di Studi Diplomatici
L’ambasciatore Maurizio Melani è stato direttore generale per la Promozione del sistema paese del ministero degli Esteri, ambasciatore in Iraq, rappresentante italiano nel Comitato politico e di sicurezza dell’UE, direttore generale per l’Africa, ambasciatore in Etiopia, capo dell’Ufficio per i rapporti con il parlamento nel Gabinetto del ministro degli Esteri, capo della Segreteria del sottosegretario di Stato delegato alla cooperazione. Ha prestato servizio nella Rappresentanza permanente presso la CEE, nelle ambasciate ad Addis Abeba, Londra e Dar es Salaam e nelle Direzioni generali dell’Emigrazione, degli Affari politici e degli Affari economici. Docente di Relazioni internazionali e autore di libri, saggi e articoli su temi politici ed economici internazionali. Il Circolo di Studi Diplomatici è un’associazione fondata nel 1968 su iniziativa di un ristretto gruppo di ambasciatori con l’obiettivo di non disperdere le esperienze e le competenze dopo la cessazione dal servizio attivo. Il Circolo si è poi nel tempo rinnovato e ampliato attraverso la cooptazione di funzionari diplomatici giunti all’apice della carriera nello svolgimento di incarichi di alta responsabilità, a Roma e all’estero.
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O SSERVATORIO Caucaso: azione e reazione Truppe turche e azere hanno condotto esercitazioni militari congiunte nella strategica regione di Lachin, in Azerbaigian, in prossimità delle installazioni delle forze di pace russe, schierate a vigilare sulla tregua tra Armenia e Azerbaigian e nel pieno di crescenti tensioni tra Baku e Mosca. Le manovre, della durata di una settimana e conclusesi il 10 settembre, sono apparse di piccola scala e vi hanno preso parte forze speciali di entrambe le nazioni; ma il loro significato era nel chiaro messaggio politico che inviavano. Hanno visto la prima, apertamente mostrata, presenza di truppe turche in Azerbaigian e per di più nei territori che Baku ha ripreso, a forza di missili, droni suicidi e artiglieria a Yerevan, durante la guerra dello scorso anno. Questo, come accennato, avviene in un contesto difficile; l’Armenia, sia per ragioni interne e sia perché’ si sente ora supportata da Mosca, sta tentando di rialzare la testa dopo la sconfitta e una pesantissima crisi istituzionale che l’ha scossa a seguito del conflitto. Secondo recenti rapporti, le Forze armate armene si erano nuovamente dispiegate nel Nagorno-Karabakh attraverso il corridoio di Lachin e sarebbero state coinvolte in scontri a fuoco con le forze azere. L’Azerbaigian, in agosto ha chiesto formalmente alla Russia di porre fine alla bellicosità armena. Da parte sua, la Russia ha riferito che le truppe coinvolte erano quelle della non riconosciuta Repubblica del Nagorno-Karabakh e non aveva giurisdizione e poteri su forze di fatto. Vista l’assenza di ogni azione russa, si teme che Baku potrà decidere di usare la forza per scacciare queste forze, siano esse regolari armene o quelle del Nagorno-Karabakh (o di quel che ne resta dopo il conflitto). Alla fine di agosto, le forze azere, con l’idea di dare un altro forte segnale, hanno bloccato una strada vitale che collega le principali città dell’Armenia meridionale interrompendo, di fatto, anche se brevemente, il transito fra Armenia e Iran (solido alleato di Mosca, in buoni rapporti con la Turchia, in ottime relazioni con Erevan ma in pessime con Baku, a causa degli stretti rapporti che il paese
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INTERNAZIONALE ha con Israele). Due giorni dopo la fine del blocco azero, secondo un comunicato stampa del comando dei peacekeepers russi, le forze di pace russe hanno subito risposto conducendo esercitazioni volte a «prevenire le violazioni da parte dei droni di un potenziale nemico e garantire la sicurezza dei posti di osservazione sul corridoio di Lachin». In altre parole, le esercitazioni delle forze di pace russe nel corridoio di Lachin potrebbero essere viste come un messaggio al pubblico armeno sulla disponibilità di Mosca a difenderlo. Mentre i media di Baku hanno ampiamente coperto le esercitazioni turco-azere, la copertura di Ankara è stata minima, nessun funzionario o ufficiale turco ha rilasciato dichiarazioni sulle esercitazioni ed è stato fatto solo un post sui social media istituzionali. In Armenia, ovviamente, le manovre sono state viste come una provocazione e l’odiato vicino azero è stato duramente criticato. Ma queste manovre nel corridoio di Lachin non erano le uniche svolte da Azerbaigian e Turchia; infatti, nella stessa settimana, si sono svolte esercitazioni congiunte delle forze speciali navali turcoazere lungo la costa del Mar Caspio, mentre sono state condotte esercitazioni aeree congiunte presso l’enorme base aerea di Konya, in Turchia centrale. Ankara ha anche annunciato una serie di nomine di alti ufficiali destinati a posizioni legate al tema dell’Azerbaigian, compreso il comandante di un’unità finora sconosciuta chiamata «Gruppo operativo dell’Azerbaigian» (nome utilizzato in precedenti discussioni con Baku riguardanti il dispiegamento di un contingente militare turco in AzerMappa del corridoio di Lachin a seguito dell’accordo di cessate il fuoco del Nagorno-Karabakh del 2020 (Russian Ministry of Defence). Nella pagina accanto: immagine satellitare di velivoli F-15 dell’US Air Force nella base aerea di Konya (Google Harth).
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baigian). Sebbene tale schieramento debba essere ancora formalizzato, la divulgazione dei nomi di questi ufficiali, così come il fatto stesso dell’esistenza del Gruppo, ha lo scopo di dimostrare che questo argomento non è stato rimosso dall’agenda turca ed è un altro segnale a Mosca, di forte critica per il sostegno all’Armenia; questo rientra comunque nella erratica strategia di Ankara dove sussistono dinamiche esterne e interne dettate dalle prossime elezioni e da una difficile situazione economica, con ammiccamenti, promesse e iniziative verso tutti i partner controversi e competitors occasionali (in attesa di trovare partner e, secondo una visione utilitaristica, nuovamente competitors, nel giro di pochi giorni). Un altro esempio di tale intesa contradditoria è in Siria, dove le forze russe che sostengono Bashar al-Assad (le cui truppe hanno recentemente riconquistato la città di Idlib), sono di fatto contrapposte a milizie islamiche che, appoggiate dalla Turchia, combattono anche le milizie curde di Siria, Iraq e della stessa Turchia (il PKK), appoggiate da Mosca, che al momento, come per la firma dell’accordo tra Ankara e Baku, non ha dato segni di particolare preoccupazione. A riprova della estrema mobilità delle dinamiche politiche di Ankara, pochi giorni dopo le esercitazioni turcoazere, vi è stato l’ennesimo summit tra Erdogan e Putin, dove i due, che sempre più dimostrano che il loro è un legame di soli interessi e nessuna fiducia reciproca, si sono accordati sulla ipotesi di programmi spaziali congiunti e affrontato lo spinoso tema dei missili antiaerei S400. Erdogan, appena arrivato dal fallimentare viaggio a New York in occasione dell’Assemblea generale dell’ONU, dove aveva cercato inutilmente di barattare, nel corso di un incontro con il presidente Biden, la cessione (a titolo gratuito) di batterie di missili «Patriot», il conseguente reingresso nel programma F-35 in cambio della promessa di non acquistare più missili russi, ha negoziato l’acquisizione, anche questa a titolo gratuito, di una nuova batteria di S-400 (la prima, per la quale le Forze aeree turche stanno completando il programma addestrativo
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sarà schierata intorno ad Ankara), prevedibilmente destinata a proteggere Istanbul e gli stretti. L’11 settembre scorso, il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ritenendola legittima, ha difeso la presenza militare della Turchia in Libia, secondo i memorandum d’intesa ufficiali e secondo gli accordi tra i due paesi. In dichiarazioni ai media turchi, Cavusoglu ha spiegato che l’accordo con la Libia è stato stretto su richiesta dell’ex governo di accordo nazionale (GNA), guidato da Fayez al-Sarraj, sottolineando che la Turchia intende continuare nel suo ruolo di formazione e consulenza, secondo gli accordi firmati, rilevando che la presenza turca in Libia, Siria e Azerbaigian ha ridefinito equazioni e risultati politici; è interessante notare che Cavusoglu ha omesso di citare le presenze, azioni e le iniziative che Ankara ha in corso in Qatar, Afghanistan, Somalia, Sahel, Cipro e Mar Egeo. Il Ministro ha anche ribadito che Ankara non si è mai intromessa negli affari interni di nessuna nazione, sottolineando che la Turchia si aspetta ulteriori accordi commerciali e una maggiore cooperazione con i suoi alleati libici nel prossimo futuro. Il messaggio è chiaro: la Turchia non si sente coinvolta nella richiesta dell’ONU in merito al ritiro di tutte le forze straniere dal territorio libico; Ankara lo aveva già fatto sapere nel recente passato in diverse occasioni, ma questa volta il tono è, se possibile, ancora più netto e forte; va tuttavia ribadito che la Turchia sarebbe disposta a fare rientrare i mercenari siriani, la cui presenza non è più necessaria, poiché possono essere sostituiti dalle pregiate formazioni regolari turche, specializzate nell’uso di droni e della sorveglianza elettronica. Le prospettive sono quelle di un consolidamento ulteriore con Tripoli, con la formalizzazione, che alcuni analisti vedono come prossima, dell’apertura di basi navali e aeree permanenti. Non è un caso che la dichiarazione di Cavusoglu è avvenuta nel pieno di un difficile dibattito al Consiglio di Sicurezza sulla Libia e per il rinnovo del mandato della missione ONU, UNSMIL. Nonostante l’ottimismo di facciata, il Consiglio è irritato per
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la mancanza di progressi e il rappresentante speciale, l’ex ministro degli Esteri slovacco, Jan Kubis, ha delineato come fondamentale una normalizzazione accelerata per procedere verso le elezioni generali, previste per il prossimo 24 dicembre. In realtà, come sempre all’ONU, è un gioco di specchi, e Mosca sembra ancora una volta in silenziosa sintonia con Ankara. La Russia ha bloccato il Consiglio di Sicurezza per il rinnovo di un anno dell’UNSMIL, minacciando la coesione della comunità internazionale in vista delle elezioni presidenziali previste per il 24 dicembre. La Russia, che ha potere di veto, non ha approvato la proposta di risoluzione redatta dalla Gran Bretagna sul ritiro di truppe e mercenari stranieri dalla Libia e sul ruolo dell’inviato
L’inviato speciale delle Nazioni unite per la Libia, Jan Kubis, durante una riunione dei ministri degli Affari esteri della Lega degli Stati Arabi (unsmil. unmissions.org). Il generale e politico libico Khalifa Haftar (reuters.com).
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dell’ONU nel paese nordafricano. La proposta inglese propendeva per un semplice rinnovo tecnico, anche se di un anno, sino al settembre 2022, che permettesse le elezioni mentre la Russia voleva ridiscutere la stessa architettura funzionale dell’UNSMIL, struttura oggettivamente peculiare. In un recente rapporto, l’ONU stessa raccomandava che una sola persona guidasse la sua missione nel paese. Nel 2020, gli Stati Uniti sono riusciti a imporre una doppia leadership, contro il parere degli altri 14 membri del Consiglio di Sicurezza ONU, prevedendo un emissario a Ginevra, lo slovacco Jan Kubis e un coordinatore, con sede nella capitale libica, il diplomatico dello Zimbabwe Raisedon Zenenga, mentre l’ONU raccomandava di avere un solo emissario, con sede a Tripoli, come avvenuto all’inizio dell’operazione. Durante il dibattito al Consiglio di Sicurezza, la Russia ha duramente insistito sul fatto che qualsiasi ritiro delle truppe straniere dovrebbe essere gestito in modo da non compromettere l’equilibrio di potere in quella nazione, nel quale Mosca si spartisce le aree di influenza con la Turchia. Negli ultimi anni il paese, ricco di petrolio, è stato diviso tra due amministrazioni rivali sostenute da potenze straniere e da una miriade di milizie. L’uomo forte dell’Est libico, Khalifa Haftar, è stato sostenuto dalla Russia (ma non solo). Dopo che le forze di Haftar, nonostante sostenute dai «contractors» della Wagner, sono state contenute, grazie al sostegno turco a quelle di Tripoli, nell’Ovest della Libia lo scorso anno, i due schieramenti hanno firmato un cessate il fuoco a Ginevra nell’ottobre scorso. Un’amministrazione provvisoria è stata istituita nel marzo di quest’anno per preparare le elezioni presidenziali e parlamentari previste il 24 dicembre prossimo; le divisioni sono tuttavia rapidamente riemerse, sollevando preoccupazioni circa la possibilità di svolgere le elezioni nella data prevista. Alla fine si è arrivati a un ennesimo rinnovo tecnico, ma con l’impegno di ridiscutere l’intera architettura della presenza ONU in Libia che è stata rinnovata al prossimo 31 gennaio e le elezioni sono appese a un filo e spostate sinora al 24 gennaio (per tentare di restare nei termini del mandato del Consiglio di Sicurezza). La scelta, di chiaro compromesso, è stata co-
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munque aiutata dall’ennesimo fallimento dei colloqui tra le due fazioni libiche, tenuti a Rabat alla fine di settembre, dove le divisioni sulle modalità della legge elettorale sono state profondissime.
MINUSCA, l’ONU rimpatria le truppe del Gabon Le Nazioni unite hanno annunciato per metà settembre che tutte le unità militari del Gabon schierate nella forza di mantenimento della pace nella Repubblica Centrafricana, MINUSCA, saranno rinviate nel loro paese quanto prima. Questo a seguito di rapporti credibili secondo cui diversi «caschi blu», non identificati individualmente ma certamente appartenenti al GabBatt avevano abusato di cinque ragazze. La MINUSCA ha affermato che una squadra di investigatori ha operato per valutare la situazione, stabilire misure di prevenzione e sensibilizzare le comunità su come denunciare lo sfruttamento e gli abusi sessuali. A causa della gravità di queste ultime accuse, il Segretariato delle Nazioni unite ha preso la decisione di rimpatriare l’intero contingente gabonese della MINUSCA. Una settimana prima, il Segretariato delle Nazioni unite aveva chiesto alle autorità del Gabon di nominare un investigatore nazionale entro una settimana e che l’indagine si concludesse in meno di 90 giorni, aggiungendo che l’ufficio Affari interni dell’ONU aveva aperto un’indagine e che era disposto ad assistere le autorità gabonesi in questo caso. Al di là del linguaggio diplomatico dell’ONU, il caso è talmente grave che ha portato l’organizzazione a chiedere il rimpatrio di tutto un contingente, un fatto estremamente raro e che viene adottato in circostanze estreme.
Indo-Pacifico: Regno Unito, Stati Uniti, Australia e Francia Sull’accordo tra Stati Uniti, Australia e Gran Bretagna per l’acquisto da parte della Royal Australian Navy di sottomarini nucleari d’attacco e la conseguente cancellazione del contratto con un gruppo industriale francese per l’acquisizione di sottomarini a propulsione convenzionale, sono state riportate molte inesattezze. Forse sarebbe utile cercare di vedere le cose secondo la loro complessità e non riducibili a «grida» di qualche opinionista, spesso poco informato delle dinamiche strategiche e militari. La Francia è l’unico paese dell’UE presente nella regione
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dell’Indo-Pacifico, in particolare attraverso l’Isola della Riunione, Mayotte, la Polinesia francese e la Nuova Caledonia e altri piccoli scogli disabitati (Tromelin, Isole Sparse, Bassas da Europa). Si noti che solo Polinesia e Nuova Caledonia insieme rappresentano i 2/3 della ZEE (Zona Economica Esclusiva) francese a livello globale. Questa rilevanza geografica, tuttavia, non si accompagna, per ragioni comuni a molte nazioni euro atlantiche, a una significativa presenza militare francese e di conseguenza al mantenimento di uno status di potenza globale, che Parigi dice di avere e voler mantenere. Negli ultimi anni, e nonostante il loro contributo alle principali funzioni strategiche nazionali, le cosiddette forze di sovranità, definite in questa maniera perché assegnate ai dipartimenti e ai territori oltreoceano, hanno visto ridursi il loro formato e capacità a seguito della professionalizzazione delle Forze armate con la loro conseguente contrazione numerica, avvenuta tra il 1995 e il 2001, e della revisione generale delle politiche pubbliche (RGPP), condotta da diversi governi e presidenti tra il tra il 2007 e il 2013. Queste forze hanno pagato un prezzo pesantissimo in termini quantitativi e qualitativi. In uno scacchiere come quello dell’Indo-Pacifico chiaramente la dimensione aeronavale è fondamentale, ma nella presentazione della strategia per l’Indo-Pacifico pubblicata dall’Eliseo, si specifica che gli assetti schierati in Nuova Caledonia e Polinesia francese sono costituiti da sette navi, nove aerei e sette elicotteri, per un totale di meno di 3.000 tra marinai e avieri (senza contare le forze di terra limitate a tre battaglioni delle truppe di Marina, di cui uno ridotto di paracadutisti e un piccolo distaccamento della legione straniera). Ma, questo documento ignora le reali capacità di queste forze di sovranità, seppure assai ridotte. Così, mentre ormai da diversi anni si parla di militarizzazione della regione indo-pacifica, con budget militari in costante aumento in Cina, Australia, Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Filippine, India, Indonesia, Vietnam, si affermava, a Parigi, che l’armamento principale di una nave francese in questa regione era la sua bandiera. Il che è senza dubbio vero per i pescatori o trafficanti illegali, ma lo è assai meno per nazioni con intenzioni aggressive. In dettaglio, le forze francesi in Nuova Caledonia dispongono di una fregata di sorveglianza e due pattugliatori, ma senza capacità antisommergibili. Nella Polinesia francese, la situazione è
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identica, con una fregata, due pattugliatori (di cui uno della gendarmeria). Per quanto riguarda la capacità aerea, vi sono quattro aerei da trasporto tattico (del tipo CN235), cinque elicotteri e cinque velivoli di sorveglianza marittima Falcon 200 «Guardian», il cui ritiro del servizio era stato pianificato già nel 2015, ma che per ragioni di bilancio sono ancora operativi. Ovviamente, tali capacità, poco più che simboliche sarebbero rafforzate, in caso di necessità, dalla Francia metropolitana, come è avvenuto con le operazioni «Pitch Black», «Pegasus» ed «Heifara Wakea», condotte tra il 2018 e il 2021 dalle Forze aeree con lo schieramento di velivoli «Rafale» in Australia e Polinesia, o con lo schieramento del gruppo d’attacco della portaerei Charles de Gaulle nel 2019 e con quello del sottomarino d’attacco nucleare Émeraude, accompagnato dall’unità di sostegno Seine, l’anno scorso. Ma, tali
Stati Uniti e Regno Unito doteranno l’Australia di sottomarini a propulsione nucleare: l’annuncio, in diretta tv, col premier australiano Scott Morrison (s) e quello inglese Boris Johnson (d), collegati alla Casa Bianca (repubblica.it).
missioni non sono ricorrenti e in ogni caso richiedono tempo per giungere in area. Per fare fronte a questi problemi, il Capo di Stato Maggiore della Marina francese, l’ammiraglio Pierre Vandier, aveva avanzato l’idea di preposizionare permanentemente assetti nella zona, emulando le scelte statunitensi e britanniche, re-militarizzando la presenza di Parigi nell’Indo-Pacifico. E ha sottolineato l’importanza e la necessità dello scambio con gli alleati in termini di intelligence, guerra elettronica, guerra antisommergibile, connessioni di sistemi d’arma. E si devono sostituire le fregate di sorveglianza nella regione dell’Indo-Pacifico, le cui capacità non sono al livello delle sfide e delle minacce. Ma con la Marine Nationale che dispone di meno di 20 fregate d’altura, cinque SSN e una sola portaerei, il margine di manovra è strettissimo; navi
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e personale sono al limite delle capacità. Questa situazione, anche se è chiaramente sgradevole per Parigi, che pure resta uno dei pochi paesi europei della NATO che ha un bilancio della difesa in linea con gli standard dell’Alleanza, fa comprendere perché’ Canberra, Londra e Washington non hanno ritenuto opportuno associare la Francia all’alleanza AUKUS per la regione Indo-Pacifico. Inoltre, esiste una pesante ipoteca di natura politica sulla presenza francese nell’area. Infatti, alla fine dell’anno, pandemia permettendo, dovrà tenersi il terzo e ultimo referendum di autodeterminazione per la Nuova Caledonia, secondo i termini dell’Accordo di Palazzo Matignon del 1988. Qualora la mozione per l’indipendenza prevalesse (nel secondo referendum, questa si è avvicinata alla soglia della maggioranza), per Parigi si aprirebbero scenari ancora più difficili e con il rischio di sgranamento della sua presenza nella regione, cui sarebbe interessata successivamente anche la Polinesia, dove esiste un movimento indipendentista, e dove, come in Nuova Caledonia, i territori non autonomi sono considerati non autonomi da parte delle Nazioni unite e quindi con tutti i diritti per cercare di ottenere l’indipendenza con mezzi pacifici. Una opzione simile è vista, ovviamente, con grande interesse da Pechino che cerca di inserirsi anche in quell’area (la Nuova Caledonia ha grandi disponibilità’ di nichel) e con altrettanta preoccupazione di Stati Uniti e Australia, che vedono con simile timore l’approssimarsi dell’indipendenza dell’isola di Bougainville, che nel 2023 dovrà finalizzare il suo processo di separazione da Papua-Nuova Guinea. Tornando agli strali mediatici della crisi francoaustraliana, bisogna dire, come accennato da anni oramai, che Canberra è impegnata in un programma di rafforzamento militare dove la presenza di sistemi d’arma francesi nel suo arsenale si sta attenuando e dove è in corso un deciso avvicinamento agli Stati Uniti, con cui l’Australia considera l’opzione di condurre operazioni congiunte cercando di conseguire la maggiore interoperabilità possibile (testimoniata dalla grande esercitazione multilaterale «Talisman Sabre 2021» tenutasi nel luglio scorso). Dal 2011 esiste la MRF-D (Marine Rotational Force-Darwin), una Air-Ground Task Force, schierata tra la Robertson Barracks e la base della RAAF di Darwin. Al momento della sostituzione della flotta di carri «Leopard I», invece di acquisire i «Leopard II», sono
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stati scelti gli «Abrams» (e proprio quest’anno se ne prevede il triplicamento). Gli elicotteri d’attacco francesi «Tigre», entrati in servizio appena pochi anni fa, non sono mai stati apprezzati dall’Army Aviation e sono in via di sostituzione con «Apache». Le Forze aeree si standardizzeranno su F-35 «Lighting II» e «Hornet» avanzati. Le forze da pattugliamento marittimo stanno acquisendo i velivoli «Poseidon»; le unità maggiori di superficie, anche se di progetto spagnolo, in realtà sono copie di unità dei destroyer classe «Aegis» statunitensi, e le due portaelicotteri avranno a bordo F-35 in versione navale.
prende circa 10.000 soldati e personale civile. In realtà, la formazione di una Forza armata nazionale non significa la costituzione di una nuova entità militare, ma semplicemente il ritiro dalle forze federali della brigata serba esistente. La formazione di Forze armate «nazionali» è stata vista come un passo pericoloso da parte di Dodik, che ha spesso sfidato le altre componenti bosniache, l’ONU, la NATO e l’UE, garanti della situazione attuale. Dodik ha sempre richiesto la secessione della Republika Srpska, affermando che la Bosnia uscita da Dayton era un esperi-
Equilibri precari in Bosnia Il rappresentante serbo della presidenza bosniaca, Milorad Dodik, ha reso noto che la repubblica serba, componente della federazione di Sarajevo, sta avviando i piani per la ricostituzione delle Forze armate della Repubblica, dando un altro colpo alla fragile architettura degli Accordi di Dayton. Il rappresentante croato della presidenza, Zeljko Komsic, ha subito risposto, descrivendo l’iniziativa come un «atto criminale di ribellione». «Ritireremo il consenso per l’Esercito (congiunto)» in un voto nel parlamento della Republika Srpska, ha affermato il leader serbo-bosniaco Dodik, noto radicale che ha sempre avversato l’architettura di Dayton, come una finzione punitiva dell’identità serba. I serbo-bosniaci sono determinati a formare il proprio Esercito. In una mossa che potrebbe aumentare ulteriormente le tensioni nella regione dopo il boicottaggio delle principali istituzioni politiche del paese balcanico da parte dei serbi, in corso oramai da luglio, Dodik ha dichiarato che la decisione disporrà di tutti i crismi della legalità, in quanto sarà votata dal parlamento serbo-bosniaco, e prenderà corpo prima della fine dell’anno. La presidenza congiunta della Bosnia comprende tre membri — serbi ortodossi, croati cattolici e musulmani bosniaci — e dirige direttamente le Forze armate del paese. Dalla fine del conflitto nei Balcani nel 1995, che ha causato circa 100.000 vittime, la Bosnia è composta da due entità semi-indipendenti: la Republika Srpska gestita dai serbi e la Federazione croato-musulmana (a sua volta scossa da pericolose tensioni tra le due componenti, con i croati di Erzegovina, che nonostante le dichiarazioni di Komsic, hanno lo stesso obiettivo di separazione), collegate da istituzioni centrali, tra cui una presidenza e un Esercito congiunto che com-
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Zeljko Komsic, rappresentante croato della presidenza bosniaca (laregione.ch) e, sopra, il rappresentante serbo, Milorad Dodik (rtvbn-com).
mento fallito della comunità internazionale e un paese «impossibile, diviso nella realtà e unito a forza». Da luglio, i serbo-bosniaci boicottano le principali istituzioni politiche del paese per protestare contro il divieto di negare il genocidio, imposto dall’allora inviato della comunità internazionale nel paese, l’austriaco Valentin Inzko. Il successore di Inzko, il diplomatico tedesco Christian Schmidt, ha ampi poteri esecutivi che gli consentono di imporre leggi, licenziare funzionari e deporre eletti. I tribunali in-
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ternazionali hanno accertato che il massacro di Srebrenica del 1995, di oltre 8.000 musulmani da parte delle forze serbo-bosniache, fu un genocidio. Ma, i leader serbi negano che l’atrocità sia stata un genocidio, definendolo invece un «grave crimine». All’inizio di questo mese, la Serbia (quella di Belgrado, guidata da un altro nazionalista radicale Aleksandar Vučić) ha chiesto a tutti i serbi di etnia nei Balcani di unirsi sotto un’unica bandiera, provocando disagio tra i suoi vicini decenni dopo che appelli simili hanno portato al conflitto negli anni Novanta. È da osservare il tempismo della dichiarazione di Dodik, che ha alzato ancora di più i suoi già esagitati toni, in concomitanza con la pericolosa escalation tra le comunità albanese e serba in Kosovo, che ha messo in allerta la K-FOR.
Presenza russa in Mali Il ministro delle Forze armate francese Florence Parly è arrivata a metà mese in Niger, per una visita di due giorni ai suoi alleati nella regione del Sahel, dove le operazioni militari della Francia contro i gruppi islamisti sono minacciate dai colloqui del Mali per l’ingaggio di mercenari russi. La Francia, sostenuta dagli Stati Uniti (che alcuni vedono come una manovra compensativa dopo la vicenda dei sottomarini australiani) ha lanciato una massiccia campagna diplomatica per contrastare questo progetto, sostenendo che un simile accordo sarebbe «incompatibile» con il mantenimento della presenza militare francese. Anche il blocco regionale dell’Africa occidentale, ECOWAS, ha espresso preoccupazioni. Ma, la giunta malese mantiene le sue posizioni, rilevando che la Francia ha iniziato a ridurre il suo impegno militare nella lotta contro gli insorti legati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico nella regione, e asserendo di sentirsi abbandonata. Il ministero degli Esteri del Mali ha descritto come inaccettabili, ostili e condiscendenti con la Francia le obiezioni del Niger alla prospettiva di un accordo con Wagner. Pochi giorni prima Parigi aveva dichiarato di aver eliminato il leader del gruppo dello Stato Islamico nel Grande Sahara nel nord del Mali, anche se trova comunque più difficile trattare con la giunta che con i precedenti governi civili. Una fonte del ministero francese delle Forze armate ha affermato che Florence Parly avrebbe discusso dei piani di Parigi per riconfigurare le sue operazioni con i paesi della regione, che avrebbe avvertito delle conseguenze se il Mali si fosse assicurato i
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servizi della Wagner e che avrebbe sottolineato l’importanza che la giunta organizzasse elezioni democratiche il prossimo febbraio, come promesso. Secondo fonti di Parigi, le Forze armate francesi hanno iniziato a ridispiegare gli elementi dell’operazione «Barkhane» dal nord del Mali, all’inizio di questo mese. La Francia desidera completare la riconfigurazione del suo impegno militare nel Sahel entro gennaio, intendendo ridurre il suo contingente dai circa 5.000 uomini attuali a 2.500-3.000, trasferendo più assetti in Niger e incoraggiando la forza speciale europea «Takuba» (che comprende attualmente circa 600 soldati provenienti da nove paesi e che dovrebbe accrescersi ulteriormente con l’arrivo di forze speciali ungheresi e italiane) a lavorare a fianco delle forze locali. In una prospettiva più ampia, il G5-Shael, un’alleanza di per sé fragile, con l’ultimo colpo di Stato in Mali, sembra aver ricevuto un altro duro attacco e la forza multinazionale, il suo braccio operativo, è gravemente indebolito per il ritiro delle forze del Chad dalla coalizione regionale. In questo spazio, con un tempismo rimarchevole si sarebbe inserita la Russia che cercherà di ampliare il suo raggio di azione e influenza, smagliando ulteriormente quella francese e di riflesso quella occidentale, atlantica, europea e statunitense. Da settimane, se non da mesi, diverse voci hanno segnalato l’ambiguità che si osserva attorno al secondo colpo di Stato del Mali, che ha bloccato un incerto processo di normalizzazione civile. Lo stesso ministro della Difesa di Praga (la Repubblica Ceca partecipa con un importante contingente alla forza «Takuba») ha duramente attaccato Mosca per la incessante campagna sui social media del Mali contro la presenza francese ed europea. Tale timore si è poi espresso con una massiccia manifestazione popolare a Bamako, contro la presenza della «Barkhane», la forza ONU (MINUSMA), la missione EUTM, la «Takuba» e la forza G5Shael. Ma questo, in ultima analisi risale alle contraddizioni di Parigi, dove il presidente Macron, diversi ministri e vertici militari, da mesi rilasciano dichiarazioni poco chiare e contraddittorie, lasciando intravedere un’incertezza di fondo sulle scelte da compiere. Per la Francia, la presenza dei «contractors» della Wagner anche in Mali rappresenta un incubo, e ripropone gli scenari in corso nella Repubblica Centro Africana, dove Bangui si sta spostando nell’area di influenza di Mosca. Enrico Magnani
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ARABIA SAUDITA Prime prove a mare per la corvetta Al Jubail (828)
ARGENTINA Varo dell’OPV Contraalmirante Cordero (54)
Il gruppo spagnolo Navantia ha annunciato, all’inizio di settembre, che la corvetta Al Jubail (828), unità eponima della classe di cinque unità per la Marina saudita (RSNF, Royal Saudi Naval Forces) ha iniziato le prove in mare nelle acque della Baia di Cadice per verificare il corretto funzionamento di tutti i suoi sistemi, in vista della consegna nel primo trimestre del 2022. Le prove richiederanno complessivamente due mesi, divisi in due distinti periodi, di cui l’attuale durerà circa due settimane. Vi partecipano circa 140 persone, tra cui circa 40 ingegneri di diverse specialità. Le prove sono gestite secondo Navantia dallo stesso gruppo cantieristico, industrie partner, Lloyds Register of Shipping e le principali aziende fornitrici del programma. Allo stesso modo, RSNF e personale della Marina spagnola partecipano per conto del committente. Queste prime attività in mare sono destinate alle prove di piattaforma e del sistema propulsivo e, soltanto successivamente alle medesime, secondo quanto affermato dallo stesso gruppo, l’unità avrà il sistema di combattimento installato, prima della consegna. Varata nel luglio 2020, è previsto che la corvetta Al Jubail venga consegnata alla RSNF entro cinque mesi dall’inizio delle prove in mare.
L’ultimo dei quattro OPV 87 in fase di fornitura da parte di Naval Group alla Marina argentina, è stato varato il 21 settembre presso i cantieri Concarneau da parte della joint venture Kership fra i cantieri Piriou e Naval Group. La consegna dell’unità alla Marina argentina è prevista per aprile 2022.
La corvetta AL JUBAIL (828), unità eponima della classe di cinque unità per la Marina saudita (RSNF, Royal Saudi Naval Forces) ha iniziato le prove in mare in vista della consegna nel primo trimestre 2022 (Navantia).
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AUSTRALIA Consegnato l’AOR Stalwart (III) Secondo quanto dichiarato da Navantia, il Dipartimento della Difesa australiano ha firmato il certificato di accettazione del rifornitore di squadra (AOR, Auxiliary Oiler Replenisher) Stalwart (III). Si tratta del secondo AOR commissionato e costruito da Navantia in Spagna per la Royal Australian Navy e destinato a entrare in servizio per quest’ultima il prossimo 13 novembre. Varata il 30 agosto 2019 presso i cantieri Navantia di Ferrol, l’unità è partita dalla Spagna il 20 maggio di quest’anno e si è diretta a Perth, dove è arrivata il 21 giugno, secondo il programma previsto. Nonostante le condizioni associate al Covid, in circa due mesi, un team di 26 persone appartenenti al cantiere spagnolo di Ferrol ha lavorato a Perth, Western Australia, per eseguire i lavori di allestimento finale e attività manutentiva per supportare le prove in mare, che si sono completate il 22 agosto con le verifiche legate al sistema di combattimento, comunicazioni e navigazione. In concomitanza con la formalizzazione dell’accettazione della nave il 30 agosto, il Dipartimento della Difesa australiano e Navantia hanno anche firmato un contratto per l’estensione dei servizi di custodia e manutenzione fino al 30 settembre 2021. Tale accordo dà continuità alla linea di lavoro sviluppata da Navantia durante il processo di allestimento ed è finalizzata a fornire supporto durante il processo di transizione prima del trasferimento della nave alla Royal Australian Navy. Questa estensione includerà anche servizi di formazione e familiarizzazione per il personale. A tutto questo va aggiunto il supporto al ciclo di vita della nave per un periodo di 5 anni.
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Il Dipartimento della Difesa australiano ha firmato il certificato di accettazione del rifornitore di squadra (AOR, Auxiliary Oiler Replenisher) STALWART (III), in vista dell’entrata in servizio a novembre 2021 (Navantia).
Sottomarini a propulsione nucleare per la RAN … Il 16 settembre, il primo ministro australiano Scott Morrison, il presidente americano Joe Biden e il primo ministro inglese Boris Johnson, hanno annunciato di aver firmato una nuova partnership trilaterale nel settore della sicurezza meglio conosciuta come AUKUS (Australia, UK, US). La principale iniziativa nell’ambito di tale accordo è stata l’annuncio dell’acquisizione di almeno otto sottomarini a propulsione nucleare da parte australiana. Secondo quanto dichiarato dallo stesso Primo ministro australiano, il governo locale intende costruire i nuovi battelli presso le infrastrutture cantieristiche di Adelaide, in stretta cooperazione con Gran Bretagna e Stati Uniti. Nei prossimi 18 mesi, l’Australia lavorerà insieme agli altri due partner per verificare quale sia la migliore via per raggiungere tale obiettivo. Il Dipartimento della Difesa australiano al riguardo ha istituito un’apposita task force per valutare tutte le attività che devono essere portate a termine in loco per soddisfare tale necessità. Il Primo ministro ha specificato che l’Australia non intende dotarsi di armamento nucleare o stabilire una capacità nucleare civile, mantenendo le proprie obbligazioni di non proliferazione in questo settore. In occasione dell’annuncio e del successivo comunicato stampa, è stato sottolineato che: «Tale annuncio significa che il governo australiano non procederà più con il programma di acquisizione dei sottomarini a propulsione convenzionale
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classe “Attack”». Il governo ha ringraziato la forza lavoro dei sottomarini della classe «Attack», Naval Group, il governo francese e Lockheed Martin Australia per i loro sforzi, fino a oggi. «Tuttavia, l’accelerazione dei cambiamenti alla sicurezza regionale renderà i sottomarini convenzionali inadatti alle nostre esigenze operative nei decenni a venire», ha affermato Morrison. Il governo di Canberra lavorerà attivamente con l’industria per garantire che le persone e le competenze sviluppate nell’ambito del programma esistente non vadano perse mentre lancia un nuovo programma per supportare la consegna di sottomarini a propulsione nucleare alla Marina. Sebbene la partnership istituzionale con il governo francese e contrattuale con Naval Group «avrebbe portato al sottomarino convenzionale più capace e letale mai costruito», la decisione del governo australiano ha rappresentato, per quello francese, un grave colpo alle relazioni fra i due paesi da parte di un alleato come l’Australia, tutto ciò mentre lo stesso Naval Group riceveva nello stesso giorno la comunicazione da parte del Dipartimento della Difesa australiano che il programma sarebbe passato a una fase successiva, secondo quanto dichiarato dall’amministratore delegato e presidente del Gruppo.
… nuovi sistemi d’arma a lungo raggio per le F.A. australiane Nell’ambito dell’annuncio dell’accordo trilaterale AUKUS, il Primo ministro australiano ha annunciato che la nazione acquisirà rapidamente capacità di attacco a lungo raggio per migliorare la capacità dell’ADF (Australian Defence Force) di attacco dell’ADF nei tre domini. Il DoD acquisterà missili da crociera «Tomahawk», da schierare sui nuovi caccia lanciamissili classe «Hobart», consentendo di colpire obiettivi terrestri a più estese distanze con maggiore precisione. A questi s’aggiungono i missili JASSM ER (Joint Air-to-Surface Standoff Missiles Extended Range) che consentiranno ai velivoli «F/A-18F Super Hornet» e in futuro ai velivoli «F-35A Lightning II», di colpire bersagli a una distanza di 900 km. Il governo australiano acquisterà anche missili antinave LRASM ER (Long-Range AntiShip Missile) per i velivoli «F/A-18F Super Hornet».
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Continuerà anche la collaborazione con gli Stati Uniti per sviluppare missili ipersonici destinati alle Forze aeree australiane mentre le Forze di terra riceveranno missili guidati di precisione, in grado di distruggere, neutralizzare e sopprimere differenti bersagli a oltre 400 km. Il governo australiano accelererà anche l’investimento di un miliardo di dollari per sviluppare una capacità sovrana nel settore dello sviluppo e produzione di sistemi d’arma guidati.
COREA DEL SUD Varata la sesta fregata classe «Daegu» tipo «FFX Batch 2» Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri DSME (Daewoo Shipbuilding & Marine Engineering) di Okpo, l’8 settembre, è stato celebrato il varo della sesta unità classe «Daegu» tipo «FFX Batch 2». Si tratta della fregata Pohang (FFG 825) che è destinata a entrare in servizio nei primi mesi del 2023.
Estensione della vita operativa dei battelli classe «Collins» Secondo quanto è emerso con lo stesso annuncio, in attesa che entrino in servizio i nuovi battelli, l’attuale classe di sommergibili classe «Collins» verrà sottoposta a un esteso programma di estensione della vita operativa per assicurarne la continuazione dell’efficacia e l’aggiornamento alle nuove minacce. Tale attività, secondo quanto riportato dal DoD australiano dovrebbe svilupparsi a partire dal 2026 fino oltre il 2040, mentre è emerso che la vita operativa di questi battelli dovrebbe completarsi nel 2048. Nel frattempo, l’attività manutentiva ciclica (Full-Cycle Docking) continuerà a essere condotta presso i cantieri di Osborne. Il primo battello a essere sottoposto all’estensione della vita operativa (LTE, Life-of-Type Extension) sarà l’unità Farncomb che sarà sottoposta ad attività manutentiva ciclica nel 2026.
L’attuale classe di sommergibili classe «Collins» in servizio con la Royal Australian Navy verrà sottoposta a un esteso programma di estensione della vita operativa in attesa dell’entrata in servizio dei nuovi battelli a propulsione nucleare, frutto dell’accordo trilaterale Stati Uniti, Regno Uniti e Australia (Dipartimento della Difesa australiano).
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Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri DSME di Okpo, l’8 settembre, è stato celebrato il varo della fregata POHANG (FFG 825), sesta unità classe «Daegu» tipo «FFX Batch 2» (Ministero della Difesa sudcoreano).
La Corea del Sud lancia il primo SLBM da sottomarino in servizio L’agenzia per lo sviluppo delle capacità della Difesa della Corea del Sud o ADD (Agency for Defense Development) ha annunciato lo scorso 15 settembre di aver completato con successo il lancio del primo missile balistico da sottomarino (SLBM, Submarine Launched Ballistic Missile) all’interno di un poligono militare, alla presenza del presidente Moon Jae-in e del ministro della Difesa nazionale Suh Wook. In precedenza, solo sei paesi, tra cui Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e India, hanno lanciato con successo un SLBM da un sottomarino, ha dichiarato l’ADD, facendo della Corea del Sud il settimo paese a entrare nel club di quelli dotati di tale capacità. Il KSLBM (Korean SLBM), che è stato identificato dagli analisti come il vettore «Hyunmoo 4-4», è stato lanciato dal sottomarino Dosan Ann Chang-ho, il primo dell’eponima classe da 3.750 tonnellate in immersione,
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caratterizzato da sei VLS dietro la falsatorre in aggiunta ai tubi lanciasiluri prodieri, al largo della costa sudcoreana presso Taen, nella provincia meridionale di Chungcheong. Il K-SLBM ha colpito il bersaglio nonostante le condizioni meteorologiche avverse, incluso un tifone in avvicinamento. Il test ha dimostrato tutte le fasi di lancio e volo di un SLBM lanciato da un sottomarino che sfrutta il cosiddetto «lancio a freddo», una tecnologia che consente di accendere il motore del missile dopo aver spinto verticalmente il medesimo fuori dall’acqua, cui fa seguito l’accensione del booster e del motore principale, fino all’ingaggio finale del bersaglio. Un precedente test di iniezione aveva lo scopo di dimostrare solo l’accensione ausiliaria o l’accensione del motore principale ma non il volo completo. Secondo fonti ben informate, l’SLBM lanciato il 15 settembre ha colpito il bersaglio a soltanto circa 400 km di distanza all’interno di un poligono militare per rispettare le normative di sicurezza nazionali e internazionali. «Aumentare le nostre capacità missilistiche può creare una deterrenza definitiva contro le provocazioni nordcoreane», ha affermato il presidente sudcoreano Moon durante il test. L’ADD ha anche affermato di aver sviluppato con successo un «missile balistico ad alta potenza» che ha un carico utile significativamente aumentato, e che permetterà di potenziare le capacità di deterrenza delle Forze armate sudcoreane in tempi di pace.
sviluppando versioni diverse di missili supersonici lanciabili rispettivamente da terra e unità di superficie contro bersagli terrestri e navali. Secondo quanto dichiarato da fonti del ministero della Difesa, il missile lanciato da un sito costiero sarebbe in grado di colpire bersagli entro un raggio d’azione fino a 500 km, diventando un’arma A2AD (Anti Access/Area Denial) contro la Marina cinese e i suoi gruppi da battaglia incentrati su portaerei.
Varo del terzo sottomarino tipo «KSS III batch I» Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Hyundai Heavy Industries (HHI) di Ulsan il 28 settembre, è stato varato il terzo e ultimo battello del programma «KSS III Batch I». Si tratta della prima unità della classe a essere realizzata dai cantieri HHI, in quanto i due precedenti sono stati costruiti dal gruppo DSME. Battezzato Shin Chae-ho, il nuovo battello è destinato a un periodo di prove in mare in vista della sua consegna alla Marina sudcoreana nel 2024, a cui seguirà l’impiego operativo.
Svelato nuovo missile antinave supersonico In occasione dell’annuncio sopra riportato, l’Agenzia sudcoreana per lo sviluppo delle capacità della Difesa (ADD) ha mostrato i video di un nuovo missile antinave supersonico destinato a equipaggiare le nuove unità navali della Marina della Corea del Sud. Dalle immagini divulgate si tratterebbe di un missile da crociera supersonico la cui silhouette richiama quella del missile russo «Yakhont», e secondo diverse fonti sviluppato proprio con la tecnologia russa applicata al medesimo sistema d’arma di design russo. Le immagini si riferiscono al missile lanciato contro un bersaglio navale. Secondo alcuni, il sistema d’arma sarebbe in grado di raggiungere velocità di Mach 2-3. A quanto risulta, il ministero della Difesa sudcoreano starebbe
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Il terzo e ultimo battello del programma «KSS III Batch I», battezzato SHIN CHAE-HO (SS 086), è stato varato presso i cantieri Hyundai Heavy Industries (HHI) di Ulsan il 28 settembre (HHI).
… assegnato il secondo battello «KSS III batch 2» Il gruppo DSME ha annunciato il 10 settembre di aver ricevuto un contratto del valore di circa 985 miliardi di won pari a circa 844 milioni di dollari americani dall’agenzia per il procurement della Difesa sudcoreana
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(DAPA) per la costruzione, equipaggiamento e fornitura del secondo battello del programma «KSS III Batch II». L’unità verrà realizzata presso il cantiere di Okpo con una consegna prevista per la fine del 2028.
ESTONIA Nuovo sistema d’arma antinave Il Centro estone per gli investimenti nella Difesa (ECDI) ha firmato un contratto con la società Proteus Advanced Systems Pte. Ltd., una joint venture fra Israel Aerospace Industries Ltd. (IAI) ed ST Engineering Land Systems Ltd. (ST), per dotare le forze di difesa estoni di sistemi missilistici antinave «Blue Spear» («5G SSM»). Prescelto per assicurare una capacità d’attacco superficie-superficie contro bersagli navali attraverso batterie costiere, «questo sistema d’arma migliora sostanzialmente la nostra difesa costiera e invia un messaggio chiaro che stiamo contribuendo allo sforzo di difesa regionale e collettivo. Questo è uno dei sistemi d’arma più complessi e ad alta tecnologia (…) e un enorme balzo in avanti per le forze di difesa estoni», ha dichiarato il ministro della Difesa dell’Estonia, Kalle Laanet. Gli ha fatto eco il comandante della Marina estone, contrammiraglio Jüri Saska, che ha aggiunto: «il sistema d’arma scelto costituirà la pietra angolare della difesa navale estone per i decenni a venire. La Marina estone sarà in grado di contribuire in modo significativo allo sforzo di difesa nazionale, regionale e collettivo». Il sistema missilistico «Blue Spear» è un’arma di precisione avanzata che può operare in tutte le condizioni atmosferiche, giorno e notte e consente capacità di attacco contro bersagli mobili e fissi in mare. La portata massima del missile è di 290 km. I missili «Blue Spear» condividono un patrimonio tecnologico e d’esperienza con il sistema della famiglia di missili «Gabriel» della IAI, che è stato sviluppato nel corso di molti anni. Il sistema «Blue Spear» consente il lancio da diverse piattaforme terrestri con volo a velocità subsonica. Il sistema di guida del missile impiega un seeker attivo e una suite di navigazione integrata basata su INS/GPS immune al disturbo di quest’ultimo sistema. Secondo quanto dichiarato, tali sistemi sono dotati di una varietà di mezzi di inganno per raggiungere la loro missione e far fronte alle diverse sfide sul campo di battaglia.
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Il Centro estone per gli investimenti nella difesa (ECDI) ha firmato un contratto con la società Proteus Advanced Systems, una joint venture fra Israel Aerospace Industries ed ST Engineering Land Systems (ST), per dotare le forze di difesa estoni di sistemi missilistici antinave «Blue Spear» («5G SSM») per la difesa costiera (Proteus Advanced Systems).
FRANCIA Prove in mare per la prima unità EDA-S L’unità da sbarco capoclasse EDA-S (Engin de Débarquement Amphibie Standard) Arbaléte ha effettuato le prime prove a mare di compatibilità con l’unità d’assalto anfibio Tonnerre (L 9014) insieme a due unità EDA-R e due CTM nel corso del mese di settembre nelle acque antistanti Tolone. Destinate a rimpiazzare i mezzi da sbarco CTM (Chaland de Transport de Matériel) e ordinate dal ministero della Difesa francese nel 2019 in un numero iniziale di sei esemplari (in totale sono previste 14 unità), le unità EDA-S vengono realizzate da un team industriale capitanato dal gruppo CNIM e comprendente i cantieri Socarenam, il bureau navale Mauric e CNN MCO. Le prime due unità Arbaléte e Arquebuse hanno raggiunto Tolone dove saranno sottoposte a una serie di prove e valutazioni a mare da parte della Marina francese per sei mesi, in vista della messa in servizio in breve tempo. Con uno scafo trimarano e capacità di imbarco e sbarco roll-on/roll-off, le unità EDA-S sono state specificamente progettate per trasportare
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la famiglia di veicoli «Scorpion», «Griffon», «Jaguar», «Serval», i carri armati tipo «Leclerc» dell’Esercito francese e in via alternativa personale e materiali vari, nonché operare dal bacino allagabile delle unità d’assalto anfibio classe «Mistral». Capace di trasportare fino a 65 t di carico nominale ed eventualmente massimo di 80 t, le unità EDA-S sono in grado di raggiungere una velocità massima di 16 nodi e operare in acque molto basse con un pescaggio di 1,2 metri a pieno carico. L’EDA-S è pienamente compatibile con i bacini allagabili di altre unità navali della NATO come quelle dell’US Navy classe «San Antonio» r» e derivate, in servizio con la Marina indonesiana, filippina, peruviana e del Myanmar.
L’unità da sbarco capoclasse EDA-S (Engin de Débarquement Amphibie Standard) ARBALETE ha effettuato le prime prove a mare di compatibilità con l’unità d’assalto anfibio TONNERRE (L 9014) nel corso del mese di settembre (Giorgio Arra).
Leonardo fornirà supporto ai sistemi d’arma Super Rapido Leonardo fornirà supporto logistico e servizi di manutenzione per i sistemi d’arma «OTO 76/62 Super Rapido» attualmente in dotazione ai caccia lanciamissili classe «Orizzonte», alle fregate classe «Aquitaine» tipo FREMM (Fregate Europee Multi Missione) e alle fregate di nuova generazione FDI (Fregates de Defense et d’Intervention) della Marine Nationale. Le attività saranno eseguite nell’arco di dieci anni e rientrano in un accordo quadro che rappresenta un’estensione del precedente contratto di manutenzione relativo alla sola classe «Orizzonte». Nel dettaglio, sono incluse la gestione, configurazione, fornitura di parti di ricambio, in-
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Il gruppo Leonardo fornirà supporto logistico e servizi di manutenzione per i sistemi d’arma «OTO 76/62 Super Rapido» attualmente in dotazione alle unità della Marine Nationale, fra cui le fregate classe «Aquitaine», di cui è qui ripresa la NORMANDIE (D 651) - (Marine Nationale).
gegneria di campo e l’aggiornamento della documentazione di ventidue sistemi «OTO 76/62 SR», il sistema d’arma navale di medio calibro di Leonardo oggi in servizio in oltre 50 paesi in tutto il mondo. Leonardo fornirà, inoltre, un corso di formazione e addestramento per il personale della Marine Nationale. Il supporto logistico potrà essere esteso in relazione alle esigenze del cliente e potrà comprendere anche l’aggiornamento dei sistemi, la fornitura di ulteriori attrezzature e diversi altri servizi di assistenza. Nel contratto sono, inoltre, incluse le attività tecniche di revisione generale, collaudo e allineamento di 11 sistemi che verranno affidate all’arsenale della Marina Militare italiana e al Centro di Supporto e Sperimentazione Navale (CSSN) della Spezia, consolidando ulteriormente il rapporto tra Leonardo, la Marina Militare e la Marine Nationale, in un’ottica di sempre maggior cooperazione europea.
GERMANIA Nuovi sistemi radar a lungo raggio per le fregate tipo «F 124» Nell’ambito del programma di ammodernamento delle unità classe «Sachsen» (F 124) e con l’obiettivo di espandere le proprie capacità di difesa contro missili balistici e nuove minacce su mare e terra nell’ambito del progetto di difesa nazionale integrata, il 23 agosto, l’Ufficio federale per l’equipaggiamento, la tecnologia e l’impiego dell’informazione della Bundeswehr (BAAINBw) ha firmato un contratto con il gruppo Hensoldt per la produzione, fornitura e installazione di quattro sistemi radar a lungo raggio a bordo delle fregate citate, con un contratto del valore
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di circa 220 milioni di euro. Il contratto prevede anche servizi di formazione e di supporto; secondo le informazioni divulgate, il gruppo Hensoldt fornirà i nuovi radar a lungo raggio per la sorveglianza aerea e marittima del tipo «TRS-4D/LR ROT», che andranno a sostituire i sistemi «SMART-L» a partire dal 2025. I nuovi radar si basano sul progetto e la tecnologia sviluppata dalla società israeliana Elta del gruppo IAI, con cui il gruppo tedesco ha siglato un accordo di collaborazione che ha già visto assegnare un contratto con l’Aeronautica tedesca per la versione da sorveglianza aerea e missilistica basata a terra su postazioni fisse del medesimo radar prescelto per la Marina tedesca. Con il sistema «TRS-4D/LR ROT», completamente digitale e che sfrutta la tecnologia e l’architettura d’antenna AESA sviluppata da Elta per i sistemi in servizio e destinati alle Forze armate israeliane, quelle indiane e altri operatori non meglio specificati, le Forze armate tedesche disporranno di nuovi sensori con capacità di rilevamento e tracciamento di missili balistici. Le tecnologie applicate alla famiglia di sistemi «TRS-4D/LR ROT» consentono una localizzazione precisa di oggetti particolarmente piccoli e manovrieri con una portata di oltre 400 km per bersagli aerei e fino a 2.000 km per oggetti in orbita terrestre. Secondo i piani attuali, il retrofit delle navi inizierà nel 2024 e dovrebbe essere completato entro il 2028. Oltre ai tre radar per
Nell’ambito del programma di ammodernamento delle unità classe «Sachsen» (F 124), il BAAINBw ha assegnato al team industriale capitanato dal gruppo Hensoldt insieme all’israeliana Elta/IAI un contratto per la fornitura di quattro nuovi radar a lunga portata per la difesa aerea e contro missili balistici (Hensoldt/IAI).
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l’installazione a bordo di altrettante fregate, un altro sistema sarà installato nella struttura di riferimento e di addestramento per i test presso la scuola di Parow dal 2023. Oltre alla formazione pratica, sarà possibile testare gli aggiornamenti del sistema radar prima che vengano implementati a bordo.
Contratto per i primi velivoli P-8A Poseidon Il Gruppo ha annunciato, il 28 settembre, di aver ricevuto un contratto di fornitura per 5 velivoli «P8A Poseidon» destinati alla Marina tedesca. Le prime consegne è previsto che inizino nel 2024 quando i nuovi aerei andranno a rimpiazzare la componente di velivoli ASuW/ASW «P-3C Orion». L’assegnazione
Il gruppo Boeing ha annunciato il 28 settembre di aver ricevuto dall’US Navy un contratto per la fornitura di 5 velivoli ASuW/ASW «P-8A Poseidon» destinati alla Marina tedesca (Boeing).
del contratto è stata preceduta lo scorso 23 giugno dall’approvazione e dall’assegnazione fondi da parte del parlamento tedesco, seguita dalla firma della lettera d’offerta e accettazione attraverso i canali FMS (Foreign Military Sale). Il programma vede il coinvolgimento dell’industria tedesca: lo scorso giugno, Boeing ha firmato accordi con le società ESG Elektroniksystem-und Logistik-GmbH e Lufthansa Technik AG, per collaborare all’integrazione dei sistemi, alla formazione e al lavoro di supporto per assicurare un’elevata disponibilità a favore delle missioni delle Marina tedesca. Le aziende tedesche che attualmente forniscono parti per il «P-8A» includono Aircraft Philipp Group GmbH, Aljo Aluminium-Bau Jonuscheit GmbH e Nord-Micro GmbH.
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GIAPPONE Velivolo F-35B effettua test a bordo della portaelicotteri Izumo (DDH 183) A seguito delle decisioni del governo giapponese d’imbarcare i velivoli «F-35 Lightning II nella versione STVOL (Short Take-Off Vertical Landing) a bordo dei due cacciatorpediniere portaelicotteri classe «Izumo» della JMSDF (Japan Maritime Self Defense Force), e dei successivi lavori di modifica del ponte di volo e dell’equipaggiamento dell’unità capoclasse, nel periodo 3-7 ottobre un velivolo del Corpo statunitense dei Marine ha effettuato attività di appontaggio e decollo dall’unità per le verifiche iniziali d’integrazione. Ciò in preparazione del futuro imbarco del velivolo STOVL dopo che il governo ha deciso per l’acquisizione di 42 «F-35B» e per le relative modifiche alle due unità classe «Izumo». Secondo le disponibilità offerte dai recenti budget per la difesa giapponese, sono già state acquistate otto macchine a cui s’aggiungono ulteriori quattro velivoli richieste con il budget per l’esercizio finanziario 2022. La portaelicotteri Izumo è ritornata in servizio lo scorso 25 giugno, dopo 15 mesi di lavori al ponte di volo in contemporanea ad attività manutentive programmate svolte presso i cantieri JMU (Japan Marine United). Queste ultime hanno riguardato la prima fase di modifiche principalmente legate all’approntamento del ponte di volo e relativi spazi limi-
A seguito della decisione del governo giapponese d’imbarcare i velivoli STOVL «F-35B Lightning II» a bordo delle due portaelicotteri classe «Izumo» della JMSDF (Japan Maritime Self Defense Force), un velivolo del Corpo dei Marine americano ha effettuato le prime prove a bordo della capoclasse (Ministero della Difesa giapponese/JMSDF).
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trofi oltre a equipaggiamenti di bordo, mentre la seconda fase è previsto che si svolga durante il 2024. I lavori riguarderanno l’ampliamento del ponte di volo nella parte prodiera attualmente di forma trapezoidale ma destinato ad acquistare una forma rettangolare per guadagnare spazi per la pista di decollo e gestione dei velivoli sul ponte. Anche l’unità gemella Kaga (DDH 184), a partire dalla fine dell’anno, sarà sottoposta ai lavori, che saranno effettuati con un’unica sosta grazie ai fondi allocati nel budget dell’esercizio 2021.
La JMSDF prova i primi USV Alla fine del mese di agosto sono circolate le prime immagini delle prove del nuovo veicolo di superficie a pilotaggio remoto (USV, Unmanned Surface Vehicle) in fase di sviluppo per la JMSDF. Realizzato dalla società JMU (Japan Marine United) Defense Systems, il nuovo USV è destinato a essere impiegato a bordo delle fregate classe «Mogami». L’USV sarà utilizzato insieme all’UUV (Unmanned Underwater Vehicle) «OZZ-5» sviluppato e prodotto da Mitsubishi Heavy Industries (MHI). L’UUV verrà lanciato dalle unità classe «Mogami» insieme all’USV e seguirà un percorso prestabilito per perlustrare un’area marina dove si stima l’esistenza di mine. Il ruolo dell’USV è quello di supportare le ricerche subacquee dell’«OZZ-5», acquisendo dalla superficie i dati acquisiti dal sonar dell’«OZZ-5» in tempo reale tramite modem acustici e trasmettere questi dati alle unità classe «Mogami» mediante link radio. Questi dati subacquei acquisiti verranno elaborati a bordo delle unità classe «Mogami», per confermare l’esistenza di mine. Nel caso positivo, gli USV verranno utilizzati per la neutralizzazione delle mine attraverso un sistema per la creazione di campi magnetici e/o di sistemi acustici oppure attraverso sistemi di neutralizzazione spendibili.
GRAN BRETAGNA Taglio della prima lamiera per la prima «Type 31» Con una cerimonia tenutasi il 23 settembre presso il cantiere di Rosyth del gruppo Babcock in Scozia, alla presenza del segretario di Stato alla Difesa e re-
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piattaforma e assicurare una capacità addestrativa e valutativa dell’unità e della Flotta della Royal Navy.
Procede il programma Fleet Solid Support (FSS)
Con una cerimonia tenutasi il 23 settembre presso il cantiere di Rosyth del gruppo Babcock, è stato celebrato il taglio della prima lamiera della fregata general purpose Type 31 VENTURER, prima della nuova classe «Inspiration» (Babcock International).
sponsabile del programma di costruzioni navali nazionale Ben Wallace, è stato celebrato il taglio della prima lamiera della fregata general purpose Venturer prima della nuova classe «Inspiration». Si tratta della prima di cinque fregate «Type 31» che andranno a rimpiazzare le altrettante «Type 23» in configurazione general purpose. L’intera classe di fregate «Type 31» è destinata alla consegna per la fine del 2028, per entrare in servizio alla fine del 2030, dopo che l’unità capoclasse sarà varata nel 2023.
Dichiarata operativa la portaerei Prince of Wales (R 09) Dopo due anni d’intensa attività preparatoria e addestrativa, la portaerei convenzionale Prince of Wales in servizio per la Royal Navy dal dicembre 2019, è stata dichiarata operativa con un comunicato emesso dalla Marina britannica all’inizio del mese di ottobre. Si tratta della prima portaerei della Royal Navy a imbarcare e testare l’impiego di droni, il primo dei quali, un bersaglio «Banshee Jet 80+» della QinetiQ è stato lanciato da bordo per verificare l’integrazione del sistema con le operazioni aeree della
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Il ministero della Difesa britannico ha annunciato all’inizio di settembre di aver assegnato un contratto a ciascuno dei quattro consorzi industriali selezionati affinché sviluppino il proprio design nell’ambito della gara per l’acquisizione di tre unità per il supporto della Flotta o Fleet Solid Support (FSS) destinate alla Royal Fleet Auxiliary e alla Royal Navy. Si tratta dei consorzi capitanati dalla società Larsen & Toubro, che include la società inglese Leidos Innovations, dalle società Serco e Damen, che include la società inglese Derco, il Team Resolute, che vede la partecipazione del gruppo spagnolo Navantia e include le società inglesi Harland & Wolff e BMT, e il Team UK, che incorpora le società inglesi Babcock e BAE Systems.
GRECIA Accordo per l’acquisizione di unità FDI francesi Lo scorso 28 settembre, nell’ambito dell’Accordo di Partenariato strategico per la cooperazione in materia di difesa e sicurezza firmato lo stesso giorno tra il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis e il presidente francese Emmanuel Macron, è stato firmato anche un memorandum d’intesa tra il ministro della Difesa greco Nikòaos Panayotòpoulos e gli amministratori delegati di Naval Group, Pierre Eric Pommellet e di MBDA, Eric Béranger, alla presenza del ministro della Difesa francese Florence Parly, per avviare le trattative destinate alla definizione di un contratto per la fornitura alla Marina ellenica di tre fregate «FDI HN» (e il loro equipaggiamento) nonché una fregata aggiuntiva opzionale, relativo supporto manutentivo e pacchetto addestrativo. Le parti, secondo quanto dichiarato recentemente dall’amministratore delegato di Naval Group, stanno lavorando con l’obiettivo di firmare un contratto entro il 2021. Le piattaforme «FDI HN» (Fregates de Defense et d’Intervention, Hellenic Navy) saranno costruite presso il cantiere navale Naval Group di Lorient e, secondo il ministro della Difesa greco, le prime due fregate saranno consegnate entro il 2025
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mentre la terza seguirà nel 2026. Non sono stati rilasciati ulteriori dettagli sulla piattaforma, sistemi d’arma ed equipaggiamenti imbarcati, a eccezione del fatto che l’«FDI HN» sarà una versione customizzata delle fregate FDI destinate alla Marine Nationale, che sarà equipaggiata con il sistema radar AESA a facce fisse «Sea Fire» di Thales e verrà dotata di missili MBDA «Aster 30 Block 1» per la difesa aerea e balistica e di missili antinave «Exocet MM40 Block 3c», in aggiunta a siluri leggeri «MU-90» e decoy anti-siluro CANTO di Naval Group. Secondo il portavoce del ministero della Difesa francese, il valore del contratto ammonterà a circa 3 miliardi di euro e comprenderà le unità navali, il relativo armamento e il supporto per i primi tre anni di vita operativa. Le immagini divulgate da Naval Group presentano una piattaforma FDI equipaggiata con cannone Leonardo «OTO 76/62 Super Rapido» che nel caso del modello presentato al salone greco Defea 2021 era in configurazione «Strales», ben 32 VLS per missili «Aster 30 Block 1», un sistema missilistico per la difesa ravvicinata RAM, due complessi a controllo remoto da 20 mm nonché otto lanciatori per missili «MM 40 Exocet» in aggiunta a lanciatori per decoy. Il complesso dei sensori è similare a quello delle FDI per la Marina francese. In precedenza, Naval Group aveva
proposto, in base alle richieste del ministero della Difesa greco, una partecipazione dell’industria e della cantieristica locale, ma le strette tempistiche del programma, rendono difficile una compartecipazione locale che non sia legata a specifici equipaggiamenti mentre è prevedibile per il supporto in servizio.
INDIA Nuova gara per unità contromisure mine Il ministero della Difesa ha emesso una richiesta d’informazioni (RFI, Request for Information) al fine di prendere in leasing o acquistare dalle tre alle quattro unità contromisure mine da un governo straniero. Secondo la RFI, il ministero della Difesa indiano è interessato fino a quattro unità di cui la prima in consegna entro 10 mesi dal contratto, mentre le rimanenti dovranno seguire a intervalli di 4 mesi. È richiesto un accordo G2G per l’acquisizione o il leasing di unità in servizio o ritirate dal servizio che possono essere ammodernate per soddisfare le esigenze della Marina indiana. Quest’ultima ha una necessità impellente di mettere in servizio unità dedicate di più recente generazione perché dal 2019 non dispone più di alcuna unità MCMV. Tutte le precedenti gare sono state cancellate con evidenti conseguenze negative.
Consegnato l’OPV Vigraha (39)
Lo scorso 28 settembre è stato firmato un MoU tra il ministero della Difesa greco, Naval Group e MBDA per avviare le trattative legate a un contratto per la fornitura alla Marina ellenica di tre fregate «FDI HN» e il loro equipaggiamento, con opzione per una quarta unità, relativo supporto e addestramento (Naval Group).
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Con una cerimonia tenutasi presso Chennai, la Guardia costiera indiana ha immesso in servizio il settimo e ultimo OPV della classe «Vikram». Si tratta dell’unità Vigraha che avrà base a Visakhapatnam e opererà sulla costa orientale sotto il controllo operativo e amministrativo del Comando operativo di settore della Indian Coast Guard. Con un dislocamento a pieno carico di 2.140 t, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 98,2 e 14,7 metri, il nuovo OPV è stato progettato e costruito presso i cantieri Larsen & Toubro Ship Building Limited di Kattupali e si caratterizza per un impianto propulsivo basato su due motori diesel da 9,1 MW in grado di imprimere una velocità massima di 26 nodi e un’autonomia di 5.000 mn a velocità economica. Gli OPV della classe sono stati inoltre progettati per trasportare un elicottero bimotore e quattro imbarcazioni ad alta velocità per operazioni di imbarco, ricerca e soccorso, con forze dell’ordine e pattugliamento marittimo. La nave è anche predisposta per l’imbarco di attrez-
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zature antinquinamento in caso di spargimento di carburante. Con un equipaggio di 11 ufficiali e 110 marinai, l’OPV è dotato di radar per la navigazione e la ricerca di superficie, apparecchiature di navigazione e comunicazione, sensori e macchinari in grado I cantieri Israel Shipyards hanno annunciato di aver firmato con il ministero della Difesa un accordo per la fornitura di quattro unità da pattugliamento veloce classe di operare in condizioni di mare tropicale. La israeliano «Shaldag Mk V», customizzate secondo le esigenze della Marina israeliana (Israel Shipyards). nave è armata con un cannone «Bofors» da 40/60 mm e dotata di due complessi a controllo remoto un accordo per la fornitura di quattro unità da pattucon mitragliatrice da 12,7 mm e relativo sistema di congliamento veloce classe «Shaldag Mk V», che sono trollo del fuoco. La nave è inoltre dotata di un sistema di state adattate ai requisiti di configurazione unici plancia integrato, un sistema di gestione della piattaforma della Marina israeliana. La versione «Mk V» della integrato, un sistema automatizzato di gestione della proclasse «Shaldag», è un’imbarcazione provata in pulsione e un sistema antincendio esterno. combattimento, interamente in alluminio, leggera e veloce, propulsa da potenti idrogetti, con un’elevata capacità di carico utile, che fornisce elevata manoINDONESIA vrabilità e tenuta di mare. La nuova versione ha una Taglio della prima lamiera per nuovi OPV velocità superiore a 40 nodi, può accelerare da zero Secondo quanto dichiarato dal ministero della Difesa a 40 nodi in meno di un minuto, ha un diametro di indonesiano, una cerimonia di taglio della prima lamiera virata di 150 metri e un pescaggio ridotto che le conper due nuovi OPV da 90 metri si è tenuta lo scorso 26 sente di operare in acque poco profonde. La versione agosto presso il cantiere di DRU Shipyards (PT Daya «Shaldag Mk V» è dotata di sistemi d’arma avanzati Radar Utama DRU) a Lampung (isola di Sumatra). See leggeri, nonché sistemi di navigazione e gestione condo quanto è stato divulgato, si tratta di unità da 90 metri del combattimento. di lunghezza e 13,5 m di larghezza con un apparato propulsivo basato su motori diesel in grado di raggiungere i 28 nodi, con un equipaggio di 70 elementi e la capacità di … progettazione di dettaglio per le unità classe trasportare altri 24 operatori per compiti di controllo del «Reshef» traffico marittimo attraverso due postazioni di lancio e reI cantieri di Haifa hanno più recentemente annuncupero RHIB poppiere. Secondo le immagini divulgate, i ciato di aver firmato un accordo con il ministero nuovi OPV sarebbero armati con un cannone da 76/62 mm della Difesa israeliano per la fase di progettazione «Super Rapido» in posizione prodiera, un complesso candettagliata legata alla costruzione delle nuove unità noniero Rheinmetall «Millennium» da 35 mm sull’hangar classe «Reshef» per la Marina israeliana. L’accordo e due complessi quadrupli per missili antinave MBDA rappresenta un passaggio fondamentale prima della «MM 40 Exocet Block 3» a centro nave. Le unità sono fase costruttiva della nave. Basate sulla nuova cordotate di ponte di volo poppiero con hangar per un elicotvetta multiuso «SA’AR S-72», descritta come un tero tipo Kaman «Super Seasprite» e un sistema di com«design collaudato», le unità classe «Reshef» potenbattimento incentrato su di un radar di ricerca aeronavale zieranno in modo significativo le capacità della Mae una direzione del tiro per l’armamento cannoniero. rina israeliana in futuri scenari operativi e aiuteranno a proteggere la Zona Economica Esclusiva di Israele (ZEE) come così gli impianti offshore di petrolio e ISRAELE Accordo per la fornitura delle unità tipo gas all’interno delle acque territoriali israeliane. Il sistema di combattimento a bordo delle nuove unità «Shaldag Mk V» … proviene dall’industria della difesa israeliana, sia per I cantieri Israel shipyards hanno annunciato di quelli già in produzione che quelli in sviluppo. aver firmato con il ministero della Difesa israeliano
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ITALIA Consegna dei primi attestati per il Naval Cockpit Con l’ormai vicina consegna del primo Pattugliatore Polivalente d’Altura, nave Thaon di Revel (P 430), la Squadra navale entrerà nella disponibilità del primo Naval Cokpit, una postazione integrata che permette la condotta della nave e delle operazioni aereonavali da parte di soli due operatori, il Pilot e il Copilot, che hanno inglobato le figure dell’uffi- La Marina Militare ha annunciato che i primi ufficiali sono stati qualificati con apposito attestato per dell’avveniristico «Cockpit Navale» installato a bordo dei PPA (Pattugliatori Polivalenti ciale di guardia in plancia e del Com- l’impiego d’Altura) classe «Thaon di Revel». mand. Da questa postazione è, infatti, nuovi PPA classe «Thaon di Revel». Attività che perpossibile gestire sia le macchine, i timoni e gli impianti mette un altro passo verso il futuro, per vincere la scomdi piattaforma sia il Sistema di combattimento al livello messa fatta nel 2014, con l’approvazione della Legge più spinto, ovverosia l’uso delle armi in dotazione. La navale, che ha dato luce a questo futuristico sistema di cerimonia di consegna dei primi attestati per l’impiego condotta della nave e della navigazione. Un autentico del sistema a bordo del pattugliatore Thaon di Revel, alla gioiello dell’italico ingegno che darà lustro alla Marina presenza del direttore di OCCAR (ammiraglio ispettore Militare e agli equipaggi del futuro. capo (ris) Matteo Bisceglia), del Comandante in capo della Squadra navale (ammiraglio di squadra Enrico Credendino), del direttore degli Armamenti navali (ammiCOMSUBIN e nave Tedeschi a Malta raglio ispettore capo Massimo Guma) e del personale Nell’ambito dell’attività di Cooperazione bilaterale formatore di Leonardo e Seastema, ha suggellato l’inizio Italia-Malta, nel campo della Difesa, per incrementare di una nuova fase per le unità della Squadra navale. Da le capacità delle Armed Forces of Malta (AFM) di conmolti mesi è, infatti, iniziata la formazione del personale durre operazioni speciali in ambiente marittimo, un durante le numerose uscite in mare delle nuove unità. team di incursori del COMSUBIN ha operato con la Navigazioni che hanno permesso agli ufficiali designati Special Operations Unit maltese. Nell’ultima settimana a questo nuovo incarico di affrontare un addestramento di addestramento, l’Unità Navale Polivalente ad Alta pratico di tipo on job training grazie all’attività del perVelocità (UNPAV) Tullio Tedeschi (P 421) si è intesonale del Centro Allestimento Nuove Costruzioni Nagrata al Mobile Training Team e, attraverso le sue spicvali (MARINALLES). Altra parte del percorso cate capacità di supporto alle Forze speciali, ha addestrativo si è svolta sia presso enti della Marina sui moltiplicato il ritorno addestrativo in favore di tutti i sistemi di simulazione, sia presso le ditte Leonardo e partecipanti. Seastema, con la frequenza di corsi propedeutici: si sono svolte, infatti, due settimane di addestramento presso il MARICODRAG e CSSN partecipano a Centro di Programmazione della Marina (MARICENREP(MUS)21 PROG) a cui hanno fatto seguito altre due settimane per Un team specialistico di MARICODRAG e un team la parte Sistema di Piattaforma e un’altra settimana per del Centro di Supporto e Sperimentazione Navale il Sistema di Combattimento. Sarà dunque questo, d’ora (CSSN), hanno partecipato all’esercitazione internazioin avanti, il percorso formativo che gli ufficiali dovranno nale REP(MUS) 21 — «Robotic Experimentation and seguire per conoscere questo innovativo sistema e conPrototyping — Maritime Unmanned Systems» che si è durre la navigazione e le operazioni aereonavali dei tenuta tra il 13 e 24 settembre nelle acque prospicienti il
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Portogallo. Lo scopo dell’esercitazione è stato quello di testare e sviluppare le capacitaà della nuova generazione di sistemi autonomi. Il team di MARICODRAG ha impiegato un veicolo subacqueo autonomo (AUV) tipo REMUS 100 dotato di sonar a scansione laterale ad alta definizione in grado di esplorare il fondale dell’area assegnata in maniera indipendente. Il team REMUS ha operato a stretto contatto con il NATO Mine Warfare Centre of Exellence e con i team AUV belga, francese, polacco, turco e portoghese, contribuendo allo sviluppo di un settore che rappresenta una prerogativa nel futuro delle operazioni marittime in ambito NATO. In tale contesto le Marine militari partecipanti hanno avuto la possibilità di confrontarsi e collaborare con i centri di ricerca militari e civili, università e le industrie del settore della robotica. Il team del CSSN ha partecipato nell’ambito dello SDI (Smart Defence Initiative) ASW Barrier sia da terra sia a bordo della nave da ricerca olandese GEOSea con il supporto di due PMI italiane, Graal Tech e Siel, impiegando diversi assetti unmanned quali tre veicoli autonomi riconfigurabili e un RHIB autonomo. L’esercitazione ha rappresentato la possibilità per il Centro e per le PMI coinvolte, di dimostrare le capacità della Marina Militare e delle PMI e di affinare livelli di interoperabilità con le altre nazioni interessate, dimostrando la capacità degli assetti unmanned di essere impiegati in un contesto ASW nell’ambito di uno scenario congiunto di veicoli autonomi a connotazione multinazionale e caratterizzati da una vasta eterogeneità.
Operazione Gabinia: intensa attività per nave Marceglia Dopo essere partita dalla Spezia per prendere parte all’operazione Gabinia, in transito per raggiungere l’area di operazioni nel Golfo di Guinea, al largo delle coste senegalesi, nave Marceglia ha pianificato e condotto un’attività addestrativa a distanza ravvicinata con la fregata brasiliana Independéncia (F 44) classe «Niteréi». L’occasione addestrativa ha visto impegnate le due unità in manovre cinematiche elementari e avanzate e operazioni di volo coordinate con gli elicotteri imbarcati. Nel pieno rispetto del protocollo anti-Covid, è stata svolta un’esercitazione di abbordaggio visit, board, search, and seizure (VBSS) a beneficio del Team Oppo-
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La fregata ANTONIO MARCEGLIA (F 597) tipo FREMM è entrata a far parte del dispositivo navale e aereo nell’ambito dell’operazione Gabinia per assicurare la protezione del traffico commerciale nel Golfo di Guinea.
sed della Brigata Marina San Marco, per testarne prontezza operativa e flessibilità d’impiego. Mentre la fregata brasiliana faceva rientro in Brasile, nave Marceglia continuava il suo viaggio per raggiungere l’area d’operazioni. Una volta giunti a destinazione, la fregata italiana ha svolto un’intensa attività addestrativa al largo della Costa d’Avorio con il pattugliatore spagnolo Vigia, nell’ambito della cooperazione con le Marine dei paesi UE. L’esercitazione è stata condotta con l’obiettivo di testare la prontezza operativa della catena di allarme tra le centrali operative nazionali in caso di eventi reali di pirateria. La PASSEX (Passing Exercise) con la nave spagnola Vigia rientra nelle attività di addestramento volte a promuovere la cosiddetta Strategia UE di Coordinated Maritime Presences (CMP), nel Golfo di Guinea, con l’obiettivo di aumentare la capacità di interoperabilità e l’info-sharing tra gli assetti europei dispiegati in area. L’Unione europea conferma così il suo impegno costante per assicurare la sicurezza marittima, garantendo complementarità e sinergia tra le azioni degli Stati membri e coordinando l’azione delle varie unità operative sotto catene di comando nazionali, attraverso una cellula di coordinamento dedicata.
Nave Martinengo (F 596) partecipa all’operazione Agenor Dopo essere stata dispiegata nell’ambito dell’operazione Atalanta, dal 1o ottobre la fregata Federico Martinengo (F 596) opera come primo asset nazionale partecipante all’operazione Agenor nell’ambito dell’iniziativa Maritime Awareness in the Strait of Hormuz (EMASOH) a guida europea. «L’integrazione di nave Martinengo in EMASOH evidenzia l’importanza di operare in un contesto multinazionale caratterizzato dalla centralità dei paesi europei come strumento efficace per
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Intensa attività addestrativa per la Seconda Divisione navale
Dal 1o ottobre la fregata FEDERICO MARTINENGO (F 596) opera come primo assetto nazionale partecipante all’operazione Agenor nell’ambito dell’iniziativa Maritime Awareness in the Strait of Hormuz (EMASOH) a guida europea.
sviluppare il concetto di sicurezza collaborativa in mare. L’operazione rappresenta un momento molto significativo in quanto espressione di coesione tra tutti i paesi coinvolti, dimostrando l’alto livello di interoperabilità degli assetti volti a garantire la libertà di navigazione, proteggere il traffico civile e il libero flusso del commercio globale, operando nel pieno rispetto delle Diritto internazionale», ha affermato il comandante Roberto Carpinelli, con un comunicato stampa rilasciato dal quartier generale dell’operazione nella base navale francese di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti. Nave Martinengo imbarca due elicotteri «SH-90» ASuW/ASW e un team della Brigata Marina San Marco. L’iniziativa EMASOH è stata lanciata dalla Francia nel gennaio 2020, sulla base di una dichiarazione politica comune con Belgio, Danimarca, Germania, Grecia, Italia, Paesi Bassi e Portogallo, e più recentemente ha ricevuto il sostegno da parte di una nona nazione: la Norvegia. Secondo la documentazione rilasciata al parlamento italiano, la partecipazione dei mezzi navali e aerei delle nazioni europee a EMASOH è finalizzata principalmente a tutelare il naviglio mercantile nazionale, sostenere il naviglio mercantile non nazionale, rafforzare la cooperazione con altre iniziative nell’area e contribuire alla «maritime situational awareness» dello spazio aereo e navale della regione. Gli assetti coinvolti adotteranno anche le misure necessarie per prevenire e scoraggiare atti ostili contro il naviglio mercantile nazionale. Questa è la prima volta che l’Italia si unisce a EMASOH nell’ambito della missione militare, parallelamente al coinvolgimento e supporto politico. L’unità dovrebbe partecipare alla missione per tre mesi.
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Nei giorni 21 e 22 settembre ha avuto luogo, nelle acque del golfo di Taranto, un intenso e premiante momento addestrativo condotto dalle unità della Seconda Divisione navale. In particolare, a condurre le esercitazioni in mare sono state la portaerei Cavour, il caccia lanciamissili Andrea Doria, la FREMM Bergamini, la nave rifornitrice di squadra Etna, l’ausiliaria Procida, nonché diversi assetti ad ala fissa ed elicotteri della base di MARISTAER Grottaglie. I due giorni di esercitazione sono stati svolti sotto il comando dell’ammiraglio di squadra Paolo Pezzutti, comandante della Seconda Divisione navale, che ha seguito l’attività in mare da bordo di nave Doria, e hanno rappresentato un’imperdibile occasione per gli equipaggi della Divisione tarantina per riprendere confidenza con le attività in mare, nell’ultimo anno ridotte a causa del perdurare della situazione pandemica da Covid-19. In due differenti finestre addestrative, la portaerei Cavour ha inoltre condotto le operazioni di volo — chiamate «Carrier Qualification» — con gli aerei «AV8B Harrier II Plus» di MARISTAER Grottaglie, gestendo sul proprio ponte di volo le procedure di decollo e appontaggio di due velivoli con capacità di decollo corto e appontaggio verticale.
Settima edizione di Seafuture Inaugurata la mattina del 28 settembre dal ministro della Difesa on. Lorenzo Guerini, accolto dal Capo di Stato Maggiore della Marina Militare ammiraglio di squadra Giuseppe Cavo Dragone, dalla presidente di IBG Cristiana Pagni, dal prefetto della Spezia dr.ssa Maria Luisa Inversini, dal sindaco della città della Spezia, Pierluigi Peracchini, e altre autorità civili e militari, la settima edizione del Seafuture, la business convention delle tecnologie navali e dual use, unica nel bacino del Mediterraneo perché organizzata all’interno di una base navale della Marina Militare, si è conclusa il 1o ottobre, alla presenza del sottosegretario di Stato alla Difesa senatore Stefania Pucciarelli e del Sottocapo di Stato Maggiore della Marina Militare ammiraglio Aurelio De Carolis. Esposte in un’area di 9.000 metri quadrati, le eccellenze della Blue Economy, con oltre 220 espositori provenienti da tutto il mondo, sono
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state apprezzate da circa 12.000 visitatori, con un incremento di circa il 25% rispetto alla scorsa edizione e quasi 70 delegazioni presenti. Sono questi i numeri che hanno sancito il successo di questa edizione del salone, i cui punti focali sono stati gli interessanti panel, distribuiti contemporaneamente in due aule. Dalle sfide e opportunità nel Mediterraneo allargato e la prospettiva della Marina Militare, alla gestione di un ecosistema marino per la crescita blu e alla resilienza informatica. Grande rilievo è stato dato, quest’anno, al seminario sull’underwater inaugurato da un intervento del sottosegretario Stefania Pucciarelli a cui ha fatto seguito l’ammiraglio Dario Giacomin, vice segretario generale della Difesa e l’ammiraglio Andrea Petroni, capo del reparto sommergibili della Marina Militare, nel corso del quale sono stati messi in evidenza i programmi e sviluppi nazionali in questo campo in vista della ricostituzione di un cluster governativo-industriale dedicato, e all’Istituto idrografico della Marina Militare, che ha organizzato due seminari su temi rilevanti tra cui l’indagine idrografica e l’Italia in Artico — High North 2021. A questi s’aggiungono il seminario dell’OCCAR, sulla cooperazione a livello europeo e internazionale nei programmi per la Difesa e dell’AIAD con la partecipazione delle società associate. A cornice della manifestazione, ormeggiate diverse navi, tra le quali la nave scuola Amerigo Vespucci e la fregata Rizzo utilizzate per l’occasione come sede alternativa per eventi e momenti di incontro tra partner internazionali e incontri bilaterali, elemento quest’ultimo ad alta connotazione internazionale. Tra gli eventi collaterali e che identificano ormai il valore stesso della settimana spezzina vi è il Seafuture Awards 2021, premio rivolto a laureati, dottorandi e dottori di ricerca provenienti dal mondo accademico italiano, sia civile che militare, che hanno presentato tesi legate allo sviluppo di processi e prodotti nell’ambito delle tecnologie del mare. Senza dimenticare l’accordo fra i tessuti industriali e della ricerca fra La Spezia e Tolone nonché i panel sullo sviluppo sostenibile, la transizione ecologica nel settore marittimo, la sostenibilità della Blue Economy in Libia, a testimonianza della copertura a 360° del Mare nostrum in tutte le sue possibili accezioni.
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Nella giornata inaugurale del salone Seafuture è stato presentato il modello 1:1 del nuovo sistema missilistico antinave a lunga portata con capacità d’attacco terrestre Teseo Mk 2/E, alla presenza del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini e del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone (autore).
Presentato il sistema MBDA Teseo Mk2/E Con una cerimonia tenutasi presso lo stand del gruppo MBDA al salone Seafuture presso l’arsenale della Spezia, è stato presentato il modello 1:1 del nuovo missile antinave Teseo Mk2/E. L’evento ha visto la partecipazione del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, che ha provveduto a scoprire il modello, unitamente al Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e all’ing. Lorenzo Mariani, direttore esecutivo, vendite e Business Development del Gruppo e amministratore delegato MBDA Italia. Per soddisfare i requisiti della Marina Militare italiana, MBDA Italia ha concepito un nuovo sistema d’arma antinave a lungo raggio con capacità d’attacco contro obiettivi terrestri, caratterizzato da una cellula e superficie di controllo con disegno atto a ridurne la segnatura radar, sistema propulsivo efficiente con booster coassiale (anziché ai lati della cellula) che secondo quanto riportato da MBDA, è in grado di assicurare una portata di oltre 350 km a bassissima quota. Il nuovo missile è dotato di un sistema di guida avanzato a doppio seeker (radiofrequenza ed elettro-ottico) e una testata scalabile all’avanguardia per ridurre gli eventuali danni collaterali, che sfrutta un avanzato sistema di pianificazione della missione, con un completo controllo e aggiornamento in volo grazie a un sistema data link a due vie. Il sistema di guida comprende un nuovo seeker RF e un sistema laser semiattivo che consente di ottenere una precisione chirurgica grazie alla designazione del bersaglio da terra o piattaforme aeree. MBDA ha ricevuto un contratto alla fine di novem-
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bre 2020, che secondo quanto risulta dalla presentazione del programma davanti alle Commissioni difesa dei due rami del parlamento, comprende la progettazione, lo sviluppo, il collaudo, la qualificazione e l’industrializzazione del nuovo sistema d’arma come parte della prima fase del programma. Basandosi sulla famiglia di missili antinave Teseo con capacità di attacco terrestre, conosciuti in tutto il mondo come Otomat, insieme agli sviluppi tecnologici presenti e futuri, il nuovo missile è in fase di sviluppo, e in futuro sarà prodotto, da MBDA Italia presso il suo centro di eccellenza dei sistemi d’arma navali alla Spezia, che in passato ha dato vita e supporto alle famiglie di missili Otomat, Marte Mk2 e più recentemente Marte ER. Le altre due sedi di MBDA Italia, Roma e Fusaro, sono coinvolte nello sviluppo del sistema di guida e dell’elettronica.
INTERNAZIONALE OCEAN 2020: un successo anche la seconda sperimentazione Il più grande progetto europeo di ricerca militare per la sicurezza marittima, guidato da Leonardo, ha portato a termine con successo l’esecuzione della seconda esercitazione navale che si è svolta il 25 e 26 agosto scorso, nella baia di Hano al largo della costa meridionale della Svezia e che ha visto la partecipazione di industrie, istituti di ricerca e ministeri della Difesa provenienti da dieci paesi europei. L’esercitazione navale ha avuto lo scopo di dimostrare come le informazioni raccolte dai diversi sistemi schierati nell’area delle operazioni possano essere integrate per costruire la RMP (Recognized Maritime Picture). La seconda esercitazione ha visto il coinvolgimento di ben dodici sistemi unmanned aerei, di superficie e subacquei: «SW-4 Solo» (Leonardo), «Patroller» (Safran), «Cobra» (Bluebear), «Sea Raider» (TNO), «Water Strider» (IOSB), «Enforcer III» (Saab), «Piraya» (Saab), «DeDAve» (IOSB), «Oceanscan» (TNO), «Biondo» (CMRE), «Sea Wasp» (Saab) and «Gavia» (GMV Portugal), in aggiunta a un velivolo equipaggiato con un radar avionico di nuova generazione (Hensoldt). Inoltre, sono state impiegate quattro unità navali, rappresentate dall’unità di supporto svedese Pelikanen (A 247) con il controllo degli unmanned «Piraya» e «Biondo»; il pattugliatore Lituano Žemaitis (P 11) che ha sfruttato il Command Management System (CMS)
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«Athena-C» di Leonardo e dispiegato una squadra di Forze speciali con un RHIB; l’unità da ricerca tedesca Planet, che ha operato un C2 sperimentale e controllato gli unmanned «Water Strider» e «DeDAve»; il cacciamine polacco Czajka, che ha operato un ROV e dispiegato un team subacqueo della Marina portoghese con l’unmanned «Gavia». Alla dimostrazione hanno preso parte anche due Centri di Comando: l’EU-MOC (Maritime Operation Centre) prototipico a livello operativo a Bruxelles e il CTG (Commander Task Group) a livello tattico sul Baltico. In continuità con l’esperienza maturata durante la prima esercitazione, guidata da Leonardo, nel Golfo di Taranto, la seconda demo si è basata sull’esecuzione di due scenari, rappresentati rispettivamente dalla sorveglianza, interdizione e ingaggio di più minacce di superficie, e dall’identificazione di attività ostili subacquee e rilevamento di Forze speciali nemiche in aree costiere. Entrambi gli scenari hanno consentito di verificare una serie di obiettivi, tra cui lancio e recupero di sistemi unmanned di superficie da bordo nave, autonomia di questi sistemi, integrazione tra sistemi non pilotati e CMS (Combat Management System), integrazione e rappresentazione dei dati da UxS tramite i CMS e trasmissione all’EUMOC (Maritime Operation Centre), come pure l’utilizzo di immagini satellitari da COSMO-SkyMed per aumentare la situational awareness.
QATAR Varata la terza corvetta classe «Al Zubarah» Con una cerimonia tenutasi presso lo stabilimento di Muggiano (La Spezia) il 30 settembre, è stato celebrato il varo tecnico della terza unità della classe di corvette «Al Zubarah», commissionate a Fincantieri dal ministero della Difesa del Qatar nell’ambito del programma di acquisizione navale nazionale siglato nel 2016. Si tratta della corvetta Khor (F 103), di cui è prevista la consegna nel 2022. Alla cerimonia, svoltasi in formato ristretto e nel pieno rispetto delle prescrizioni anti-Covid, hanno partecipato lo Staff Brigadier General Abdulla Ali Al-Mazroey, vice comandante della Qatar Emiri Navy e comandante della Qatar Emiri Navy Flotilla, l’ammiraglio di divisione Giorgio Lazio, allora Comandante Marittimo Nord, e Marco Acca, vice direttore generale della Divisione navi militari di Fincantieri.
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Consegna della prima unità addestrativa classe «Al Doha» … I cantieri Anadolu del gruppo turco ADIK (Tuzla, Bosnia-Erzegovina) hanno consegnato alle Qatar Emiri Naval Forces (QENF) l’unità per l’addestramento Al Doha (QTS 91). La seconda unità battezzata Al Shamal (QTS 92) e varata nel dicembre 2020, è previsto venga consegnata nel 2022.
… varo del nuovo LCT Fuwairit (QL 80) Con una cerimonia tenutasi il 25 settembre presso i medesimi cantieri di Anadolu è stato varato l’LCT Fuwairit (QL-80), ordinato insieme ad altre unità nel settembre 2020. L’anno scorso, Anadolu Shipyard e Barzan Holdings hanno firmato un contratto per la costruzione di mezzi di sbarco per soddisfare le richieste della Marina Militare del Qatar. Il cantiere navale Anadolu sta completando l’LCT (Landing Craft Tank) e ha in costruzione due LCM (Landing Craft Mechanized) da 40 metri e un LCVP (Landing Craft Vehicle & Personnel) da 15,7 metri secondo i termini del contratto. Con una lunghezza complessiva di 80 metri e una larghezza di 11,7 metri, un dislocamento di circa 1.150 t, l’unità da sbarco e trasporto mezzi pesanti presenta un sistema propulsivo con due motori diesel MTU «16V4000 M70» collegati ad altrettanti assi e capaci d’imprimere una velocità massima di oltre 20 nodi (18 nodi a pieno carico). Con un equipaggio e capacità di trasporto di 25 persone, l’LCT dispone di ponte per veicoli di 400 m2, che consente di accogliere fino a tre carri armati pesanti, oltre a veicoli militari di vario tipo e dimensioni, o 260 soldati completamente equipaggiati. Il mezzo da barco e trasporto sarà armato con due cannoni da 30 mm e due complessi a controllo remoto «STAMP» da 12,7 mm, entrambi prodotti dal gruppo Aselsan. La dotazione elettronica comprende un sistema elettro-ottico, un radar di navigazione dotato di WECDIS e sistemi di comunicazione. Con un’autonomia di oltre 1.500 miglia nautiche, l’LCT Fuwairit può rimanere in mare fino a 7 giorni senza rifornimento.
RUSSIA Impostazione del nono cacciamine classe «Alexandrit» … Il Capo di Stato Maggiore della Marina della Federazione Russa, ammiraglio Nikolai Yevmenov, ha
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preso parte presso i cantieri Sredne-Nevsky alla cerimonia d’impostazione del cacciamine Afanasy Ivannikov, nono esemplare della classe «Alexandrit». Secondo quanto dichiarato dall’Ammiraglio, la Marina russa intende acquistare ulteriori 10 unità della classe «Progetto 12700».
… varo della corvetta Askold … Il cantiere Zaliv di Kerch in Crimea ha messo in acqua la corvetta Askold della classe «Karakurt» o «Progetto 22800». Si tratta della seconda unità della classe costruita dai cantieri Zaliv di Kerch, di cui la prima la corvetta Tsiklon è stata varata la scorsa estate e sta attualmente conducendo prove a mare a Novorossijsk, mentre la terza battezzata Amur è in corso di costruzione. Risultano già in servizio tre unità della classe: Mytishchi, Sovetsk e Odintsovo, tutte e tre in servizio con la Flotta del Baltico. Secondo quanto di-
I cantieri Zaliv di Kerch in Crimea hanno varato la corvetta ASKOLD della classe «Karakurt» o «Progetto 22800», seconda unità della classe a essere realizzata per la Flotta del Mar Nero della Marina russa (Zaliv shipyard).
vulgato, si prevede di costruire ben 18 unità della classe, che saranno divise equamente, secondo l’agenzia TASS, tra le flotte del Pacifico, Baltico e Mar Nero.
… impostazione della corvetta Bravy La sesta e ultima corvetta della classe «Steregushchy» o «Progetto 20380» è stata imposta presso i cantieri Amur, nel Pacifico, il 29 settembre. Si tratta della corvetta Bravy, che andrà a ingrossare le fila della Flotta del Pacifico che già dispone di tre corvette del medesimo «Progetto 20380», vale a dire le unità Sovershenniy, Gromkiy e
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Aldar Tsydenzhapov. La quarta unità della classe, battezzata Rezkiy, entrerà a far parte della medesima flotta quest’anno. Nel 2024 dovrebbe entrare in servizio la corvetta Grozniy. Entro il 2028, la Flotta del Pacifico disporrà di sei corvette «Progetto 20380» e sei «Progetto 20385».
STATI UNITI L’US Navy crea il Task Group Greyhound (TGG) Al fine di mantenere un elevato standard operativo nel settore della lotta antisom condotta da unità di superficie contro minacce subacquee russe e assicurare assetti in grado di operare con continuità in caso di necessità, l’US Navy ha creato il Task Group Greyhound e ha assegnato al medesimo i primi due caccia lanciamissili classe «Arleigh Burke»: il Thomas Hudner (DDG 116) e il Donald Cook (DDG 75). Affrontare la considerevole minaccia subacquea proveniente dalla flotta russa richiede attenzione, monitoraggio continuo e un approccio di squadra alla guerra sottomarina. L’iniziativa TGG garantirà che i designati caccia della costa orientale rimangano post-dispiegamento in una fase di sostegno estesa a rotazione con altre unità. Ciò sarà supportato da attività manutentive ad hoc e certificazioni di prontezza sostenuta, il tutto per incrementare la difesa contro minacce subacquee al territorio americano.
Prove di cantiere completate per il caccia Lyndon B. Johnson (DDG 1002) I cantieri General Dy Dynamics Bath Iron Works e l’US Navy hanno completato con successo le prove di cantiere in banchina e in mare del caccia Lyndon B. Johnson (DDG 1002) classe «Zumwalt». A seguito del completamento di queste ultime e la positiva verifica della funzionalità dei sistemi di piattaforma elettrici e meccanici, il cantiere completerà l’installazione del sistema di combattimento e la sua attivazione.
Completamento della fase IOT&E per il programma UISS Il Program Executive Office for Unmanned and Small Combatants (PEO USC) ha completato l’Initial Operational Test and Evaluation (IOT&E) per il programma Unmanned Influence Sweep System (UISS) a bordo della LCS Manchester (LCS 14) al largo della costa della California. L’attività IOT&E, condotta a
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maggio e giugno, ha incluso missioni di sminamento end-to-end contro bersagli simulati e ha dimostrato la sostenibilità e l’integrazione dell’UISS con la piattaforma LCS. Il team IOT&E ha condotto il lancio e il recupero in banchina e in navigazione, dimostrazioni di manutenibilità ed esecuzione di missioni end-to-end a sostegno della capacità operativa iniziale (IOC) del sistema a favore della flotta. Progettato come parte del pacchetto di missioni di contromisure contro le mine delle unità LCS, l’UISS consiste in un veicolo di superficie senza equipaggio per le contromisure delle mine (MCM USV) e un carico utile trainato designato al dragaggio per influenza di mine magnetiche, acustiche e magnetiche/acustiche. L’UISS può essere operato anche da navi di opportunità o da terra. In attesa dell’analisi dei dati e verifica dell’efficacia e idoneità operativa, la fase successiva porterà l’UISS al raggiungimento della capacità operativa iniziale.
Rifornimento in volo di F-35C con drone tanker MQ-25 Stingray L’US Navy e Boeing hanno utilizzato con successo il primo prototipo («T1») del drone tanker «MQ-25» Stingray per rifornire per la prima volta un velivolo combattimento «F-35C Lightning II», dimostrando ancora una volta la capacità del velivolo di assolvere alla sua principale missione, dopo che in poco di più di tre mesi, il drone ha rifornito un «F/A18 Super Hornet» a giugno, un «E-2D Hawkeye» ad agosto e infine l’«F-35C» a settembre. Questo volo è stato l’ennesima dimostrazione fisica della maturità e della stabilità del design dell’aereo «MQ-25» Stingray. Il programma di test di volo «T1» è iniziato a settembre 2019 con il primo volo del velivolo. Nei due anni successivi, il programma di test ha completato più di 120 ore di volo, raccogliendo dati su tutto, dalle prestazioni dell’aeromobile alle dinamiche di propulsione, ai carichi strutturali e ai test di flutter per resistenza e stabilità. Boeing sta attualmente producendo i primi due velivoli di prova «MQ-25» Stingray. Il velivolo «T1» sarà utilizzato per condurre una dimostrazione di movimentazione sul ponte a bordo di una portaerei della US Navy nei prossimi mesi, per aiutare a far avanzare i progressi d’integrazione con la piattaforma navale.
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Accettazione del primo «F/A-18F Super Hornet Block III»
UCRAINA Nuove sei motovedette «Mark VI»
L’US Navy ha accettato la consegna del primo velivolo «F/A-18F Super Hornet Block III0 di nuova produzione, il 31 agosto. Il primo dei 78 nuovi «Super Hornet» costruiti da Boeing è stato trasferito al Test and Evaluation Squadron (VX) 23 presso la Naval Air Station Patuxent River, nel Maryland, per continuare i test di sviluppo. I prossimi nuovi velivoli di produzione verranno assegnati al VX-9, presso la Naval Air Weapons Station (NAWS) China Lake, in California, per iniziare l’addestramento per i test operativi, durante i quali il velivolo sarà sottoposto a valutazione in scenari che imitano le missioni operative. Da quando sono stati consegnati i velivoli appartenenti al «Block III» per attività di test, la scorsa estate, alle unità di volo VX-23 e VX-31 presso il NAWS di China Lake, è stata messa alla prova l’ultima configurazione del caccia multiruolo. Quest’ultimo ha completato con successo i test di idoneità all’imbarco ed è ora in corso una valutazione completa dei nuovi componenti del sistema di missione «Block III». Il VX-23 ha condotto test di vibrazione, vibrazione e rollio, che imitano l’ambiente della portaerei per garantire che l’aereo e ogni nuovo sistema installato possano resistere alle intense sollecitazioni del lancio assistito da catapulta e di un atterraggio con gancio d’arresto. NAVAIR ha completato con successo queste attività a gennaio. I test di sviluppo e operativi continueranno fino all’inizio dell’estate del prossimo anno. Boeing ha un contratto iniziale per la consegna di due velivoli «F/A-18F Block III» al mese, fino alla fine dell’anno 2024.
Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha annunciato che il 30 settembre, l’US Naval Sea Systems Command (NAVSEA) ha assegnato ai cantieri SAFE Boats International un contratto da 84 milioni di dollari per la consegna di ulteriori sei motovedette «Mark VI», con un’opzione per altre due. Secondo il Pentagono, questo contratto copre la progettazione di dettaglio, la costruzione, l’allestimento, la riattivazione e l’addestramento per sei motovedette (PB) «Mark VI» («Mk VI»), con un’opzione per altre due. Questo contratto segue quello iniziale di 19 milioni di dollari statunitensi assegnato nel gennaio di quest’anno per lanciare la produzione delle prime due motovedette ucraine tipo «Mk VI». Nel giugno 2020, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha approvato una possibile vendita FMS (Foreign Military Sales) al governo dell’Ucraina di un massimo di 16 motovedette «Mark VI» e relative attrezzature annue per un costo stimato di 600 milioni di dollari.
Taglio lamiera per il terzo OPC I cantieri Eastern Shipbuilding Group e l’US Coast Guard hanno celebrato il taglio della prima lamiera del terzo OPC (Offshore Patrol Cutter). L’unità capoclasse Argus ha quasi finito di essere completata e sta rispettando il budget e le tempistiche del programma mentre la seconda unità è stata impostata lo scorso maggio, e i primi materiali e componenti per la quarta unità sono stati ordinati. Il cantiere sta investendo in nuove infrastrutture, miglioramenti ed equipaggiamenti nonché in un centro d’integrazione per la suite di missione imbarcata, affinché possa varare e consegnare due OPC ogni anno.
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Impostazione della prima corvetta classe «Ada» Con una cerimonia tenutasi l’8 settembre presso i cantieri di Istanbul del gruppo RMK Marine alla presenza di una delegazione del ministero della Difesa ucraino capitanato dal Capo di Stato Maggiore della Marina ucraina, l’ammiraglio Oleksiy Neizhpapa, è stata impostata la chiglia della prima di quattro corvette classe «Ada» destinata al paese che si affaccia sul Mar Nero. Secondo quanto dichiarato dal ministero della Difesa ucraino, l’unità capoclasse in costruzione è previsto che venga consegnata nel 2022, per entrare in servizio con la Marina locale nel 2024. Secondo l’accordo di cooperazione militare siglato fra l’Ucraina e la Turchia nell’ottobre 2020, fra i diversi programmi di fornitura da parte dell’industria turca è prevista la costruzione ed equipaggiamento di almeno due corvette classe «Ada» di cui la capoclasse, da costruire e consegnare da parte dei cantieri turchi, mentre le rimanenti sono destinate a essere costruite presso i cantieri ucraini Okean. Luca Peruzzi
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S CIENZA I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Francesco Rotundi In questa Rivista abbiamo dedicato una serie di articoli ai grandi tecnici e scienziati della Marina Militare, esaminando in particolare le figure di Benedetto Brin, Giancarlo Vallauri, Giuseppe Rota, Domenico Chiodo, Umberto Pugliese, Vittorio Cuniberti, Edoardo Masdea, Ugo Tiberio, Gian Battista Magnaghi, Umberto Cagni, Angelo Scribanti e Gioacchino Russo. Tratteremo ora del generale del Genio Navale Francesco Rotundi (Foggia, 10 luglio 1885-Roma, 25 ottobre 1945), brillante e poliedrico ingegnere navale ricordato principalmente come autore del progetto della nave scuola Amerigo Vespucci e del rimodernamento delle corazzate classe «Cavour» e classe «Doria». Come Rota, Pugliese, Cuniberti, Masdea, Russo e molti altri che hanno lasciato importanti tracce nella storia dell’ingegneria navale italiana (tra cui meritano di essere citati quantomeno Giacinto Pullino, Edgardo Ferrati, Alessandro Guidoni, Cesare Laurenti e Filippo Bonfiglietti), Rotundi si Il generale del Genio Navale Francesco formò dal punto di vista Rotundi (Foggia 1885-Roma 1945) professionale all’interno (wikipedia.it). del Comitato per i Progetti delle Navi, fondato nel 1880 su impulso di Benedetto Brin, e sopravvissuto per oltre un secolo, pur con diversi cambiamenti di nome; nel suo ambito sono nati i progetti delle principali unità della Regia Marina e della Marina Militare, fino al 1994, quando il Comitato inteso come struttura permanente dove venivano sviluppati i
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T ECNICA progetti delle navi della Marina è stato, di fatto, soppresso, e le sue principali funzioni trasferite allo Stato Maggiore della Marina. Francesco Rotundi nacque a Foggia il 10 luglio del 1885, figlio di Leonardo e Carmelina, secondogenito di tre fratelli e due sorelle, e compì i primi studi rivelando da giovanissimo la sua predilezione per le scienze matematiche. A quindici anni si iscrisse alla Sezione FisicoMatematica del locale Istituto Tecnico «Pietro Giannone» e, secondo un aneddoto, maturò l’idea e la speranza di diventare progettista di navi durante una gita scolastica a Manfredonia per visitare le navi da guerra ancorate in quel porto. Dopo aver conseguito il diploma, nel 1906 fu chiamato a prestare servizio di leva nella Regia Marina, venendo subito posto in congedo per completare gli studi. Iscrittosi alla Scuola Superiore Navale di Genova, si laureò in ingegneria navale e meccanica nel novembre 1908. Subito dopo, superato il concorso per ufficiali del Genio Navale, entrò in servizio con il grado di tenente. Il capo del Corpo del Genio Navale era, all’epoca, il tenente generale Edoardo Masdea, che svolgeva anche l’incarico di Presidente del Comitato Progetti Navi e che firmò il progetto originale delle corazzate classe «Conte di Cavour». Il suo primo incarico fu presso la Direzione delle costruzioni navali dell’Arsenale di Venezia, dove fu promosso capitano, rimanendovi fino al 1912, quando fu trasferito alla Direzione delle costruzioni navali dell’Arsenale di Taranto, per imbarcarsi sulla nave officina Vulcano in qualità di dirigente lavori. Trasferito alla Direzione delle costruzioni navali dell’Arsenale di Napoli nel 1913, si distinse subito durante le operazioni di salvataggio, e successivo recupero, dell’incrociatore corazzato San Giorgio che si era incagliato nei pressi di Messina. Nel tardo pomeriggio del 21 novembre l’incrociatore, al comando del capitano di vascello Adolfo Cacace, battente l’insegna del comandante della 2a Divisione navale, contrammiraglio Umberto Cagni, in trasferimento da Reggio Calabria a Napoli, per errore di navigazione si incagliò sulla spiaggia di S. Agata Militello (Messina). Venne liberato dalla presa del fondo con l’aiuto di cilindri di spinta inviati da Napoli, e il 10 dicembre entrò a Messina con i propri mezzi. Sull’incidente venne aperta un’inchiesta ministeriale che porterà dap-
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Monumento dedicato nel 1955 a Francesco Rotundi, ubicato nella villa comunale di Foggia (g.c. Centro cultura del mare di Manfredonia). Accanto: il logo dell’Istituto nautico «Francesco Rotundi» di Manfredonia.
prima alla sospensione, e quindi alla riabilitazione dell’ammiraglio Cagni, personaggio molto discusso, di grandissimo valore, ma dal non facile carattere. Il ruolo del capitano Rotundi, negli studi e nelle operazioni per il rigalleggiamento del San Giorgio, venne apprezzato dai vertici del Corpo del Genio Navale e gli valse la convocazione nel Comitato Progetti Navi, presso il Ministero della Marina, Comitato al quale fu assegnato nel novembre 1914, e dove svolse una importante parte della sua carriera, ricoprendo in successione ruoli di addetto all’ufficio tecnico, ufficiale superiore, e segretario. All’arrivo di Rotundi, nel 1914, il Presidente del Comitato era il tenente generale Giuseppe Valsecchi, che aveva firmato il progetto delle corazzate classe «Duilio», in gran parte basato
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su quello delle analoghe unità classe «Conte di Cavour». La sua carriera militare proseguì brillantemente, venne nominato maggiore nel 1918, tenente colonnello nel 1924, colonnello nel 1931, maggiore generale nel 1934 e tenente generale nel 1938. Nei primi anni Venti, Rotundi fu autore del progetto delle navi posamine classe «Ostia» o classe «Legnano» (vedi Riquadro sui posamine). Successivamente (1925-26) stese il progetto della nave scuola Cristoforo Colombo, cui seguirà la Amerigo Vespucci, molto simile, ma non gemella (vedi Riquadro sulle navi scuola). Nel 1926 Rotundi fu assegnato per un breve periodo, in qualità di vicedirettore, al cantiere navale di Castellammare di Stabia, dove furono costruiti sia il Colombo che il Vespucci. Rientrato a Roma, venne incaricato nel 1932 di coordinare il programma di rinnovamento delle navi da battaglia, che comprese il rimodernamento delle due corazzate classe «Cavour» e delle due classe «Duilio», e la costruzione delle quattro corazzate classe «Littorio» (o classe «Vittorio Veneto»); in Italia non si costruivano navi corazzate da circa vent’anni, e il programma coinvolse numerosi cantieri. Secondo quanto riporta il necrologio del generale Rotundi pubblicato sulla Rivista Marittima di ottobre 1945: «L’incarico, durato quasi dieci anni, fu assolto in maniera superba, e la magnifica opera — circa 250.000 tonnellate di corazzate — fu portata a termine con pieno successo, con una celerità e una efficienza veramente notevoli». Oltre a svolgere questo lavoro di coordinamento, Rotundi firmò in prima persona il progetto di ricostruzione delle navi da battaglia classe «Conte di Cavour» e classe «Caio Duilio» (vedi Riquadri sulle corazzate rimodernate), sulle quali si imbarcò per un breve periodo durante le prove e i collaudi in mare, e collaborò con il generale Pugliese per la stesura dei progetti finali della nuove unità classe «Littorio». Dopo l’attacco notturno sulla rada di Taranto avvenuto il 12 novembre 1940, che portò al danneggiamento di tre navi da battaglia della Regia Marina, la Littorio, la Caio Duilio e la Cavour, partecipò ai lavori
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La cannoniera persiana BABR, costruita nel 1931 nei cantieri di Palermo assieme alla gemella PALANG; il progetto di queste unità era derivato da quello dei posamine classe «Ostia» (Almanacco Navale 1941). In alto: vista esterna del posamine OSTIA nel 1927 (Almanacco storico delle navi militari italiane 1861-1996). Al centro: sopra, il posamine MILAZZO, della classe «Ostia», progettata da Francesco Rotundi (Almanacco Navale 1938); in basso, la nave SIEN NING della Marina della Cina nazionalista, ex posamine italiano LEPANTO della classe «Ostia» (Jane’s Fighting Ships 1953-54).
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di recupero delle unità, occupandosi in particolare della Caio Duilio, coadiuvato dal tenente colonnello (GN) Eugenio Andri, già distintosi nel recupero della Leonardo da Vinci affondata nel porto di Taranto durante la Prima guerra mondiale (del recupero della Littorio si occupò il generale Pugliese, coadiuvato dal maggiore (GN) Franco Spinelli, e il recupero della Cavour venne rimandato, date le condizioni peggiori di questa unità, completamente affondata); grazie all’opera di Rotundi e Andri la Caio Duilio in soli due mesi fu recuperata e messa in condizioni di raggiungere con i propri mezzi e a una buona velocità (secondo Andri la velocità media reale fu di 15,7 nodi) il porto di Genova, dove venne immessa in bacino per le riparazioni definitive. Per il recupero, avendo la nave, che era ancora galleggiante, seppur molto appruata, una grossa falla nella zona di prora, venne fatto costruire presso i cantieri Tosi di Taranto un «tampone», cioè una struttura metallica cellulare da applicare alla nave ancora in galleggiamento; infatti l’unico bacino di dimensioni sufficienti a ospitare una corazzata disponibile nell’Arsenale di Taranto era stato destinato alle operazioni di recupero della Littorio. Nel corso del 1943, il generale Rotundi fu distaccato presso il ministero delle Comunicazioni e della Marina Mercantile, e all’atto della firma dell’armistizio dell’8 settembre si trovava presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico di Trieste come consigliere delegato. Rifiutò subito ogni tipo di collaborazione con le autorità della neocostituita Repubblica Sociale
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Dall’alto verso il basso: il varo della nave scuola CRISTOFORO COLOMBO avvenuto il 24 aprile 1928 nel cantiere di Castellamare di Stabia, dove Francesco Rotundi ricoprì l’incarico di vicedirettore; le navi scuola CRISTOFORO COLOMBO (a destra) e AMERIGO VESPUCCI (Notiziario della Marina febbraio 2019); il varo della nave scuola AMERIGO VESPUCCI avvenuto il 22 febbraio 1931 nel cantiere di Castellamare di Stabia (Notiziario della Marina febbraio 2018); vista esterna e dall’alto delle corazzate classe «Cavour» prima (in alto) e dopo (in basso) il rimodernamento del 1933-37 (wikipedia.it).
Italiana, e ritornò a Roma, stabilendovi la sua residenza. Subito dopo la liberazione della città riprese servizio attivo al ministero della Marina, dove rimase fino alla data della sua morte, avvenuta a Roma per malattia, il 25 ottobre 1945, a soli 60 anni. Sul numero di ottobre-novembre 1945 della Rivista Marittima fu pubblicato il suo necrologio, nel quale è riportato che: «Purtroppo i fatali eventi della Patria e la immatura fine del Generale ROTUNDI sconvolsero le previsioni che Egli potesse raggiungere il più alto grado come tutti avrebbero desiderato» e che: «La Marina ha perso nel Generale Rotundi un tecnico geniale, un uomo di cuore e un intelligente studioso dei più delicati e importanti problemi di costruzione navale». Fu insignito delle onorificenze di Commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e di Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia. Nel 1946 le sue spoglie mortali furono traslate da Roma nella tomba di famiglia, nel cimitero di Foggia. Il 6 marzo 1949 la città di Foggia promosse una manifestazione per onorarne la memoria, e nella Chiesa di Gesù e Maria, officiato dal Provinciale dei Frati Minori, fu celebrato un solenne rito funebre. Il 1° novembre 1955 nella villa comunale ebbe luogo lo scoprimento di un busto eretto in onore del generale Rotundi. Il 4 agosto 1955 la Giunta comunale della città di Manfredonia votò all’unanimità la proposta del sindaco commendator Brigida di intitolargli l’edificio della locale Scuola Professionale Marittima, poi Istituto Tecnico Nautico «Gen. Francesco Rotundi», nato nel 1959 con due indirizzi di specializzazione, capitano di Coperta e capitano di Macchine. Dal 1° settembre 2010, con la riforma Gelmini, il percorso dell’Istituto Tecnico Nautico è confluito nel settore tecnologico attivando gli indirizzi «Trasporti e Logistica» — Articolazione: «Conduzione del Mezzo» — Opzione «Conduzione del Mezzo Navale» e Opzione «Conduzione Apparati e Impianti Marittimi». Claudio Boccalatte
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Le navi scuola Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci Cristoforo Colombo Regio Cantiere Castellammare di Stabia, 1926-28; Dislocamento: 2.790 t; Dimensioni: lunghezza al galleggiamento: m 66,75 — Lunghezza massima: m 78,3 — larghezza: m 14,85 — immersione m 5,63; Armamento: 4 cannoni da 76/40 — 2 mitragliatrici aa; Apparato motore: diesel elettrico — 1.600 HP — 2 eliche coassiali; Velocità: 10 nodi. Amerigo Vespucci Regio Cantiere Castellammare di Stabia, 1930-31; Dislocamento: 3.545 t; Dimensioni: lunghezza al galleggiamento: m 70 — lunghezza massima: m 82,38 — larghezza: m 15,54 — Immersione media: m 6.3; Armamento: 4 cannoni da 76/40 — 2 mitragliatrici aa; Apparato motore: diesel elettrico 1.900 HP — 1 elica; Velocità: nodi 10,5. Nei primi decenni del Novecento la Marina italiana era dotata delle navi scuola Amerigo Vespucci e Flavio Gioia, ex incrociatori costruiti nella seconda metà del XIX secolo. Quando si trattò di sostituire le due navi ormai vicine alla radiazione (il Flavio Gioia fu radiato nel 1920, il primo Amerigo Vespucci nel 1928), lo Stato Maggiore della Marina si trovò a dover decidere fra la navigazione a vela o a motore come primo contatto degli allievi ufficiali con il mare; la prima alternativa si impose sia per la specifica padronanza degli elementi naturali che consegue dalla sua pratica sia per lo sforzo fisico a contatto con la natura che esso impone. Non essendo all’epoca più disponibili navi a vela di grandi dimensioni da trasformare, si dovette ricorrere alla progettazione e costruzione di nuove unità. Così nel 1925 venne approvato un progetto di nave a vela con propulsione ausiliaria elaborato dal tenente colonnello del Genio Navale Francesco Rotundi e nacque il Cristoforo Colombo che venne varato nell’aprile del 1928. A questa unità fece seguito l’Amerigo Vespucci, impostato anch’esso a Castellammare di Stabia nel maggio del 1930 e varato nel febbraio del 1931. Il progetto del Vespucci venne derivato da quello del Colombo, maggiorandone le dimensioni con un rapporto di scala di 1,05. Il progetto di queste navi si ispirò, nelle forme esterne e nella dotazione velica, a quello del vascello Re Galantuomo, imponente unità della Marina italiana, già Monarca della Marina borbonica, progettato dal direttore delle costruzioni navali napoletano Felice Sabatelli, costruito a Castellamare di Stabia tra il 1846 e il 1852, dotato nel 1858 di apparato motore a vapore, incorporato nel 1860 nella Marina sabauda e nel 1861 nella Marina italiana con il nuovo nome che alludeva al primo Re d’Italia, Vittorio Emanuele II. Le caratteristiche strisce bianche e nere delle fiancate delle navi scuola rimandano alle fiancate del vascello, dove le linee bianche erano quelle in corrispondenza dei ponti di batteria e dove erano presenti i portelli dei cannoni. Ma, a parte l’aspetto esterno, Colombo e Vespucci erano navi per alcuni aspetti all’avanguardia; erano le prime unità militari italiane dotate di apparato motore diesel-elettrico in corrente continua. In particolare, il sistema di propulsione ausiliario (il sistema di propulsione principale sono le vele) di cui era dotata nave Vespucci alla consegna nel 1931, era basato su di un impianto elettrico per la propulsione con un motore elettrico e due dinamo trascinate da due motori diesel a 2 tempi e 6 cilindri tipo FIAT Q 426, e un impianto elettrico per i servizi di bordo in corrente continua a 110 V separato dal sistema di propulsione e alimentato da altre due dinamo. La scelta di dotare il Vespucci di un sistema di propulsione elettrico in corrente continua era stata fatta per consentire, in caso di necessità, di impiegare la nave come stazione galleggiante per la ricarica delle batterie dei sommergibili; sembra che, in effetti, nel corso della Seconda guerra mondiale ci si sia avvalsi di questa capacità. Il sistema di regolazione dei giri dell’unico asse elica di cui è dotato il Vespucci era basato sulla variazione della tensione tramite complessi e delicati sistemi elettromeccanici tipo Ward-Leonard, lo stesso impiegato sulla New Mexico e sulle altre corazzate dell’US Navy, dotate di propulsione elettrica. Ricordiamo che per variare la velocità di un motore in corrente continua occorre variare la tensione; il sistema Ward-Leonard varia la tensione della corrente prodotta da una dinamo di potenza modificando, con l’impiego di resistenze variabili, la corrente di eccitazione, corrente prodotta da una seconda dinamo più piccola che genera il campo elettrico che «eccita» la dinamo principale. Il Colombo aveva un impianto della stessa tipologia, ma con componenti diversi; per esempio aveva due motori elettrici di propulsione su due assi coassiali (uno interno all’altro) che muovevano due eliche a due pale contro rotanti. Il Vespucci è dunque di maggiori dimensioni del Colombo, essendo destinato a effettuare le campagne navali con gli allievi della 1a classe, un corso ancora in parte da sfoltire. L’armamento velico (tre alberi a vele quadre) è quello che si definisce del tipo «nave attrezzata a nave», con bompresso e tre alberi a vele quadre (trinchetto, maestra e mezzana), lo scafo è diviso su tre ponti (coperta, batteria, corridoio) e ha due sovrastrutture alle estremità (castello a prua e cassero a poppa). Le due navi andarono a costituire, nel 1931, la Divisione Navi Scuola ed effettuarono diverse serie di Campagne di istruzione. All’atto dell’armistizio, le due unità che si trovavano a Venezia, raggiunsero Brindisi. Nel dopoguerra, in ottemperanza alle clausole del trattato di pace firmato a Parigi, la Cristoforo Colombo venne ceduta all’Unione Sovietica, che la utilizzò nel Mar Nero fino al tragico incendio del 1963 che la distrusse. L’Amerigo Vespucci, invece, iniziò a costruire la sua storia leggendaria solcando i mari di tutto il pianeta, e svolge le sue funzioni di nave scuola nella Marina Militare. 124
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Scienza e Tecnica
Sezione longitudinale della nave scuola CRISTOFORO COLOMBO progettata da Francesco Rotundi (Notiziario della Marina febbraio 2019).
I posamine classe «Ostia» 6 unità: Ostia (Cantiere Navale Triestino, Monfalcone, 1925-26), Azio, Legnano, Lepanto, (tutti costruiti dal cantiere C.N.R., Ancona, 1925-27), Dardanelli e Milazzo (Cantiere Navale Triestino, Monfalcone, 1925-27, cedute nel 1938 al Venezuela); Dislocamento: standard 700 t — pieno carico 954 t — massimo con mine a bordo 1040 t); Dimensioni: lunghezza: m 62,55 — larghezza: m 8,7 — immersione: m 2,4; Armamento: 2 cannoni da 102/35 — 1 cannone da 76/40 — 2/4 mitragliatrici antiaeree — 80 mine; Apparato motore a vapore: 2 caldaie, 2 motrici alternative a triplice espansione — 1.500 HP — 2 eliche; Velocità : 15 nodi. Dopo la guerra del 1914-18 la Marina mise in programma la costituzione di un moderno nucleo di posamine capace di effettuare un esteso minamento protettivo dei litorali nazionali e di certi punti obbligati d’accesso, e di transito, quali per esempio il Canale d’Otranto, il Canale di Sicilia, il Mar Rosso. In quest’ottica, nel 1922 fu progettato dal colonnello (GN) De Vito un nuovo tipo di posamine, la classe «Fasana», realizzata in quattro unità costruite presso il Regio Cantiere di Castellammare di Stabia. Nel 1924 il tenente colonnello (GN) Rotundi, stese il progetto di un tipo di posamine con la possibilità di essere impiegati anche in altri ruoli, di poco meno di 1.000 tonnellate di dislocamento in carico massimo, con una velocità di 15 nodi e una notevole autonomia di oltre 4.000 miglia alla velocità di 10 nodi. Furono costruite 6 unità che costituirono la classe «Ostia»: Ostia, Azio, Dardanelli, Legnano, Lepanto, Milazzo, tutti nomi, eccetto Legnano, di fatti navali di tradizione italica. Le navi ebbero scafi in acciaio dolce Martin-Siemens e, per il loro speciale servizio in climi caldi, presentarono alcune particolarità quali: rivestimento in legno della coperta a prora e a poppa, isolamenti interni intesi a difendere le unità delle alte temperature, alloggiamenti aggiuntivi, ecc. L’apparato motore si componeva di due caldaie a tubi d’acqua, tipo Thornycroft, e da due motrici verticali a triplice espansione che agivano su due assi. Di timoni ve n’era uno di tipo non compensato. Imbarcando la dotazione di 80 mine, sistemate su due binari, per complessive 86,101 tonnellate, il dislocamento massimo raggiungeva le 1.039,696 tonnellate. I risultati delle prove di velocità furono positivi (velocità superiori ai 15 nodi di progetto), mentre i consumi si rivelarono più alti del previsto, e i posamine della classe «Ostia» non poterono mai fruire dell’autonomia di progetto: alla velocità di 15 nodi questa non superò mai le 1.500 miglia. Nel 1938, il Dardanelli e il Milazzo, dopo essere stati rimodernati nel 1937-38 presso i cantieri O.T.O. della Spezia, vennero acquistati dalla Marina del Venezuela che li impiegò come cannoniere, pur mantenendo la capacità posamine, denominandoli rispettivamente General Soublette e General Urdaneta. L’Ostia, destinato in Mar Rosso, fu autoaffondato a Massaua l’8 aprile 1941, il Lepanto, destinato in Oriente, venne autoaffondato a Shangai l’8 settembre 1943, fu poi recuperato dai giapponesi che lo chiamarono Okitsis e passò infine alla Cina nazionalista con il nome di Sien Ning. Il Legnano fu affondato per bombardamento aereo tedesco a Lero il 5 ottobre 1943, L’Azio, unica unità sopravvissuta alla guerra, fu trasformata nel 1946 in nave idrografica e venne radiata nel 1957. Dal progetto di questi posamine fu derivato quello delle cannoniere tipo «Babr» per la Marina della Persia, costruite nel 1931 presso i Cantieri Navali Riuniti di Palermo in 2 esemplari (Babr e Palang, che in lingua persiana significano rispettivamente pantera e tigre), aventi apparato motore diesel con motori Fiat per una potenza di 1.900 HP. Grazie alla loro duttilità d’impiego e alle buone qualità marine, gli «Ostia», nel corso della loro carriera, furono adibiti fruttuosamente in compiti di vario genere, come quelli di cannoniere, unità scorta, navi scuola, idrografiche, stazionarie, coloniali; prestarono onorevolmente servizio nelle Marine di 5 paesi (Italia, Venezuela, Giappone, Cina nazionalista e Persia) in 3 diversi continenti.
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Il rimodernamento delle navi da battaglia classe «Conte di Cavour» Conte di Cavour (costruzione: Arsenale della Spezia, 1910-15; rimodernata nel 1933-37 presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico, Trieste) radiazione: 27/02/1947. Giulio Cesare (costruzione: cantiere Ansaldo, Sestri Ponente, 1910-14; rimodernata nel 1933-1937 presso i Cantieri del Tirreno, Genova) radiazione: 15/12/1948. Dislocamento: normale: 28.800 t; p.c.: 29.100 t; Dimensioni: lunghezza fra pp. m 168,96; lunghezza al galleggiamento m 182; lunghezza fuori tutto m 186,4; larghezza m 28; immersione m 10,4; Armamento: 10 cannoni da 320/44, 12 da 120/50, 8 da 100/47, 8 da 37/54 e 12 da 20/65; Apparato motore: 2 gruppi turboriduttori Belluzzo — 2 eliche — 8 caldaie a nafta sub-verticali a tubi d’acqua tipo Yarrow con surriscaldatore — Potenza 93.000 HP; Velocità: 28 nodi; Combustibile: 2.500 t di nafta; Autonomia: 3.100 miglia a 20 nodi, 1.700 miglia a 24 nodi; Armamento 10-320/44; 12-120/50; 8-100/47; 8-37/54; 12-20/65; Protezione: galleggiamento (verticale): max. 250 mm; orizzontale max. 135 mm; artiglierie: torri g.c. max. 280 mm; basamenti torri g.c. max. 290 mm; torri m.c. max. 120 mm; torrione: max. 260 mm; Equipaggio: 36 ufficiali; 1.200 marinai e sottufficiali. Al termine della Prima guerra mondiale la Marina Militare aveva in servizio 5 corazzate monocalibro (dreadnought), la Dante Alighieri, due unità classe «Conte di Cavour» e due classe «Caio Duilio», oltre alla Leonardo da Vinci, pesantemente danneggiata da un’esplosione che ne aveva causato il capovolgimento, e alla super dreadnought Caracciolo, in avanzato stato di costruzione, prima di una classe che prevedeva la costruzione di 4 unità. Le difficoltà di bilancio portarono ad abbandonare i progetti di recuperare la Leonardo da Vinci e di completare la Caracciolo; nel 1928 venne radiata la Dante Alighieri, di caratteristiche oramai superate, e rimasero quindi in servizio le sole 2 corazzate classe «Cavour» e le due classe «Duilio». Più che per la loro reale efficienza bellica, queste unità furono mantenute per cercare di reggere un certo equilibrio con la Francia. Successivamente, quando, dopo il termine della «vacanza navale» degli anni Venti, furono messe in programma nuove unità presso altre Marine, in particolare le due corazzate veloci «Dunkerque» francesi, l’Italia decise di lanciare un programma per la costruzione di moderne unità corazzate da 35.000 tonnellate di dislocamento, armate con cannoni da 381 (la classe «Vittorio Veneto») e di rimodernare radicalmente le due «Cavour», onde ottenerne unità che non sfigurassero nel paragone con le «Dunkerque». Il progetto del rimodernamento delle «Cavour», elaborato dal generale Rotundi all’interno del Comitato Progetto Navi, era finalizzato al miglioramento della velocità, dell’armamento e della protezione, in particolare quella subacquea, delle due unità. Il rimodernamento fu radicale, probabilmente il più completo che sia stato mai effettuato per navi di linea. Solo il 40% circa della costruzione originale venne mantenuto. Per quanto riguarda l’armamento, venne sbarcata la torre centrale da 305 mm, e i rimanenti pezzi dello stesso calibro vennero alesati e portati al calibro di 320 mm. Venne costruita una nuova prora, saldata sopra quella originale, e sostituito interamente l’apparato motore. La corazzatura rimase quasi inalterata, con qualche aumento della protezione orizzontale, ma furono adottati i cilindri assorbitori tipo «Pugliese» per la protezione subacquea contro gli scoppi delle mine e dei siluri. Completamente rifatte le sovrastrutture; fu creato un torrione di comando a tronco di cono, non troppo elevato, al quale erano sovrapposti i grandi telemetri della direzione di tiro principale. Tra il torrione e il tripode poppiero si elevavano i due fumaioli, dritti, piuttosto piccoli e non troppo distanti l’uno dall’altro. Completato il rimodernamento nel 1937, le due corazzate rientrarono in Squadra, e parteciparono attivamente alle prime fasi della Seconda guerra mondiale; la Cavour, danneggiata nella notte di Taranto nel dicembre 1940 non rientrò più in servizio. La Cesare sopravvisse alla guerra e nel 1948, in ottemperanza alle clausole del trattato di pace, fu ceduta all’Unione Sovietica dove rimase in servizio, nella flotta del Mar nero, con il nome di Novorossijsk fino al 28 ottobre 1955 quando venne distrutta da un’esplosione. Schema della corazzatura delle corazzate classe «Cavour» rimodernate (Almanacco navale, 1941).
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Il rimodernamento delle navi da battaglia classe «Caio Duilio» Duilio (costruzione: cantiere di Castellamare di Stabia, 1912-15; rimodernata nel 1937-40 presso i Cantieri del Tirreno, Genova), radiazione: 15/9/1956. Andrea Doria (costruzione: Arsenale della Spezia, 1912-16; rimodernata nel 1937-40 presso i Cantieri Riuniti dell’Adriatico, Trieste), radiazione: 01/11/1956. Dislocamento normale: 28.700 t; p.c.: 29.000 t; Dimensioni lunghezza: fra pp. 168,96 m; f.t. 186,9 m; larghezza: 28 m immersione: normale: 9,1 m : p.c.: 10,4 m; —Apparato Motore: 8 caldaie sub-verticali a tubi d’acqua tipo Yarrow con surriscaldatore; 2 gruppi turboriduttori tipo Belluzzo — Potenza 85.000 HP; Velocità: 27 nodi; Combustibile: 2.550 t di nafta; Autonomia: 4.250 miglia a 12 nodi, 3.390 a 20 nodi; Armamento: 10-320/44; 12-135/45; 10-90/50; 19-37/54; 12-20/65; Protezione galleggiamento (verticale): max. 250 mm; orizzontale: max. 135 mm; artiglierie: torri g.c. max. 280 mm; basamenti torri g.c. max. 290 mm; torri m.c. max. 120 mm; torrione: max. 260 mm; Equipaggio: 35 ufficiali + 1.460 marinai. Nel 1937, completato il rimodernamento delle due corazzate classe «Cavour», entrarono in cantiere le due unità classe «Duilio» per subire analoga radicale operazione. Come già per le prime due navi da battaglia, il progetto di rimodernamento venne studiato dal Comitato Progetto Navi ed elaborato dal generale del Genio Navale Rotundi. La ricostruzione non si discostò nelle sue linee generali da quella delle «Cavour» (nuova prora, sostituzione apparato motore e sovrastrutture, lievi miglioramenti alla corazzatura, armamento principale ricalibrato e nuovo armamento secondario, cilindri assorbitori tipo «Pugliese»), ma tenne conto di alcune deficienze riscontrate nel rimodernamento delle due unità precedenti, cercando di porvi rimedio. Fu, fra l’altro, migliorato l’armamento secondario adottando i nuovi cannoni da 135 mm e da 90 mm, che diedero alle due corazzate armi antisiluranti e antiaeree, notevolmente superiori a quelle imbarcate sulle «Cavour». La contemporanea costruzione delle «Vittorio Veneto» influì sullo studio delle sovrastrutture di queste navi; infatti, in molti particolari le due nuove «Duilio» assomigliarono alle unità maggiori: ebbero, per esempio, torrione quasi eguale, alberetto poppiero dello stesso tipo e analoga disposizione dell’armamento minore. Rispetto alle «Cavour», i fumaioli vennero leggermente avvicinati tra di loro e sistemati in posizione più poppiera, in modo da liberare maggiormente i congegni di punteria installati sul torrione dai prodotti della combustione. Dopo il rientro in servizio parteciparono attivamente alla Seconda guerra mondiale; la Duilio, danneggiata nella notte di Taranto, rientrò in servizio nel maggio 1941, dopo 5 mesi di lavori a Genova. Le due unità classe «Duilio» furono le uniche corazzate lasciate alla Marina Militare italiana dopo la Seconda guerra mondiale, e rimasero in servizio fino al 1956, quando furono entrambe radiate.
Sezione longitudinale e sezioni trasversali delle corazzate classe «Duilio» rimodernate (Le navi di linea italiane 1861-1961).
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Vista esterna del vascello della Regia Marina italiana RE GALANTUOMO, ex MONARCA della Marina borbonica; l’aspetto esterno delle navi scuola CRISTOFORO COLOMBO e AMERIGO VESPUCCI voleva riprendere le linee di questa bella unità (Le navi di linea italiane volume I 1861-1875). BIBLIOGRAFIA Rivista Marittima, ottobre-novembre 1945: necrologio del generale Francesco Rotundi. Almanacco Navale, anni 1938 e 1941. Jane’s Fighting Ships, 1953-54. Notiziario della Marina: numeri di aprile 2016, febbraio 2017, febbraio 2018, febbraio 2019, febbraio 2021. marina.difesa.it. https://www.difesaonline.it/news-forze-armate/storia/21-novembre-1913-il-san-giorgio -si-incaglia. https://www.bonculture.it/vintage/lamerigo-vespucci-la-nave-piu-bella-del-mondo-progettata-da-un-ingegnere-che-si-innamoro-di-manfredonia. http://www.ilmattinodifoggia.it/news/almanacco-dauno/16688/oggi-nasceva-francesco-rotundi-almanacco-dauno.html. mondovespucci.com/ITAL/famiglia/FRotundi.html. http://www.reciproca.it/Turismo/varie/matrella/rotundi.htm. https://foggia.zon.it/francesco-rotundi/?refresh_ce. https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Rotundi. http://manganofoggia.it/francesco-rotundi. https://www.roncalliweb.edu.it/index.php/scuola/informazioni-generali/nautico?showall=1. Ufficio Storico Marina Militare (USMM), Le navi di linea italiane 1861-1961, Roma 1966. USMM, Le navi di linea italiane volume I (1861-1875), Roma 2011. USMM, Almanacco storico delle navi militari italiane 1861-1996, di Giorgio Giorgerini e Augusto Nani, Roma 1996. USMM, Tutte le navi militari d’Italia 1861-2011, di Franco Bargoni, Roma 2012. USMM, Uomini della marina 1861-1946. Amerigo Vespucci e i secoli d’oro della vela, 1974. Amerigo Vespucci, scuola di mare scuola di vita, 1991. Piero Carpani, La più bella del mondo - nave scuola Amerigo Vespucci - 2008. Eugenio Andri, Recuperi navali in bassi fondali, 1979. RID (Rivista Italiana Difesa), febbraio 2021, La propulsione elettrica e ibrida per unità navali militari, di Claudio Boccalatte. Rivista Marittima settembre 2015, Rubrica Scienza e Tecnica: I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Benedetto Brin di Claudio Boccalatte. Rivista Marittima dicembre 2015, Rubrica Scienza e Tecnica: I grandi tecnici della Marina Militare: l’ammiraglio Giancarlo Vallauri di Claudio Boccalatte. Rivista Marittima febbraio 2016, Rubrica Scienza e Tecnica: I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Giuseppe Rota di Claudio Boccalatte. Rivista Marittima marzo 2016, Rubrica Scienza e Tecnica: I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Domenico Chiodo di Claudio Boccalatte. Rivista Marittima maggio 2016, Rubrica Scienza e Tecnica: I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Umberto Pugliese di Claudio Boccalatte. Rivista Marittima novembre 2016, Rubrica Scienza e Tecnica: I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Vittorio Cuniberti di Claudio Boccalatte. Rivista Marittima febbraio 2017, Rubrica Scienza e Tecnica: I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Edoardo Masdea di Claudio Boccalatte. Rivista Marittima maggio 2017, Rubrica Scienza e Tecnica: I grandi tecnici della Marina Militare: il professor Ugo Tiberio, ideatore del radar italiano di Claudio Boccalatte. Rivista Marittima novembre 2017, Rubrica Scienza e Tecnica: I grandi tecnici della Marina Militare: l’ammiraglio Gian Battista Magnaghi, artefice dell’Istituto idrografico di Genova di Claudio Boccalatte. Rivista Marittima gennaio 2019, Rubrica Scienza e Tecnica: I grandi tecnici della Marina Militare: l’ammiraglio Umberto Cagni di Claudio Boccalatte. Rivista Marittima aprile 2019, Rubrica Scienza e Tecnica: I grandi tecnici della Marina Militare: il professor Angelo Scribanti di C. Boccalatte. Rivista Marittima maggio 2021, Rubrica Scienza e Tecnica: I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Gioacchino Russo di C. Boccalatte. Rivista Marittima febbraio 2021, Due secoli di armi velici di Maurizio Brescia.
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«Afghanistan: quelle lezioni da non dimenticare» IAI AFFARINTERNAZIONALI, 19 AGOSTO 2021
Duecento anni fa Carl von Clausewitz sosteneva che «La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi». La guerra non è, dunque, solamente un atto politico, ma un vero e proprio strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi. Se alle sue spalle non vi è una politica, nessuna guerra può essere vinta e, in linea di principio, non vi è alcun senso a combatterla. L’averlo dimenticato spiega in gran parte perché i paesi occidentali hanno perso la ventennale guerra combattuta in Afghanistan e perché, in poche settimane, è crollato, senza nessuna seria resistenza, il governo che in tutto questo periodo l’Occidente aveva sostenuto, leggiamo nell’articolo in parola scritto da Michele Nones, Stefano Silvestri e il generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato Maggiore della Difesa. Questo principio non cambia per il fatto che alla guerra «tradizionale» si sia affiancata negli ultimi trent’anni la guerra «ibrida», con il coinvolgimento di forze irregolari e un ampio utilizzo degli attacchi terroristici fino al dilagare degli attacchi cyber. Mentre ci si dovrà preparare ad affrontare le conseguenze negative del ritiro dall’Afghanistan, è indispensabile, secondo gli autori, «individuare gli errori commessi e le lezioni di cui si dovrebbe fare tesoro». Alcuni punti emergono già con evidenza, altri richiederanno più tempo e una approfondita riflessione sia a livello generale sia nazionale. In estrema sintesi: gli obiettivi politici di ogni intervento militare in un’area di crisi devono essere «chiari e realistici», basandosi sulla massima consapevolezza della realtà in cui si intende intervenire. L’Occidente dovrebbe saper dimostrare la validità del suo sistema politico-economico-sociale sul piano del confronto senza alcuna pretesa di «esportarlo». In particolare, l’Unione europea e i suoi principali membri devono essere consapevoli che nel nuovo mondo globalizzato e multipolare possono contare solo se si muovono insieme (sottolineando come «anche nei confronti del nostro alleato americano dobbiamo saperci muovere collettivamente se vogliamo spingerlo a condividere, sostanzialmente e non solo formalmente, le sue scelte, anche dentro la Nato»). L’Afghanistan non deve essere considerata un’esperienza isolata o straordinaria. Non bi-
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sogna dimenticare, infatti, che l’impegno in corso dei paesi europei nel Sahel (e in un gran numero di altri paesi africani) ruota intorno all’operazione francese Takuba (alla quale partecipa anche l’Italia) e siccome le crisi politiche in Mali e in Ciad stanno creando seri problemi, il presidente Macron, a sua volta, potrebbe essere tentato di seguire l’esempio del presidente Biden. Se ciò accadesse, le conseguenze sarebbero disastrose per la nostra sicurezza, dall’immigrazione al terrorismo. Allo stato attuale, in particolare, la comunità internazionale e, soprattutto i paesi della Nato, devono farsi carico degli afghani che hanno collaborato con noi in questi vent’anni. Questo comporta il riconoscimento del diritto d’asilo nei nostri paesi con una proporzionata loro suddivisione. «Se non lo facessimo, l’affidabilità occidentale sarebbe pesantemente compromessa a livello internazionale». Per l’Italia gli Autori aggiungono alcune poi specifiche riflessioni: aggiornare il Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa del 2015 in funzione dei cambiamenti intervenuti sullo scenario internazionale, laddove «la litania delle missioni di pace» deve lasciare il posto alla consapevolezza che, per conseguire determinati obiettivi politici, le missioni militari comportano anche l’uso della forza. E infine, last but not least, si ritiene opportuno diffondere la consapevolezza che «l’impegno delle nostre Forze armate in questi venti anni non è stato inutile — in considerazione del fatto che — le nostre Forze armate si sono comportate in modo ammirevole, coniugando l’intervento armato con una grande attenzione per la popolazione e per le sue esigenze: un modello di intervento anche per il futuro».
«Will the South China Sea spark the next global conflict?» THE DIPLOMAT, N.79, JUNE 2021
«Un giorno la Grande Guerra europea verrà fuori da “qualche dannata stupida cosa” nei Balcani», aveva ammonito Otto von Bismarck, il famoso «Cancelliere di ferro» del Reich tedesco. E la profezia ventilata dal Bismarck si dimostrò lungimirante, poiché «una dannata cosa stupida» ai margini degli imperi dell’epoca trasformò senza soluzione di continuità «l’improbabile nell’inevitabile», fa rile-
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vare il brillante politologo ed editorialista Richard Yajard Heidarian nell’articolo in parola, apparso sulle colonne della rivista originariamente australiana e oggi con sede a Washington D.C. (fondata nel 2001 e online dal 2009). Ciò che era iniziato con le guerre balcaniche sulle ultime vestigia del territorio ottomano in Europa, si trasformò rapidamente nella Prima guerra mondiale in seguito al surreale assassinio dell’erede al trono austro-ungarico, l’arciduca Francesco Ferdinando. Il pur tragico evento, che all’inizio sembrava una tragedia relativamente gestibile nel più grande schema geopolitico del momento, mise invece in moto una catastrofica ondata di eventi da parte delle principali potenze europee che portarono fatalmente alla guerra. «Una volta premuto il pulsante della mobilitazione, l’intero vasto meccanismo per chiamare, equipaggiare e trasportare [milioni di] uomini ha iniziato a girare automaticamente», ha scritto Barbara W. Tuchman nel suo ormai classico libro, The Guns of August (1962) sulle fatidiche settimane dell’estate 1914, che avrebbero cambiato il destino dell’umanità, spesso contro la volontà vera dei suoi attori principali trascinati obtorto collo nel gorgo del conflitto. Ed ecco l’analogia storica posta in essere dall’Autore: per molti versi, le dispute sul Mar Cinese Meridionale sono la versione odierna dei Balcani dell’inizio del XX secolo, dove «qualche dannata cosa stupida» può scatenare un devastante conflitto globale al di là della nostra immaginazione. È qui, nel cuore marittimo dell’Asia, dove tutti gli ingredienti di un cataclisma globale cospirano contro il periodo postGuerra Fredda di pace e stabilità nell’Indo-Pacifico. È anche qui che il bordo nudo delle ambizioni egemoniche della Cina è in piena esposizione, con conseguenze terribili per i vicini più piccoli e lo stesso ordine internazionale liberale. Ecco il dilemma geopolitico che caratterizza i nostri tempi! «La Cina di oggi è troppo grande per essere “contenuta”, ma sta anche diventando “troppo vorace” per essere lasciata a sé stessa — osserva il Nostro in maniera molto incisiva — se c’è una cosa che la storia ci insegna, è che né il fatalismo strategico, che rischierebbe di trasformare il Mar Cinese Meridionale in un Mare clausum, un vero e proprio lago cinese, né una sconsiderata rivalità
tra superpotenze, che potrebbero scatenare un conflitto globale, è consigliabile». È necessario quindi, a suo avviso, un approccio multilaterale attraverso una combinazione ottimale di engagement & deterrence, in base alla quale le potenze che la pensano allo stesso modo e i vicini «assediati» della Cina, in una sorta di «constrainment strategy» dovrebbero mettere in campo un insieme di contromisure diplomatiche, economiche e militari per sostenere un ordine libero e aperto nella regione più dinamica del mondo. «La posta in gioco è niente meno che il futuro dell’ordine globale del XXI secolo». Senza escludere peraltro che, sempre nel Mar Cinese Meridionale, Balcani dei nostri giorni figuratamente parlando, potrebbe verificarsi quella «dannata stupida cosa» che, quasi senza avvedersene, potrebbe innescare un «casus belli» su scala globale. Lo stesso ex segretario di Stato Henry Kissinger ebbe a dire che «il suo più grande timore era che marinai americani o cinesi troppo stanchi nel Mar Cinese Meridionale potessero commettere un errore e iniziare una guerra». Ed è, infatti, proprio lì che l’incidente tra un peschereccio cinese e un’unità navale americana mette in moto a cascata una serie di eventi che portano alla guerra mondiale, secondo il tema del libro 2034: A Novel of the Next World War. Un tecno thriller pubblicato lo scorso marzo dagli scrittori militari Elliot Ackerman e James Stavridis. Il primo, ex ufficiale dei Marines pluridecorato che ha prestato servizio in Afghanistan e Iraq, il secondo ammiraglio statunitense a quattro stelle in quiescenza, già comandante dell’US European Command e NATO Supreme Allied Commander Europe (2009-13). In rapide sequenze, Pechino, vinta la battaglia navale nel Mar Cinese Meridionale contro ben due air carrier strike group statunitensi, le cui comunicazioni vengono chiuse con un preventivo e brillante attacco di cyberwar, lancia l’invasione di Taiwan. La Russia, schierata a fianco della Cina insieme all’Iran, invade a sua volta il territorio polacco. A quel punto la presidentessa americana (sì proprio una donna eletta in una lista indipendente!) autorizza l’attacco nucleare sul porto cinese di Zhanijiang, mentre la Cina risponde usando le proprie armi nucleari per distruggere San Diego e Galveston. Siamo sull’orlo di una pericolosissima escalation
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nucleare che viene però fermata manu militari dall’India, con attacchi a sorpresa sia contro la portaerei nucleare cinese Zheng He sia contro gli aerei americani diretti su Shanghai per un attacco nucleare che solo in parte riesce. La guerra termina come risultato degli accordi di pace di Nuova Delhi. Gli autori hanno reso, infatti, l’India «l’eroina» del loro libro, un’India che si candida così a essere la detentrice del nuovo ordine geopolitico nell’IndoPacifico. Sono gli statisti indiani che agiscono, infatti, con saggezza e prudenza per fermare l’escalation della guerra nucleare in corso e negoziare la pace. Illuminanti sono le parole che — sempre nella finzione letteraria — lo statista indiano Patel rivolge a suo nipote, vice consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti: «Hai sprecato il tuo sangue e il tuo tesoro a che scopo? Per la libertà di navigazione nel Mar Cinese Meridionale? Per la sovranità di Taiwan? Il mondo non è abbastanza grande per il tuo governo e quello di Pechino? Forse vincerai questa guerra. Ma per cosa? Per essere come gli inglesi dopo la Seconda guerra mondiale, il tuo impero smantellato, la tua società in ritirata? E milioni di morti da entrambe le parti?». Il 2034 prevede dunque una guerra nucleare tra grandi potenze che rimane però limitata e al lettore, che si chiede quanto può essere realistica, non sfuggirà l’invito degli Autori a un maggiore appeasement politico nei confronti della Cina, dopo i toni duri di Trump e di Biden, unitamente alla revisione dei principali capisaldi della politica estera statunitense lungo il Pacific Rim. Alla richiesta, infine, di offrire un consiglio al Pentagono e alla Casa Bianca, gli Autori hanno sottolineato la necessità di «un pensiero più creativo sul futuro», definendo addirittura Pearl Harbor, l’11 settembre, l’attuale pandemia e vent’anni di guerra in Afghanistan proprio come «fallimenti dell’immaginazione»!
«La galera di Abukir» ARCHEO. ATTUALITAÊ DEL PASSATO, N.438, AGOSTO 2021
Ogni volta che sentiamo parlare della baia egiziana di Abukir, il pensiero va subito alla celeberrima battaglia del Nilo combattuta tra la sera del 1º e la mattina del 2 agosto 1798, nella quale Nelson sconfisse clamorosamente la flotta francese al comando dello sfortunato Brueys. Il presente articolo ci porta invece indietro di parecchi secoli, nientemeno che alla città di Heracleion (detta anche Thonis dagli egizi), sommersa dalle acque a sei km dalla linea di costa sin dall’-
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VIII secolo d.C. a causa di fenomeni sismici e geologici e riscoperta solo nel 2000. La città ellenistica, una vera e propria Venezia dell’antichità, di cui ci ha parlato lo storico Erodoto e il geografo Strabone, costruita com’era su una rete di canali, è stata teatro di una nuova e importante scoperta di archeologia subacquea, avvenuta nel corso delle ricerche che da anni interessano l’area. Si tratta del relitto di una «galèra» come titola l’articolo (ovvero «galèa») di età tolemaica [per l’etimologia e l’evoluzione storica rimane fondamentale il Vocabolario Marino e Militare del padre Guglielmotti, pp. 768-770], che colò a picco nel II secolo a.C., dopo essere stata colpita dai blocchi di pietra del vicino tempio di Amon Ra, il capofila del pantheon egizio, che un violento terremoto fece precipitare in mare. «Finora i ritrovamenti di “galere veloci” risalenti all’epoca ellenistica sono stati assai rari — spiega Franck Goddio, l’archeologo francese che ha guidato le ricerche — e il solo esemplare confrontabile con il nostro è il relitto della nave punica di Marsala (datata 235 a.C.) La galera venne costruita impiegando il “sistema a incastro delle mortase e dei tenoni” per le giunture e curando con particolare attenzione l’articolazione interna della struttura (ipac.regione.fvg.it). Al tempo stesso appaiono evidenti soluzioni tipiche della tradizione egiziana e possiamo perciò parlare di una costruzione di tipo misto realizzata da maestranze locali. La galera era sospinta dai remi, ma disponeva anche di un’ampia vela, come prova la presenza di un albero di notevoli dimensioni. Il fondo dell’imbarcazione era piatto così come la chiglia, in modo da favorire la navigazione nelle acque del Nilo e del Delta. La lunghezza totale dell’imbarcazione era pari a 25 m, una misura equivalente a circa sei volte quella della sua larghezza». Un altro tesoro archeologico in corso di studio si aggiunge così a quelli già ritrovati nella città sommersa di Heracleion, molti dei quali sono esposti nel Museo archeologico di Alessandria (https://aidanewsxl.wordpress.com/2017/12/31/egitto-baiadi-aboukir). Il Mediterraneo, infinito giacimento culturale sommerso, ha conservato perfettamente i tesori della città dedicata al dio Eracle, il cui culto era diffuso in tutto il mondo greco-romano! Ezio Ferrante
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