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Il giorno folle di Pierre Levegh

LA DRAMMATICA STORIA DELLA LE MANS 1952 IL GIORNO FOLLE DI PIERRE LEVEGH

di Max Gagliano È stata l’impresa più folle e suicida mai pensata nella storia dell’automobilismo. È la storia di un uomo che fece di Le Mans la sua malattia, contro ogni logica e contro ogni parere.

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Il parigino Pierre Levegh nasce il 22 dicembre 1905 e cresce forgiando il suo carattere praticando il tennis e l’hockey. Ma a 18 anni avviene un episodio che cambierà per sempre la sua esistenza. Quel giorno Pierre assiste, assieme a centinaia di persone, alla primissima edizione della 24 ore di Le Mans. Vinsero i francesi Léonard e Lagàche in mezzo al tripudio generale. Da quel momento vincere a Le Mans diventerà l’unico scopo della sua vita. A Le Mans non smise più di andare come spettatore. Visse un rapporto così intimo con quel luogo da far sì che conoscesse quei tratti meglio dei piloti che ci correvano sopra. Dovette aspettare fino al 1938 per passare dall’altra parte della recinzione. La Talbot gli diede la grossa opportunità di diventare professionista. Ma l’avvento del secondo conflitto mondiale rovinò i suoi piani, e soltanto alla riapertura delle attività agonistiche avrà modo di mettersi in luce con un bel quarto posto come miglior ri

sultato. Ma per Levegh non fu abbastanza soddisfacente e decise di comprare una Talbot. La preparò così attentamente che finì per spendere tanti soldi, più di quanto avrebbe eventualmente incassato vincendo la 24 ore. Ma quell’anno, il 1952, a 46 anni si sentiva pronto per

In Alto: la Talbot di Levegh impegnata in gara Nella pagina accanto, in alto: un intenso prim piano di Pierre Levegh

tentare il tutto per tutto. Dopo le prime 5 ore Levegh era sorprendentemente secondo ma quando arrivò il momento del cambio con René Marchand, allontanò il compagno di squadra con un gesto . “Non ancora... è la mia macchina... è la mia gara...”Alle 3.45 di notte la vettura leader ruppe i freni e Levegh si ritrovò in testa. Guidava ormai da 12 ore consecutive. Tutti cominciarono a pensare che l’ostinazione di Levegh fosse stupida. Stava rischiando troppo, ma era irremovibile. Si racconta che la moglie pensò a un trucco. Alla successiva sosta gli avrebbe proposto di scendere solo un attimo per prendere una spremuta di arancia. Marchand sarebbe stato pronto lì dietro con gli occhialoni già infilati, sarebbe balzato sul sedile furtivamente. Levegh arrivò per il rifornimento, la moglie si avvicinò disperata ma Levegh fu irremovibile. “Non scenderò. Voglio guidare soltanto io. È la mia macchina, è la mia corsa.”Ripartì inconsapevole dell’immane stanchezza a cui sarebbe andato incontro. La folla cominciò ad andare in visibilio, avendo capito di poter assistere

a un impresa mai tentata prima. Era già un eroe nazionale quando in quei precisi istanti teneva a bada lo squadrone Mercedes che lo inseguiva.A metà mattina tornò ai box per il rifornimento in condizioni precarie bevendo un sorso di acqua minerale. Marchand tentò di salire a bordo con la forza ma Levegh, attingendo le energie da chissà dove, lo respinse rabbiosamente.E si arrivò a mezzogiorno; mancavano ormai solo quattro ore e Levegh fece nuovamente rifornimento. Era in condizioni allucinanti. Non riusciva a parlare e non riconosceva nessuno. La moglie scoppiò in lacrime, solo una cosa gli era chiara: voleva continuare. Poteva gestire il vantaggio rallentando, ma aumentò il ritmo come un forsennato. Gli segnalarono il vantaggio dalla postazione box, ma non lesse o non era più in grado di farlo. Le sue azioni in pista erano solo un riflesso di automazioni dettate dai pochi riflessi che gli erano rimasti. Solo, con la solitudine del suo desiderio, Levegh correva libero dentro quel posto sacro che aveva fatto intimamente suo fin da quando era adolescente, ma sopraf

fatto dalla stanchezza, saltò una marcia in scalata. Un passaggio quarta-seconda decretò la rottura del motore. Mancavano solo 90 minuti alla bandiera a scacchi. La Mercedes vinse la corsa, mentre una vettura degli ufficiali di gara raccattò un uomo distrutto tra Arnage e Maison Blanche. Quell’uomo era Pierre Levegh. Fu condotto ai box tra il silenzio generale, i francesi non lo osannavano più e anzi, gli erano ostili, perché aveva buttato via una vittoria per pura e semplice ostinazione.

L’unico a rendergli onore fu il leggendario direttore sportivo della Mercedes, Alfred Neubauer. Gli disse: “La prossima volta che la Mercedes correrà a Le Mans, tu guiderai una delle nostre macchine.”- Neubauer si ricordò della promessa e tre anni più tardi fece sedere Levegh al volante della potentissima Mercedes.Su quella macchina Pierre Levegh troverà la morte nella più grande sciagura automobilistica di tutti i tempi. La sua Mercedes, decollando, si schianterà sul pilone del sottopassaggio della tribuna centrale esplodendo tra la folla e provocando la morte di 83 spettatori.

Finisce così, nel modo più triste possibile, la storia di questo uomo che era animato dal suo sogno ossessivo. Il sogno l’ha portato via con sé, assieme a quel posto magico che lo aveva così folgorato.

La sua Le Mans... la sua macchina... la sua corsa.

In questa pagina e nella pagina successiva: ancora delle immagini della Talbot di Levegh impegnata in gara durante lo sfortunato e folle tentativo del pilota.

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