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La nascita del mito
PARTE QUASI PER CASO UNA GARA EPICA LA NASCITA DEL MITO
di Sandro Pescara
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La 24 Ore di Le Mans è un mito delle corse, e come ogni mito ha avuto un principio.
Nel caso della gara francese, l’inizio data 26 maggio 1923.
Sabato, 26 maggio 1923. Chi si fosse trovato a passare dalle parti della cittadina francese di Le Mans avrebbe potuto osservare 33 vetture schierate sul circuito della Sarthe. I sessantasei piloti che le avrebbero condotte di lì a poco, per la maggioranza di nazionalità francese (ben 59), erano pronti per affrontare una sfida che forse non era ancora ben chiara a nessuno, per durezza e impegno.
Nel novembre dell’anno precedente si era ventilata l’idea di una prova di resistenza per testimoniare l’affidabilità e la robustezza delle vetture costruite in quegli anni. Una necessità che, a quanto sembrava, era ancora da ribadire nonostante quasi 5 lustri di competizioni di ogni genere avessero reso oramai familiari quei mezzi, entrati oramai a far parte della quotidianità delle persone che potevano permettersi di acquistarne uno. In breve tempo si era organizzata una gara, da svolgersi con automobili assolutamente conformi alle vetture turismo che venivano vendute normalmente, aventi le stesse dotazioni obbligatorie per il normale uso quotidiano.
L’idea iniziale era di far correre le vetture per otto ore, di cui la metà di notte, per far sviluppare i sistemi di illuminazione: poi piano piano la durata della competizione salì a 24 giri della lancetta piccola dell’orologio. Una gara di resistenza che, in base ai risultati ottenuti dalle case nell’arco di tre anni, avrebbe assegnato la Coppa Rudge-Whitworth.
Se 59 piloti su 66 erano francesi (i restanti 7 erano belgi, uno svizzero, un canadese e un inglese) le 33 vetture in gara rappresentavano una buona parte dei produttori dell’epoca: Salmson, Bugatti, Chenard & Walcker, Brasier, Lorraine-Dietrich, Bentley, Bignan, Delage, Rolland-Pilain, Berliet, S.A.R.A., Corre La Licorne. Nomi oggi sconosciuti ai più, per la maggior parte. Perduti nelle nebbie del tempo, antesignani di un’industria che ne ha assorbiti molti, schiacciati tanti, fatti dimenticare quasi tutti. Ma questi pionieri della meccanica presentarono le loro creature a Le Mans per dare vita a una gara che sarebbe diventata un sogno per gli anni a venire, uno dei traguardi più illustri da tagliare.
Alle 16 di quel sabato il tempo era più che brutto: grandinava. All’abbassarsi della bandiera francese i piloti corsero verso le loro vetture, salirono a bordo, le misero in moto e si lanciarono verso le successive 24 ore di guida. La partenza alla “Le Mans”, che rimase in vigore fino al 1969. Una partenza che è anche il mo
In Alto: la gara è appena partita: in testa le due Excelsior, con i numeri di gara 1 e 2. Seguono la Lorraine-Dietrich numero 5, la Bentley numero 8 di Duff e la futura vincitrice con il numero 9.
tivo per cui le Porsche hanno l’accensione a sinistra, per permettere ai piloti di scattare prima degli altri accendendo l’auto con la sinistra mentre con la destra ingranano la prima marcia. Ma non divaghiamo...
Le vetture numero 1 e 2 erano le Excelsior, che avevano una cilindata di 5,3 litri, maggiore delle altre. Le successive erano schierate in base all’ordine di iscrizione. Questo permise nei giri iniziali di assistere ad una gara emozionante, ricca di sorpassi e di testa a testa.
Se Charles Faroux, Emile Coquille e George Durand, gli organizzatori, avevano sognato una gara dura, tutto quello che stava accadendo andava oltre le loro più rosee previsioni. Quasi tutte le vetture erano scoperte, molte non avevano il parabrezza. In tanti avevano montato parafanghi ridotti, per diminuire il peso, e prima la grandine, poi la pioggia, re
sero il fondo della strada da polveroso a decisamente fangoso. In tanti correvano senza occhialoni, che vennero tolti da chi li indossava perché sporcandosi di fango rendevano impossibile vedere dove si stava cercando di guidare le vetture. I pit stop iniziarono dopo circa tre ore. Il regolamento prevedeva che gli equipaggi fossero composti da due soli piloti, e uno alla volta potevano operare sull’auto, ai box. Le Chenard & Walcker presero la testa della gara, seguite dalla Bentley 3 Litri Sport fino al calare della notte. Poi iniziarono altri tipi di guai. I sassi sollevati dalle vetture causarono diversi danni alle lampade di illuminazione, e in alcuni casi forarono anche i serbatoi. La Bentley di John Duff e Frank Clement ruppe un faro, e proseguì la gara semicieca, nonostante l’offerta da parte della squadra della Chernard & Walcker di dargli un faro di ricambio; offerta declinata, ritendendo che la sostituzione del pezzo avesse fatto perdere tempo eccessivo.
Al sorgere del sole Duff iniziò a inanellare giri veloci su giri veloci, risalendo parecchie posizioni in classifica, fino ad
arrivare al secondo posto, inserendosi tra le due Chenard & Walcker in testa. Poi la doccia fredda: la Bentley bucò il serbatoio della benzina e rimase senza carburante dall’altro lato del percorso. Tutto sembrava perduto ma uno dei tanti episodi impossibili oggi, ma assolutamente naturali allora, permise all’equipaggio di tornare in gara. Frank Clement raggiunse i box a piedi, e con il benestare della direzione di gara raccolse un po’ di attrezzi, una bombola di gas e con la bicicletta di un soldato francese in servizio presso il circuito raggiunse nuovamente la sua vettura, effettuando una riparazione di emergenza e riprendendo il via nonostante le oltre due ore perse, per tornare ai box, fare rifornimento e restituire la bicicletta, riportata indietro sul sedile dell’auto.
Le 16 della domenica videro transitare sul traguardo in prima posizione la Chenard & Walcker numero 9, condotta da André Lagache e René Léonard, che avevano compiuto 128 giri del tracciato. Dietro di loro la vettura gemella di Raoul Bachmann e Christian d’Auvergne, a quattro giri di distacco. Poi la Bignan di Paul Gros e Raymond de Tornaco, con 120 giri. E quarta la vettura che aveva acceso il pubblico, la Bentley 3 Litri Sport, arrivata con 112 giri nonostante le disavventure.
Delle 33 auto che avevano preso il via 24 ore prima, ne erano giunte al traguardo 30.
Se i francesi volevano testimoniare la robustezza delle vetture di quei tempi, la prova era stata ampiamente superata, e Le Mans aveva fatto il primo passo verso la leggenda.
In Alto: la zona della partenza. Si notano le Roland-Pilain: la R (15), la B22 (14) e la RP (25). Nella pagina accanto, in alto: la squadra Chenard & Walcker schierata all’arrivo: oltre alla vincitrice (9), la seconda classificata (10) e la vettura n. 11, condotta da Fernand Bachmann e Raymond Glaszmann, giunta settima. In basso: la Chenard & Walcker n. 9 dei vincitori, André Lagache e René Léonard.